Author: mcon

  • Sofonte

    Sofonte apparve attorniato dall’aura nera di Ipno.
    Jona gli spiegò che cercava notizie di Tarciso e del suo lavoro.
    In realtà non sapeva bene perché, ma aveva la nettissima sensazione che fosse molto importante.
    Sofonte scosse la testa: “No”, disse,
    I due si salutarono cortesemente, ma era evidente che il Sacerdote voleva troncare quella conversazione il più presto possibile.

    “E adesso, dove devo andare?” Chiese Jona quando l’immagine di Sofonte fu sparita.
    L’Amuleto non rispose, ma la Bussola, che fino ad un momento prima puntava a nord-ovest, era sparita.

  • Ricapitolazione

    Jona si svegliò in camera sua e ricapitolò gli avvenimenti della sera prima.

    A notte fonda, dopo che tutti gli appetiti erano stati placati e l’idromele aveva rilassato la compagnia, erano tornati a parlare di Tarciso e delle sue idee.

    I due servitori, la guida di Jona e il ragazzo che l’Accademico si era portato al seguito, si erano ritirati in un angolo, confondendosi con i tendaggi e svanendo dalla coscienza dei due uomini più anziani.

    I fatti che Caio narrava erano vecchi di due anni, ma lui non aveva avuto molte occasioni di sfogarsi perché era l’unico ad aver trovato interesse nelle idee di Tarciso; tutti gli altri lo avevano sempre deriso e la sua fine non aveva fatto che confermarli nelle loro convinzioni. Caio aveva avuto il suo bel daffare per evitare di essere accomunato alla pazzia dell’amico.

    Il libro che Jona aveva letto era il risultato della collaborazione fra Tarciso e il sacerdote di Ipno Sofonte. Avevano fatto assieme ricerche mirate sul funzionamento del cervello e, a quello che aveva detto Caio Servio, era risultato che le strutture cerebrali non sembravano compatibili con la nostra percezione del flusso della coscienza.
    L’ipotesi di lavoro su cui si muoveva Tarciso era che la nostra coscienza fosse la visione di un modello interno e non direttamente della realtà sensoriale.
    Degli ulteriori risultati, se ce n’erano, Caio non era al corrente. Tarciso non ne aveva parlato nemmeno con lui.

    Decise di cercare questo Sofonte.
    Per un attimo giocherellò con l’idea di invitare anche lui alle terme, ma decise di evitare, se possibile.
    “Amuleto, secondo te, posso contattare Sofonte senza fare tutta la trafila che ho fatto con Caio?”
    “Puoi provare. Dipende da cosa ti aspetti. Caio aveva bisogno di rilassarsi per poterti dire tutto quello che ti ha detto. Con Sofonte potrebbe non essere necessario.”
    “Puoi contattarlo direttamente tramite il suo Amuleto?”
    “Certo. Devo?”

    “Ho contattato il suo Amuleto e mi dice che sta facendo colazione. Mi avvertirà quando sarà il momento.”

  • Caio Servio

    “Trombone”: pensò il Mago prima ancora che Caio Servio terminasse il complicato saluto.
    Era bene in carne e pareva a suo agio nella taberna di Marseio, che, non appena aveva saputo chi stavano aspettando, aveva scortato Jona e la sua guida in una piccola stanzetta che conteneva due sofà imbottiti, alcune sedie e un tavolino imbandito. “Che devo fare?”, aveva sibilato Jona all’Amuleto e questi lo aveva discretamente guidato fino ad adagiarsi sul divano. Poi era arrivato Caio Servio e lui, sempre guidato dall’amuleto, lo aveva accolto senza alzarsi. Era seguito il saluto, mentre anche l’ospite si accomodava sull’altro divano.

    Entrarono due giovanissime ragazze che cominciarono, senza una parola, a servire da mangiare.

    Jona si accorse di essere affamato, ma cercò di imitare e fare come il suo ospite che lasciava fosse la ragazza a scegliere il prossimo boccone. Le pietanze erano ottime, anche se non riuscì a identificare quasi nulla.

