Author: mcon

  • I Nani

    Quando Jona arrivò all’accampamento le luci erano state spente, sostituite da alti fuochi all’esterno del cerchio dei carri e una nutrita schiera di marinai montava la guardia mentre gli altri si occupavano dei feriti.

    “Il Capo, qui, mi dice che dobbiamo a te la nostra vita. Grazie.” Disse senza fronzoli quello che, a giudicare dalla raffinatezza della corazza e delle armi pareva essere il comandante dei Nani.

    “Ero solo curioso di sapere perché tardavate tanto”, si schermì Jona, “poi, quando abbiamo visto la situazione Troomsin ha organizzato i soccorsi.”

    Troomsin scoppiò in una fragorosa risata: “Così tu non hai fatto nulla, vero? Nemmeno ora? Quei briganti mi cascavano davanti come ragazzine innamorate solo per i miei begli occhi azzurri, vero? Mavalà!”

    “Diciamo che non mi sono mai piaciuti gli attacchi sleali e i combattimenti impari, quindi ho cercato di equilibrare le sorti. Comunque: non sarebbe meglio avvertire la nave di tenersi pronti ad un possibile attacco? Quei briganti erano tanti e potrebbero tentare sorprese spiacevoli.” Stava per aggiungere qualcos’altro, ma incontrò gli occhi del capo dei Nani e tacque.
    “Puoi mandare un messaggio alla nave?” Chiese Troomsin.
    “Certo, da questa distanza credo di poterti anche far sentire la risposta.”
    La faccenda fu sbrigata rapidamente e la nave riprese il largo, al sicuro da eventuali attacchi. Sarebbe ritornata all’alba.

    Troomsin si allontanò per organizzare i turni di guardia mentre Jona cominciava a sentire gli effetti della caduta della tensione nervosa che lo aveva sorretto fino ad allora. Sentiva la testa leggera e una gran stanchezza. Si avvolse nel suo mantello e si accomodò vicino al fuoco. Sospirò: ancora non era tempo di riposare. Sentiva addosso gli occhi scrutatori di quel Nano che lo aveva ringraziato poco prima.

    Pochi minuti dopo, infatti, il Nano si sedette a gambe incrociate davanti a lui, togliendosi l’elmo che aveva coperto buona parte della sua faccia.
    “Io sono Burlock di Nayokka, delegato a trattare gli affari dei Nani al Mercato”, disse congiungendo i pugni in quello che Jona interpretò come un saluto. Stava parlando la lingua dei Viknuit con un forte accento che Jona non ebbe difficoltà a seguire.
    “Io sono Jona di Tigu. Onorato di fare la tua conoscenza, Burlock”, rispose il Mago cercando di imitare il gesto.

    Si squadrarono per un lungo istante.
    Burlock era alto poco più di un metro e venti che, per un Nano era un’altezza ragguardevole, aveva membra possenti e muscolose, i lineamenti grossi, ma non sgraziati, incorniciati da capelli rossicci raccolti in due grosse trecce e da una lunga barba che non doveva aver mai provato il brivido del rasoio.
    Come aveva già notato i Nani, pur di bassa statura, non avevano nessuna delle deformità che angustiavano i nani Umani: le gambe erano dritte e non sproporzionatamente corte, la testa grande, ma proporzionata al collo taurino che la sorreggeva.
    Le mani erano grandi e callose, probabilmente dotate di una stretta micidiale.

    Il Nano, terminato l’esame di Jona, venne subito al dunque con l’immediatezza che era una delle caratteristiche della sua razza: “Che cosa ci fa un Mago fra i Viknuit, Jona di Tigu?”
    A un gesto l’Amuleto si accese di luce rossa: “Non sono più un vero Mago. Thano mi impone di vagabondare in cerca di non so nemmeno io cosa”, gli rispose Jona con un velo di stanchezza nella voce.
    Burlock non batté ciglio mentre esaminava con interesse l’Amuleto: “Che cos’è quella cosa?” Chiese dopo qualche istante.

    Jona rimase sorpreso; possibile che non avesse mai visto un Amuleto? Abbassò anche lui lo sguardo e capì a che cosa si riferisse il Nano: La Bussola era ricomparsa.
    “Ecco. Appunto. Appena penso di potermi fermare un po’ in un posto quel maledetto affare ricompare e sono costretto a ripartire. Seriamente: quella è la mia Bussola. Thano mi indica la strada da seguire in questo modo. Ora devo riprendere la via del sud, a occhio e croce.”

    Il Nano esaminò la bussola con attenzione, poi tirò fuori dalla tasca uno strano congegno complicato e confrontò la direzione, alla fine guardò Jona dritto negli occhi e sentenziò: “Sembra che faremo un po’ di strada assieme, Jona di Tigu. La tua bussola punta dritta verso Nayokka. Spero, per te e per noi, che Thano non abbia intenzione di fare qualcuno dei suoi strani scherzi”, poi a bruciapelo: “Pensi che c’entri qualcosa con questo attacco?”
    “Non lo so. Non credo, e comunque non ne so nulla”, rispose Jona sostenendo senza difficoltà lo sguardo indagatore di Burlock, “ma un attacco di Thano non sarebbe finito così rapidamente, credo.”

    Jona alzò le spalle:
    “Quelli non erano trappers. Vestivano come trappers, ma non lo erano.” La faccia del Nano era scura e preoccupata. Jona attese che si spiegasse.

  • Salvataggio

    Le prime luci del giorno trovarono la piccola nave con le ali ancora alzate che filava leggera col vento in poppa che la spingeva. I suoi occupanti non avevano le mani in mano, ma aiutavano la brezza con le vogate regolari di chi sa di avere davanti molta strada da percorrere.

    Il Gran Mercato era alle loro spalle e non si vedevano vele all’orizzonte.

    Jona e Troomsin, sotto coperta, seguivano i loro progressi e cercavano di capire meglio quale fosse la reale situazione dei Nani.

