Visita al cantiere

Era solo la seconda volta che passava sull’alta passerella fra i due palazzi, ma Jona sentì distintamente una maggiore familiarità, tanto che si azzardò a guardarsi attorno. Il panorama era veramente splendido: da lassù, vicini alle chiome degli enormi alberi, non si vedeva quasi il cielo, in compenso si vedeva tutta la valle snodarsi verso sud-ovest. Una posizione ideale per godersi il sole fino al tramonto.

“Meglio non guardare troppo in basso, le prime volte.”
“Va già molto meglio. Comunque sto attento a non guardare direttamente giù.”
“Il Re non mi è sembrato molto contento di vedermi qui.”
“Che ti aspettavi? Abbiamo sempre avuto problemi con gli umani. Cercano costantemente di espandersi abbattendo le nostre foreste. Quando non riescono a tagliare gli alberi gli danno fuoco per far pascolare le loro dannatissime vacche!”
Jona rimase zitto. Sapeva bene che la maggior parte degli “Umani” consideravano le foreste solo come un luogo da depredare. Nel migliore dei casi, come facevano i boscaioli più a sud, ripiantavano qualche alberello dopo aver tagliato quelli grandi. Anche in questo caso Jona sospettava fortemente che la capacità persuasiva dei vicini Elfi avesse una parte rilevante in questa attenzione verso i bisogni delle foreste.
“Ma voi non tagliate nulla?” si azzardò a chiedere adocchiando il panorama, più simile a un giardino ben tenuto che una valle montana.
“Certo che tagliamo, ma piantiamo anche e, soprattutto, usiamo la foresta cercando di preservarla. In realtà noi dipendiamo dalla foresta molto più di quanto la foresta dipenda da noi. Certo, potremmo distruggerla facilmente, ma perderemmo i suoi doni.”
“Ma come fate? Intendo dire: prendiamo questi alberi-casa. Sono evidentemente artificiali, uno diverso dall’altro e sicuramente “progettati”, ma al tempo stesso, sembrano assolutamente naturali e “cresciuti” così. Non c’è segno di sega, colla o chiodi!”.
Gornor rise. “Sì, capisco che, a prima vista la cosa possa sembrare così, ma quelli che tu chiami alberi-casa sono, in realtà piccole foreste composte da centinaia, a volte migliaia di alberi di molte specie diverse, anche se quello che vedi sono, per la maggior parte, “piante del falegname”.”
“”Piante del falegname”?”
“Uhm, forse farti vedere come si coltivano le case può essere una buona idea. Ci sarà un po’ da camminare, visto che le zone qui intorno sono già completamente costruite, ma penso ne valga la pena. Vieni.” Allungò il passo costringendo Jona quasi a mettersi a correre, cosa non facile con quei vestiti addosso.
“Già completamente costruite” era da intendersi in un senso completamente diverso da quello a cui era abituato Jona fin dall’infanzia. I due enormi palazzi gemelli, infatti, erano circondati da una fitta serie di abitazioni, botteghe e magazzini, ma poco oltre c’era solo foresta. In Ligu la terra adatta a costruire case era abbastanza rara e molto più sfruttata. Lo disse a Gornor.
“Sì, lo so che agli umani piace ammassarsi tutti assieme. A noi no. Sappiamo bene che ci sono degli ottimi motivi per lavorare assieme, sia per il governo, sia per la ricerca — il Palazzo e il Tempio servono a questo — ma poi abbiamo bisogno di spazio. La mia casa è a due leghe dal tempio, in quella direzione” disse indicando vagamene verso est. Jona si chiese oziosamente se si trattasse di un altro tratto derivato dai felini, animali prevalentemente solitari: “Vivete in famiglie isolate?”
“Non abbiamo famiglie, almeno non nel senso che voi umani date alla parola. Ogni Elfo è autosufficiente.”
“Ma i bambini?”
“I bambini crescono con la madre fino a che sono piccoli, poi vengono adottati dalla comunità e rimangono in gruppo fino a quando non diventano adulti e decidono dove andare a vivere. I giovani che sono nati qui intorno vengono al tempio per imparare, altrove ci sono altri templi o altre comunità. Tutte hanno scuole per i ragazzi.”
Era almeno mezz’ora che camminavano senza vedere nessuno.
“Forse sarebbe stato meglio cambiarci d’abito, prima di metterci in cammino. Io non sono agile come un Elfo e questi vestiti non sono esattamente comodi, almeno per me!” sbuffò Jona a un certo punto.
Gornor rallentò leggermente il passo. “No, è meglio così. Quest’abito ti qualifica come un amico degli Elfi rispettato dal Re. Gli umani non sono molto ben visti, da queste parti.”

