La porta della cella si aprì con uno schianto e Dinajal spinse dentro, quasi scaraventandolo, suo figlio Hassijad. Aveva la casacca lacera, era sporco e puzzava di sangue e di sudore.
“Abbi cura di lui. Lascio la porta aperta, ma non ti conviene uscire per un bel po’. Qui fuori sta andando tutto a fuoco. Salvalo.”
Fece per uscire, ma Ahmanejadil gli mise una mano sul braccio: “Che succede? Perché non resti anche tu?”
Dinajal rispose con un sorriso torto: “Che succede? Quello che mi hai sempre detto: “chi semina vento raccoglie tempesta”. Ora la devo affrontare. Sono io quello che vogliono e se non mi trovano mi cercheranno ovunque. Potrebbero anche arrivare a questa stanza. Meglio di no.”
Ciò detto uscì sbattendosi la porta dietro. I rumori si fecero più ovattati fino a scomparire del tutto.
Stava per uscire, ignorando le parole del figlio quando suo nipote cominciò a singhiozzare sommessamente.
Spense la candela e cominciò a raccontare una lunga fiaba che parlava di un principe che, per salvare la donna di cui era innamorato, percorreva tutto il deserto a piedi.
Quando finalmente il ragazzo si addormentò, Ahmanejadil rimase al buio con le orecchie tese, ma tutto taceva. Cercò di misurare il passare del tempo contando i battiti del suo cuore. Presto avrebbe dovuto uscire.
“Meglio aspettare ancora un po’”, disse una voce dietro di lui facendolo sobbalzare. Era Shaitan che brillava nel buio di una luce rossa che sembrava illuminare tutta la stanza, senza ombre.
“Se tu dici di rimanere allora forse è proprio il caso che mi muova subito”, sibilò con l’odio che grondava dalle sue parole.
Il piccolo Djinn scrollò le spalle come per far scivolare via il veleno e venne a piazzarsi davanti a lui: “Parla piano. Hassijad dorme ed è bene che continui a dormire ancora per un po’. Non ti interessa sapere cosa troverai là fuori?”
“Come posso sapere che mi dirai la verità?”
Shaitan fece un gesto infastidito: “E perché non dovrei dirtela? Non ti ho mai mentito e non ho certo intenzione di cominciare ora.”
“Sei tu quello che ha messo in testa a Dinajal di scatenare questa guerra contro i carovanieri, questa vendetta disastrosa per lui e per tutti noi.” La voce era un sussurro, ma il tono accusatorio era rimasto.
“Veramente mi dicono che il primo a chiedere vendetta sei stato tu, o sbaglio?” Fece solo una brevissima pausa, poi proseguì senza dare il tempo di replicare: “Ma non è questo il punto. Il punto è che tu non capisci. Io non ho messo in testa a tuo figlio proprio niente. Io ho detto a lui le stesse cose che ho detto a te!”
“Mi stai prendendo in giro?” Chiese quasi sopraffatto dall’enormità che aveva appena sentito, “Mi ha raccontato lui stesso che gli hai detto tu di distruggere le carovane!”
Shaitan lo guardò di traverso, con la testa inclinata, come se stesse valutando quanto era in grado di sopportare, poi chiese con voce pensosa: “Quante volte ti ho detto che “fino a che fossero rimasti i carovanieri qualche rapimento era inevitabile”?”
“E allora? Da quello che sappiamo è ovvio che sia così. Possiamo solo cercare di limitare la cosa e sperare che vadano a prendere i loro stramaledetti “sostituti” da qualche altra parte!”
Shaitan alzò gli occhi al cielo esasperato: “Questo è come tu interpreti le mie parole, Dinajal la pensava diversamente.”
Ahmanejadil era perplesso, anche se cominciava a capire:
“Proprio così, tuo figlio ha capito che, per far cessare i rapimenti, bisognava sterminare i carovanieri. Non mi ha mai chiesto se la considerassi una buona idea.”
“Ma tu glielo hai lasciato credere!”