    La nave era stracarica dei migliori guerrieri del villaggio che si alternavano alla voga e, nel tempo libero, affilavano le loro armi. I Viknuit erano dediti essenzialmente alla pesca e, dove possibile, alla pastorizia, ma non disdegnavano incursioni cruente contro villaggi rivali o, più raramente, anche altre popolazioni.

    Troomsin aveva lasciato intendere che si trattava proprio di una scorreria contro un villaggio rivale dell’ultimo momento, prima della tregua universale imposta dall’apertura del Gran Mercato.

    La posta in gioco, invece, era assai più alta: non solo assicurarsi la presenza dei Nani al Mercato, che, da sola, avrebbe giustificato l’impresa, ma anche ritrovarsi un credito di gratitudine da parte di quella potente nazione.

    I Nani erano tutti in piedi, oramai, e montavano la guardia mentre i fuochi, fuori dal cerchio dei carri si stavano spegnendo.
    Era evidente che erano minacciati da qualcosa o qualcuno, ma non si vedeva traccia degli assalitori.

    Erano lontani più di cento miglia e, anche con il vento favorevole, non sarebbero arrivati prima di sera.

    Il primo attacco arrivò all’improvviso a metà mattinata.
    Jona vide una certa agitazione e alcuni Nani che cadevano per terra, subito soccorsi.
    Erano ancora troppo lontani e i Nani sembravano delle grosse formiche sul tavolo.
    “Frecce”, disse Troomsin con voce cupa, “Chiunque sia si tiene fuori vista. Non dureranno molto.”

    I Nani, intanto, stavano rispondendo con le loro pesanti balestre, ma presto smisero di sprecar quadrelli. Gli assalitori si tenevano ben nascosti fra gli alberi che circondavano la collinetta e mandavano i loro messaggeri di morte.

    Era da poco passato mezzogiorno quando venne il primo vero attacco.
    Preceduti da un nugolo di frecce — che ora si intravedevano — una cinquantina di uomini vestiti di pelli si lanciarono su per la collina sperando di cogliere di sorpresa i Nani.
    Questi evidentemente si aspettavano questa tattica perché rimasero acquattati al riparo dei carri finché la salva di frecce non fu esaurita e poi balzarono ad affrontare gli aggressori brandendo pesanti asce.

    La colluttazione fu breve e violenta.
    L’attacco respinto, ma cinque Nani furono riportati sui carri dai loro compagni.

    Anche gli assalitori avevano subito forti perdite — almeno una decina non avrebbero partecipato ad altri attacchi a giudizio di Troomsin che di queste cose pareva intendersene — ma i Nani in grado di combattere erano sempre meno.

    Troomsin ordinò di accelerare al massimo, ma il vento non era più così favorevole come al mattino. Il comandante Viknuit si aggirava come una belva in gabbia, non poteva far altro che incitare i rematori e aspettare.

    Il secondo attacco venne mentre il sole stava scendendo verso le basse colline.
    Stavolta erano abbastanza vicini da vedere tutto; il cerchio dei carri riempiva il tavolo e i Nani erano alti un palmo.

    Jona li osservò con curiosità, non avendoli mai visti prima. Erano robusti, con le gambe muscolose e troppo corte, ma erano molto più proporzionati dei nani “veri”, come si trovò a pensare il Mago, alludendo agli Umani affetti da nanismo, e sembravano dotati di una notevole forza, almeno a giudicare dalla facilità con cui facevano roteare quelle asce che non dovevano essere leggere.

    Erano alti molto meno degli assalitori. Era difficile giudicare, ma, assumendo che gli altri fossero tra un metro e settanta e un metro e ottanta i Nani non dovevano superare il metro e venti, ma la statura non li rendeva meno agili.

    Anche il secondo assalto venne respinto, ma oramai non rimanevano che una ventina di Nani in piedi. Le loro facce erano determinate, ma si vedeva che si facevano poche illusioni.

    “Da questa distanza posso provare a mandare un messaggio”, comunicò l’Amuleto.
    “Apri subito il contatto!”
    “No, non mi sono spiegato: non c’è niente dall’altra parte con cui collegarmi. Se mi porti fuori, magari in cima all’albero, posso cercare di inviare un messaggio sonoro. Il meglio che posso fare da questa distanza è far arrivare poche parole su tutto il pianoro. Sentiranno come se avesse parlato il vento. Sarà già abbastanza difficile evitare che sentano anche i predoni.”

    Jona lanciò un’occhiata interrogativa a Troomsin che, prima di rispondere, volle vedere la loro posizione sulla carta, fece un rapido calcolo mentale e poi disse con aria decisa: “Digli che resistano e che gli aiuti arriveranno non prima del tramonto e non dopo mezzanotte. Vieni, Mago. Porta il tuo Amuleto in cima all’albero e diamo una buona notizia a quei disperati!”

    Jona uscì dalla cabina per la prima volta e sbatté le palpebre alla luce del sole oramai basso ad ovest. La costa era vicina e si intravedeva anche il collinotto su cui erano i Nani, a un paio di chilometri dalla spiaggia sassosa.

    L’Amuleto venne issato sull’albero e, da lì, emise un lungo ululato sgraziato.
    Avevano fatto a tempo a recuperarlo e a tornare nella cabina prima che il suono arrivasse ai Nani, che si bloccarono guardandosi l’un l’altro increduli.
    Le loro espressioni si fecero ancora più determinate di prima.

    Troomsin aveva fatto ammainare le vele e oramai la nave viaggiava solo spinta dai remi.
    Era quasi notte piena e la nave puntava dritta verso sponda ghiaiosa con la massima velocità possibile.
    Troomsin era a prua e scrutava nella scarsa luce residua, restio a fidarsi solo delle mappe del Mago, che, dal canto suo stava vicino al timoniere per mostrargli il punto scelto per l’approdo.

    “Su i remi!” gridò all’improvviso Troomsin.
    Un istante dopo la chiglia toccava il fondo e risaliva d’impeto sulla spiaggia.
    Mentre i rematori sfiniti tiravano il fiato prima di accertarsi che la nave fosse saldamente sulla riva i guerrieri si stavano riversando sulla spiaggia come una fiumana di lupi in caccia.

    Jona fu uno dei primi a scendere, secondo il piano concordato e si diresse al piccolo trotto assieme al capo Viknuit e a un gruppo di nerboruti guerrieri direttamente verso il collinotto dov’erano asserragliati i Nani, mentre altri due gruppi seguivano le tracce luminose dell’Amuleto che li guidavano sui lati per l’accerchiamento.

    Pochi minuti dopo il piano, ben congegnato, cadde a pezzi.
    Gli assalitori decisero di sferrare l’attacco definitivo ai Nani e cominciarono a riversarsi su in massa per la collina.

    Jona consultò preoccupato l’Amuleto che gli confermò quanto aveva già sospettato: gli assalitori erano più numerosi del previsto. Erano più numerosi dei Viknuit e non avrebbero tardato ad aver ragione della resistenza dei Nani.

    Questi, appena si accorsero dell’assalto, accesero delle potenti lampade che illuminarono a giorno la collina accecando gli assalitori e rallentandoli quanto bastava.

    Jona, Troomsin e il loro manipolo erano ai piedi della collina.
    Dovevano guadagnare i pochi minuti necessari alle ali per arrivare sui lati.

    “Tu resta qui”, sibilò Troomsin nell’orecchio del Mago, “e dì agli altri di sbrigarsi!”
    Con un urlo belluino si slanciò su per la collina seguito dai suoi guerrieri.

    Le file degli assalitori ondeggiarono indecise, poi, vedendo che si trattava di uno sparuto gruppo una frangia si staccò per bloccarli e, probabilmente, ci sarebbe anche riuscita, essendo più numerosa degli uomini di Troomsin, ma Jona, senza apparire, cominciò a lavorare per pareggiare i conti.

    L’Amuleto non poteva gestire tutte quelle persone contemporaneamente, ma paralizzando per un solo istante la gamba di un guerriero in corsa si possono ottenere risultati spettacolari e bloccare il controllo di un braccio poteva trasformare un fendente mortale in una morbida carezza.

    Nessuno dei combattenti si accorse di che cosa stesse veramente succedendo, ma il manipolo comandato da Troomsin tagliò le linee nemiche come un coltello caldo affonda nel burro, non solo si lasciarono alle spalle morti e feriti, ma anche nemici convinti di aver di fronte dei semidei.

    Nel momento in cui il drappello raggiunse le linee dei Nani, salutato da urla di gioia, anche le due ali si lanciarono su per la collina urlando come ossessi.

    Per un momento gli assalitori ressero l’impatto, poi si udì un fischio lacerante provenire dal buio oltre il cerchio di luce proiettato dai carri e l’attacco si sciolse come non fosse mai avvenuto.
    Sul terreno rimase qualche arma, molte orme, ma nessun corpo degli assalitori. Nella ritirata avevano trovato modo di portarsi via i loro caduti.

  • Si parte

    La piccola nave ondeggiò sotto i passi leggeri di molti piedi.
    Anche fuori della cabina il buio regnava sovrano e, indovinò, più che vederla la testa di Troomsin che si affacciava dalla porta per chiedere: “Cambiamenti?”
    “No. Hanno fatto un cambio della guardia.”
    “Quanti?”
    “Dodici.”
    Troomsin fece un fischio. “Non ci sono dubbi. Hanno guai seri. Speriamo solo che non siano tanto seri da essere finiti prima che facciamo a tempo ad arrivare.”
    La testa scomparve e si sentirono ordini sussurrati, poi i remi cominciarono a spingere sull’acqua.

  • Il Mercato

    Il Gran Mercato apriva ufficialmente i battenti all’equinozio di autunno e rimaneva aperto per un mese; mancavano ancora una quarantina di giorni, ma non erano certo troppi. L’attività per preparare la merce, finire l’essiccazione — cosa che in mare aperto non riesce facile — impacchettare, immagazzinare e preparare le strategie commerciali non lasciava molto tempo libero, ma, come ripeteva spesso Troomsin, avrebbero avuto tempo per riposarsi nei lunghi mesi invernali.

    I Viknuit facevano la parte dei padroni di casa e ogni villaggio aveva la sua bottega alla piazza del mercato. Si trattava di solide case di tronchi che formavano un grande cerchio oramai quasi ininterrotto. Avevano la porta verso l’interno della piazza e non avevano altre aperture. Jona ne chiese il motivo e il suo amico timoniere gli spiegò che la quantità di merci che circolava al Gran Mercato attirava fin troppi ladri, meglio non rendere loro la vita troppo facile.
    Un paio di settimane prima dell’equinozio cominciarono ad arrivare le carovane degli “ospiti” che si stabilirono, con le loro pesanti tende, nell’ampio cerchio della piazza.

    Dapprima il Mago si era trovato a fare lavori generici, compresi molti turni di guardia alle mercanzie, ma presto Troomsin aveva notato la sua abilità nel trattare — in parte dovuta all’Amuleto che sembrava sempre sapere quando il suo interlocutore stava mentendo — e aveva cominciato a volerlo come accompagnatore stabile nei suoi giri di affari.

    Ufficialmente nessuno poteva vendere o comprare nulla prima dell’apertura del Mercato, ma le settimane che la precedevano furono piene di incontri, inviti a cena a base dei prodotti che sarebbero poi stati venduti, lunghe chiacchierate che, inevitabilmente, finivano per gettare le basi per futuri accordi.

    La varietà di prodotti era impressionante e andavano dai cibi conservati, come il pesce dei Viknuit e la frutta essiccata degli abitanti delle lontane pianure, alle pelli e pellicce di innumerevoli animali da pelo, pelle, squame e piuma di cui Jona non era riuscito a riconoscere che un’infima frazione, passando per stoffe, tessuti e tappeti che venivano dal caldo sud.