    Il tavolino era quasi vuoto e le due si apprestavano ad uscire, indubitabilmente per andare a prendere altro cibo, quando Caio Servio batté le mani cambiando espressione all’improvviso: “Più tardi, ragazze. Ora dobbiamo parlare”, disse, poi rivolgendosi a Jona: “Se il mio ospite è d’accordo, naturalmente.”
    Il Mago assorbì il cambiamento di atmosfera in un attimo, con un gesto della mano congedò le due che sparirono all’istante dietro la pesante tenda e, senza aggiungere altro, porse le due lettere ancora sigillate: una della Sacerdotessa e una di Mirelle.

    L’accademico staccò i sigilli con l’unghia del pollice, senza romperli e scorse rapidamente le due missive.
    Inarcò un sopracciglio quando, leggendo la lettera della bibliotecaria, arrivò al punto in cui chiedeva notizie di Tarciso Nepote, l’autore del libro che tanto aveva intrigato Jona.

    “Sei interessato alle idee di Tarciso?” chiese Caio senza preamboli.
    “Diciamo che trovo le sue idee stimolanti. Vorrei approfondire.”

    “Chiedo scusa, ma non capisco.”
    “Tarciso è stato “stimolato” dalle sue teorie tanto da impazzire”, disse l’Accademico senza giri di parole e con una faccia seria che tradiva un coinvolgimento personale.
    “Mi dispiace. Non sembravano idee tanto pericolose, anche se un po’ originali. Che è successo, se posso chiedere?”
    “Di preciso non lo so nemmeno io. Poco dopo aver scritto quel libro ha cominciato a chiudersi in sé stesso, non che sia mai stato un tipo molto espansivo — forse per questo andavamo d’accordo — ma non usciva dalla sua camera per giorni interi. Scriveva, leggeva, ma non parlava con nessuno.”

    Fece una lunga pausa. “Poi un giorno diede fuoco a tutto e scappò nella notte urlando frasi senza senso. Diceva che gli Dei non esistono, che nulla esiste, che la vita è solo un sogno, anzi un incubo.”

    “Siamo riusciti a stento a circoscrivere l’incendio prima che si estendesse a tutta l’Accademia. Nel frattempo Tarciso era sparito. Nessuno lo ha più visto.”

    “Eravate molto amici?”
    “Dall’infanzia. Era mio cugino. Abbiamo studiato assieme. Io mi sono specializzato in matematica, lui in logica.”

    Alzò il calice che aveva in mano, mormorò qualcosa di inintelligibile e lo scolò d’un fiato. Jona lo imitò.
    L’idromele era dolce e proditoriamente alcolico.

    Caio Servio batté due volte le mani: “Ne riparleremo più tardi — forse — ora abbiamo bisogno di qualcosa di più allegro.”

  • Le Terme!

    Le terme erano un edificio enorme, grande quasi quanto uno dei Monasteri, con alte volte e ampi archi chiusi da grandi vetrate che lasciavano passare la luce. L’interno era illuminato da innumerevoli lampade che emanavano una forte luce bianca. Non sembravano né luci elettriche né vegetali; chiese alla sua guida.

    “Gas”, disse questi, “questa è una delle prime installazioni, adesso si stanno diffondendo per tutta la città,”
    Il tono non era molto convinto.
    “Ma?”

    Mentre si avvicinavano Jona sbirciò una di quelle lanterne; sotto un cappello di vetro opalino si vedeva un bulbo luminosissimo del quale però non riuscì a distinguere nulla prima di essere costretto a distogliere lo sguardo abbacinato.
    “Sai come funzionano?” chiese all’Amuleto.
    La risposta apparve sotto forma di uno schema simile a quelli che soleva mostrare Festo. Una fragile retina era quello che gli era sembrato un bulbo. Il gas infiammabile arrivava dall’interno mediante un tubicino e bruciava sulla superficie. Ingegnoso.

    Entrarono nell’affollato ingresso e la sua guida si destreggiò abilmente fra un nugolo di venditori che sembravano essere in grado di offrire qualunque cosa venisse in mente, gli procurò un ampio telo di una morbida stoffa bianca, lo fece spogliare, lavare e infine lo affidò alle cure di un estetista assicurando che sarebbe tornato prima che avesse finito.