“Ancora non capisci. Stai bene attento, perché questa è la prima e sarà anche l’ultima volta che ti parlerò di questo argomento. Io non ho nessun legame con voi e, sinceramente, tu mi sembri l’unica persona con un po’ di buon senso in famiglia, nonostante sia stato proprio tu a dar principio a tutto questo, ma non sono affari miei. Io ho il compito di aiutarvi. A fare che cosa? A portare a termine la “vendetta” che tu hai richiesto e che Thano ti ha accordato. In che modo? Anche questo non è affar mio deciderlo. Tu, o tuo figlio, chiedete dei consigli ed io cerco di aiutarvi, per quanto possibile. Mi è esplicitamente proibito cercare di salvarvi dalla vostra stessa follia. Chiaro?”
Uomo e Djinn rimasero a guardarsi con occhi di fuoco.
Ahmanejadil era troppo intelligente per non capire che quell’emissario di Thano, a modo suo, stava cercando di aiutarlo. Si sforzò di parlare con voce meno ostile: “Se mi dici che hai detto sia a me che a lui le stesse cose, com’è mai che abbiamo capito due cose tanto differenti?”
“La lingua, la parola, sono sempre un mezzo imperfetto. Tutto è soggetto all’interpretazione. Guarda quella candela: è mezza consumata o ancora usabile per metà?”
“No. Non è la stessa cosa. La candela è la stessa, questo è certo, ma in un caso tu metti l’accento su quello che è stato già consumato e nell’altro su quello che ancora rimane. Come tu la vedi dipende da te, non dalla candela.”
“La stessa cosa succede per i discorsi. Chi parla dice delle parole, ma chi ascolta le mette in relazione con tutto il resto della sua esperienza per dar loro un significato. Il significato non è quasi mai completamente contenuto nelle parole.”
“Tuo figlio aveva un odio ed un rancore che lo ha portato ad interpretare quello che gli dicevo solo sul binario dello scontro fisico. Tu sei sempre stato diverso.”
“Ha incontrato Thano poco prima che io venissi qui”, confermò il Djinn.
Il vecchio si prese la testa fra le mani e sentì tutto il peso della vita crollargli addosso: “Che devo fare adesso?”
“Continuerò ad aiutarti fino a quando Thano non mi dirà che devo andare altrove.”
Non era una risposta che gli dicesse molto, ma capiva che non ne avrebbe avute altre.
“Mi avvertirai quando potrò uscire da qui senza pericolo?”
“Puoi uscire anche ora, se ti muovi con cautela. I carovanieri se ne stanno andando. Hanno dato fuoco alla Sede e sono convinti non ci sia più nessuno vivo.”
Un pensiero improvviso lo folgorò: “C’è ancora una via d’uscita?” Chiese mentre si avvicinava alla porta e sentiva il calore dall’altra parte.
“Sì, se ti sbrighi.”
Afferrò una lunga pezza di stoffa, la bagnò con l’acqua del catino che usava per lavarsi e se la avvolse attorno alla testa ed al corpo mentre svegliava il nipote.
Una seconda pezza venne avvolta attorno al ragazzo che, al contatto con l’acqua fredda, si svegliò del tutto.
Prima che avesse il tempo di protestare Ahmanejadil disse a Shaitan pesando bene le parole: “Guidami verso l’uscita praticabile, facendo del tuo meglio per farci arrivare fuori incolumi e senza essere visti.”
Il Djinn lo gratificò con un ampio sorriso prima di dirigersi deciso verso la porta, passandoci attraverso.
Quando aprì la porta il calore lo colpì come un’onda. Non c’erano fiamme, ma molto fumo. Shaitan era a malapena visibile come una luminosità nel buio. Tenendo il nipote per un braccio lo seguì a tentoni.
Non sapeva dov’era e non riconobbe il percorso, ma, ad un certo punto, si trovò in una stanza completamente in fiamme. La attraversarono di corsa e si trovarono all’esterno. Dopo pochi passi erano sulla riva del fiume, avvolto da una nube di fumo.
Shaitan si fermò sulla riva.
“Non posso allontanarmi di più. Lì a sinistra c’è una barca. Se vorrai mi troverai nel mio forno, come sempre.”
Spinse la barca sul fiume e si lasciò cadere, esausto sul fondo. Dopo due anni di forzata inattività quello sforzo era stato davvero troppo per lui.
Il sole stava calando.
La notte sarebbe stata la loro miglior copertura.