“Da Selinar: è una giovane che ha lasciato il gruppo dei ragazzi sei mesi fa. Lavora al tempio ed è molto innovativa. Troverai sicuramente interessante la casa che sta costruendo.”
“La costruisce da sola?”
“Certo! La casa è una delle cose che ogni Elfo deve fare da sé. Non ci sono due case uguali. Ogni casa esprime la personalità del proprietario; cresce e cambia con lui. Spero che sia in casa”, disse fermandosi, “Selinar!!”
“Maestro!” rispose una voce sopra di loro.
Una ragazza che Jona giudicò avere intorno ai diciott’anni si precipitò giù lungo quelli che lui aveva creduto essere tronchi crollati e che invece si rivelarono essere una stretta rampa d’accesso a un padiglione aereo. Balzò a terra e corse verso il Sacerdote. Poi si bloccò di colpo quando vide meglio Jona. Le orecchie le si accartocciarono all’indietro come quelle di un gatto infuriato.
“Chi porti a casa mia, Maestro?” chiese scandendo le parole.
“Chiedo il permesso di mostrare a questo Cercatore di Thano il tuo lavoro, se così ti piace”, rispose Gornor in tono formale. Avevano invaso il territorio di Selinar, pensò Jona, e adesso dovevano farsi accettare.
I due intrusi rimasero assolutamente immobili mentre Selinar squadrava Jona da capo a piedi. Le orecchie di Selinar ripresero la solita forma e Jona si azzardò a guardarla direttamente. Era una bella ragazza con dei lunghi capelli biondi raccolti in una grossa treccia che le arrivava quasi alla vita. Portava un comodo abito da lavoro di morbida pelle marrone.
“Un Cercatore di Thano?” C’era curiosità nella voce.
“Sì. Ne abbiamo parlato.” L’Amuleto, sempre al suo posto sul lungo bastone, si presentò con una serie di lampi cremisi che fecero vibrare le orecchie di Selinar. Jona abbassò il bastone, facendo ben attenzione a non puntarlo verso nessuno, in una posizione che sperava non fosse minacciosa. Le orecchie di Selinar gli comunicarono che c’era riuscito.
“Siete i benvenuti nella mia futura casa”, disse finalmente.
Gornor ancora non si mosse:
“Selinar, vuoi spiegare a Jona come stai costruendo la tua casa? Ricorda che lui non sa molto delle nostre foreste. Pensa di avere davanti un bambino piccolo.”
Selinar guardò Jona dubbiosa, poi cominciò indicando i sette alberi chiari disposti ad esagono regolare che sostenevano il padiglione aereo: “Questi sono la prima cosa che ho piantato qui, sei anni fa. Ho scelto il terreno con cura e li ho concimati tutte le settimane. Quando sono in rapida crescita gli alberi del falegname hanno bisogno di molte cure. Venivo qui più spesso possibile.” Diede una rapida occhiata verso il Sacerdote che sbuffò: “E, per venire qui, hai rischiato di farti espellere dalla scuola del Tempio. Hai imparato ad aspettare il momento giusto per le cose, ora?”
Selinar assunse un’aria contrita: “Spero di sì, Maestro.”
“E a cosa dobbiamo questo notevole risultato?” chiese Gornor con pesante sarcasmo.
“Ho provato ad accelerare i tempi e ho provocato due crescite contemporanee sull’albero centrale; stava per morire.”
Gornor sgranò gli occhi già tondi di natura: “Sei riuscita a salvarlo?”
“A malapena. Ho dovuto suturare una delle due crescite e non so quando potrò farla ripartire.”