    La cosa risultò vera, ma questo non impedì a Jona di annoiarsi a morte mentre veniva lavato, spazzolato, depilato, massaggiato, profumato, pettinato, impomatato
    “Magnifico!” rispose Jona nascondendo dietro un ampio sorriso sia la noia infinita per i preparativi che il genuino divertimento per quel “ci” appeso in fondo alla frase.

    Gli consegnò la risposta scritta, che sicuramente aveva già letto.
    Con aulici giri di parole diceva, in sostanza, che accettava l’invito e che aveva a disposizione l’intera notte.

  • Le Terme?

    Jona seguì il servitore che lo accompagnò, per prima cosa, in uno stanzino minuscolo che conteneva un letto, una cassapanca e poco altro, dicendogli che quella era la stanza che gli era stata assegnata.
    Il Mago ci rimase parecchio male, anche se cercò di non farlo vedere. Era un vero bugigattolo, con una finestrella dalla quale filtrava oramai solo in vago chiarore. Era meno della metà della sua cella al monastero

    Le sedute erano tutte molto pulite, della qual cosa Jona fu grato.
    Si servì dell’ultima in fondo, mentre la sua guida osservava con evidente ironia il suo impacciato imbarazzo.

    “Ho una lettera da consegnare a un certo “Caio Servio”, che dovrebbe essere all’Accademia, ma non mi hanno detto altro. Pensavo ci fosse una sola Accademia, ma mi pare di capire che non è così”, disse mentre si rivestiva.
    “Caio Servio è qui ed è a capo dell’Accademia in Door. Non dovrai fare molta strada.”
    “Ah, bene. Pensi che posso andare a trovarlo direttamente ora? O è troppo tardi?”

    Il tono con cui era stata pronunciata l’ultima parola conteneva una dose di disprezzo sufficiente a far fremere Jona, che incassò con un sorriso, ingoiando le rispostacce che gli stavano salendo alle labbra: “Va bene. Che cosa dovrei fare, invece?”
    “Di regola dovresti mandare qualcuno — posso farlo io — a chiedere udienza, magari proponendo di incontrarsi alle terme.”

    Era quasi certo che il servitore fosse sincero, ma lanciò ugualmente un’occhiata all’Amuleto che lo gratificò con un lampo verde. Non si era sbagliato.

    “Sì?”
    “Allora dovresti scrivere una breve lettera. Invitarlo per un bicchiere d’idromele, magari nella taberna di Marseio.”
    “Ma non avevi detto che dovevo invitarlo alle terme?” chiese Jona lievemente confuso.
    Il servitore roteò gli occhi esasperato, poi, con il tono di chi è costretto a spiegare cose fin troppo ovvie:
    “E io me lo posso permettere?” disse passandogli una piccola borsa.

    Il peso, sospetto per un oggetto così piccolo, fece cambiare all’istante l’atteggiamento del servitore che si affrettò a dire, senza nemmeno aprirla: “non ce n’è bisogno. Il Console ha detto di mettere tutto sul suo conto. Venga, signore!”

    Jona sorrise e, mentre allungava la mano per farsi restituire la borsa, mormorò qualcosa all’Amuleto; dei lampi rosso sangue guizzarono per un istante intorno alla borsa che il servitore quasi lanciò fra le mani del Mago, come se fosse stato morso. Ci avrebbe pensato ben più di due volte prima di cercare di trafugare qualcosa.

    L’Amuleto suggerì le parole da scrivere e Jona vide chiaramente che il servitore rimase sorpreso.
    Piegò il foglio senza sigillarlo e lo porse dicendo: “E adesso?”

  • Il Console

    Il Console non lo fece attendere troppo, giusto il tempo di chiedersi se l’anticamera sarebbe stata lunga.
    Era un uomo magro e muscoloso, sulla quarantina e con un accenno di calvizie. Era rasato — ora che ci faceva caso non aveva visto molte barbe in Albon — e lo salutò militarmente battendo il pugno destro sul petto, all’altezza del cuore.
    Jona ricambiò appoggiando la mano aperta sul petto.

