Affrontò la salita lentamente, molto più lentamente di quanto sentisse il bisogno di fare. Si sentiva bene, ma aveva oramai capito che lo sforzo, a quell’altitudine, doveva essere dosato con particolare cautela.
La vegetazione, già bassa e rada, scomparve quasi completamente e si ritrovò a camminare su per una superficie spoglia, punteggiata da massi di tutte le dimensioni.
In alto si vedeva lo scintillio della neve.
Si arrampicò sopra un costone ed ebbe la prima visione della Torre.
La cima della montagna terminava con una struttura conica molto allungata, simile al collo di una bottiglia particolarmente lunga, tanto lunga da diventare una specie di corno che puntava dritto verso il cielo.
Riportò gli occhi sul sentiero e riprese a salire.
Dopo pochi passi, nel superare una fenditura nella roccia, vide il primo scheletro. Qualcuno, dopo essere arrivato fin lì, era rimasto affascinato dalla Torre ed era caduto. In posti come quello anche una semplice distorsione poteva costituire un’invocazione a Thano.
Jona pensò un momento se dare una qualche sepoltura a quell’ignoto compagno di avventure, ma decise che poteva essere più utile lì dov’era. Sfilò un lungo nastro rosso che ornava il suo pesante maglione e lo legò ad una pietra da una parte e ad un osso dall’altra. Un po’ macabro, si disse, ma era impossibile che qualcuno, passando di lì, ignorasse l’avvertimento.
Mise fermamente la Torre al di fuori dei suoi pensieri e riprese la salita con gli occhi piantati sul sentiero.
Presto arrivò alle prime tasche di neve annidate in avvallamenti o spaccature che l’avevano protetta dai raggi del sole.
Nel primo pomeriggio scese dal crinale che aveva seguito per portarsi più in basso.
Scese in diagonale di quasi trecento metri. Il pensiero di dover, l’indomani mattina, riguadagnare quella quota non lo rallegrava affatto, ma sapeva di dover dare un po’ di sollievo ai suoi polmoni affamati d’ossigeno.
Sputò le foglie che stava masticando — come Asclep gli aveva consigliato — e si diresse verso il secondo rifugio che sapeva essere sotto un piccolo strapiombo, ma non lo vedeva; chiese aiuto a Mentore che gli mostrò la solita stradina gialla che andava dritta verso una parete di ghiaccio.
La colata di candelotti gelati aveva completamente occultato l’ingresso. Con qualche colpo della punta ferrata del suo bastone Jona ottenne un varco appena sufficiente per scivolare dentro un’altra caverna, incredibilmente asciutta, considerando che tutt’intorno la roccia era completamente bagnata dallo scioglimento delle nevi e dei ghiacci.
Lo sforzo, pur moderato, lo costrinse a diversi minuti di recupero.
Tolse dallo zaino parecchi dischi di sterco di lama secco, estremamente leggeri, e li utilizzò per accendere il fuoco — ringraziò mentalmente Festo per quel suggerimento; trovare legna a quell’altezza era assolutamente impensabile e la temperatura stava rapidamente calando assieme al sole.
La notte venne improvvisa, quasi che qualcuno avesse soffiato su una candela, non appena il sole calò oltre le lontane montagne, tutte più basse di lui.
Faticò un po’ ad addormentarsi, poi la stanchezza ebbe il sopravvento.
La mattina dopo la luce del giorno venne con la stessa incredibile rapidità con cui se n’era andata esattamente dodici ore prima. In pochi minuti le stelle sparirono per lasciar posto al sole.
Jona era irrigidito dal freddo e dalla stanchezza. Sapeva bene che Mentore gli aveva dato una mano a rimaner caldo. L’ampio mantello e i maglioni non sarebbero bastati e aveva consumato buona parte della sua scorta di combustibile.
Fece un’abbondante colazione ed esaminò, ancora una volta, il contenuto dello zaino. Lasciò nella grotta il combustibile residuo e il cibo che non contava di consumare nella giornata. Se non fosse riuscito a raggiungere la cima doveva rientrare lì prima di notte. Altrimenti altre ossa sarebbero rimaste a monito per i Cercatori che sarebbero arrivati dopo di lui.
Riguadagnò la cresta dalla quale era disceso la sera prima e continuò a seguirla fin dove poté.
Alla sua sinistra un grande ghiacciaio riempiva completamente il canalone che portava verso la vetta.
La vetta somigliava una sella, con un poggio più basso ed uno leggermente più alto, sulla cui sommità sorgeva la Torre.
Il ghiacciaio riempiva completamente la sella e tracimava oltre la cresta che stava seguendo. Davanti a lui non c’era più roccia. Solo bianco.
Alzò gli occhi verso la Torre. Ora la poteva vedere bene. Era una struttura enorme. Circolare. Altissima. Bianca come il ghiaccio e altrettanto scintillante. Probabilmente si trattava della stessa schiuma di vetro di cui era formata la montagna di Nayokka. Cercò di valutare l’altezza, ma era impossibile, da quella posizione, capire quanto si restringesse realmente e quanto fosse un effetto prospettico. Sembrava veramente una bottiglia, aveva anche un evidente svaso sulla cima. Possibile ci fosse una terrazza circolare, lassù?
“Quanto è alta la Torre, Mentore?”
“Non molto. Solo seicento metri.”
Il sole aveva già passato lo zenit e lui aveva ancora del cammino da compiere.
Si ficcò in bocca una manciatina di foglie e cominciò a masticarle mentre esaminava la superficie del ghiaccio.
Qui sembrava uniforme e compatta, ma più a valle aveva visto che era fratturata da una miriade di crepacci che, nonostante lo splendido colore blu, erano pronti ad inghiottire chiunque fosse stato abbastanza imprudente da avvicinarcisi troppo. Aveva cercato di sbirciare dentro uno, ma non era riuscito a vedere il fondo.
“Ci sono crepacci sulla strada?”
“Ce ne sono diversi, ma sono coperti da uno spesso strato di neve compattata dal gelo. Dovrebbe reggere il tuo peso senza problemi.”
“Dovrebbe?”
“I nevai sono sempre instabili, lo sai. Quando ne attraversi uno farai bene ad evitare di fare movimenti troppo bruschi.”
“Puoi dirmi dove sono?”
Mentore non rispose, ma tre linee blu apparvero sul ghiaccio davanti a lui.
Il primo riuscì a evitarlo completamente facendo un piccolo giro.
Il secondo era coperto da neve gelata che aveva una crosta vetrosa e Jona camminò leggero riuscendo a non scalfirla nemmeno.
Il terzo era proprio al centro della sella, dove il ghiacciaio si divideva per scorrere sui due lati della vetta secondaria. Oltre la neve era compatta e solida fino alla Torre. Esitò un attimo, poi strinse i denti e si avviò con cautela.
Quando arrivò al centro del crepaccio si fermò, alzò gli occhi al cielo e disse con voce chiara: