“ZIIIAAA!”, l’urlo inaspettato fece sobbalzare il Mago, che afferrò il suo zaino e scese dal carro, mentre una voce certamente femminile, ma potente quanto quella del nipote rispondeva: “Sbrigati a dar da mangiare alle bestie, cambiati e vieni a darmi una mano. Tra poco è ora di cena! Dove sei stato maledetto perdigiorno?”
Jona si concesse un mezzo sorriso divertito e poi infilò la porta con passo deciso.
La stanza era ampia e abbastanza strana. Quasi metà, vicino alla porta, aveva il soffitto molto alto ed era ingombra di tavoli allineati, l’altra metà, invece era bassa e adibita a cucina, con un camino che occupava quasi tutta la parete di fondo e che conteneva al suo interno anche i vari piani di cottura. Le due metà erano separate da un bancone che sembrava molto usato.
Una donna robusta stava mescolando vigorosamente il contenuto di un grosso pentolone fumante.
“Vai a controllare l’arrosto. Ho solo due mani io, sai?”
“Certo”, disse Jona, senza muoversi dal bancone.
La donna si girò a quella voce che non si aspettava. Il suo viso, già arrossato dal calore e dall’esercizio fisico, divenne quasi paonazzo.
“Cerco un posto per la notte, e qualcosa da mangiare”, disse Jona sorridendo e annusando platealmente gli odori che arrivavano fino a lui, “ma non vorrei distrarla in un momento delicato”.
La donna si girò di scatto e riprese a rimescolare con vigore il suo pentolone. “Paolo! Sbrigati!”, tuonò rivolta verso l’altra porta sul fondo che, in un primo momento, Jona non aveva notato. “Mi scusi ancora un momento, che la polenta è quasi pronta e non vorrei si attaccasse ora. Sono tutti impegnati per la raccolta e mi devo arrangiare da sola”, disse senza nemmeno voltarsi. Lavorava con una precisione ammirevole. Rimescolava con regolarità cinque diverse pentole, passando dall’una all’altra con la precisione di una danza praticata infinite volte. Jona rimase in silenzio a guardarla. Pochi minuti dopo la pentolona più grossa, un affare panciuto che doveva contenere almeno dieci litri di roba, quella che la “zia” stava rimescolando con più regolarità, fu spinta faticosamente da un lato, lontano dal contatto diretto del fuoco.
In quel momento entrò anche Paolo seguito a ruota da una ragazza alta quasi quanto lui e con una certa aria di famiglia.
“Ho detto ad Arianna di venire subito, ho pensato che ne avessi bisogno”, disse Paolo entrando.
“Hai fatto bene”, disse la zia un po’ raddolcita. “Datemi una mano, prima che si raffreddi troppo”
Paolo agganciò il pentolone a un apposito arganello mentre le due donne prendevano un largo piano rotondo di legno lucido e lo mettevano sotto, poi, armati di stracci per non ustionarsi le mani, rovesciarono il contenuto del pentolone. Ne uscì una massa dorata che andò a formare un’enorme pagnotta fumante sulla tavola poi messa in disparte a raffreddare. Paolo andò a controllare l’arrosto, mentre la ragazza iniziava un diverso tipo di danza con le pentole rimaste.
La zia si girò finalmente verso Jona, si ripulì le mani, afferrò due bicchieri e una caraffa di terracotta e depositò tutto sul bancone, fra sé e il mago.
“Non sei di queste parti”, disse versando due porzioni generose di vino rosso.
“No”, disse Jona squadrando la donna. La sua valutazione era completa. Poteva rischiare: “Vengo da Ligu, oltre i monti e ho bisogno di riposarmi e di mangiare, ma non ho denaro della Valle. Forse potrebbero interessarti alcune cose che avrei da vendere”, mentre parlava tirò fuori dalla tasca una delle palline d’oro e una grossa perla di quelle che i marinai portavano dai mari del sud.
Vide l’interesse della donna, seguito immediatamente dall’ala nera del sospetto.
“E roba mia. Guadagnata onestamente. Posso giurarlo al tempio, se vuoi”, disse Jona con calma indicando con il pollice alle sue spalle, dove sapeva esserci il tempio di Dionne. Giurare al tempio era una cosa seria. Nessuno lo faceva a cuor leggero, anche se era convinto di affermare il vero. Gli Dei prendevano molto seriamente il ruolo di testimoni, quando erano chiamati a farlo.
La donna sostenne il suo sguardo: “No, non è necessario. Ipno sa che qui passano anche troppi tagliagole, purtroppo, e non mi sembri uno di loro. Chi sei?”
Jona raccontò la storia dello speziale in cerca di erbe rare e medicamenti esotici. La donna lo ascoltò senza discutere. Sicuramente aveva sentito storie ben più strane, da dietro quel bancone. Se aveva dei dubbi non lo diede a vedere.
“Sono disposta a darti vitto alloggio completo e provviste per il tuo viaggio per la perla”, disse poi.
L’amuleto mandò un singolo lampo rosso, invisibile per la donna.
Jona raccolse il suo zaino dicendo: “Vengo da lontano, ma non sono né stupido né disperato fino a questo punto. Scusa se ti ho fatto perdere tempo.”
La donna si gonfiò e stava per dire qualcosa, poi scoppiò a ridere: “No, scusa tu. Evidentemente sto passando troppo tempo con dei brutti ceffi. Siediti. Sono certa che troveremo un buon accordo”.
L’Amuleto lampeggiò di luce verde e Jona riappoggiò lo zaino al bancone.
La trattativa fu lunga e laboriosa, ma l’Amuleto che sapeva sempre quando la donna mentiva, dava a Jona un vantaggio sleale del quale lui cercò di non approfittare troppo, ma, d’altra parte, non aveva senso dilapidare le sue poche sostanze senza sapere fino a quando avrebbe dovuto farsele durare. Con ogni probabilità il viaggio era solo agli inizi. Alla fine Jona lasciò alla locandiera sia la perla sia la sferetta d’oro e ottenne in cambio, oltre a vitto e alloggio per due giorni anche una discreta quantità di denaro locale: piccole monete di un metallo bruno, coniate con una certa precisione.
“Sei sicuro di non essere un mercante? Contratti troppo bene per essere solo un’erborista!”
“Viaggio parecchio e non solo per montagne”, rispose Jona, sentendosi un po’ in colpa, “Piuttosto, come ti devo chiamare? Non posso mica chiamarti “zia” anch’io”.
“Perché no? Lo fanno tutti!” rispose lei con un sorriso.
In quel momento entrò il primo avventore della serata e, quasi a sottolineare le sue parole, gridò allegramente: “Zia, una caraffa di quello buono, tanto per scaldarsi un po’!”.
“Vengo, Lollo!”, disse lei, poi, rivolta a Jona: “Parleremo più tardi o, meglio, domattina”.