    Il Console teneva nella sinistra la lettera di presentazione. Era aperta e presumibilmente già letta.

    “La Sacerdotessa ha scritto una lettera di presentazione molto lusinghiera”, disse senza l’ombra di un sorriso.
    Jona, non sapendo bene come interpretare, tacque.
    “Noi abbiamo ottimi rapporti con i Monasteri e queste richieste verranno onorate. Conosci il contenuto della lettera?”
    “No”, mentì il Mago.

    “Ci chiede di fornirti assistenza e di favorire il tuo viaggio verso l’Accademia”, disse asciutto.
    “Credevo che l’accademia fosse qui a Door”, disse Jona sorpreso.

    “No, qui c’è un piccolo nucleo che si occupa di studi teorici; non è strano che la Sacerdotessa di Palla consideri questa “la” Accademia, ma esiste una parte molto più grande, e, a Nostro parere, più importante che studia le applicazioni pratiche sotto l’Egida di Festo. Penso che ti sarebbe utile visitarla.”
    “Grazie. Dove si trova?”
    “Ad est, sulla foce del Seve”

    “Spero vivamente che il mio Amuleto me lo consenta”, disse Jona mostrando la Bussola che puntava ancora verso nord.
    “Non ho idea di dove ti voglia mandare il tuo Amuleto, a nord ci sono solo barbari.”

    “Thano non è prodigo di parole. Non ho idea, ancora, di cosa voglia realmente da me.”

    “Su questo non ci sono dubbi, temo.”
    Il console inarcò un sopracciglio: “Io ho imparato ad avere dubbi su tutto; soprattutto sulle cose troppo evidenti.”

    Chiamò un servitore e lo incaricò di occuparsi delle necessità di Jona, che poi congedò dicendogli: “Ti auguro un viaggio sicuro e ti consiglio di recarti alle terme prima di presentarti in Accademia.”

  • Il porto di Door

    Jona fece parecchia fatica a rimettersi in sesto.
    Era rimasto a “guardare dal buco della serratura”, come aveva detto l’Amuleto, per parecchie ore e la sera stava lentamente calando in quei lunghi crepuscoli ai quali si stava oramai abituando.
    Oltre ad essere tutto anchilosato, il guardare il mondo senza la cornice rotonda dell’Amuleto gli dava una leggera nausea.

    Intorno a lui era un andirivieni frenetico.
    Fu l’ultimo a scendere dal barcone.
    Il molo era in pietra.
    Si stava formando una fila per uscire; Jona si accodò guardandosi attorno senza fretta.

    Prima di riuscire ad annoiarsi si ritrovò davanti ad uno scriba seduto ad un banchetto; dietro di lui sostavano alcuni soldati dall’aria annoiata, ma efficiente.

    Quae adventi causa est? (Qual è la ragione della visita?)”
    Peregrinus sum. Thanus me misit. (Sono un Pellegrino, mi manda Thano.)”, rispose il Mago allungando la lettera di presentazione che la sacerdotessa di Palla gli aveva fornito.

    Lo scriba esaminò il sigillo senza romperlo, poi si girò verso una delle guardie che, nel frattempo, si erano fatte attente: “Gaii, hunc virum ad Consulem comita (Caio, accompagna questo signore dal Console)”, disse consegnando la lettera a quello che sembrava il capo.

    Advehis me, barbarus! (Seguimi, straniero!)”

    Jona afferrò le briglie del suo cavallo e seguì il miliziano che lo precedeva con passo marziale.

    “Perché ti sei messo a tradurre nella tua lingua, invece che nella mia? Capisco che devo fare esercizio, ma non ti pare di esagerare?”
    La voce dell’Amuleto vibrava con un accenno di canzonatura, quando rispose: “Guarda che, stavolta, non ho proprio aperto bocca.”

    Jona aprì la sua di bocca, poi la richiuse.

