Author: mcon

  • Salita

    Affrontò la salita lentamente, molto più lentamente di quanto sentisse il bisogno di fare. Si sentiva bene, ma aveva oramai capito che lo sforzo, a quell’altitudine, doveva essere dosato con particolare cautela.
    La vegetazione, già bassa e rada, scomparve quasi completamente e si ritrovò a camminare su per una superficie spoglia, punteggiata da massi di tutte le dimensioni.
    In alto si vedeva lo scintillio della neve.
    Si arrampicò sopra un costone ed ebbe la prima visione della Torre.
    La cima della montagna terminava con una struttura conica molto allungata, simile al collo di una bottiglia particolarmente lunga, tanto lunga da diventare una specie di corno che puntava dritto verso il cielo.

    Riportò gli occhi sul sentiero e riprese a salire.
    Dopo pochi passi, nel superare una fenditura nella roccia, vide il primo scheletro. Qualcuno, dopo essere arrivato fin lì, era rimasto affascinato dalla Torre ed era caduto. In posti come quello anche una semplice distorsione poteva costituire un’invocazione a Thano.
    Jona pensò un momento se dare una qualche sepoltura a quell’ignoto compagno di avventure, ma decise che poteva essere più utile lì dov’era. Sfilò un lungo nastro rosso che ornava il suo pesante maglione e lo legò ad una pietra da una parte e ad un osso dall’altra. Un po’ macabro, si disse, ma era impossibile che qualcuno, passando di lì, ignorasse l’avvertimento.
    Mise fermamente la Torre al di fuori dei suoi pensieri e riprese la salita con gli occhi piantati sul sentiero.

    Presto arrivò alle prime tasche di neve annidate in avvallamenti o spaccature che l’avevano protetta dai raggi del sole.
    Nel primo pomeriggio scese dal crinale che aveva seguito per portarsi più in basso.
    Scese in diagonale di quasi trecento metri. Il pensiero di dover, l’indomani mattina, riguadagnare quella quota non lo rallegrava affatto, ma sapeva di dover dare un po’ di sollievo ai suoi polmoni affamati d’ossigeno.

    Sputò le foglie che stava masticando — come Asclep gli aveva consigliato — e si diresse verso il secondo rifugio che sapeva essere sotto un piccolo strapiombo, ma non lo vedeva; chiese aiuto a Mentore che gli mostrò la solita stradina gialla che andava dritta verso una parete di ghiaccio.
    La colata di candelotti gelati aveva completamente occultato l’ingresso. Con qualche colpo della punta ferrata del suo bastone Jona ottenne un varco appena sufficiente per scivolare dentro un’altra caverna, incredibilmente asciutta, considerando che tutt’intorno la roccia era completamente bagnata dallo scioglimento delle nevi e dei ghiacci.
    Lo sforzo, pur moderato, lo costrinse a diversi minuti di recupero.
    Tolse dallo zaino parecchi dischi di sterco di lama secco, estremamente leggeri, e li utilizzò per accendere il fuoco — ringraziò mentalmente Festo per quel suggerimento; trovare legna a quell’altezza era assolutamente impensabile e la temperatura stava rapidamente calando assieme al sole.

    La notte venne improvvisa, quasi che qualcuno avesse soffiato su una candela, non appena il sole calò oltre le lontane montagne, tutte più basse di lui.

    Faticò un po’ ad addormentarsi, poi la stanchezza ebbe il sopravvento.

    La mattina dopo la luce del giorno venne con la stessa incredibile rapidità con cui se n’era andata esattamente dodici ore prima. In pochi minuti le stelle sparirono per lasciar posto al sole.

    Jona era irrigidito dal freddo e dalla stanchezza. Sapeva bene che Mentore gli aveva dato una mano a rimaner caldo. L’ampio mantello e i maglioni non sarebbero bastati e aveva consumato buona parte della sua scorta di combustibile.
    Fece un’abbondante colazione ed esaminò, ancora una volta, il contenuto dello zaino. Lasciò nella grotta il combustibile residuo e il cibo che non contava di consumare nella giornata. Se non fosse riuscito a raggiungere la cima doveva rientrare lì prima di notte. Altrimenti altre ossa sarebbero rimaste a monito per i Cercatori che sarebbero arrivati dopo di lui.

    Riguadagnò la cresta dalla quale era disceso la sera prima e continuò a seguirla fin dove poté.
    Alla sua sinistra un grande ghiacciaio riempiva completamente il canalone che portava verso la vetta.

    La vetta somigliava una sella, con un poggio più basso ed uno leggermente più alto, sulla cui sommità sorgeva la Torre.

    Il ghiacciaio riempiva completamente la sella e tracimava oltre la cresta che stava seguendo. Davanti a lui non c’era più roccia. Solo bianco.

