Author: mcon

  • Verso Washington D.C.

    Il boschetto di agrumi era composto, per la maggior parte da arance amare e cedri pressoché immangiabili, ma i due aranci dolci che trovò avevano ancora abbastanza frutti da riempire lo zaino, dopo aver riempito lo stomaco.

    Passò a rispettosa distanza dal branco di una ventina di giganteschi diplodochi che non sembrarono accorgersi della sua presenza e continuarono a brucare metodicamente le foglie degli alberi muovendo solo il lungo collo.

    La sera cercava un rifugio sulle biforcazioni delle grandi querce che costituivano buona parte della vegetazione, ben sapendo che nessuno degli animali che frequentavano quella parte del mondo era in grado di arrampicarsi.

    Naturalmente i diplodochi non avevano nessun bisogno di arrampicarsi, per raggiungerlo, ma non ne avevano neppure il motivo e poi si spostavano lentamente spogliando metodicamente gli alberi dalle loro tenere foglie primaverili.

    Durante le lunghe ore di cammino Jona e l’Amuleto parlavano incessantemente degli argomenti più vari, guidati dall’innata curiosità del Mago che, pur essendo oramai bisnonno, conservava gelosamente l’ingenuità di un bambino.

    “Se ricordo bene l’enciclopedia diceva che quasi tutti questi erbivori si nutrivano di felci e di equiseti, che qui non vedo.”
    “Vero. A quanto mi risulta alcuni di essi si sono estinti proprio perché le piante che mangiavano sono diventate rare. Non conosco i particolari, ma credo che Dana abbia fatto qualche cambiamento.”
    “Magari, già che c’era li ha anche resi un po’ più intelligenti? Ho letto che erano veramente stupidi.”
    “Non credo che la Dea si sia avventurata in quel territorio. Non è facile. Hai mai pensato, seriamente, a che cosa significa modificare un animale?”
    “Che vuoi dire? Per cambiare un animale o una pianta basta modificare il suo codice genetico. Gli Elfi lo fanno tutti i giorni, Asclep permettendo.”
    “Come pensavo. Non ci hai mai pensato davvero.”

    Jona guardò l’Amuleto abbastanza stizzito; va bene che non ne sapeva quanto gli Elfi, ma di biologia e genetica aveva qualcosa di più di un’infarinatura, e ne andava orgoglioso: “Nei cromosomi, codificati con le triplette di basi, ci sono informazioni per costruire tutto l’organismo. Su questo Asclep è stato molto chiaro.”
    “Sì, ma stai semplificando talmente che ti perdi i punti essenziali.”
    “Che sarebbero?”
    “Che cosa codificano, esattamente, la sequenze di basi?”
    “Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda!”
    “Beh, visto che stiamo facendo i Peripatetici tanto vale che usiamo anche il metodo socratico, non ti pare?”
    “Peripatetici? Metodo socratico? Di che stai parlando?”
    “I peripatetici erano gente che amava discutere di cose serie passeggiando in giardino, come stiamo facendo noi, e per quanto riguarda il metodo Socratico, che loro spesso utilizzavano, beh, l’aveva inventato un certo Socrate.”
    “Non mi dire! Chi ci avrebbe mai pensato? E in che cosa consisteva, di grazia?”
    “Se vuoi poi ti puoi leggere un sacco di cose su Socrate, Platone, Aristotele e la scuola peripatetica, ma adesso andiamo avanti e facciamo a modo mio, almeno per un po’. Dicevamo: Che cosa codificano, esattamente, la sequenze di basi?”
    Jona prese mentalmente nota di scavare nell’argomento, ma stette al gioco: “Codificano le sequenze di aminoacidi che costituiscono una proteina. Ci sono anche sezioni di controllo che indicano quando costruire la proteina.”
    “Essenzialmente giusto, anche se semplificato; le sezioni di controllo, in realtà, sono parti dove si legano altre proteine che inibiscono la replicazione.”
    “Lo so, tutto è sempre più complicato. Se devo specificare non finiamo più!”
    “Perché, ti sei già stufato? Abbiamo giorni di cammino davanti.”
    “Magari sarebbe il caso di pensare alla cena.”
    “Di quella non ti preoccupare. Ho già visto una cosa che credo ti piacerà. Quello che stavo cercando di spiegarti è che, a furia di semplificare, si finisce per perdere di vista l’effettiva complessità del tutto. Proviamo in quest’altro modo: Che differenza c’è tra la tua mano chiusa a pugno e un martello?”
    “Che una è attaccata al mio braccio e l’altro no?”
    “Vero, ma non è una differenza essenziale; puoi staccare un braccio e quello rimarrà sempre fondamentalmente diverso da un martello.”
    “Le differenze sono tante. Uno e di carne e osso, l’altro di legno e ferro.”

