Serna accarezzò con la punta delle dita la piccola colonnina color lavanda che aveva tirato fuori dalla grande cesta di cianfrusaglie che usavano per i loro numeri da giocolieri.
“Non farmi il solletico!” Protestò la miniatura del Djinn di Isto mentre usciva dalla cima della colonna e si sedeva, con le gambe a penzoloni, sul capitello.
“Ho bisogno del tuo aiuto.”
“Hai provato con Sindehajad?”
“Sì, ma anche lui è troppo immerso nella situazione. Ho bisogno di qualcuno che posa vedere le cose dall’esterno.”
“Capisco”, disse il Djinn piegando la testa di lato, “ma perché non chiedi direttamente ad Isto?”
Serna scosse il capo: “Ho provato, ma gli Dei dicono che non devo cercare scorciatoie!”
Il Djinn allargò le braccia: “E cosa ti fa pensare che ti possa aiutare io, allora?”
“Oh, parecchie cose”, rispose lei con un sorriso malizioso e contando sulle dita,
Esitò abbastanza a lungo perché il Djinn chiedesse: “E poi?”
“E poi sia Isto che Ipno mi hanno detto di chiedere a te”, terminò lei con uno sberleffo.
Il Djinn ignorò completamente la linguaccia di Serna e chiese con aria sorniona:
“Davvero!” Confermò Serna annuendo vigorosamente,
“Bah, hai una pessima memoria. Ipno non avrebbe mai parlato in quel modo”, ribatté il Djinn con aria disgustata.
Serna, che fino a poco tempo prima avrebbe reagito recitando parola per parola quanto aveva detto il Dio, si limitò a sorridere: “Comunque il senso era quello.”
“Faccio finta di crederti”, sbuffò il Djinn, “ti sei chiesta perché ti ha detto esplicitamente di farmi sapere che è stato lui a consigliarti?”
“Certo”, annuì lei, “immagino che questo sia un messaggio per te; per farti sapere cosa puoi o non puoi dire.”
“Perché non cominci dall’inizio e mi racconti di che si tratta?”
Serna si era preparata il discorso, ma ora che aveva il Djinn — o il suo Avatar — lì davanti esitava: “Ho cercato di capire, ma non ci sono riuscita. Volevo capire cosa ha portato a tutto questo”, allargò le braccia girando su se stessa come per abbracciare tutta la città,
“Pensavo di trovare un motivo che giustificasse, sia pure con una qualche logica perversa, tutto questo, ma non ho trovato niente.”
Rimase ancora un momento esitante, poi sbottò: “Anche se ci fossero dei motivi non riuscirei comunque a trovarli, in mezzo a tutte le menzogne di cui si circondano e a cui credono ciecamente!”
Il Djinn incrociò le gambe e distese le braccia lungo i fianchi, chiuse gli occhi e rimase lì immobile. Dopo alcuni istanti si sollevò dalla colonna e cominciò a levitare a pochi centimetri dal capitello.
Faceva sempre così quando Serna si lasciava prendere dall’ansia. Lei capì immediatamente l’antifona e prese anche lei la posizione del loto.
Non riuscì a levitare, naturalmente, ma il respiro era calmo e la mente pure.
Il Djinn non aprì gli occhi, mentre chiedeva con voce che sembrava venire da lontano: “Perché si impara meglio e più rapidamente quando si è giovani?”
Serna rispose da una specie di trance indotto dalla meditazione: “Perché il cervello non ha canali già formati.”
“Qual è la cosa più difficile da fare, quando si vuole perfezionare le proprie abilità in una qualsiasi attività?”
“Correggere le cattive abitudini apprese.”
“Perché è così difficile?”
“Perché i canali cerebrali che si sono formati non possono essere distrutti, quindi bisogna costruire altre strutture che li rendano inattivi.”
“Cosa ti diceva tuo padre riguardo alla realtà ed ai sogni?”
“Che quello che crediamo di vedere come realtà oggettiva è solo un modello che noi ci costruiamo nel cervello. I nostri sensi servono per far sì che il modello non si discosti troppo dalla realtà.”
“Quindi il modello — il sogno — può essere differente dalla realtà, specie se non presti attenzione a qualche particolare.”
“Certo.”
“E che succede se il modello riguarda cose che non possono essere controllate direttamente tramite i nostri sensi?”
“Che vuoi dire? Posso sempre rivolgere la mia attenzione e i miei sensi su un particolare.”
“Davvero? Cosa sta pensando, in questo momento, Duliana? E il Califfo?”
Serna rimase immobile per alcuni lunghi minuti, poi spalancò gli occhi.
“Sì, credo che tu abbia ragione. Quello che non capisco è perché gli Dei abbiano permesso che la situazione finisse fuori controllo fino a questo punto.”
“Tsk, tsk. Gli Dei non intervengono se non sono interpellati, di solito.”
Serna si girò a guardare il piccolo Djinn aspettandosi di trovare Ipno al suo posto, ma fu delusa. Continuava ad essere il Djinn di Isto con la sua aura viola che la guardava di rimando. Aveva abbandonato la posizione del loto e si era sdraiato sulla pancia, sostenendo la testa con le mani, i gomiti appoggiati sulla pietra della colonna e le gambe piegate all’insù. Sembrava un bambino senza la minima preoccupazione.
Serna scoppiò in una leggera risata: “Così si tratta solo di favole per terrorizzare i bambini?”
Il Djinn la guardò con occhi seri che contrastavano con il suo atteggiamento: “Quasi tutte le favole sono nate da qualche cosa di reale, ingigantito e trasfigurato nelle narrazioni successive. Spesso il cantastorie finisce per credere alle sue stesse parole.”
La maga guardò il piccolo Avatar con gli occhi ridotti a due fessure: “Mi stai riportando al punto di partenza? Ti ho chiamato proprio perché non riuscivo a capire da dove fosse nata questa situazione. Sei stato tu a dire che si trattava di favole senza attinenza con la realtà.”
Il Djinn era sempre disteso sulla pancia e la guardava con un’aria angelica: “Veramente non ricordo di aver detto niente di simile. Forse mi sono espresso male?”
Serna riprese la posizione del loto, chiuse gli occhi e si concentrò sulla respirazione. Molto tempo dopo riaprì gli occhi e chiese: “Tutte le storie che ho sentito raccontano di rapimenti — di solito di bambini, ma non solo — e di povertà e fame. Che cosa succedeva davvero, da queste parti?”