    Con l’appressarsi della data di apertura la piazza diventava sempre più affollata, e la zona che rimaneva libera, proprio vicino al centro, diventava sempre più vistosa.

    Molti la guardavano preoccupati senza osare occuparla: dov’erano i Nani di Nayokka?
    Non erano mai mancati e i loro meravigliosi meccanismi erano una parte della ragione che portava popoli così diversi al mercato; in fondo frutta, pesce o pellicce si potevano trovare, più o meno buone, un po’ dappertutto, ma gli orologi o i cannocchiali dei Nani sapevano farli solo loro.

    D’altro canto i Nani, che vivevano prevalentemente nelle loro caverne e avevano scarsa propensione per pesca e agricoltura, compravano volentieri le vettovaglie conservate per variare la loro dieta composta quasi esclusivamente di carne, latticini e uova.

    Troomsin era molto preoccupato, non solo i suoi migliori clienti erano i Nani, ma aveva sperato di riuscire a comprare un paio di cosette, quest’anno, che gli anni precedenti, per un motivo o per l’altro, non era riuscito ad accaparrarsi.

    Mancava solo una settimana al Giorno del Mercato e Troomsin stava passeggiando avanti e indietro davanti alla porta della casa: “Ma dove diavolo sono finiti, dannazione! Non sono mai mancati da quando il Mercato è il Mercato!”

    Jona sapeva bene che aveva ragione e che, con ogni probabilità, se i Nani avevano trovato altri modi o altri posti dove approvvigionarsi questo sarebbe stato un brutto colpo per il prestigio del Gran Mercato stesso e per tutti i Viknuit che da esso dipendevano. Prese una decisione.

    “Troom, posso parlarti?”
    “Lo stai già facendo!” Rispose quello, evidentemente di pessimo umore, ma poi, vedendo l’aria seria di Jona e il suo Amuleto che, in cima al bastone da viaggio, splendeva di riflessi gialli e rossi si fece immediatamente attento, il magone era dimenticato, almeno per il momento.

    Jona annuì tra sé e sé: Troomsin era un buon comandante; era tutt’altro che riflessivo, ma non si lasciava dominare dai suoi impulsi.
    “Vieni, andiamo alle barche.”
    Il capoflottiglia non fece commenti e i due si recarono verso la spiaggia, si fermarono un attimo al fuoco che scaldava coloro che stavano sorvegliando la nave ammiraglia e finalmente attraversarono le passerelle fino alla piccola nave con le ali, l’ultima, lontana da orecchie indiscrete.
    “Allora?” chiese Troomsin, con il tono di chi vuol dire, in realtà: “Sarà meglio che tu non mi abbia fatto fare questa passeggiata per niente.”

    Jona appoggiò l’Amuleto sul tavolo consumato dall’uso che occupava tutta la parte centrale della piccola cabina.
    “Pensavo che potremmo approfittare di questa notte per cercare di trovare i Nani, ma non sono sicuro che sia la cosa giusta da fare.”
    “Di notte, e in una notte senza luna, per di più?”
    “Ma piena di stelle. Se sono qua attorno devono aver acceso un bel fuoco e quello si dovrebbe vedere da parecchio lontano.”

    Troomsin stava per dire qualcosa, ma Jona spense la lampada mentre sussurrava due parole. Nel buio pesto il villaggio apparve sul tavolo con la collina dove si apriva la Piazza del Mercato che scintillava alla luce di cento fuochi.
    Il Viknuit rimase senza fiato, incapace di parlare mentre il Mago faceva rimpicciolire l’immagine fino a ridurla a una manciata di vivide luci.

    “Da che parte dovrebbero venire?”
    “Da sud”, disse Troomsin mentre lottava per orientarsi in quella strana mappa troppo precisa e senza le indicazioni importanti, “Da lì, credo”, aggiunse poi indicando verso l’altra sponda del braccio di mare su cui si affacciava il Gran Mercato.
    “Vengono per nave?” Chiese Jona.
    “No, no, vengono su piccoli carri trainati dai loro muli. In realtà i carri gli servono più per riportarsi a casa quel che comprano che per trasportare qui i loro gioiellini che sono quasi sempre molto piccoli, anche se, a volte, un po’ pesanti.”

    Jona fece apparire l’immagine diurna e studiò attentamente la mappa.
    “Allora è probabile che attraversino da queste parti”, disse indicando il punto dove il braccio di mare si restringeva fino a diventare fiume, “e poi risalgano la costa, più o meno qui.”

    Il suo dito disegnò una striscia rossa sulla mappa.
    Troomsin si curvò sul tavolo e lo esaminò a lungo, poi si raddrizzò: “Potrebbe essere, ma che facciamo, ora?”
    “Cerchiamo i fuochi e, prima o poi troveremo anche i Nani, se ci sono.”
    La cabina ripiombò nel buio rischiarato solo dai fuochi del Gran Mercato.
    Jona attese qualche minuto perché i loro occhi si abituassero e ordinò all’Amuleto di far scorrere la mappa seguendo la traccia.
    Non appena il Mercato uscì dalla mappa il buio si fece ancor più solido, mentre la pista rossa diventava quasi evanescente.
    Nelle tenebre cominciarono ad apparire le piccole scintille, molto lontane fra loro.

    Cominciarono a esaminarle con rapidi tuffi che li portarono nei bivacchi di trapper, individuarono una piccola carovana di ritardatari evidentemente diretti al Mercato, pochi attendamenti molto distanziati e poi, finalmente, la carovana dei Nani.

    “Sono molto in ritardo”, borbottò Troomsin,
    “Forse non arriveranno affatto”, gli fece eco Jona con una voce tesa e preoccupata che colse il Viknuit di sorpresa.
    “Amuleto, avvicinaci ancora!”
    “Spiacente, a questa distanza questo è il meglio che posso fare.”

    Jona indicò i sei carri disposti a cerchio. All’esterno del cerchio brillavano nella notte parecchi fuochi, mentre all’interno era buio e in quel buio si vedevano le sagome dei Nani di guardia; decisamente troppi. Non si vedeva traccia dei muli che dovevano trainare i carri. Anche il punto dove si erano fermati era strano: un pianoro su un’alta collina dai bordi scoscesi.