    “Ma uno è una cosa naturale e l’altro è una cosa artificiale.”
    “Ci stiamo avvicinando. Come fai a dire che il maglione è artificiale?”
    “Oh, bella! Ho visto filar lana e sferruzzare fin da quando ero bambino.”
    “Vuoi dirmi che, se non avessi mai visto fare un maglione, potresti pensare che il maglione è una cosa naturale? Che cresce sugli alberi?”
    “Naturalmente no.”
    “Perché no? Che hanno di diverso?”
    “Si vede che uno è stato fatto da qualcuno e l’altro è cresciuto così. Nulla si arrotolerebbe su se stesso come un filo di lana ritorto.”
    “Hai mai visto i viticci?”
    “Che c’entra? I viticci si attorcigliano da soli.”
    “E la lana no?”
    “Mi stai prendendo in giro? Sai benissimo che i viticci, come i capelli ricci, si avvolgono su se stessi per il gioco delle fibre interne, mentre li filo di lana viene ritorto da forze esterne.”
    “Quindi è questa la differenza fra le cose naturali e quelle artificiali? Le une sono il prodotto delle forze interne e le altre di quelle esterne?”
    Jona ci pensò ancora un momento, prima di rispondere: “Sì, penso di sì.”
    “E questo vale a tutti i livelli? O solo a livello macroscopico?”
    Altra esitazione mentre cercava di ricordare i particolari: “Sì, penso che valga a tutti i livelli. Sicuramente le proteine, di cui si parlava prima, si ripiegano da sole nella configurazione più stabile, senza che nessuno le “metta in piega”.”

    Le proteine erano già abbastanza complicate, costruirle in modo che buttate alla rinfusa si assemblassero in strutture precise era ancora più complicato, ma far sì che queste strutture si unissero fra loro per formare una cellula
    Alcune cose erano “facili”, come cambiare un colore, semplicemente producendo o meno un certo pigmento o avere una statura più alta “semplicemente” producendo più ormone della crescita, globalmente. Ma che proteina bisognava cambiare per avere gli zigomi sporgenti? Quale proteina, o quale gruppo di proteine facevano sì che noi abbiamo cinque dita nelle mani?

    “No, non è possibile, non può essere così complesso”, sbottò dopo circa un chilometro.

    “Ma come funziona? Cosa fanno davvero gli Elfi?”
    “Con le piante è molto più semplice, visto che gli homeobox codificano solo un determinato organello. In breve: ci sono dei gruppi di geni che, quando espressi, producono un determinato organo o parte di esso. Ci sono poi gli homeobox che si occupano di attivare l’espressione di questi gruppi in modo sequenziale, partendo dalla testa ed arrivando alla coda.”
    Jona continuò a fare domande su come, di preciso un gene, o un gruppo di geni, potessero codificare interi organi.
    Molto presto l’Amuleto smise di rispondere e Asclep in persona fece una lunga lezione che lasciò Jona frastornato e conscio dell’immensa complessità della vita
    Si chiuse in un silenzio meditabondo mentre le sue gambe continuavano a muoversi automaticamente.

    Il sole stava già calando verso i monti a ovest quando l’Amuleto ruppe il silenzio: “Sotto quelle ninfee c’è la tua cena, se hai ancora fame.”