    Alzò gli occhi verso la Torre. Ora la poteva vedere bene. Era una struttura enorme. Circolare. Altissima. Bianca come il ghiaccio e altrettanto scintillante. Probabilmente si trattava della stessa schiuma di vetro di cui era formata la montagna di Nayokka. Cercò di valutare l’altezza, ma era impossibile, da quella posizione, capire quanto si restringesse realmente e quanto fosse un effetto prospettico. Sembrava veramente una bottiglia, aveva anche un evidente svaso sulla cima. Possibile ci fosse una terrazza circolare, lassù?

    “Quanto è alta la Torre, Mentore?”
    “Non molto. Solo seicento metri.”

    Il sole aveva già passato lo zenit e lui aveva ancora del cammino da compiere.
    Si ficcò in bocca una manciatina di foglie e cominciò a masticarle mentre esaminava la superficie del ghiaccio.
    Qui sembrava uniforme e compatta, ma più a valle aveva visto che era fratturata da una miriade di crepacci che, nonostante lo splendido colore blu, erano pronti ad inghiottire chiunque fosse stato abbastanza imprudente da avvicinarcisi troppo. Aveva cercato di sbirciare dentro uno, ma non era riuscito a vedere il fondo.
    “Ci sono crepacci sulla strada?”
    “Ce ne sono diversi, ma sono coperti da uno spesso strato di neve compattata dal gelo. Dovrebbe reggere il tuo peso senza problemi.”
    “Dovrebbe?”
    “I nevai sono sempre instabili, lo sai. Quando ne attraversi uno farai bene ad evitare di fare movimenti troppo bruschi.”
    “Puoi dirmi dove sono?”
    Mentore non rispose, ma tre linee blu apparvero sul ghiaccio davanti a lui.

    Il primo riuscì a evitarlo completamente facendo un piccolo giro.

    Il secondo era coperto da neve gelata che aveva una crosta vetrosa e Jona camminò leggero riuscendo a non scalfirla nemmeno.

    Il terzo era proprio al centro della sella, dove il ghiacciaio si divideva per scorrere sui due lati della vetta secondaria. Oltre la neve era compatta e solida fino alla Torre. Esitò un attimo, poi strinse i denti e si avviò con cautela.

    Quando arrivò al centro del crepaccio si fermò, alzò gli occhi al cielo e disse con voce chiara:

  • Campo Base

    La mattina dopo evocò Asclep per avere tutti i dettagli sulla fisiologia a quelle quote elevate. In precedenza non aveva mai passato i tremila metri mentre ora era abbondantemente sopra i quattromila e la sua destinazione, sulla cima di quella montagna, era oltre i seimila. Decisamente non era una cosa da affrontare impreparati. Darda aveva ragione: inutile rendere troppo facile il lavoro a Thano.

    Passò diverse ore a pianificare le proprie mosse, prima di concedersi il lusso di esplorare completamente quel rifugio sperduto a migliaia di chilometri da ogni essere umano.
    Era del tutto evidente che era stato usato da una lunga schiera di Cercatori, prima di lui e, ne era convinto, sarebbe servito a chi fosse venuto dopo.

    Non c’erano messaggi scritti, solo oggetti, per lo più riposti ordinatamente come se il proprietario li avesse lasciati per poi tornare a prenderli più tardi.

    Da diversi indizi arrivò a capire che quella grotta, probabilmente artificiale, veniva usata diverse volte all’anno. Un piccolo, ma continuo, flusso di persone — Cercatori come lui — tentava la salita verso la torre.

    Rimase una settimana intera per cercare di acclimatarsi all’altitudine, poi quasi un’altra perché il tempo volse improvvisamente al brutto e una densa coltre di nuvole prese possesso della cima, mentre venti impetuosi spazzavano l’altopiano. Non piovve molto, ma non era certo il momento di mettersi in cammino.

    Quando il sereno tornò a rallegrare l’altopiano, Jona dovette frenare ancora l’impazienza per ricostruire le provviste che aveva consumato nella settimana nella quale era rimasto tappato nella spelonca.

    Due giorni dopo, dopo un’ultima preghiera a Zeo che gli garantisse almeno due giorni di bel tempo, decise che era pronto, o, meglio, si corresse mentalmente, non sarebbe mai riuscito ad essere più pronto di così.

  • Ai piedi del Monte

    Jona era stanco.
    Da una settimana, oramai, si stava inerpicando lentamente su quella catena di montagne che sembrava non finire mai.
    Ogni volta che arrivava a quello che, da sotto, pareva un passo scopriva una valle e un altro contrafforte che portava ancora più in alto. L’Amuleto gli diceva che erano arrivati a poco più di quattromila metri e l’altitudine si faceva sentire. Il respiro era difficile, ma, proprio per la lentezza dell’ascesa, il Mago non subì quei terribili mal di testa che, assicurava Mentore, erano così comuni a quell’altezza.

