Raccogliere i cocci

Jona aveva visto tutto. L’aura rosata che l’amuleto di Afro aveva aggiunto alle immagini non era riuscita a ingentilire l’orrore di quella morte inutile. Spronò il cavallo e si lanciò all’inseguimento del ragazzo.

Non procedeva in linea retta, probabilmente aveva neppure idea di dove stesse andando, di sicuro voleva allontanarsi da quella scena di morte che avrebbe portato scolpita negli occhi finché fosse vissuto.

Pochi minuti dopo Jona intuì qual era la destinazione del ragazzo. Presto l’intuizione divenne certezza.
“Come sta? È in grado di ragionare?”
“Non credo, è ancora sotto choc.”

L’Amuleto non rispose, ma la solita striscia gialla comparve davanti a lui. Jona accelerò l’andatura e seguì quella traccia nella notte.

“Reginald può sentire, ma non credo che ti ascolterà”, disse l’amuleto di Afro, “Sto cercando di calmarlo, ma ancora non reagisce; è in stato di choc.”
“Lo credo bene! Anche se deve aver già visto più morti ammazzati lui alla sua età di quanti ne abbia visti io in tutta la mia vita.” Poi, cambiando voce, si rivolse direttamente al ragazzo: “Reginald, rallenta, nessuno ci insegue. Pensi forse che lei vorrebbe vederti buttare così la tua vita? Se tu ti rompi l’osso del collo in un fosso chi la ricorderà?”

Jona continuò parlare e nel frattempo faceva del suo meglio per evitare di rompere il suo osso del collo mentre seguiva la traccia gialla alla fioca luce dell’Amuleto.

Il ragazzo non gli rispose mai, ma l’amuleto di Afro gli disse che incominciava lentamente a calmarsi. Poi arrivarono a destinazione. Aveva pochi minuti di vantaggio su Reginald e li impiegò per assicurarsi che non ci fosse nessuno nei dintorni. La fattoria era buia e vuota.

Jona si piazzò a sbarrare l’ingresso.
“Quando arriva cerca di fare un po’ di luce. Voglio che capisca dov’è.”
L’Amuleto doveva avere un debole per le messe in scena teatrali: non appena Reginald sbucò nei campi coltivati, ormai invasi dalle erbacce, si produsse uno spettacolo pirotecnico di luci rosse, gialle e rosa. In un altro momento Jona avrebbe sorriso, ma adesso gli parve decisamente di cattivo gusto.
“Bene, ora sei arrivato. Cosa intendi fare ora?” Chiese Jona abbassando il cappuccio per permettergli di vederlo bene in viso.

Reginald parve svegliarsi in quel momento: “Chi sei?”, chiese mentre si guardava intorno.
“Io sono Jona il Mago, e vorrei aiutarti, se me lo permetti.”
Reginald finalmente capì dove l’avevano portato le zampe del suo cavallo. Cercò di smontare, ma incespicò e finì a terra e lì rimase, scosso dai singhiozzi.
Anche Jona scese e abbracciò il ragazzo senza parlare; sapeva benissimo che le parole erano completamente inutili. Sperò che il contatto fisico potesse aiutarlo.

Rimasero così per parecchio tempo, sotto una pioggia che era diventata sottile e insistente.
Lentamente il ragazzo si sciolse in un pianto liberatorio. Jona sapeva di dover fare ancora parecchie cose quella notte, ma non poteva affrettare i tempi.
Non appena gli parve che si fosse calmato un po’ chiese ai due amuleti di farlo scivolare in un sonno senza sogni.
Jona era ancora robusto, ma trasportare quel ragazzone muscoloso più alto di lui fino al fienile lo lasciò senza fiato.
Raccomandò all’amuleto di Afro di fare buona guardia e uscì di nuovo nella pioggia.

