La mattina era splendida e le montagne sembravano tanto vicine da poterle toccare soltanto allungando la mano fuori dalla finestra.
Jona assorbiva ogni particolare. Il suo compagno di viaggio, forse troppo abituato a quella vista, forse semplicemente incapace di apprezzare tanta bellezza, la ignorava completamente e si preparava alle trattative con i primi clienti: le segherie di Kum.
Il sole non era ancora arrivato a illuminare il lago che loro erano alla segheria, già in piena attività.
Era situata proprio nel punto dove il lago si restringeva per diventare fiume. Larghe rogge portavano acqua alle pale di mulini che giravano maestosi. Jona non aveva mai visto nulla di simile. Le grandi ruote erano coloratissime e lucide, sembravano di ceramica, ma non potevano esserlo: erano alte più delle case vicine, che avevano anche tre piani! Giravano senza cigolii, mentre dal grande opificio arrivava un frastuono di seghe e tonfi di tronchi trasportati.
Il carro del fabbro arrivò alla segheria costeggiando una roggia su cui galleggiava una flotta di tronchi. Una squadra di operai aveva il compito di fermarli e farli passare uno per volta nello stretto canale che entrava nella segheria.
“Ben trovato, Michele!”, disse una voce soverchiando momentaneamente il fracasso, proprio mentre fermavano il carro davanti alla grande porta che immetteva nel capannone della segheria, “entra, ti stavo aspettando”.
Jona aiutò Michele a scaricare le lame di sega, sia circolare sia a nastro che erano venuti a vendere e a caricare quelle vecchie, oramai consunte, da rigenerare, poi, mentre i due si ritiravano in un angolo meno rumoroso a parlare di prezzi, pagamenti, prossime consegne e chissà che altro, Jona rimase piantato a gambe larghe a imprimersi nella mente i particolari della grande segheria.
La ruota ad acqua forniva il movimento a tutti i macchinari, trasmesso mediante cinghie ai meccanismi più disparati.
Le cose più semplici, in fondo, erano proprio le grandi seghe che affettavamo i tronchi in tavole di spessore costante, Un po’ più complessi erano i meccanismi che prelevavano i tronchi stessi trasportati dalla roggia fino alle seghe e poi fino alle cataste, ma la meraviglia era il grande argano che sollevava degli enormi pacchi di tavole e li depositava in file ordinate all’esterno, dove avrebbero finito la stagionatura. Jona stava ancora cercando di capire come riuscissero a trasmettere il movimento a quell’enorme struttura appesa al soffitto del capannone quando Michele e il capomastro ritornarono.
Michele aveva un’aria soddisfatta che la diceva lunga su come fossero andate le trattative.
Il capomastro disse, indicando Jona con il pollice:
Michele si limitò a sorridere e Jona si ripromise d’indagare su chi o che cosa fossero questi “Nani”, ma poi dimenticò la faccenda.