I giorni passavano pigri e i quattro indiani procedevano ora più lentamente pagaiando contro corrente per risalire il fiume che gli antichi chiamavano Arkansas.
Non si erano visti uomini-alligatore, almeno per il momento, ma qualche alligatore vero lo avevano incontrato, nei pressi della confluenza fra il Mississipi e l’Arkansas. Il Mago era sempre stato all’erta, ma nessuno si era avvicinato.
La sua occupazione principale, oltre a scandagliare il fiume limaccioso per scoprire eventuali pericoli, era stata aiutare Serna e i suoi compagni di avventura a preparare, nel poco tempo che avevano avuto a disposizione, uno spettacolo che li facesse sembrare una troupe navigata, almeno agli occhi non particolarmente allenati dei fenarabi di Gadadh.
Aveva allenato Serna fin da quando era bambina a giochi ed evoluzioni che richiedevano destrezza di mano e agilità. Come gli aveva insegnato il vecchio Gerba (sorrise fra sé al pensiero che lui, ora, era più anziano del Gerba che aveva conosciuto, ma il suo maestro rimaneva sempre il “vecchio” Gerba) la professione del mago, oltre che in un corretto rapporto con l’Amuleto, si fondava anche su una quantità di abilità personali che assomigliavano molto a quelle di un prestidigitatore con una forte empatia per il suo pubblico.
La biblioteca che ora l’Amuleto gli aveva messo a disposizione era una vera miniera di trucchi, giochi e altre meraviglie, tutte meticolosamente descritte, anche con l’aiuto di filmati che lasciavano veramente poco all’immaginazione.
Molti erano incomprensibili o utilizzavano cose che Jona non aveva mai visto nel suo mondo, ma altri erano perfettamente utilizzabili, soprattutto da gente, come Serna e i due giannizzeri, abituati ad usare le proprie mani con precisione chirurgica.
Anche Duliana si era rivelata in possesso di una manualità eccezionale che faceva da complemento alle sue già note doti di danzatrice.
Jona si era divertito non poco a selezionare, provare ed insegnare una miriade di trucchi ed esercizi ai quattro.
Ora, su richiesta della figlia, stava cercando fiabe da narrare la sera.
Come tutte le fiabe dovevano avere una morale, ma non doveva essere troppo evidente.
Mentore si stava divertendo quasi quanto lui.
Le grandi montagne, intanto, si facevano sempre più vicine, mano a mano che procedevano verso occidente.
Il fiume, che prima disegnava meandri nelle pianure, pigro e grasso, ora scorreva fra ripe boscose, più asciutto e nervoso.
Il viaggio in canoa volgeva al termine proprio quando la primavera aveva finalmente ceduto il passo all’estate piena.
La piccola imbarcazione oramai, nonostante gli sforzi, percorreva più o meno la stessa distanza che lui avrebbe potuto percorrere a piedi.
Era ora di rimettersi in cammino.
Erano trascorsi quattro mesi da quando avevano lasciato l’accampamento Navajo e l’Amuleto l’informava che avevano già percorso quasi quattromila chilometri. Mille chilometri al mese. Più di trenta chilometri al giorno di media. Tutto a forza di braccia. Sarebbe stato duro rimettere in funzione le gambe. Sarebbe stato ancora più duro rimanere nuovamente solo dopo tanto tempo passato con i suoi compagni.
Sulle sponde di un grande lago frastagliato, lì dove si restringeva per ritornare ad essere fiume, si accamparono a quello che sarebbe stato il capolinea di quella avventura.
Rimasero una settimana, con i Navajo che cacciavano e preparavano provviste secche e Jona che faceva lunghe corse fra i boschi per rimettere in funzione le gambe rimaste per troppo tempo ferme nell’angusto spazio della canoa.
Scelse con cura quel che doveva portarsi nello zaino e lasciò molti dei suoi averi nella canoa, assieme ad un pezzo del suo cuore, poi, in una bella mattina d’estate si caricò il suo zaino sulle spalle, rimise l’Amuleto di vedetta in cima al suo bastone e marciò deciso verso le montagne mentre la canoa riprendeva il suo viaggio a ritroso.
Il fiume era ancora molto largo e poco profondo, ma le sponde, prima larghe e sabbiose, ora si facevano più scoscese e boscose.
Dopo tre giorni di cammino arrivò ai piedi delle grandi montagne.
Il fiume scendeva ora impetuoso, dopo essersi tagliato a forza la via attraverso la roccia viva.
La sera, accanto al fuoco, stava esaminando la mappa che Mentore gli mostrava: “Dici che dobbiamo arrivare fin quaggiù”, disse dubbioso, “mi pare che ci sia molta strada, e non mi pare nemmeno agevole!”
“I figli di Zeo sono lì. Non credo che scenderanno dai loro monti per venirti incontro.”
“Non pretendevo tanto, ma, a occhio, rischio di spendere tutto quel che rimane dell’estate per arrivare lì. Questi monti sono alti e il clima dev’essere rigido.”
Jona si accarezzò la barba: “Non mi pare che gli Dei siano veramente intenzionati a mettere alla prova la mia resistenza fisica. Piuttosto il mio grado di adattabilità e di comprensione dei problemi.”
“Vero, a quanto posso capire.”
“Un cavallo? Non credo che sarebbe una buona idea, magari un asino che ti portasse la roba, ma non andresti più in fretta.”
“Veramente non stavo pensando ad un quadrupede, ma a due bipedi.”
Mentore emise una buona imitazione di uno sbuffo di impazienza: “Che intendi dire? Devo confessare che non ti seguo. L’aria di montagna ti ha dato alla testa?”
Jona sorrise: “No, anzi, mi sembra di essere tornato a casa, anche se queste montagne sembrano ben più alte e massicce dei miei Penn.”
“Dana? come mai?”
“So per certo che ha parecchi assistenti da qualche parte, non troppo lontani da qui. Magari può prestarcene un paio.”