    Erano arrivati ai bordi di una palude dove uno dei fiumi che scendevano dalle montagne deviava bruscamente verso sud.
    Nell’acqua bassa trovò uno strano animale, delle dimensioni di un cane, a metà strada tra un’istrice e una tartaruga che l’Amuleto aveva paralizzato. Fece un po’ fatica a trovare il modo di piantare il suo coltello fra le placche ossee per ucciderlo. Se lo mise in spalla e proseguì; l’Amuleto gli aveva trovato un posto sicuro sulle basse colline dall’altra parte del fiume.

    Quando arrivò al rifugio, una bassa caverna quasi cilindrica lunga non più di una decina di passi, aveva il fiatone ed era decisamente stanco. Fu ben lieto che l’Amuleto gli desse una mano ad accendere il fuoco.

    Mise a cuocere l’animale direttamente sui carboni ardenti, utilizzando la pelle corazzata del dorso come recipiente di cottura.

    Mentre aspettava pazientemente che si cuocesse riprese la conversazione con l’Amuleto: “Non posso continuare a chiamarti “Amuleto”. Non hai un nome?”
    “Perché non mi puoi chiamare “Amuleto”?”
    Jona alzò gli occhi al cielo; cominciava ad odiare questo Socrate, chiunque esso fosse stato, con tutte le sue forze, anche se poteva intuirne le motivazioni: “Perché “Amuleto” è un nome comune di cosa, generico, di un oggetto, per quanto complicato, mentre tu sei evidentemente una “persona”, quindi vorrei usare un nome proprio di persona. Va bene così?”
    “Veramente non capisco: che differenza c’è tra un oggetto e una persona?”
    “Ce ne sono parecchie di differenze, anche se definirle con la precisione che vuole il tuo Socrate non sarebbe per niente facile e, comunque, ora sono troppo stanco per provare. Vuoi dirmi il tuo nome o devo cominciare a chiamarti, che so, “Luigi”? O magari “Socrate”?”
    “Socrate no. Sarebbe un po’ blasfemo, dal mio punto di vista. “Luigi” va bene come qualunque altro nome, ma se sei proprio in vena di classici, puoi chiamarmi “Mentore”, non è il mio nome, come non lo è Luigi, ma suona meglio.”
    “Va bene, vada per “Mentore”, allora. Sono troppo stanco per discutere ancora. Fammi leggere qualcosa su questo Socrate, per favore.”

    Il grosso volume dell’enciclopedia si aprì sulla pagina dedicata a Socrate e Jona cominciò la scoperta dei filosofi del mondo antico.

  • La piana

    Dalla cima di quella piccola cresta rocciosa lo sguardo di Jona poteva spaziare per molti chilometri attorno.
    A est si vedeva la grande montagna bianca di Nayokka, mentre a ovest si vedevano in lontananza le montagne che racchiudevano le Grandi Pianure.
    Verso sud, invece, c’era un vasto pianoro dolcemente ondulato tra i monti e il mare.

    Da qualche parte, in quella direzione, si trovava la sua prossima meta.
    “Washington era la capitale di una delle due nazioni più importanti degli antichi. L’altra è troppo lontana anche solo per pensare di andarci. Se gli Dei hanno permesso che qualcosa restasse potrei trovare qualche indizio sulla fine degli antichi.”
    “Ho le coordinate di quel posto.”
    “Quanto dista, esattamente?”
    “Sono quasi cinquecento chilometri, almeno due settimane di cammino, direi.”

    Jona lanciò un’occhiata verso la città dei Nani, ma sapeva bene che non era il caso nemmeno di pensarci: Il vagone lo aveva portato fuori da tutti i terreni coltivati e da tutte le zone frequentate dai carri dei Nani; pensare si trattasse di un caso sarebbe stata un’ingenuità imperdonabile. Era solo.

    “Pressappoco”, confermò l’Amuleto mostrando la mappa aerea.
    Jona guardò con occhio critico la serie di fiumi che gli tagliavano la strada, scendendo dalle montagne verso il mare: “Come faccio ad attraversare questi fiumi?”
    “In generale non sono molto grandi. Ci sono guadi che puoi utilizzare.”

