Lontano da casa

Jona era stanco, il tasso di adrenalina nel sangue stava lentamente scemando, ma il sonno non si decideva a venire.
“Che ore sono?”
“Dieci minuti dopo l’ultima volta che me lo hai chiesto. Sono le dieci e mezzo.”

“Lo vedo!”

“Sì. Sta leggendo nello studio. La chiamo?”
“Sì, Chiamala, per favore.”
“Ciao, papà, tutto bene?” Le bastò un’occhiata per capire che non andava tutto bene: “che è successo?”

Jona raccontò con precisione professionale, aiutato dall’Amuleto che aveva conservato un bel po’ d’immagini dei Troll e del loro inseguimento.
“Non credo che ci siano molte speranze di passare inosservati. Ci sono famiglie un po’ dappertutto e l’Amuleto mi dice che di notte sono molto attivi. Sentono odori da chilometri di distanza.”

“Incoraggiante. Puoi farci vedere queste famose cascate?”

Le cascate apparvero nella stanza. Era giorno e la cosa stupì sia Jona che Serna, visto che ora era buio pesto là fuori.
“Pensavo che me lo avresti chiesto, quindi ho registrato queste immagini oggi pomeriggio mentre tu eri occupato a mettere un piede davanti all’altro.”

Mentre guardavano videro un grosso tronco che arrivava sul filo della corrente. Ne seguirono la caduta e lo videro riapparire poco oltre fra la spuma.
“Due secondi”, disse Serna, “circa trenta metri.”
“Probabilmente la zattera degli Elfi sarebbe in grado di sopravvivere, ma non certo chi ci stia sopra!”
“Dovresti stare “dentro” la zattera, non sopra.”

“Un bottiglia no, magari una damigiana.”
“Beh, facciamo una botte, allora, anche se non si può vedere fuori.”
Serna alzò gli occhi al cielo: “Un momento, mi chiamano.”

Jona continuò a guardare le immagini cercando una scappatoia, ma non ne vedeva. Il Rin correva veloce fra due pareti di roccia che aveva levigato per secoli fino a farle diventare lisce e senza appigli.
Più in alto, dove la vegetazione ricominciava, si vedevano le radure con i gruppi di “massi” coperti di “muschio”. Decisamente impossibile passare da lì.

Serna ricomparve e si sedette sulla sua poltroncina. Aveva una strana espressione: “Dice che si può fare.”
“”Chi” dice che si può fare “che cosa”?”
“Festo dice che puoi passare le cascate del Rin chiuso in una botte.”
Jona strabuzzò gli occhi. “Mi stai prendendo in giro? Non è divertente, sai?”
Serna scosse la testa, tenendo gli occhi fissi su qualcosa che era fuori dal campo visivo del padre. Era un po’ pallida e concentratissima. Alla fine annuì di nuovo e si girò verso Jona.
“Festo dice che si può fare con relativa sicurezza. Le cascate sono alte solo 27 metri e c’è parecchia acqua sotto. Dice che, per la massima sicurezza dovresti prendere una botte da 40 ettolitri e riempirla per un terzo di zavorra, in diagonale. In modo che galleggi inclinata. Se ti stendi su questa base, dopo averla imbottita, dovresti avere la sicurezza di sopravvivere, anche perché pietre e malta ti faranno da scudo.”

Jona non disse quel che pensava dell’idea per evitare di offendere Festo.
“Ti sei fatta dare l’intero progetto?”
Serna fissava qualcosa con un’espressione fra l’affascinato e il terrorizzato. Annuì.
“Va bene. Ne parliamo domani. Ora non sono in grado di ragionare coerentemente.”

Serna si riscosse. Probabilmente Festo se ne era andato.
“Certo, papà. Meglio dormirci sopra.” Poi si guardò attorno e vide la strana grotta dove si trovava il Mago, “dove sei? Sembri in una casa abbandonata.”
“Non lo so. Questa caverna è ben strana”, disse facendo un ampio gesto con le braccia come per comprenderla tutta, “come hai detto sembra tu di essere dentro un palazzo, come se fossi entrato da un finestrone e laggiù sembrerebbe esserci il vano di una porta, bloccata da detriti e piante, ma è roccia compatta, non si vedono mattoni né calce ed è vecchia. Forse è opera degli Dei.”
“No. Non è opera degli Dei” interloquì l’Amuleto.
“E di chi, allora?”
“Non lo so, ma non è opera degli Dei di sicuro.” Più di questo non riuscirono a cavargli.