    “Hai ragione”, confermò Troomsin, “non vedo nulla attorno, ma si direbbe che si stiano difendendo da qualcosa o da qualcuno. Che fine hanno fatto i muli? Senza di quelli, anche se si liberano dagli assalitori non arriveranno mai qui.”
    “Dovremmo organizzare una spedizione di soccorso”, suggerì Jona accennando a muoversi verso la porta.
    “Tu resta qui”, disse Troomsin con un tono che non ammetteva replica, “Tieni d’occhio la situazione. Tornerò presto”, e uscì dalla cabina senza guardarsi indietro.

  • Arrivo

    Procedevano verso sud, costeggiando la Terra dei Ghiacci, blocchi e montagne di ghiaccio diventavano sempre meno numerose mentre loro si avvicinarono sempre più all’alta costa che alternava speroni rocciosi a distese di ghiaccio che scendevano fino al mare, poi anche questa costa finì e venne lasciata indietro, mentre le cinque navi procedevano veloci a favore di vento verso sud-ovest.

    Il tempo peggiorò vistosamente e furono salutati da piogge e temporali quasi quotidianamente, poi dopo un altro paio di settimane di mare aperto si infilarono in uno stretto che arrivò ad essere largo solo una decina di miglia.

    Oramai le stive erano piene e la pesca finì.
    Anche la scorta di acqua potabile era oramai scarsa, ma non importava: la Grande Migrazione volgeva al termine.

    Sul mare cominciavano a vedersi altre flottiglie dirette al Gran Mercato.

    Il timoniere spiegò a Jona che loro erano sempre tra gli ultimi ad arrivare perché erano una delle colonie più lontane e, visto che la migrazione cominciava per tutti nello stesso giorno, loro dovevano accontentarsi.

    Proseguirono ancora seguendo la costa alla loro destra anche quando lo stretto si allargò e le terre a sinistra scomparvero alle loro spalle.

    Intorno a loro si cominciavano a vedere barche da pesca normali, più piccole delle navi, fino a che, a metà agosto, dopo quasi due mesi di navigazione arrivarono nella baia del Gran Mercato.

    Jona non aveva mai visto tante navi tutte insieme. La grande rada semicircolare era completamente piena di navi alla fonda e le rive sabbiose erano coperte da un tappeto di navi arenate. Dopotutto, si disse il Mago, circa un quinto dell’intera popolazione Viknuit era presente lì in quel momento, Aveva già visto città che avevano più persone, la stessa Door aveva certamente più abitanti dei circa centocinquantamila Viknuit che affollavano il Gran Mercato, ma vedere quelle due o tremila navi alla fonda faceva una certa impressione.

    La piccola flotta sfilò a ranghi compatti dietro la nave di Troomsin, salutata da urla di benvenuto, e andò ad occupare il suo posto, vicino ad una delle estremità del porto naturale, ben lontano dagli edifici centrali che si vedevano chiaramente su una collina davanti a loro.

    Le ali della piccola nave di Jona, ora sollevate per evitare di romperle sui bassi fondali, destarono molta curiosità e ancor maggiore ilarità.

    Troomsin poteva contare solo su un posto per una nave, sulla spiaggia. Le altre sarebbero rimaste alla fonda.
    Pilotò la sua nave decisamente sulla spiaggia dove si arenò solidamente nel solco lasciato dalle sue consorelle.
    L’equipaggio balzò a terra e mise in azione un paio degli argani sparsi per tutta la spiaggia facendo avanzare la nave fino a che non fu quasi completamente all’asciutto.
    Le altre navi si accostarono alla poppa rimasta sul bagnasciuga e si ancorarono a quella.
    Passerelle di legno completarono l’opera e l’intera flottiglia era diventata un grosso pontone sporgente dalla spiaggia.

    Troomsin e pochi altri andarono a prendere possesso delle case lasciate alcuni mesi prima dalla precedente Migrazione.

  • Nebbia

    Una notte Jona fu svegliato dal suono di una campana.
    “Che succede?”, chiese al pilota.
    Altro rintocco.
    “Nebbia”, fu la laconica risposta, ma la voce preoccupata e tesa non lasciava dubbi.
    Ding!
    “Occhio dal Cielo”, ordinò Jona all’amuleto.
    L’Occhio apparve mostrandogli la posizione nella notte, ma era in versione ridotta, disegnato sulla superficie dell’Amuleto stesso, quasi non volesse farlo vedere ai Vinuit.
    Ding!
    “Perché non vuoi farlo vedere?”
    “Hanno i loro metodi. Meglio lasciarli fare, almeno per ora.”

    Dalla nave ammiraglia, della quale si vedeva solo il puntino luminoso della lanterna sfuocato dalla nebbia si sentì levare una cantilena.
    Ding!

    Ding!
    Jona continuò a seguire la loro rotta nel silenzio teso che regnava a bordo.

    Molti “Ding” più tardi, quando il sole era oramai sorto e la nebbia avvolgeva completamente la nave, il canto, che non era mai cessato, cambiò.
    Di-Ding!
    Un sospiro di sollievo pervase tutto l’equipaggio mentre il canto sfumava.
    “Posse ha risposto. Le orche ci guideranno”, disse il timoniere, più per sé stesso che in risposta all’occhiata interrogativa di Jona, mentre il sorriso ritornava sul suo viso.
    Di-Ding!

    La nebbia non era molto fitta, ma più che sufficiente a nascondere le navi l’una dall’altra e a rendere pericolosa la navigazione.
    Una volta il timoniere fu un po’ lento a rispondere ad un cambio di rotta della campana e loro videro apparire, come per magia, un’alta parete di ghiaccio alla loro destra. Tutti la guardarono sfilare lentamente fino a quando non fu inghiottita di nuovo dalla nebbia.
    Un dolore al petto lo informò che stava trattenendo il fiato e Jona si costrinse a riprendere il respiro.

