L’ultima missione di Marjad

Erano anni che Marjad non prendeva parte ad una missione di salvataggio, ma il puntino rosso che era apparso sulla mappa era così vicino alla Sede che sembrava quasi una sfida. Quasi sicuramente la vittima era il figlio di qualcuno che conosceva.

L’arma che impugnava era unica: si trattava di un bastoncino lungo quasi un metro, protetto da una calza fatta con il filo del ragno ed incollata con la sua bava; dalla cima pendeva una sferetta legata con un filo poco più corto del bastone.

Roteando quella specie di mazzafrusto era in grado di tagliare qualunque cosa le si parasse davanti. Era un’arma terribile e senza pietà, adatta a lei. Nemmeno la nascita del suo terzogenito, che aveva compiuto da poco gli undici anni, aveva placato la rabbia che le covava in cuore e che ora divampava come divampavano le fiamme nel piccolo forno che faceva da casa per Shaitan.

Quel forno era l’unica cosa che era rimasta uguale in quella casa, ora diventata la Sede degli Hashashin. Si trovava al centro di una fortezza circolare a due piani in un posto dove solo lei e suo marito avevano il diritto di entrare.

“Sei veramente decisa ad andare da sola?” Le chiese Shaitan.
Lei non si curò di rispondere, ma si strinse attorno il mantello rosso e si calò il cappuccio sugli occhi.

Inutile continuare. Era uscita sbattendo la porta.