Shaitan

Il forno di Shaitan era proprio sotto la quinta del teatro dove loro si erano esibiti il primo giorno. Ci si arrivava per un lungo corridoio che partiva dagli appartamenti del califfo e passava sotto il giardino centrale. La piccola porta anonima che dava accesso a quell’antica stanza si aprì cigolando. Uno spesso strato di polvere copriva ogni cosa. Nessuno era più entrato lì dentro da quando Ahmanejadil era morto, più di trent’anni or sono.

I due giannizzeri accesero il fuoco. La legna era secca come più non sarebbe stato possibile e bruciava allegramente. Il forno divenne presto rosso ed incandescente.

“Come dicevo, se n’è andato”, cominciò Zebadiah, ma Serna lo fulminò con un’occhiata.

“Shaitan! So che mi puoi sentire e tu sai che la tua missione non è ancora terminata!” Disse con voce ferma.
“E allora vediamo la fine di questa storia”, le fece eco la voce del piccolo Djinn che usciva sulla bocca del forno stiracchiandosi come se avesse veramente dormito per tutti quegli anni.

Zebadiah, nonostante i riflessi rossi che provenivano dalla fornace ardente sembrava un cencio lavato, tanto era pallido: “Tu”, balbettò, “mi avevi detto che saresti andato via.”
Shaitan lo guardò dritto negli occhi: “Ma tu hai cambiato le cose, prima che io avessi il permesso di andare. Non te ne eri reso conto?”
L’anziano funzionario si scagliò urlando verso la Maga, ma non riuscì a fare nemmeno un passo che la mano pesante di Sindehajad si abbatte sul suo collo, facendolo stramazzare al suolo come un sacco semivuoto.

Hassijad rimaneva immobile in disparte, come se la cosa non lo riguardasse minimamente, ma non perdeva una sola espressione.

“Questo dovrebbe mettere fine alle sue inutili interferenze. Avrà tempo più tardi di spiegare le sue ragioni, forse”, disse Serna a nessuno in particolare, poi tornò a rivolgersi a Shaitan: “Puoi spiegare, per favore, che cosa sarebbe successo se il Califfo fosse riuscito ad evocare Thano?”
“Dipende dalla richiesta, ovviamente.”
“Avevo intenzione di chiedergli vendetta contro tutti quelli che stanno cercando di distruggere me ed il mio popolo.”
“Saresti morto all’istante”, rispose il Djinn con voce piatta.
Hassijad prese quella notizia con uno choc molto minore di quanto ci si sarebbe potuti aspettare; evidentemente aveva già indovinato che quella sarebbe stata la risposta, anche se ancora non riusciva a capire perché, ed infatti lo chiese esplicitamente al Djinn.
Questi lo guardò un po’ di traverso, come fosse uno scolaro un po’ zuccone: “Dovresti sapere che la morte è il pedaggio che Thano richiede per le sue nemesi.”
“Certo, ed ero disposto a pagare il prezzo, dopo aver avuto vendetta.”
“Diciamo allora che la nemesi si sarebbe risolta molto in fretta.”

Il Califfo sembrava soddisfatto di quella risposta e Serna scoppiò a ridere: “Shaitan, vuoi spiegare che cosa avrebbe fatto Thano prima di esigere la sua ricompensa? Penso che il Califfo sarebbe anche interessato alla differenza che tu fai tra “vendetta” e “nemesi”.”
Il piccolo Djinn sorrise apertamente a Serna mostrando i denti da carnivoro: “Finalmente qualcuno che sta attento a quel che si dice senza cercare di distorcerne il senso”, poi si rivolse direttamente ad Hassijad: “Thano non avrebbe fatto assolutamente nulla prima di prendersi la tua vita.”
“Thano non garantisce mai assurde vendette, solo nemesi, ovvero “giuste vendette”: riparazioni di onte subite senza particolari colpe. Se lo chiami per qualcosa che non è abbastanza grave o, peggio, se quel che ti accade è responsabilità tua, lui si limita ad esigere il suo.”
Fece una breve pausa per lasciare che le sue parole penetrassero, poi riprese: “Che io sappia è relativamente raro che Thano faccia davvero qualcosa. Di solito chi lo chiama è la causa stessa dei propri guai. Il tuo caso è proprio di tal genere, a differenza di quello dei tuoi nonni.”