    Continuarono a procedere lentamente nella nebbia per tutto il giorno e la notte successiva, poi, quando il sole era già alto sentirono il vento che riprendeva vigore. In pochi minuti la nebbia era scomparsa e il sole splendeva nel cielo terso.

    Jona vide le orche.
    Erano dei pesci enormi, no non erano dei pesci, avevano la coda orizzontale. Dei delfini. Bianchi e neri. Lunghi fino a una decina di metri. Si comportavano più come una famiglia che come un branco, con i più giovani in posizione protetta.

  • L’isola del Fuoco

    La mattina dopo la terra era scomparsa alle loro spalle e intorno a loro il mare era di un blu profondo.

    Non ebbe bisogno di consultarsi con l’Amuleto per sapere che avevano cambiato direzione, ora andavano verso nord-ovest e procedevano più spediti, con il vento al traverso.

    Anche la routine di bordo cambiò in maniera drastica: era iniziata la pesca in mare aperto.

    Pescavano all’amo, tenendo solo le prede migliori — sapevano di avere tutto il tempo per riempire la stiva — e le pulivano immediatamente, per poi cominciare la conservazione, diversa per i vari tipi di pesce.

    Jona imparò cose sulla conservazione del pesce che non avrebbe mai immaginato.
    In Ligu il pesce si consumava quasi esclusivamente fresco, Solo poche cose, le alici, per esempio, venivano conservate sotto sale, chiuse in barili.
    Questo perché, più o meno bene, si poteva pescare tutto l’anno; qui, invece, la stagione della pesca era corta, essenzialmente dalla fine di marzo fino a settembre, poi si doveva pescare solo nei fiordi e nei mesi invernali si viveva essenzialmente tappati in casa ad aspettare che arrivasse la primavera.
    Avere scorte variate e non avariate era assolutamente indispensabile.

    Le lavorazioni erano tutte lunghe e quasi tutte impiegavano la scorta di sale che appesantiva la stiva. Jona si interessò anche alla varietà di erbe seccate che venivano usate per insaporire il pesce prima della seccatura, affumicatura o salatura finale.
    L’affumicatura avveniva in una specie di tenda di grossa tela che conteneva un braciere alimentato con torba seccata.
    Lo spazio liberato dalle scorte consumate veniva utilizzato per sivare il pesce conservato.

    Il timoniere, con cui Jona aveva imbastito un certo rapporto di amicizia, gli spiegò che il pesce che stavano preparando sarebbe stato scambiato con attrezzi, pelli ed altre cose che non si potevano trovare o produrre nei piccoli villaggi. Quello che avrebbero pescato al ritorno sarebbe, invece, servito per il consumo invernale.

    Le giornate si succedevano uguali, con il tempo che si manteneva buono e il vento costante.

    All’orizzonte apparve finalmente l’Isola del Fuoco: una terra aspra, costellata di vulcani e scintillante di ghiacciai.

    La costeggiarono per due interi giorni e due notti, prima di virare decisamente verso ovest e riprendere il mare aperto.

    Il timoniere gli disse che anche lì c’erano insediamenti Viknuit e che sfruttavano il calore di vulcani e geyser per sopravvivere al gelo invernale.

    Sul mare cominciarono ad apparire delle isolette ghiacciate e Jona rimase incredulo quando il timoniere gli spiegò che si trattava di blocchi di ghiaccio alla deriva.

    “Vedrai quanti ce ne saranno quando passeremo accanto alla Terra dei Ghiacci”, gli disse il timoniere con aria di chi la sa lunga.

    In effetti gli avvistamenti di quei blocchi di ghiaccio si fece sempre più frequente e le dimensioni maggiori fino a che, dopo molti giorni, non apparve la Terra dei Ghiacci.

    Jona era affascinato.

  • La Grande Migrazione

    Esattamente il giorno del solstizio d’estate la piccola flotta, composta da quattro grandi navi Viknuit e dal piccolo “vascello alato” — come avevano preso a chiamarlo scherzosamente i pescatori — prese il mare con la marea che si abbassava aiutandoli a uscire del fiordo.
    La giornata era perfetta e spirava un debole vento da nordest.
    Le navi girarono attorno ad un’ansa del fiordo e il villaggio scomparve alla vista; la Grande Migrazione era cominciata.

    Una volta in mare aperto puntarono verso nord seguendo da lontano l’alta costa frastagliata. Procedevano ad una certa distanza l’una dall’altra in modo da poter manovrare con tutta calma.

    Jona stava imparando la lingua dei Viknuit, più per gioco che per altro, faceva i suoi turni al timone e per le altre corvee di bordo ed era sempre disponibile a parlare con gli altri, ma, per la maggior parte del suo tempo, stava seduto su un gran rotolo di corda con la schiena appoggiata all’albero a studiare. Leggeva i libri immagazzinati dall’Amuleto, studiava con lui la lingua dei Nani, rimaneva in contatto con casa sua a Tigu.

    Le giornate si succedevano tutte uguali mentre la piccola flotta procedeva lentamente lottando contro il vento che cercava di allontanarla dalla costa, poi un giorno la costa rimase indietro e attorno a loro non ci fu che acqua.

    Jona, grazie all’Occhio dal Cielo, sapeva esattamente dove erano e dove erano diretti: un gruppo di isole quasi esattamente a nord: le isole della Piccola Migrazione.
    Si trattava di mari molto pescosi e lì sarebbe cominciato il lavoro vero.
    Quello che Jona non capiva era come riuscisse Troomsin a guidare la flotta in mare aperto, senza l’ausilio di un Amuleto.
    “Hai visto che Tromsin fa misurazioni all’alba e al tramonto?”

