Nel cortile illuminato, i cavalli aspettavano tranquilli il segnale per cominciare a tirare il pesante carro, mentre Jona e Fra Jaques salutavano. Finiti i brevi convenevoli di rito il Mago si apprestò a raggiungere il frate che era già a cassetta, ansioso di prendere la via del ritorno. D’improvviso si rese conto di guardare il carro con occhi diversi. Ora sapeva qual era la funzione delle larghe ruote morbide e perché riuscivano a girare senza rumore e senza sforzo: merito di un piccolo apparecchio che Johannes aveva chiamato “cuscinetto a sfere”; una cosa che aveva deliziato Jona con la sua efficiente semplicità. Il frate aveva però messo in guardia riguardo alla differenza fra semplicità e facilità:
Il corpo del carro era in fibra di vetro: un matrimonio ben riuscito fra due opposti: il vetro rigido e fragile e una resina duttile e tenace. Il risultato era davanti ai suoi occhi: un carro che stava portando senza apparente sforzo due grossi macchinari, ciascuno dei quali avrebbe schiantato il loro vecchio carro in legno solo a caricarcelo sopra.
“Dai, vieni che è quasi giorno!”
Jona si riscosse e salì a fianco di Fra Jaques, chiudendosi dietro la porta.
Quel carro era completamente chiuso e le briglie venivano azionate attraverso delle leve. Il frate mosse le leve come gli era stato insegnato e le briglie schioccarono sul dorso dei due cavalli che presero a tirare; Jona ricordò di allentare il freno ed il carro prese finalmente a muoversi senza rumore, dapprima lentamente, ma rapidamente accelerando.
Fuori era buio pesto, o almeno così sembrò in un primo momento quando uscirono dal raggio d’azione delle forti luci del monastero. In realtà l’alba stava già schiarendo l’orizzonte a est e i loro occhi non tardarono a distinguere il nastro nero della strada dal bianco della neve che la circondava.