“Lascia che ti spieghi, Shaitan potrà sempre correggermi se dico qualcosa di sbagliato, glielo chiedo esplicitamente.”
“Già, perché una delle caratteristiche principali di Shaitan è quella di dire sempre la verità, ma non sempre di dirla tutta in modo chiaro ed inequivocabile. Di solito si diverte a dire le cose in modo da poter essere interpretate in due o più modi. Molta gente sente nelle sue parole quello che vuole sentirsi dire, indipendentemente da quello che ha detto davvero, non è così?”
“Io la vedo alla rovescia: Io parlo chiaro e la gente spesso si ingegna a trovar modi astrusi per capire tutt’altro.”
“Già, come poco fa”, rise Serna, “ma va bene, posso considerarla una conferma senza timore di “ingegnarmi a capire tutt’altro”. Per favore intervieni se dico cose che non siano sostanzialmente vere”, poi si rivolse nuovamente al Califfo.

“Quando sono arrivata qui mi aspettavo di trovare un despota assetato di sangue, ma non ci abbiamo messo molto Duliana ed io, a capire che le cose non erano così semplici e lineari.”
“Non sono mai semplici e lineari”, intervenne Shaitan, ma Serna lo ignorò.
“Tu sei veramente convinto di fare il meglio per il tuo popolo, anche se noi sappiamo per certo che le minacce che tu vedi esistono, per la maggior parte, solo nella tua testa.”

Il Califfo era sul punto di parlare, ma Serna lo fermò con un sorriso ed un piccolo gesto delle mano:

Hassijad era perplesso, non riusciva a capire dove volesse andare a parare la Maga che alternava accuse di malgoverno, fino al confine con la pura stupidità, agli elogi.
“Tu dici che il mondo stesso è molto diverso da come lo vedo io, in buona sostanza. Perché dovrei crederti?”
“Non devi credermi, per tutti gli Dei!” Esclamò Serna scuotendo vigorosamente la testa,
“Sono anni che controllo”, sbuffò lui, “ho spie in ogni città!”
“Magari questo potrebbe essere un problema”, disse Serna meditabonda, “chi controlla le spie?”
“Zebadiah, naturalmente” Disse il Califfo che non si sentiva più così sicuro.
“Come temevo”, disse la Maga annuendo pensosamente, “Immagino che avesse lo stesso incarico anche con tuo padre, vero?”
Hassijad riuscì solo a fare un cenno affermativo con la testa, mentre seguiva le conseguenze di quel che la Maga stava dicendo:
Lei lo ignorò: “Immagino che l’idea di allontanare i Djinn di tutti gli Dei, oltre Thano, sia sempre farina del suo sacco, vero?”
L’unica risposta che ebbe fu lo sgranare degli occhi del Califfo.
“Questa, in generale, è una pessima idea: ognuno degli Dei ha un suo punto di vista ben preciso e cercare di uniformarsi ad uno solo è poco salutare, anzi, come potrebbe raccontarti mio padre, anche ignorare gli insegnamenti di uno solo degli Dei può essere pernicioso.”
Guardò il Califfo con un indefinibile mistura di pietà e di determinazione: “Credo che tu abbia oramai capito quello che è successo. Shaitan potrà confermare i miei e i tuoi sospetti.”
“Shaitan, puoi spiegare al Califfo perché sei ancora qui?”
“Perché Ahmanejadil aveva chiesto la nemesi per tutti coloro che avevano rapito i suoi figli e la nemesi non era completa.”
“E perché non era ancora completa?” Incalzò Serna.
“Perché mancava la vendetta verso chi aveva ucciso il terzo figlio Dinajal. All’epoca non esisteva ancora, ma lui aveva chiesto “vendetta contro tutti coloro che mi hanno portato via i miei figli”.”
“I maledetti che hanno invaso la Sede sono ancora vivi, quindi?” Chiese il Califfo rosso in volto.
Shaitan si limitò al suo sorriso ferino, ma Serna non si lasciò deviare dai doppi sensi del Djinn: “Shaitan! Non riesci proprio a parlare schiettamente, eh? Non bisogna far molta fatica a fraintenderti. Sono i carovanieri e i loro alleati dell’epoca che “hanno portato via Dinajal”?”