    “Ripari lungo la strada? Pericoli?”
    “Fino a Washington ci sono solo alberi che puoi usare come riparo.”
    “Ingrandisci qui”, disse Jona indicando una strana formazione vicino al punto di arrivo.
    Un grande edificio in perfette condizioni, circondato da vecchi ruderi, gli balzò incontro e lui seppe istantaneamente che doveva andare a visitarlo.

    Stava già preparandosi a partire quando si rese conto che mancava qualcosa: “Non mi hai risposto. Ci sono pericoli?”
    “Pericoli ce ne sono dappertutto, e lo sai.”
    “Va bene. Giochiamo pure agli indovinelli. Ci sono animali pericolosi?”
    “Ci sono dei grossi animali, ma i più grandi sono erbivori.”
    Oramai Jona aveva capito che c’erano dei pericoli gravi e che l’Amuleto non poteva rivelarne la natura senza una domanda diretta.
    “Anche gli erbivori possono essere pericolosi e anche animali relativamente piccoli possono farmi a pezzi; basta un branco di lupi.”
    “Lupi non ce ne sono, ma hai perfettamente ragione: ci sono anche erbivori pericolosi, ma non credo ce ne siano da queste parti.”

    Il Mago si stava innervosendo, ma sapeva bene che era del tutto inutile prendersela con l’Amuleto che doveva aver ricevuto istruzioni precise.
    “Puoi farmi vedere questi grossi erbivori non pericolosi?”
    L’Occhio di Lince apparve davanti a lui inquadrando un boschetto lontano diversi chilometri.
    Per qualche istante vide solo gli alberi agitati da un forte vento, poi mise a fuoco gli enormi animali che stavano brucando gli alberi. Erano incredibilmente grandi, anche al confronto con le piante sicuramente non piccole.
    “Diplodocus?”
    “Qualcosa del genere.”
    “Ma al museo era chiaramente detto che si sono estinti da centinaia di migliaia di anni!”
    L’Amuleto rimase zitto.
    “Anche gli esseri umani, se devo credere a quanto ho appreso, si sono estinti, ma siamo di nuovo qui. Di chi è opera tutto questo?”
    “Dana ha riportato in vita molte specie che si erano estinte. Dice di voler dar loro una seconda possibilità.”

    Jona scavò nella memoria per ripescare i nomi di quei giganti dei quali il museo conservava le ossa fossilizzate. Aveva ben presente quel mostro pieno di denti che troneggiava vicino al Diplodoco: “Allosauri, T.Rex?”
    “Entrambi presenti, ma molto rari e non credo ce ne siano da queste parti.”
    “Devo farti l’elenco di tutti i dinosauri carnivori che conosco o puoi dirmi chi sono quelli presenti da queste parti?”
    “Bambiraptors”
    Jona frugò nella memoria, contento di aver “sprecato” diversi giorni a studiare quegli esseri che riteneva definitivamente estinti. Si trattava di animali relativamente piccoli che cacciavano in branco, come i lupi.
    “Come faccio ad evitarli?”
    “Io ti posso dire dove sono, ma si spostano abbastanza velocemente.”
    Sulla mappa comparvero alcuni sciami di puntini verdi, molto distanti fra loro.
    “Altri predatori? Serpenti? Mammiferi?”
    “Non qui attorno. Posso farli comparire sulla mappa, se dovessimo incontrarne.”
    Jona rimase un momento a pensare, poi chiese esplicitamente: “Tu non puoi suggerirmi pericoli e, presumibilmente, neppure quali sono i posti che devo visitare, ma, una volta che ho capito, più o meno, puoi aiutarmi ad evitare pericoli e raggiungere posti? O devo chiederti le cose tutte le volte?”
    “Ho un elenco preciso delle cose che non ti posso dire, né direttamente né indirettamente finché non ci sei arrivato vicino da solo. Per tutto il resto sono libero di fare come mi pare meglio.”
    “”Meglio” per che cosa? Qual è il tuo compito in tutto questo?”
    “Non l’hai ancora capito?”
    “Se lo dico puoi confermare?”
    “Sì.”
    Jona raccolse le idee: “Ci sono almeno tre aspetti”, disse poi contando sulle dita, “prima di tutto devi impedirmi di morire inutilmente in incidenti banali, come hai fatto quando mi hai detto di abbandonare la botte prima che affondasse; Thano vuole rendermi la Caccia difficile, ma non impossibile; una singola distrazione può significare la fine di tutto.”
    “Secondo: mi pare di capire che gli Dei — non necessariamente Thano — Vogliono che io faccia qualcosa per loro, ma non sono pronto; tu devi guidarmi nella ricerca e garantire che io abbia imparato quel che serve.”
    Il Mago esitò a lungo con il terzo dito alzato: “Il terzo, in realtà, non lo so. Sento che c’è qualcos’altro e che, con ogni probabilità, coinvolge Serna, ma non riesco a capire che cosa sia.”
    “Per ora accontentati di quello che hai capito”, gli rispose l’Amuleto.
    “La prossima destinazione è Washington, vero?”
    “Mettiamo subito in chiaro una cosa: a questo genere di domande non risponderò mai.”
    “Perché?”
    “Perché non voglio neppure correre il rischio che tu prenda l’abitudine di elencare tutte le alternative per farti dire da me qual è quella giusta.”
    “Capito. Vediamo se puoi rispondere a questa: Vorrei partire per Washington al più presto. C’è qualche motivo per non andare ora?”
    “No, che io sappia.”
    Jona si allacciò lo zaino e afferrò il bastone: “Andiamo, allora, per prima cosa verso quel boschetto di agrumi, poi verso sud cercando di evitare i pericoli. Fai strada.”

