Serna e il pescatore

Le ombre si stavano allungando quando Agio si presentò alla grande casa con tre grossi saraghi in spalla.
All’occhiata interrogativa di Serna rispose con un sorriso: “Per il milleami non so, ma il dieciami funziona.”

“Il “dieciami”?”
“Ho tagliato un pezzo del tuo mostro e l’ho provato alla Cala del Granchio. Con un po’ d’attenzione una decina di ami si riescono a gestire. Questo è il risultato.”
“Ti fermerai a mangiarli con noi”, disse Darda con il tono di chi enuncia un fatto incontrovertibile mentre si impossessava delle prede che Agio aveva posato sul tavolo e cominciava a pulirle.
“Sei riuscito a districarlo?” chiese Serna.
“Sì, certo, ma ho dovuto tagliarlo in un paio di punti. Ho usato il pezzo più corto.”
“Non si aggroviglierà di nuovo?”
“Non c’è pericolo. Lo ho appeso ai pali che uso per far asciugare le reti.”
“Ottimo. Peccato che non possiamo portarceli in mare.”
“No. Non abbiamo barche abbastanza grandi.”

La mattina dopo Serna era dietro la baracca di Agio e guardava sconsolata quel lunghissimo arnese. Avevano già provato quattro modi diversi di arrotolare ordinatamente la lenza in una grossa cesta e poi a tirarla fuori, come per filarla a mare, tutte e quattro le volte, nonostante cercassero di evitare movimenti bruschi, inevitabili fra le onde, presto uno degli ami si impegolava nella matassa e dovevano smettere per evitare di ingarbugliare tutto.
“È inutile! Festo mi ha proprio presa in giro. Anche facendoci la mano, calare a mare quest’affare è un lavoro di tutta una giornata. Non lo vorrà usare nessuno!”
“Gli Dei non mentono mai!” Serna si girò e si trovò davanti Marlo.

“Se Festo ti ha detto che puoi trovare il modo di usarlo allora puoi trovare il modo, ma non è detto che sia facile. Non è ancora il tocco e ti vuoi già dare per vinta?”

“”Credevo”, “pensavo” e “speravo” non portan le api al favo” sentenziò Marlo.
Serna gli lanciò un’occhiata che avrebbe dovuto incenerirlo, ma che provocò solo un bonario sorriso:
Serna rimase un attimo in silenzio. “Grazie Marlo. Cercherò di ricordarmelo”, disse poi con voce seria.
“Perché non proviamo a legare le lenze secondarie, in modo che non diano problemi mentre le caliamo a mare?” disse rivolta ad Agio.
Il nuovo tentativo fu coronato da successo

Agio rimase abbastanza stupito da dimenticare l’irritazione. Chiuse la porta della casupola presso il porto troppo grande per lui, ora che non aveva più nessuno con cui condividerla, e seguì Serna che continuava a parlare più per riempire il silenzio che per dire veramente qualcosa.
“Daardaaaa! Ho portato Agio, come mi avevi chiesto tu!” Disse varcando il portone rivolta verso la cucina.

Darda era, come al solito, sulla sua poltroncina in un angolo del portico e stava riordinando il suo interminabile lavoro di ricamo. Era oramai troppo buio per continuarlo. “Grazie cara” disse semplicemente guardandola dritta negli occhi. Vi lesse quello che doveva leggervi e, senza aggiungere altro, prese Agio sotto braccio e lo guidò verso la cucina: “Ieri pesce, oggi carne. Sono sicura che il mio stufato non ti dispiacerà.”
Serna tirò un sospiro di sollievo.
Il giorno successivo caricarono la cesta con il milleami sul calesse e la portarono nel cortile della grande casa del mago. Tutta la mattina, infatti era stato un susseguirsi di curiosi, di perdigiorno e, soprattutto, di malelingue. Serna era stata costretta a invocare un incantesimo di allontanamento per avere un po’ di pace, ma sapeva bene che quello che bruciava di più era il sospetto che avessero ragione, quando canzonavano Agio perché dava retta alla “strega pazza”.
Continuarono a lavorare, ma il risultato era sempre lo stesso: schemi semplici portavano ad aggrovigliamenti e schemi complessi funzionavano, a volte, ma richiedevano troppo tempo. Dopo un paio di giorni non avevano più idee. Oramai stavano pensando in circolo. Così non si andava da nessuna parte.
L’unica cosa veramente positiva era che Agio aveva abbandonato la sua indole taciturna, forse dovuta più al fatto di non aver nessuno con cui parlare che ad una vena del suo carattere. Ora parlava molto. Con voce lenta, come dovesse sempre cercare le parole, ma raccontava di una vita passata sul mare, come marinaio in terre lontane da giovane, come pescatore in vecchiaia. Serna era affascinata da quelle storie e aveva cominciato a chiamarlo “Zio Agio”
“Andiamo a farci un caffè”, propose Serna.
“Un caffè non si rifiuta mai!” sentenziò lo “Zio” alzandosi prontamente dal suo sgabello.
Andando verso la cucina passarono davanti alla solita postazione dove Darda stava ricamando: “Già finito, oggi?” chiese dando un’occhiata significativa verso il sole ancora molto alto nel cielo.
“Pausa Caffè!” le rispose Serna con un sorriso.
“Mi pare una buona idea”, approvò Darda scostando il telaio che aveva davanti, “metto a posto gli aghi, ché altrimenti mi si ingarbugliano tutti i fili e arrivo.”
Darda stava infilando gli aghi che aveva usato e che teneva appuntati sul petto, sul bordo di morbido sughero del cestino, assieme a tutti gli altri. Tutti in fila a formare un variopinto arcobaleno di fili di lana.
Serna e Agio si guardarono: “Nonna, sei un GENIO!!”
“Ma che dici?”, ma oramai i due erano in fondo al corridoio. Darda scrollò le spalle bofonchiando: “Mi sa che dovrò prendermi il caffè da sola.”
A cena Serna era raggiante, tanto da rompere la regola che vietava di parlare di lavoro a tavola: “Funziona benissimo! Abbiamo filato il milleami due volte in un’ora! L’idea di Darda è stata perfetta. Abbiamo messo un bordo di sughero attorno alla cesta e ci abbiamo infilato gli ami uno dopo l’altro, così non possono aggrovigliarsi. Domani andiamo a provare in mare. Darda, devi venire anche tu con noi.” Era un fiume in piena.