“Non si tratta di un carovaniere, vero? Sospetto che si tratti proprio si un Hashashin, invece”, disse lei serissima, “puoi confermare?”
Shaitan fece un altro dei suoi sorrisi da carnivoro: “Sì, posso confermare.”

Il Califfo era di nuovo pallido come un cencio appena lavato: “Chi?” Chiese con voce strozzata.

Fece l’occhiolino a Serna: “Vedi che a volte do informazioni anche senza bisogno che me le si chieda?”

Il Califfo stava tremando visibilmente e Duliana gli si avvicinò mettendogli una mano sul braccio. Lui le sorrise mestamente.
“Che facciamo di lui, ora?”
“Dobbiamo scoprire che cosa ha organizzato.”
“Questo credo di potervelo dire io”, disse Serna che stava armeggiando da qualche minuto con il suo Amuleto. “C’è un gruppo di Hashashin che ci sta aspettando nel corridoio. Non mi pare che siano esattamente un comitato di benvenuto. Dobbiamo rinchiuderlo da qualche parte dove non possa fare altri danni.”
“Seguitemi”, disse Hassijad che sembrava aver recuperato il suo sangue freddo, “Non credo che sappia che ho riparato personalmente la cella in cui mio padre aveva rinchiuso il nonno. A volte ci vengo per meditare.”

I due giannizzeri presero Zebadiah che era ancora svenuto e se lo caricarono sulle spalle come fosse un sacco.
La cella era ancora più spoglia di quanto lo fosse stata ai tempi in cui aveva fatto da casa per Ahmanejadil. C’era solo un piccolo tavolino con una candela ed un folto tappeto rosso sangue. Aggiunsero una brocca d’acqua ed un bicchiere prima di scaricarlo senza particolari cerimonie sul tappeto e chiudere la spessa porta di solido legno. Fuori l’intera stanza era coperta da un enorme cumulo di stracci che erano i vestiti dei carovanieri uccisi negli anni. Nessun rumore sarebbe uscito da lì.

Serna camminava davanti agli altri nel corridoio fiocamente illuminato, circondata da un’intensa aura gialla.
Tre volte l’aura toccò il filo di un ruhmal teso per uccidere chiunque passasse. Ogni volta il filo brillò per un istante prima di dissolversi.
“Se il filo viene scaldato oltre i mille gradi”, aveva detto ai suoi compagni, “brucia istantaneamente. Mi dispiace distruggere una cosa così preziosa, specie ora che il ragno non c’è più, ma non ho altri modi per difendere tutti noi.”

Quando erano quasi al termine del corridoio subirono l’agguato.
Era preparato con cura e sarebbe probabilmente riuscito, ma l’Amuleto e Shaitan avevano rivelato i piani dei congiurati.
Mentre i due giannizzeri sostenevano l’assalto all’arma bianca di un nugolo di Hashashin che si intralciavano a vicenda in quello spazio angusto, Serna lanciava due palle di fuoco verso i due arcieri che stavano prendendo di mira il Califfo con dardi avvelenati.
L’Ala di Ipno si abbatté sugli attaccanti, uno dopo l’altro, facendoli stramazzare al suolo.
Tutto era durato pochi secondi.
Otto corpi nudi e strettamente legati giacevano sul pavimento.