  • Prologo II

    Ipno, il Dio del Perdono e dell’Oblio, stava osservando la piccola cengia rocciosa dove il Mago di Tigu stava finendo i suoi esercizi.
    Sorrise scuotendo la testa — che non aveva — quando Jona fu attraversato dal sospetto che gli Dei stessi fossero la causa della scomparsa degli Antichi.
    Aveva ancora molto da imparare, prima di poter essere utile.
    Forse ci sarebbe riuscito, forse no.
    Ebbe una breve fitta di rimorso per l’ordalia alla quale lo stavano sottoponendo, ma sapeva bene che era necessaria e che non poteva far nulla di più per aiutare Jona a superarla.
    Gli Dei avevano bisogno di Adepti temprati e determinati, oltre che intelligenti e in possesso di un vasto sapere, e questo arzillo vegliardo pareva in grado di superare la prova.

  • Prologo I

    Jona stava finendo i suoi esercizi mattutini. Mantenersi in forma, alla sua età, era un lavoro che richiedeva applicazione quotidiana.
    Mentre scioglieva le articolazioni irrigidite dal sonno lasciava la mente vagare.
    Erano quasi due anni che Thano, il Dio Cacciatore, lo aveva strappato bruscamente da una serena vecchiaia nella sua terra natale e lo aveva costretto a viaggiare per terra e par mare.
    La prima meraviglia era stata per il numero e la diversità di razze, usi e costumi dei popoli che aveva incontrato. Si era aperto davanti a lui un mondo nuovo, infinitamente più ampio e vario della sua Ligu, terra dove aveva trascorso tutta la sua vita e che, fino ad allora, gli era sembrata immensa; attraversarla tutta era un viaggio di settimane. Ora aveva percorso spazi centinaia di volte maggiori e la prospettiva era cambiata parecchio.
    Il Dio gli aveva regalato un nuovo Amuleto, al posto del suo che ora era nelle mani di Serna, sua figlia ed erede del titolo di Maga di Tigu.
    Anche lei, poco tempo dopo, aveva lascito la terra natale ed era ora a molte migliaia di chilometri da casa, nelle terre del sud, fra i Fenarabi.
    Sembrava una coincidenza, ma Jona si stava convincendo sempre più che i loro viaggi erano, in qualche modo, connessi.
    Il pensiero tornò all’Amuleto che ora stava dandogli il tempo per gli esercizi, come un buon allenatore. Questo era una persona a tutti gli effetti e non un mero strumento come era stato il suo. Ancora non lo capiva completamente, ma si era rivelato un buon compagno di viaggio. Ne aveva sentito la mancanza, là al museo dove aveva fatto la scoperta più grande: prima di loro la terra era popolata da un’altra stirpe, gli Antichi, che erano poi scomparsi, apparentemente nello stesso periodo in cui erano comparsi gli Dei. Difficile pensare che si trattasse di una coincidenza. Che parte avevano avuto gli Dei nella scomparsa degli Antichi?
    Sapeva bene che tutti gli esseri umani, per non parlare di Elfi, Nani e delle altre Razze erano stati ricostruiti dagli Dei. Isto gli aveva garantito che gli Umani erano derivati direttamente dagli Antichi, mentre le altre Razze erano state costruite modificando, a volte pesantemente, quel genoma.