    Jona aveva poca voglia di parlare, ma ascoltava volentieri e, la sera, quando si fermava, guardava le immagini che l’Amuleto mostrava. Cercava di concentrarsi, sapendo bene che presto avrebbe subito quello che gli Dei avevano definito “l’Esame Finale”, ma tendeva a divagare, a distrarsi. Anche quello era un effetto dell’altura, assicurava Mentore; presto si sarebbe abituato.

    Finalmente, scavallando l’ennesimo colle, vide la sua meta e tremò.
    La Montagna della Torre era di fronte a lui: un cono quasi perfetto che si alzava imponente da un altopiano ondulato, una vasta prateria con pochi alberi sparsi. Impossibile valutare esattamente la distanza in quell’aria tersa, ma doveva esserci almeno una giornata di cammino per arrivare alle pendici e chissà quanto per raggiungere la sommità assediata dai ghiacci che ora scintillavano rosa alla luce del sole al tramonto.

    La notte era fredda e lui ringraziò ancora una volta il mantello di morbida lana che gli aveva dato l’assistente-sacerdote dei Figli di Zeo. Quando lo aveva ricevuto era stato di un bianco candido, ora, dopo settimane di uso, era di un colore indefinibile che avrebbe fatto inorridire Dania.
    Jona sorrise al pensiero e se lo avvolse ancor più strettamente addosso.

    “Non credo di poter proseguire ancora per molto”, disse rivolto a Mentore, mentre riattizzava il fuoco che faticava a riscaldarlo.
    “A un giorno di cammino c’è un rifugio sicuro, proprio alle falde della Montagna. Lì potrai riposarti qualche giorno, prima di cominciare la salita. Dovrai essere in discreta forma: ci vogliono due giorni e sono due giorni duri.”
    Jona abbozzò un sorriso: “Sono arrivato fin qui e non voglio certo perdermi il gran finale, ma hai perfettamente ragione: devo essere prudente e non posso certo rischiare di compromettere tutto per la fretta.”

    Quella notte sognò Darda che lo guardava severamente scuotendo la testa: “Tutti uguali, gli uomini”, diceva con il suo tono a metà fra il rimprovero e la celia, “se non c’è una donna a prendersi cura di loro guarda come si riducono! Sembri uno scheletro in vacanza. Quando hai fatto l’ultimo pasto decente? Ti pare questo il modo di presentarsi agli Dei? Hai deciso di far da te metà del lavoro di Thano?”

    La mattina dopo, il sogno era ancora ben impresso nella sua mente.
    “Mentore, riguardo a quel rifugio”, chiese dopo essersi lavato accuratamente ed aver riposto la sua roba,
    “Cominciavo a pensare che non te ne saresti mai accorto”, rispose l’Amuleto con una vena di sollievo nella voce, “hai bisogno di zuccheri e di vitamine. Fortunatamente andando verso il rifugio ci sono parecchi posti dove puoi trovare tutto quello che ti serve.”
    “Bene, fai strada”, disse semplicemente, ma la sua mente analizzava le implicazioni del fatto che, ancora una volta, Mentore non aveva voluto — o potuto — dirgli nulla finché non era stato lui stesso a sollevare il problema.

    Il “rifugio” era un’ampia spelonca che recava evidenti segni del passaggio di altri visitatori.
    Lungo il cammino aveva raccolto frutta e verdura, principalmente bacche dolci e tuberi che, sosteneva Mentore, erano molto nutrienti e, se cucinati bene, anche molto saporiti.

  • Doni

    La barca era lì dove l’avevano lasciata, in quello splendido porto di pietra bianca protetto da alte mura, prima di salire a bordo Darda si rivolse al giannizzero che continuava ad accompagnarli: “Noi siamo arrivati, ti prego di scusarci con il Visir.”
    “Ho l’ordine di riaccompagnarvi a Palazzo”, obiettò quello.
    “Temo non sia possibile, hai sentito anche tu”, rispose lei tranquilla, fingendo di dimenticare che sia il Djinn che Palla avevano parlato nella lingua di Ligu che sicuramente l’altro non capiva, “dobbiamo partire con la prossima marea.”
    “Che sarà poco prima dell’alba”, intervenne Agio, “è molto meglio se dormiamo a bordo. Siamo vecchi e non ce la faremmo ad essere pronti in tempo.”
    Si vedeva chiaramente che era combattuto, ma non si discutono gli ordini di una Dea: “Vi farò portare qualcosa da mangiare qui. Avvertirò il Visir e rimarrò a disposizione nel caso abbiate bisogno di qualcosa”, disse finalmente, quindi girò sui tacchi e, dopo aver confabulato con un guardiano che sembrava più interessato al fondo del proprio bicchiere che a quel che avveniva al porto, partì al piccolo trotto verso il palazzo del Visir di ‘Rruth.