  • Clys

    Il freddo della mattina era ancora sufficiente a farlo rabbrividire, ma nell’aria c’era una promessa di primavera che allargava il cuore. Lì, sulla riva di quel mare grigio e ventoso, il sole stava combattendo per disperdere la foschia e portare un po’ di calore.

    Si trovava a Clys, in attesa di imbarcarsi per Albon.
    La Bussola lo aveva guidato a ovest per tutta una settimana, ma ora puntava nuovamente a nord. Forse Thano aveva intenzione di farlo arrivare fino al polo.

    Il viaggio a cavallo era stato abbastanza piacevole nonostante il freddo. Due cose gli erano particolarmente care: un leggero, ma caldissimo giaccone imbottito con piume d’oca che Mirelle gli aveva regalato e la sua personale biblioteca ambulante.

    Aveva scoperto di non aver bisogno di voltare le pagine, visto che l’Amuleto poteva benissimo farlo per lui e aveva quasi dimenticato che doveva anche tradurre, tanto era immediata la cosa; gli pareva che il libro fosse lì semplicemente nella sua lingua, o meglio, nella lingua dell’Amuleto, visto che erano oramai mesi che parlavano, leggevano e scrivevano unicamente in quella lingua e Jona ci si trovava completamente a proprio agio, nonostante l’avesse all’inizio detestata per la sua apparentemente inutile complessità. Ora si rendeva conto che permetteva sfumature di significato impensabili nella lingua di Ligu ed era anche molto meno facile cadere in quelle ambiguità così usuali nella sua lingua nella quale una frase, tolta dal contesto, poteva avere due o anche più significati differenti.

    Si riscosse, prese il cavallo per le briglie e lo condusse su per la comoda passerella che portava sul ponte del largo barcone che l’avrebbe portato a Door. Quei barconi erano molto differenti dalle agili navi che lui conosceva fin dall’infanzia. Queste erano poco più che delle chiatte a vela; adatte solo a fare avanti e indietro in quel braccio di mare compreso tra le due coste, sempre che Posse e Zeo non avessero altre idee.

    Jona aiutò a legare il cavallo, spaventato dal lieve ondeggiare, nel suo stabulo e poi si ritirò in un angolo tranquillo dal quale poteva osservare le operazioni che precedevano la partenza.

    La marea era al massimo e presto avrebbe cominciato a calare dando il segnale per la partenza; il ritmo dei preparativi si fece febbrile per sistemare e assicurare gli ultimi pezzi del carico, poi, per alcuni minuti, regnò una calma assoluta.

    “Mollate gli ormeggi di prua!”
    “Cazzate la randa!”

    La voce del capitano, usa a combattere con il vento, fece scattare i marinai.
    La grossa e grassa imbarcazione si staccò del molo e seguì l’acqua che tornava in mare aperto.

    Jona pensava si sarebbe trattato di una traversata noiosa, visto che il vento era favorevole e il mare relativamente calmo; la leggera foschia non permetteva di vedere la loro meta e presto avrebbe nascosto anche Clys.

    “Papà, mi senti?”
    “Certo, Serna, che succede di bello?”
    “Che alla mamma si sono rotte le acque, pensavo volessi saperlo.”
    “E avevi perfettamente ragione. Come sta?”
    “Bene, ma è molto affaticata. Quei due pesano come bisonti!”

    “Regolari. Ogni sette minuti. Ora devo andare.”

    “Vorrà dire che cercherò di raccontarti quel che succede. Vado.”

    Jona la sentì scendere le scale e se la immaginò correre leggera fino allo studio della madre, dove c’era la sala per i parti. Sette minuti. Era già abbastanza avanti.

    “Ti andrebbe di guardare dal buco della serratura?” chiese l’Amuleto con un velo di canzonatura nella voce.
    “Che buco della serratura?”
    “Prendimi e mettimi davanti agli occhi, se vuoi puoi nascondermi sotto il cappuccio.”

    Jona si sedette sul tavolato e si appoggiò ad un alto rotolo di corda, come se avesse voluto dormire e portò l’Amuleto al volto, reggendolo nell’incavo del gomito. Era nero come la pece.
    D’improvviso divenne trasparente e di là vide, come da una piccola finestra circolare, la sala parto con sua moglie già sul tavolo.