Tornò che il sole doveva essere già alto, anche se non si vedeva nascosto com’era dalle nuvole nere che si in rincorrevano in cielo. Aveva smesso di piovere, ma lui era bagnato fino al midollo, intirizzito e stanco: “Comincio a essere troppo vecchio per queste cose”, pensò mentre scendeva con il suo involto su una spalla.
Depose il corpo di Magda su un tavolo, sotto quel che restava del pergolato e cercò di ricomporlo nel modo migliore. Non provò nemmeno a nascondere la macchia rossa sul suo petto, ma fece del suo meglio perché i suoi lineamenti avessero un’espressione serena.

Sapeva che Reginald stava ancora dormendo e che avrebbe continuato a dormire fino a che gli amuleti l’avessero voluto. Ora forse poteva prendersi qualche minuto per sé. Non aveva senso rischiare una polmonite.
Entrò nella casa e accese un fuoco. La battaglia, se c’era stata battaglia, dove essere stata breve perché quasi tutto era in ordine. Oh, certo, qualunque cosa avesse valore era stata portata via, ma il resto, incluse le stoviglie, erano ancora lì quasi in ordine.
Mise bollire l’acqua per lavarsi e per preparare il caffè e poi andò a prendere dei panni asciutti.

Pulito, asciutto e con una tazza di caffè nello stomaco si sentì decisamente meglio. Guardò sconsolato le sue scorte che, nonostante le economie stavano scemando. Non ne aveva più trovato da quando era partito. Da aspettarselo, si disse, visto che arrivava dalle terre del sud, oltre il mare e lui se ne stava allontanando sempre più. Scrollò le spalle: ora aveva altri problemi.
Era ora di svegliare Reginald. Lo disse all’Amuleto mentre versava due tazze e si avviava verso il fienile.

Trovò Reginald seduto sul pagliericcio dove lo aveva lasciato.
“Buongiorno Reginald”, gli disse passandogli una tazza.
Il ragazzo lo guardò dubbioso poi chiese: “Che cos’è?”
“Caffè. Bevilo. Ti farà bene.”
Reginald bevve lentamente, senza staccare gli occhi dalla tazza, come sperasse di trovare le risposte alle sue domande nelle volute di vapore. Solo quando la tazza fu vuota la appoggiò per terra e, guardandolo dritto negli occhi, chiese a Jona: “Non è stato un incubo, vero?”
“No, temo proprio di no.”
“E adesso che faccio?” gli occhi rimasero asciutti, ma erano vacui, sperduti.
“Per prima cosa direi che devi rimetterti un po’ a posto; sembri un pulcino bagnato. Poi devi occuparti di Magda.”
“Di Magda?”
“Si, di Magda. Io ho recuperato il corpo, ma darle una sepoltura degna è compito tuo.”

Reginald si alzò e fece per uscire dalla porta, Jona lo bloccò: “No, non ci si presenta così alla persona amata, neanche se è morta. Aspetta qui.”
Tornò dopo pochi minuti con un secchio d’acqua e la bisaccia dei vestiti che Reginald aveva appeso alla sella del suo cavallo. Lo costrinse a lavarsi e a rivestirsi di tutto punto, prima di lasciarlo uscire.

Lo fece lavorare come un matto per due giorni filati per preparare il funerale, ma soprattutto per impedirgli di pensare. Solo quando l’ultimo tizzone della pira che aveva consumato il corpo di Magda si spense gli poggiò una mano sulla spalla e gli disse: “Bene. Questa è fatta. Ora puoi anche permetterti di pensare a quel che devi fare domani. Io non posso rimanere ancora molto qui. Tu, se vuoi, puoi venire con me, ma deve essere una tua scelta.”
Il ragazzo ci pensò su, poi scosse la testa:

Jona si alzò e si diresse verso la fattoria: “Vieni, è inutile rimanere ancora qui al freddo. Prima che riparta è bene che parliamo un po’. Ho idea che, più che chiedere aiuto ad Afro, tu debba parlare con Ipno e Dionne.”
“E chi sono?”