    “Un orologio?”
    “Una specie. Si tratta di un oggetto molto piccolo, più piccolo di me, ed estremamente preciso. Se hai quello anche la longitudine è facile da calcolare: basta vedere in che momento, esattamente, sorge — o tramonta — il sole. Se non hai il cronografo i calcoli diventano molto più complicati e bisogna calcolare l’altezza di certe stelle quando sorge il sole.”
    L’Amuleto cercò anche di spiegargli nel dettaglio quali fossero i calcoli necessari e Jona comprese l’idea generale, ma dubitava fortemente di riuscire ad eseguirli in pratica con la necessaria precisione.
    La stima che aveva di Troomsin crebbe.
    Poi gli venne un dubbio: “Ma se il cielo è coperto?”
    “Allora si è nei guai. I Viknuit hanno buoni metodi per valutare la direzione di marcia e la velocità, ma sono efficaci solo per percorsi brevi. Per questo, a volte perdono intere flotte.”

    Le isole della Piccola Migrazione apparvero davanti a loro nella bruma del mattino.

    Si infilarono in un lungo canale fra due isole dove scorsero alcune vele lontane. Jona era vicino al timoniere e gli chiese: “Queste isole sono abitate?”
    “Certo, ci sono ben cinque villaggi su queste isole. Quelli”, aggiunse indicando le vele, “sono quelli che non hanno potuto partecipare alla loro Grande Migrazione.”,
    “Non ci fermiamo da qualche parte?”
    Il timoniere lo guardò inorridito: “Sei matto? La Grande Migrazione deve essere fatta senza toccare mai terra!”
    “Scusa, non lo sapevo”, rispose Jona con un’aria talmente contrita da strappare un largo sorriso al timoniere.
    Questi era un tipico Viknuit: non molto alto — Jona lo sovrastava di una decina di centimetri, pur non essendo certo un gigante — con una faccia rotonda caratterizzata da un naso camuso, da due occhietti piccoli che sembravano due fessure orizzontali e da una larga bocca spesso atteggiata al sorriso.

    Jona rimase a lungo a fissare quelle vele lontane e a meditare sulla vita di quel popolo che, pur essendo vitale e vigoroso, perpetuava gli usi e costumi tramandati attraverso le generazioni quasi ciecamente, senza pensare di poterli cambiare.

    La piccola barca conteneva cinquanta persone: quarantacinque pescatori migranti e cinque ragazzine di dieci anni, orgogliose del loro ruolo di “trasmigranti”.

    Jona aveva impiegato parecchio tempo a capire questa funzione ed era dovuto ricorrere all’aiuto di Asclep; i Viknuit, infatti, gli avevano solo spiegato che cosa facevano: ogni anno la Grande Migrazione portava con sé un certo numero di ragazzine che venivano “scambiate” con loro coetanee nella grande festa d’inverno, così che i migranti tornavano a casa con lo stesso numero di ragazzine che presto avrebbero avuto il menarca e “quindi” non si sarebbero più potute muovere dal villaggio.
    I Viknuit narravano storie tremende di villaggi che avevano rinunciato a questa tradizione ed erano incorsi nell’ira degli Dei.

    A Jona tutta questa storia non quadrava assolutamente e quindi chiese spiegazioni ad Asclep.

    C’è parecchio di vero in quello che raccontano”, gli disse il Dio, “I Viknuit hanno un senso dell’olfatto e del gusto particolarmente sviluppato e tutti, ma soprattutto le femmine, sviluppano una specie di assuefazione per odori e sapori del luogo di origine. Naturalmente il fatto di essere fermamente convinti che andandosene saranno infelici rafforza questo effetto.
    Per quanto poi riguarda il fatto che la tradizione è funzionale questo è del tutto vero e mi stupisce”, proseguì Asclep con un tono particolarmente severo, “che tu non ci sia arrivato da solo. I villaggi, come sai, sono composti da poche centinaia di persone. Senza scambi si finisce per essere tutti strettamente imparentati, e tu sai quanto questo sia negativo, dal punto di vista genetico.
    “Ma il menarca?” aveva chiesto Jona, pur sentendosi un po’ a disagio di fronte all’atteggiamento professorale del Dio.

  • La nave con le ali

    Jona si chiuse tutto il giorno nella casa di Tremalsong, con l’Amuleto davanti a parlare fitto fitto con Serna prima, poi con Agio, quindi con il capomastro del cantiere di Tigu e infine con Festo.

    Era oramai notte fonda quando si alzò dalla panca stiracchiandosi per sciogliere le membra intorpidite dall’immobilità.
    Un largo sorriso gli aleggiava sul volto quando si decise finalmente a spiegare ai suoi perplessi ospiti che cosa stava succedendo.
    Mentre raccontava in poche parole i suoi progetti si accorse di non aver toccato né cibo né acqua dopo colazione. Il suo stomaco stava cercando di farsi sentire già da un po’, ma solo ora ci stava riuscendo.

    “Che diavolo sarebbe questa cosa? Una nave con le ali?” Ruggì Troomsin quando vide i risultati degli sforzi di Jona e dei suoi compagni.

    Era passata una settimana esatta da quella prima conversazione e ora la soluzione del “problemino” era davanti agli occhi di tutti. Si trattava solo di vedere se fosse davvero in grado di funzionare.

    La nave che avevano scelto era stata modificata applicando due lunghe “ali” incernierate sulla murata che ora erano quasi in verticale, appoggiate alle sartie che sostenevano l’albero.

    Prepararle e fissarle era stato un lavoro estenuante, sia perché le tecniche costruttive dei Viknuit erano completamente differenti da quelle che conosceva Jona, sia perché non avevano la possibilità di fare molte prove: doveva funzionare al primo tentativo o sarebbero rimasti a terra.
    I consigli di Festo si erano rivelati, come sempre, puntuali e risolutivi.

    “Ali per volare sull’acqua, se ti piace. Vogliamo provarla?”

    L’acqua del mare, lì in fondo al fiordo, era calma e piatta come sempre, ma le nubi sparse correvano in cielo e Jona sapeva bene che fuori, in mare aperto, il vento era teso e il mare ruggiva; un esame severo per la nuova creatura.

    Le due navi vennero messe in acqua e presero il largo insieme.