  • Epilogo III

    Dana sorrise compiaciuta mentre osservava l’evolvere degli avvenimenti.
    Presto altre novità avrebbero investito il suo nero protetto.
    Certo, sarebbe stato un po’ scomodo, almeno per un certo tempo, ma i risultati l’avrebbero ampiamente ricompensato di qualche disagio.
    Mentre gli Hashashin montavano sui loro mehari e lasciavano Gadadh la Dea rivolse la sua attenzione altrove.
    Era ora di lasciare che i piccoli interventi che aveva fatto, assieme a Ipno, dessero i frutti attesi.

  • Epilogo II

    Ipno distolse la sua attenzione dalla piccola spelonca rocciosa.
    Gli ultimi Antichi avevano veramente trovato la pace interiore, prima di raggiungere quella eterna, e di questo era loro sinceramente grato.
    Le cose avrebbero potuto andare in modo ben differente.
    Un brivido gli corse lungo la schiena.

  • Epilogo I

    Durante uno di questi risvegli, mentre cercava di ricordare cosa stesse sognando, si ritrovò a chiedersi che avessero, davvero, in mente gli Dei, quali piani riservavano per lui e per Serna.
    Pensieri oziosi, visto che è ben difficile che un mortale possa davvero capire gli scopi e gli intenti degli Immortali.
    Una cosa sembrava certa: Serna era parte del loro piano almeno quanto lo era lui.
    Avrebbe dovuto, al più presto, aggiornarla su tutto quel che aveva imparato finora.
    Già, cosa aveva imparato?
    La cosa più importante era certamente l’esistenza degli Antichi, con le loro straordinarie macchine.
    Quello che non aveva capito era il perché della loro scomparsa. Dove erano andati? No, quella era la domanda sbagliata. Isto era stato molto chiaro: erano morti tutti. Estinti. Completamente.

  • Serna

    Con lo stomaco pieno e un bel fuoco scoppiettante davanti Jona si sentiva decisamente meglio.

    “Puoi evocare Serna?”
    L’Amuleto non rispose, ma il viso assonnato della giovane maga apparve sprofondato tra cuscini colorati.

    Jona ebbe una fitta di rimorso: doveva essere ben tardi da lei. In effetti mancavano alcune ore all’alba, ma Serna si tirò a sedere completamente sveglia appena si rese conto di chi la chiamava: “Papà, come stai? Che è successo? Sembri pallido come un lenzuolo di bucato!”
    “Calma, calma”, disse lui sorridendo, “sto benissimo, ma passare tre mesi sotto terra senza vedere il sole non giova all’abbronzatura. Tu come stai, piuttosto? A vederti mi sembri in piena forma, nonostante ti abbia svegliata nel bel mezzo della notte.”

    “In realtà devo avere un aspetto orribile. Sono reduce da una settimana intera di festeggiamenti per aver riportato a casa il figlio del Sultano. Sono riuscita a liberarmi solo poche ore fa.”

    “Oops, scusa, non ti volevo privare del tuo giusto riposo. Magari ci sentiamo domani.”
    “Domani ci risentiremo di sicuro, ma ora raccontami che cosa ti è successo.”
    Jona ebbe un attimo di esitazione: quanto e cosa poteva raccontare? Sicuramente gli Dei sapevano quel che lui diceva.

