La prima parte del viaggio fu molto tranquilla e i Nani si trovarono a loro agio, sembrava avessero completamente dimenticato la loro paura per le onde.
Poi, dopo aver attraversato uno stretto canale, si trovarono a navigare in pieno oceano, non più protetti dalle grandi isole.
La nave correva sicura, ma doveva arrampicarsi su alte onde minacciose per poi precipitarsi nella valle successiva.
Jarril faceva del suo meglio per prendere le onde di tre-quarti, per rendere meno penoso l’andare, ma diversi Nani cominciarono a sentire i morsi del mal di mare e Jona fu costretto a intervenire per sedarli.
Burlock e qualcun altro, invece, sembravano avere lo stomaco di ferro e continuavano ad interessarsi di tutte le manovre, tanto che Jarril a un certo punto gli mise in mano il timone e si sedette su un rotolo di corda a fumare la sua pipa e fingendo di disinteressarsi completamente delle manovre.
Burlock rimase abbarbicato al timone e non lo lasciò più se non per brevi intervalli di riposo, inizialmente impacciato e preoccupato, ma prendendo via via confidenza.
La nave si scuoteva sotto le manovre troppo brusche del Nano e un paio di volte grosse ondate superarono la murata inzuppando quanti si trovavano sul ponte.
Jarril sapeva che non c’era vero pericolo e lasciava fare, pur continuando a controllare, senza darlo a vedere, la situazione.
Quando si infilarono nuovamente in un ampio canale protetto dalla terraferma Burlock aveva oramai capito le basi della navigazione e Jarril continuò a lasciargli la barra, dispensando consigli con aria distratta, anche quando il canale si fece angusto, fino a restringersi a poche centinaia di metri e furono costretti a bordeggiare stretto a causa del vento contrario.
Jona sapeva bene che, in quelle condizioni, i Viknuit avrebbero già tirato fuori i remi e ammainato le vele, ma i Nani sembravano ignorare quella possibilità e Jarril si divertiva a dar loro corda.
Finalmente apparve davanti a loro la città dei Nani.
Non sembrava una città e, se non fosse stato per i Nani, i Viknuit e Jona sarebbero certamente passati oltre con un pizzico di curiosità per quella montagna bianca e immacolata che sorgeva dal mare senza un filo di vegetazione e che scintillava al sole come un enorme iceberg.
Si diressero verso l’estremo sud di quella montagna, dove essa degradava bruscamente e si vedevano le prime costruzioni evidentemente artificiali: tre immensi ponti della stessa roccia bianca che passavano i larghi canali che separavano la montagna dalle terre che la circondavano, la grande piazza circolare su cui arrivavano i ponti e su cui si apriva la gigantesca porta nel fianco della montagna.
Jona faceva fatica a valutare esattamente le proporzioni di quelle strutture.
Avvicinandosi i particolari, prima nascosti da tutto quel candido fulgore, cominciarono a manifestarsi.
Per prima cosa i Nani con i loro carri, puntini colorati nel bianco.
Improvvisamente le dimensioni divennero chiare: i ponti erano tutti più lunghi di un chilometro e larghi diverse decine di metri; campate uniche senza sostegni visibili si stendevano con un arco leggero fra le sponde.
La piazza era un cerchio spoglio a ridosso dei contrafforti del monte dove si apriva la porta attraverso la quale la più grande nave Viknuit sarebbe potuta passare a vele spiegate senza il minimo rischio di toccare i battenti o l’architrave.
Burlock attese pazientemente che i suoi compagni di viaggio digerissero la portata di quello che avevano davanti agli occhi, poi disse semplicemente: “Benvenuti a Nayokka.”
Attorno alla grande piazza sopraelevata si stendeva una spiaggia di sabbia bianchissima, l’unico punto dov’era possibile prender terra.
Mentre si dirigevano lì notarono una certa animazione nella piazza e Burlock mandò uno dei suoi a prua a urlare qualcosa che l’Amuleto non si curò di tradurre.
Un drappello di Nani uscì di corsa dalle grandi porte che cominciavano a chiudersi mentre la piazza si svuotava e tutti si affrettavano all’interno.
Le ante si chiusero proprio mentre la nave, ammainate le vele, andava ad arenarsi sulla spiaggia.
Il drappello di Nani che aveva nel frattempo raggiunto la spiaggia era armato di tutto punto e aveva formato un doppio cordone tra loro e la piazza.
Le pesanti balestre, pronte a lanciare i loro micidiali quadrelli, sembravano nient’affatto amichevoli.
Burlock saltò a terra mentre tutti gli altri, Nani, Viknuit e Jona, rimanevano fermi come statue.
Confabularono a lungo, poi Burlock si arrampicò nuovamente a bordo: “Rimanete sulla nave, non siamo abituati a vedere navi, da queste parti e la cosa rende nervosi. Io vado a parlare con il Martello. Tornerò presto.”
Detto questo scese di nuovo con i suoi compagni e si diressero verso le porte.
La guardia dei Nani sulla spiaggia si rilassò un poco, le balestre non erano più puntate verso la nave, ma rimanevano cariche e pronte.
“Il Martello?” chiese Jona all’Amuleto mentre seguiva con l’Occhio di Lince il procedere di Burlock e dei suoi.
Così avvenne, ma per la visita dovettero aspettare molto di più di quanto pensassero; era oramai sera quando il portale si schiuse per lasciar passare una fila di carri e di Nani che si diressero verso la spiaggia.
La guardia si era già premurata di trasportare dei grossi bracieri di ghisa nei quali avevano acceso fuochi per riscaldarsi e illuminare.
“Ci scusiamo per il ritardo,” disse l’Incudine rivolgendosi direttamente a Jona, “ma le tracce dei tuoi incantesimi erano forti e i nostri maghi hanno voluto essere sicuri di quel che avevi fatto ai nostri fratelli. Nulla di tutto questo è mai successo prima.”
“Capisco perfettamente”, rispose Jona, poi, rivolgendosi direttamente ai due Nani coperti da una lunga tunica gialla che lo seguivano, aggiunse: “Sono pronto a rispondere alle vostre domande.”
“Più tardi, fratello”, rispose uno di loro, “per ora ci basta vedere che non hai intenzione di nuocere.”