Rapimento

La guardia era stata molto formale quando era venuta a chiederle se poteva, per favore, essere così gentile da concedere l’onore di un colloquio al Visir, ma il senso di urgenza era palpabile e Serna non si era fatta pregare.
Ora stava percorrendo a rapidi passi il lungo corridoio arabescato che conduceva agli appartamenti privati del Visir.
Si vedevano dodici giannizzeri armati di tutto punto che montavano la guardia vicino ad ogni porta.
Il senso di urgenza, se possibile, crebbe ulteriormente.

Il Visir era scuro in volto, ma si sforzò di sorridere e offrì cortesemente una tazza di te scuro e profumato, poi, con tutta la velocità consentita dalle elaborate regole di ospitalità del sultanato, venne al punto: “Il capo dei miei giannizzeri è sparito”, disse guardandola dritto negli occhi,
La Maga ebbe un tuffo al cuore. Il Geco? Rapito? Qui a Palazzo? Non c’era da stupirsi che il Visir fosse nervoso.

Sapeva bene cosa aveva in mente, così come sapeva che gli obblighi di ospitalità gli impedivano di chiedere; gli venne in aiuto offrendo spontaneamente la sua collaborazione: “Chiedo umilmente il permesso di cercare di essere d’aiuto. Sindehajad è un amico e sono profondamente preoccupata per la sua sorte.”
Il Visir non perse neppure il tempo necessario per un sospiro di sollievo. Ringraziò con un cenno del capo mentre chiamava due giannizzeri che non sembravano attendere altro e diceva loro con un tono che non ammetteva replica: “Accompagnate la Maga negli appartamenti di Sindehajad e fate qualunque cosa vi chieda di fare.”

Si accomiatò dal Visir con la massima celerità consentita dal cerimoniale e filò dritta come un siluro verso gli appartamenti con i due giannizzeri alle calcagna.

Serna non era mai entrata nelle stanze riservate al Geco, ora pesantemente sorvegliate e, mentre si avvicinava, si chiese oziosamente che cosa aspettarsi. Sindehajad era un guerriero e un uomo d’azione. L’aveva dimostrato più volte. Si rendeva improvvisamente conto di non sapere assolutamente cosa facesse quando non era in servizio come capo dei giannizzeri

Varcò la soglia sentendosi quasi un’intrusa. L’appartamento era composto da una singola stanza, molto ampia e quasi quadrata. Il letto occupava un angolo poco più in là, in bell’ordine, c’era l’assortimento di armi da lancio e da taglio che Serna si era aspettata, ma che pareva minuscolo al confronto sia della libreria, che occupava un’intera parete, sia della collezione di strumenti musicali a fiato e a corde.
Libri e strumenti sembravano molto usati.
Alcuni bassi tavolini circondati da cuscini e due cassapanche sotto le finestre completavano l’arredamento.

La maga abbracciò l’intera stanza con lo sguardo.
Il letto era sfatto e i cuscini sparsi. C’erano segni di una breve colluttazione. Probabilmente il Geco era stato sorpreso nel sonno e ridotto rapidamente all’impotenza. Nessuno aveva sentito nulla.
Da dove lo avevano portato via? Non certo da una finestra. Come molte finestre dei piani bassi del Palazzo erano rinforzate da un’elegante grata di pietra finemente lavorata; un braccio sarebbe potuto passare, ma un corpo no, nemmeno un corpo snodato ed agile come quello di Sindehajad; legato o incosciente, poi

Una coscienziosa ricerca, però, non rivelò altre uscite. Dietro i pesanti tendaggi c’erano, è vero, alcune porte che conducevano a piccole stanze, al bagno e ad alcuni ripostigli, ma erano tutte cieche e l’unico ingresso era quello dal quale era entrata lei. Anche gli altri non sapevano spiegarsi come fosse sparito. Anche di notte i corridoi interni erano sorvegliati e un corpo non è esattamente un oggetto facile da nascondere. Nessuno ricordava di aver visto qualcuno portare ceste, casse, e nemmeno tappeti arrotolati.

Che nessuno avesse visto o ricordasse non significava che non fosse successo, naturalmente, e i giannizzeri stavano interrogando tutti con estrema coscienziosità. Avevano cominciato con i propri commilitoni, poi erano passati alla servitù e Serna non dubitava che sarebbero arrivati ad interrogare lo stesso Visir, pur di ritrovare il loro comandante.

La Maga non era per niente convinta, senza sapere nemmeno lei perché, che quella fosse la via giusta, ma si guardò bene dal dirlo.
Riprese, invece, ad esaminare la stanza con l’aiuto dell’Amuleto. Gli fece esaminare il letto, la tazza da cui aveva bevuto, gli strumenti ed i vestiti finché non fu certa che l’Amuleto aveva imparato a riconoscere le tracce corporee di Sindehajad meglio di qualsiasi cane da caccia. Poi cominciò a fargli esaminare la stanza ed i corridoi.
Inutile. C’erano tracce dappertutto. Impossibile trovare un nesso. Il Geco, tenendo fede al suo nome, si era arrampicato anche in cima ad una finestra.

Un momento. Il cuore di Serna saltò un battito. C’erano tracce solo in cima alla finestra. Come ci era arrivato?
La scala apparve quasi per magia pochi istanti dopo che l’aveva chiesta.
C’erano alcuni brandelli di un tessuto nero che assomigliava molto a quello che Sindehajad si drappeggiava sul viso.
Una larga sezione della grata di pietra, vicino al soffitto, era stata segata, spostata e poi rimessa a posto fissandola con una qualche colla, in modo che non cadesse.
Il taglio era quasi invisibile anche con l’aiuto dell’Amuleto. Senza sarebbe passato completamente inosservato.

Chiese di restare sola. Gli altri si dileguarono rapidamente, ma i due giannizzeri ai quali l’aveva affidata il Visir si rifiutarono ostinatamente di lasciarla sola. Spazientita Serna ingiunse loro di rimanere sulla porta, poi tornò alla finestra e, coprendo col suo corpo la loro visuale, estrasse il ruhmal e lo usò sulla grata di pietra. Si tagliò senza rumore e senza sforzo. Il taglio era identico a quello da cui avevano fatto uscire Sindehajad.