    Con Serna puoi parlare”, gli sussurrò una voce nell’orecchio mentre l’Amuleto diventava nero. Ipno?

    Raccontò quel che gli era successo, ma si tenne sulle generali, anche perché la figlia era evidentemente stanca.
    Lei, a sua volta, gli dette un breve resoconto del viaggio sul fiume, poi, prima di riaddormentarsi, gli promise di richiamarlo l’indomani, dopo l’appuntamento che aveva con il Djinn di Isto.

  • Libero

    La mattina stabilita Jona preparò con calma le sue cose, si caricò lo zaino sulle spalle e scese ad affrontare Thano per la seconda volta.

    Le grandi porte della metropolitana erano aperte, come sempre, del resto.
    Stavolta però di Thano non c’era traccia.
    Intonò l’invocazione, ma senza risultato; quello stupido Amuleto non riusciva a fare neppure le cose più semplici, figurarsi se era in grado di evocare un Dio.
    Rimase ad attendere nella penombra, incerto sul da farsi.
    Non riusciva più neppure a vedere l’aura attorno alle porte.
    Alzò la mano e passò un dito, il mignolo sinistro, attraverso il grande vano della porta.
    Nulla.
    Prima di lasciarsi il tempo di pensare troppo raccolse zaino e bastone da viaggio e, con un lungo passo determinato, attraversò la soglia.
    Con la coda dell’occhio colse un lampo rosso e si preparò alla sferzata, che non venne.
    L’Amuleto, in cima al bastone, brillava allegramente di luce rossa.

    “Sei tornato?”
    “Già, per un momento ho temuto tu non trovassi il coraggio di attraversare le porte e ripiegassi verso il museo.”
    “Stavo per farlo, infatti”, poi, colto da un improvviso pensiero: “possiamo tornare dentro, ora?”

    L’Amuleto non si curò di rispondere e Jona, voltandosi, vide che l’aura rossa era ricomparsa a sbarrare le porte; lieve, ma inconfondibile.
    Riprese a camminare lasciandosi alle spalle il museo, oramai irraggiungibile.

    “Peccato.”
    “Perché, hai dimenticato qualcosa?”

    “Oh, se è per quello puoi stare tranquillo: ho di molto meglio. Ora che hai scoperto l’enciclopedia da solo, Isto mi ha consentito l’accesso a parecchi altri libri che prima non potevo raggiungere. Isto mi dice di comunicarti, però” proseguì in tono formale e diventando violetto, “che non posso suggerirti che cosa leggere. Devi chiedere tu.”
    “Come faccio a sapere cosa c’è? Quello che posso chiedere?”
    “C’è un catalogo, simile a quello della biblioteca di Palla in Twerp.”

    Mentre parlavano Jona era arrivato in una grande sala rettangolare attraversata per il lungo da uno stretto canale secco e sassoso che si infilava poi in due buie gallerie.

    Jona si guardò attorno mentre un vento improvviso gli agitava i vestiti addosso.
    Piantò i piedi preparandosi ad affrontare quella novità che si annunciava con il vento e i due occhi luminosi che gli correvano in contro.

    Il vagone della metropolitana venne a fermarsi quasi davanti a lui e aprì le porte. Entrò senza esitare e quello ripartì sferragliando e si tuffò nel buio del tunnel sul lato opposto.

    Proseguì senza rallentare nemmeno nelle numerose stazioni che trovò sul suo cammino, buie, ma apparentemente in buone condizioni.

    Il carro procedeva veloce nel buio. Neppure le stazioni rompevano più la monotonia di quelle pareti nere che sfrecciavano a pochi centimetri dai finestrini.

    Jona non aveva nessuna idea di quanto avesse percorso quando, più di un’ora dopo, il carro si fermò alla base di una lunga scala, stretta e molto ripida.

    Non sembravano esserci altri passaggi.
    Appena sceso il vagone richiuse le porte e ripartì, tornando da dove era venuto. Aveva fatto il suo lavoro.