    Drizzate le vele, la nave di Troomsin cominciò lentamente a distanziare quella su cui era Jona, che scarrocciava di più sprecando molta della spinta delle vele.

    Arrivarono alla bocca del fiordo navigando al traverso e Jona vedeva l’altra nave oramai lontana che aggrediva le onde alte più di due metri con grazia e potenza quando finalmente passarono l’ultima secca e Jona si azzardò a dar l’ordine di calare le “ali”, che in realtà erano due derive.

    Il timoniere lascò prontamente mentre la deriva sottovento si inabissava e aderiva fortemente alla murata.
    Jona tirò un primo sospiro di sollievo: i rinforzi tenevano egregiamente e ora la deriva era solidale con la nave che riprese a stringere il vento e si lanciò in avanti all’inseguimento della sorella maggiore.
    Ora lo scarroccio era minimo e la nave minore riusciva a stringere il vento molto meglio dell’altra.
    Il timoniere fece qualche aggiustamento, chiese la regolazione delle vele e cominciò a sorridere mentre vedeva che il suo scafo guadagnava acqua.
    Il sorriso si trasformò in un boato di gioia quando la piccola nave
    superò l’altra, pur essendo parecchie centinaia di metri sopravvento.

    Continuarono le prove per tutta la giornata, ma oramai sapevano di avercela fatta.
    Tornarono al fiordo mentre il sole si abbassava fra le nubi che promettevano tempesta.

  • Pagarsi il passaggio

    Per tutta la sera nessuno notò il Mago che fu felice di confondersi con la mobilia e osservare la festa del ritorno.

    L’anno era cominciato bene: tutte le barche avevano fatto ritorno e non c’erano stati incidenti gravi.

    Jona si ritirò presto e si stese, come al solito, su una panca imbottita di pelli.

    La mattina dopo, quando il sole era già alto, si presentò da Troomsin, che era il capo della flotta che avrebbe preso il largo per le foci del Fiume Rabbioso, suo fratello Troomdex era a capo della flotta che, presumibilmente, stava facendo ritorno.

    “Ah, tu devi essere il Mago pellegrino di cui mi hanno parlato”, esordì Troomsin appena lo vide.
    “Infatti.”
    “Mi hanno raccontato un sacco di storie, sul tuo conto. Cosa c’è di vero?”
    Il tono era decisamente brusco e Jona si trovò istintivamente sulla difensiva: “Come posso saperlo, se non mi dici che ti hanno raccontato?”
    “Non mi prendere in giro!” ruggì Troomsin.
    Jona capì di aver sbagliato completamente tattica e cercò di correre ai ripari. Si drizzò, allargò le spalle e piantò il suo pesante bastone bene in vista: “Quello che ti posso dire è che quello che io ho raccontato è tutto vero.”
    “Anche quando dici che ti manda Thano?”
    “Anche quando dico che Thano mi ha imposto questo viaggio.” L’Amuleto, obbedendo ad un muto comando, emise una serie di lampi minacciosi che si scaricarono lungo il bastone fino a terra.
    “Anche quando dici che non sai dove devi andare, di preciso?” Il tono di Tromsin era meno ostile.
    “Questo è quello che so”, rispose Jona abbassando il bastone in modo che l’altro potesse vedere bene la Bussola.
    “Questa punta verso l’altro lato del fiordo.”
    “Ho provato a seguirlo via terra. Sono arrivato sulla sponda dell’oceano che, come ben sai, non è molto lontana, e questa continuava a puntare sempre nella stessa direzione, verso il mare aperto. Non credo che ci siano dubbi. Devo chiederti di unirmi alla vostra grande migrazione.”
    “Non abbiamo posto per un passeggero.” La voce di Troomsin era ora piana e stava semplicemente enunciando un fatto. Aveva valutato Jona e aveva deciso che poteva essere considerato un uomo. Un passo avanti.
    “Posso lavorare a bordo. Come ti hanno sicuramente detto vengo da un paese di mare, anche se molto lontano da qui, inoltre posso pagarmi il passaggio, lasciandovi il cavallo, per esempio.”
    “Lascia perdere il cavallo! dovresti lasciarlo qui comunque. Non penserai mica di imbarcare pure lui, vero?”

    Troomsin lo fermò con un gesto secco della mano: “Non capisci. Partecipare alla grande migrazione è un grande onore: per i ragazzi significa il permesso di prender moglie, per tutti gli altri non essere nella schiera degli anziani o, peggio, dei buoni a nulla! Tutti quelli che verranno con me si sono guadagnati il diritto di farlo. Non posso lasciare a terra qualcuno senza un buon motivo, e dubito che ci sia qualcuno disposto a cederti il suo posto!”
    “Come posso guadagnarmi l’onore?” Chiese Jona cupo, immaginando già la risposta.
    “Non puoi. Ci sono già parecchie ottime persone che non potranno venire perché una fottuta tempesta ci ha distrutto una nave, l’anno scorso e quella nuova non è ancora pronta. Ci fosse stata quella una probabilità l’avresti avuta. Mi dispiace. Prova l’anno prossimo con mio fratello.”

    Jona non voleva darsi per vinto, anche perché sapeva perfettamente che Thano non avrebbe gradito.
    “Perché non potete usare una delle navi più piccole? Mi pare che tengano il mare bene come le altre.”
    Il comandante scosse la testa: “Non pescano abbastanza, non riescono a stringere il vento come quelle più grandi e non possiamo viaggiare assieme. No, non si può fare, purtroppo.”

    Un barlume di idea si agitava nella mente di Jona:
    “Saresti un mago!”
    Jona sorrise placidamente: “Ma io sono un Mago!” L’Amuleto si accese di un’abbagliante luce gialla, “Vediamo se riesco a risolvere questo problemino. Posso chiedere aiuto a qualcuna di quelle “ottime persone” che sarebbero destinate a rimanere a terra con me?”
    Troomsin era senza parole, ci mise qualche istante prima di rispondere: “Sì, certo”, mentre cercava di immaginare che avesse in testa l’altro.