Chiese ad un bottegaio che vendeva vasi dove poteva trovare alloggio per la notte, quello lo squadrò dall’alto in basso con aria dubbiosa:
Jona ringraziò e scese verso la riva dove stavano, bene allineati, i piccoli moli dove attraccavano le barche che portavano le merci dalle campagne.
Le case erano tutte costruite con la stessa tecnica che aveva visto a Baal: una complicata intelaiatura di legno con travi incrociate a vista chiuse con tamponature intonacate e pitturate a colori vivaci. Il Cigno d’Oro era un elegante palazzo a tre piani con le travi nere come la pece e i muretti di riempimento di un bel giallo carico. Un enorme cigno dorato in ferro battuto appeso a fianco della porta non lasciava dubbi.
All’interno c’erano pochi avventori che chiacchieravano davanti a grossi boccali di ceramica dipinti.
“Cerco un posto per dormire e una stalla per il mio cavallo là fuori.”
“Posto ne abbiamo. Tu hai di che pagare?”
Decisamente devo avere un aspetto male in arnese, pensò Jona tirando fuori dal panciotto la borsa che gli avevano dato
“Mi scusi, viene da lontano? Ha un aspetto molto stanco. Forse un bel bagno?”
Jona fece uno sforzo per non mettersi a ridere: “Sì, penso che un bagno mi farebbe bene. Devo anche far lavare la mia roba e comprare qualche cosa, prima di ripartire. Pensa si possa fare?”
“Come? Certo, certo!” Le monete, nel frattempo, erano misteriosamente scomparse, “Olga! Prepara il bagno della stanza del cigno, presto!”
“Gradisce della birra?”
“Non ora, più tardi, dopo essermi cambiato. Mi fermerò solo pochi giorni.”
Fiodor, intanto era entrato dalla porta posteriore tenendo in spalla le bisacce che aveva tolto dal cavallo e lo zaino semivuoto. Era un ragazzone grande e grosso dai capelli rossicci e il viso pieno di lentiggini e qualche residuo brufolo.
Jona si mosse per seguirlo.
“Aspetti che l’accompagno, Signore”
L’oste assunse un’aria a metà tra l’offeso e lo stupito: “Certo che può mangiare qui! E dove sennò? Mia moglie fa la migliore cacciagione di tutta Minz!”
“A più tardi, allora” tagliò corto imboccando le scale dietro a Fiodor.
La stanza del cigno doveva essere la migliore della locanda ed effettivamente era molto ampia, situata su un angolo e con una specie di balconcino rotondo completamente chiuso da vetri. Jona stava avvicinandosi per dare un’occhiata al fiume quando una ragazza che doveva essere la sorella di Fiodor uscì da una porta dicendo:
“No, grazie. Solo di rilassarmi.” I due uscirono in silenzio.
Il bagno era tutto di ceramica bianca. La migliore che Jona avesse mai visto. Anche la vasca era di ceramica e fatta in modo da poterci stare sia seduto che sdraiato. Probabilmente non sarebbe stata così comoda per gli abitanti di Minz che sembravano essere tutti parecchio più alti, ma per lui era semplicemente enorme.
Lasciò che l’acqua calda e il sapone portassero via la tensione e la stanchezza assieme al sudiciume. Quando finalmente arrivò ad asciugarsi con il ruvido telo che gli avevano lasciato per quello scopo si sentiva veramente bene.
Il sole stava calando e lui, ricordando quanto cenassero presto da quelle parti, si affrettò a vestirsi e a scendere.
La cena si rivelò all’altezza delle promesse e, con sua sorpresa, anche il vino, che non si aspettava di trovare così a nord. Lo disse all’oste che, con un certo sussiego gli spiegò che il clima sulle rive del Rin era particolarmente dolce e che l’uva cresceva benissimo, poi cominciò a decantare le doti dei vinai di Minz e Jona smise di ascoltarlo.
Tornò presto nella sua stanza, con un grosso bicchiere di liquore in mano. Si accomodò al tavolinetto su quel balconcino chiuso e si mise a guardare oziosamente il panorama.
Il sole stava tramontando dall’altra parte del Rin, che era veramente enorme.
Non c’erano ponti che potessero attraversarlo, c’erano, invece dei traghetti che usavano un cavo teso molto in alto come guida. Uno stava venendo verso di lui. Era una larga chiatta che portava parecchi uomini e un paio di cavalli. Il barcaiolo teneva la zattera inclinata in modo che la corrente, colpendola di traverso, la facesse avanzare verso riva. Solo nell’ultimo tratto lui e il suo aiutante furono costretti a mettere in acqua due lunghi pali per spingerla verso il piccolo molo di legno.
I passeggeri scesero e i due barcaioli legarono solidamente la chiatta. Evidentemente quella era l’ultima corsa della sera. Normale. Tra poco il sole sarebbe sceso dietro l’orizzonte. Non era il caso di attraversare con il buio.
La grande zattera rimase da sola, o meglio, lì accanto ce n’era un’altra molto più piccola, che buffo, sembravano quasi mamma e figlia. Un momento. Quella “figlia” era la “sua” zattera!
“Occhio di Falco!” L’Amuleto eseguì senza commenti e ogni residuo dubbio scomparve.
“Thano, il tuo servo ti invoca!” La stanza si fece fredda e rossa.
“Che vuoi da me, Mago?”
“Invoco la Divina punizione contro i ladri che hanno tentato d’impedirmi il cammino, cercando di coartare la Tua volontà!”
Thano proruppe in una risata particolarmente stridula: “Vuoi dire che IO dovrei cercare di rimediare ai TUOI sbagli? Ti prego, dimmi che ho capito male!”
“I miei sbagli non c’entrano. Tu hai ordinato che io facessi questo viaggio e loro hanno cercato di fermarmi!”
Thano scomparve e Jona rimase immobile un istante mentre l’atmosfera nella camera ritornava alla normalità.
Aveva perso le staffe e invocato Thano prima di pensare. Brutto errore che avrebbe potuto costargli molto caro.
Appoggiò il bicchiere sul tavolo come fosse veleno. Doveva stare attento a mantenere la lucidità.
Comunque Thano qualcosa aveva detto: gli aveva detto che doveva agire e agire secondo il suo giudizio, che non gli era permesso provocare morti e l’aveva chiamato “Mago” due volte in poche frasi.
“Amuleto, tu puoi funzionare anche come Amuleto da Mago?”
“Sì”
Jona sorrise: “Capisci la lingua della magia?”
“In realtà quella non è “la lingua della magia”, ma solo la lingua del tuo vecchio Amuleto”
“Ma la capisci o no?”
“La capisco, ma non è la “mia” lingua. Se vuoi usarmi veramente dovrai fare lo sforzo di imparare la “mia” lingua”