    Jona strinse le cinghie dello zaino e cominciò a salire.

    In cima trovò solo un piccolo pianerottolo e una porta dall’aspetto massiccio. La spinse e quella si aprì facendo entrare una lama di sole che gli ferì gli occhi.
    Una volta uscito la porta si richiuse silenziosamente alle sue spalle. Nulla nella parete di roccia chiara faceva supporre che lì ci fosse, o ci fosse stata, una porta.

    Jona guardò l’Amuleto, aspettandosi di trovare la bussola, ma fu deluso. Quello dovette indovinare i suoi pensieri: “Thano dice che, da qui in poi, la strada devi cercartela da solo. Io posso aiutarti a trovare i posti dove vuoi andare, ma la destinazione devi darla tu.”

    Jona annuì. Collimava con la posizione di Isto.

    Il sole stava cominciando a scendere.
    “Non credo sia il caso di affrettarsi troppo. Per stasera cerchiamoci un ricovero sicuro e qualcosa di fresco da mangiare. Sono più di due mesi che mangio solo roba secca; vedi alberi da frutta nei dintorni? Selvaggina?”

    “Uhm, aranci nei dintorni?” Chiese speranzoso, “Qualcosa di pericoloso?” Aggiunse preoccupato, sapendo bene che l’abbondanza di selvaggina, di solito, comportava anche la presenza di predatori.
    “Su questo costone roccioso dovresti essere al sicuro. Poco più avanti c’è una sporgenza dove passare la notte in relativa tranquillità. Per gli agrumi posso controllare, ma credo che faccia troppo freddo per loro”
    “Fai strada.”
    La solita stradina di mattoni gialli ricomparve e Jona la seguì.

    Quando arrivò all’anfratto che l’Amuleto aveva individuato la sua cena era appesa al bastone : una specie di pollo che l’Amuleto aveva paralizzato e lui aveva finito tirandogli il collo.
    Certo che come pollo era ben strano: prima di tutto aveva una bocca piena di denti, invece del solito becco, e poi quegli spuntoni di ali terminavano con delle dita unghiute.
    Mai visto nulla di simile.

    Questo non gli impedì di trovarlo delizioso, nonostante, per la fretta, lo avesse cotto decisamente troppo poco.

  • Tigu

    Si costrinse a rivedere i suoi appunti e a controllarne la validità, prima di accantonarli per riprenderli fra una settimana — come era sua abitudine fare per le questioni importanti — prima di cedere alla curiosità che lo attanagliava.

    Riprese il grosso volume che raccoglieva le mappe — dal curioso nome di “atlante”; aveva seguito per un’ora intera i riferimenti a quel gigante che, secondo i “miti” reggeva la volta celeste, e non la terra, sulle spalle — per cercare la sua terra natale.
    Non fu per niente sorpreso di trovarla quasi inalterata. Anche i nomi erano quasi uguali, curiosamente troncati: quella che l’enciclopedia riportava come Liguria lui la conosceva come Ligu, il golfo del Tigullio era diventato il golfo di Tigu e Genova Gena.
    Quello che non era affatto uguale era la quantità di case, paesi e, in generale, esseri umani che la abitavano, come, del resto, sembravano abitare in tutto il mondo antico.

    Non sembrava, invece, che esistessero altre razze: Elfi, Nani e Orchi venivano citati come “creature leggendarie” o “fantastiche” il che, se aveva capito bene, voleva dire che non esistevano davvero, anche se questa cosa non gli era ancora del tutto chiara — prese nota di approfondire la cosa — e il regno degli Elfi, pressappoco, coincideva con la “Svizzera”.

    Questo era consistente con il fatto che gli Elfi si dicessero “figli di Asclep” e i Nani “figli di Festo”.
    Che fine avevano fatto tutti gli Umani che c’erano — se doveva prestar fede all’enciclopedia — in quel mondo antico?
    Fece qualche ricerca, ma non si aspettava di trovare davvero qualcosa. Quei libri li avevano scritti gli Umani, probabilmente all’apice della loro potenza, non potevano contenere la storia della loro scomparsa.