Jona stava capendo poco, a parte che Selinar era stata troppo impaziente e aveva combinato un qualche guaio. Intanto avevano salito la rampa, estremamente stretta, almeno per lui, gli altri due non sembravano avere alcun problema. Ora si trovavano su una piattaforma triangolare tesa tra tre degli alberi che Selinar aveva indicato. Aveva circa sei metri di lato e si trovava ad una decina di metri da terra. La successiva piattaforma triangolare era rialzata di circa mezzo metro, e la successiva ancora di altro mezzo metro, e così via. In questo modo fra i sette alberi si veniva a formare una specie di gigantesca scala a chiocciola che formava stanze triangolari alte tre metri. Jona scalò faticosamente i gradoni arrivando a raggiungere gli altri due al secondo giro dove, finalmente, vide come crescevano le case.

C’era una serie di passerelle e impalcature mobili che servivano a Selinar per lavorare. Incideva la corteccia e spandeva un liquido che promuoveva la crescita del legno. Questo cresceva anche trenta centimetri in un giorno quindi, in teoria, per chiudere lo spazio fra due alberi sarebbero bastati dieci giorni, facendo avanzare la parete linearmente, ma Selinar, non amava le cose semplici, e stava facendo crescere i suoi alberi in complesse spirali che, dopo sei mesi di lavoro, erano arrivate a saldarsi solo per le pareti laterali del primo giro, mentre il secondo era ancora un arabesco con ampi spazi da cui ammirare il cielo. Guardando bene le pareti già complete Jona si rese conto che il complesso disegno che aveva creduto essere solo la vena del legno era, in realtà, dato dall’accrescimento e dalle saldature delle varie parti che Selinar aveva curato con amore. Non c’erano due pareti che avessero lo stesso disegno. I pavimenti erano ottenuti con una tecnica simile. Questa volta si praticavano le incisioni sulle pareti e queste crescevano nella direzione voluta. Jona cominciava a capire come fossero state fatte quelle scale “cresciute” dalla parete là a Blanzoon.
Sul pavimento, vicino alla parete esterna, c’erano svariati fori, evidentemente intenzionali e non risultanti da saldature incomplete, Jona ne chiese la ragione e Selinar si lanciò in una lunga dissertazione sulla dislocazione dei servizi. Il Mago fece del suo meglio per seguirla, ma la mole di particolari che Selinar gli riversava addosso, ora che aveva preso confidenza ed era orgogliosa di spiegare i particolari del suo progetto, era semplicemente troppo. Jona attivò i suoi filtri mentali e si fece un’idea abbastanza chiara della massa di vegetali che venivano impiegati con funzioni specifiche: c’erano piante-tubo che potevano trasportare acqua o aria (ed erano diverse!), piante che fungevano da serbatoi, piante-pompa che succhiavano acqua dal terreno e la portavano anche a cinquanta metri d’altezza fino alle piante serbatoio, piante che assorbivano l’energia solare per scaldare acqua o aria, funghi parassiti che emettevano luminosità di vari colori e perfino una strana pianta carnivora che era in grado di digerire quasi qualsiasi sostanza organica e veniva utilizzata come gabinetto chimico che produceva sostanze fertilizzanti e le condivideva poi con le altre piante.

Jona era impressionato e lo disse. Selinar era raggiante. Jona si guardò bene dal far notare che la fonte della sua meraviglia era molto più la dovizia e la specializzazione dei simbionti vegetali usati che le raffinatezze architettoniche della giovane, delle quali, con dispiacere, doveva ammettere di non aver capito molto.

Era tardo pomeriggio quando salutarono Selinar e presero la via del ritorno.
Jona stava rimuginando tutto quello che aveva visto. Gornor lo lasciò ai suoi pensieri.
Quando arrivarono al tempio era quasi buio e la strada era illuminata da innumerevoli funghi-lampada disseminati nella foresta. Gornor riconsegnò uno Jona molto stanco all’assistente-infermiera. Prima di salutare Jona si azzardò a chiedere: “Quelle piante non sono “naturali”, vero? Sono un dono di Asclep?”.
“No, non sono “naturali”, ovviamente, ma, per la maggior parte, sono state progettate da noi, con la benedizione di Asclep, naturalmente.”
Jona rimase di sasso. “Da voi?”