    Respirava con un certo affanno tra una contrazione e l’altra.
    Dopo essere rimasto a guardarla affascinato si permise un’occhiata circolare e vide Zelda, la vecchia Sacerdotessa di Asclep della famiglia reale di Zena. Dania la conosceva bene. Ora stava immobile con il suo Amuleto fra le mani, con un benevolo sorriso che le increspava il viso rugoso.

    “L’ho chiamata io”, gli disse Serna, “la mamma continuava a dire che non era necessario e che questo non è il suo primo parto, ma io non stavo tranquilla. A proposito: hai pensato ai nomi?”

    Jona non ci aveva, in realtà, pensato molto, quindi disse i primi due nomi che gli vennero in mente: “Mira e Giolo, se anche alla mamma vanno bene.”

    Il parto non fu cosa breve e Jona non si mosse per tutto il tempo. Dania aveva oramai i due neonati grinzosi attaccati al seno, uno per parte e sorrideva felice quando la barca ebbe un forte scossone.

    Il Mago cercò di alzarsi, ma era tutto anchilosato e un secondo scossone stava per mandarlo a gambe per aria quando una forte mano lo prese per un braccio: “Dovevi essere ben stanco, nonno”, disse il nostromo, “sei riuscito a dormire per tutta la traversata. Benvenuto in Albon!”

  • La Biblioteca in tasca

    Due giorni dopo era nella sua cella e stava stipando i suoi averi in due capaci bisacce. Il tempo era migliorato decisamente e, nonostante la neve continuasse a dominare il paesaggio, si sentivano nell’aria e nel tepore del sole le prime avvisaglie della primavera.

    Soppesò il libro che aveva interrotto di leggere quando si era accorto della Bussola. Era indeciso se provare a chiedere a Mirelle di poterlo portare con sé. Non sembrava molto usato e forse

    “Non è necessario portarselo dietro in pagine e copertina.” disse l’Amuleto con voce piana. Al di sopra dell’Amuleto, anche lui appoggiato sul tavolo, apparve una copia del libro, aperta a mezz’aria.
    Jona allungò la mano, ma quella passò attraverso l’illusione sentendo appena una lieve presenza.

    Il libro era aperto alla pagina che lui aveva letto per ultima. Provò a sfogliarlo e le pagine girarono. Jona fu stupito nel sentire la carta sotto le dita e lo disse ad alta voce.
    L’Amuleto rise: “Sei sicuro? Mi sa tanto che hai sentito quello che ti aspettavi di sentire.”

    Jona toccò di nuovo le pagine. Non era carta. Sentiva distintamente la pressione, ma non c’era traccia della rugosità della superficie. Eppure, la prima volta

    “Come fai?”
    “Ultrasuoni focalizzati, se ti interessa davvero uno di questi giorni, quando non hai veramente niente di meglio da fare, te lo spiego.”
    “Comunque la cosa importante è che ho immagazzinato tutti i volumi della biblioteca di Palla, che te ne pare?” aggiunse con evidente orgoglio.

  • La Bussola ricompare

    Jona guardò fuori dalla finestra della sua cella. Nel cielo si rincorrevano nubi nere spinte dai venti occidentali e il paesaggio era coperto da una spessa coltre di neve, bucata dalle scintillanti cupole delle serre, mantenute sgombre, anche se in quel periodo non c’era nulla che valesse la pena di coltivare. L’inverno teneva le campagne serrate nel suo gelido abbraccio

    La bussola era scomparsa dalla lucida superficie dell’Amuleto mesi prima, più o meno quando era arrivato al tempio di Palla. Lo aveva considerato come un invito a svernare lì, al caldo, magari approfittandone per fare una sana immersione nei libri che affollavano gli scaffali.

    Ora Thano (non v’erano dubbi si trattasse di Lui) lo invitava a rimettersi in cammino, nonostante l’inverno non accennasse ad allentare la sua stretta.