    I doni erano in bell’evidenza sul tavolo della stanzetta che era stata la loro casa nel lungo viaggio.
    Si trattava di un vecchio paio di orecchini d’argento e di un coltello da pescatore ancora più malconcio di quell’arnese che Agio si portava alla cintura da troppi decenni.

    Senza un commento e senza neppure scambiarsi uno sguardo Darda sostituì i suoi orecchini d’oro con quelli d’argento ed Agio sfilò dalla cintura il suo coltello per rimpiazzarlo con quello che era sul tavolo.
    Appena lo prese in mano, però, questo cominciò a vibrare, come volesse sfuggirgli e quindi puntò deciso verso ovest. Si girò verso Darda per vedere se aveva notato che il coltello mostrava loro dove andare, ma si rese conto che lei aveva gli occhi che guardavano lontano, ben oltre le pareti della cabina.
    Passarono alcuni minuti prima che si girasse verso di lui e lo mettesse bene a fuoco.
    “Ho visto Jona”, mormorò con un filo di voce, “Sta salendo su per delle montagne. Mi è sembrato molto stanco e solo.”

  • Darda

    Darda stava fendendo la folla che riempiva le stradine del mercato con più efficienza di quanto la prua della barca di Agio avesse danzato sulle onde lunghe del mediterraneo nell’ultimo mese.
    Erano arrivati a ‘Rruth da poche ore ed avevano appena saputo che Serna e Sindehajad, dopo aver completato brillantemente la missione a Gadadh, erano scomparsi per un misterioso viaggio richiesto direttamente dagli Dei.
    Non erano passati cinque minuti che i due, scortati da un giannizzero, scendevano verso il centro della città.

    Agio seguiva sorridendo senza pensare minimamente a cercare di rallentare quella furia che ora stava picchiando con la palma della mano aperta su una vecchia colonna ritta al centro di una piazza stranamente deserta: “Esci fuori, lo so che ci sei!”
    “Certo che ci sono, dove potrei andare, sennò? Che posso fare per te, Darda?”

    Il Djinn di Isto era apparso sbucando da dietro la colonna con la sua solita aria indolente ed un sorriso sincero.
    “Lo sai benissimo che cosa puoi fare. Che cosa sarebbe quest’idea di spedire quei due scavezzacolli ancora in giro da soli? Non avete giocato abbastanza con la loro vita? Dove sono adesso?”
    “Veramente l’idea non è mia”, si schernì il Djinn lanciando un’occhiata verso Agio che sembrava occupatissimo a pulirsi le unghie con il suo coltello da marinaio e non sembrava assolutamente interessato a quel che si diceva, “ma ti posso dire che proprio ieri sera Serna ha chiesto proprio di voi”, concluse dopo una breve pausa ad effetto.
    “Ah, sì? E te lo ha detto lei?” Darda non era per nulla propensa a lasciarsi prendere in giro.
    No, lo ha detto a me”, rispose per lui Palla che era uscita dalla colonna come si fosse trattato di una normalissima porta.
    Darda chinò il capo con solo una frazione di secondo di ritardo rispetto ad Agio ed al Djinn: “Sei tu che li hai mandati nuovamente in missione? Gli Dei tutti hanno deciso di distruggere questa famiglia?” La voce era tesa.
    La risposta è “no” ad entrambe le domande”, rispose serafica la Dea ignorando completamente l’accusa,
    Mi sto prendendo una bella responsabilità a parlarti in questo modo, Darda, per ragioni che non è facile spiegarti ora, ma tu ti prenderai una responsabilità anche maggiore se deciderai di aiutare i due Patriarchi. La strada per raggiungerli è relativamente facile, ma tornare indietro potrebbe essere più complicato.

    Darda era ora completamente calma e guardava la Dea con i suoi occhi azzurri come potesse vederle attraverso. Si voltò verso Agio:
    Questo dipende da lui.
    “Certo, intendevo dire: se lui lo vorrà potrà venire? Non glielo vieterete?”
    Non farei mai uno sgarbo del genere a Posse”, fu la laconica risposta.
    “Che dobbiamo fare?”
    Prima di tutto parlatene fra voi; non è un passo da fare con leggerezza.
    Fu Agio che rispose, questa volta. Fece un passo avanti e mise delicatamente una delle sue larghe mani callose sul braccio di Darda: “Non c’è nulla di cui parlare. Non siamo due ragazzini che prendono decisioni affrettate. Abbiamo parlato a lungo e sappiamo cosa vogliamo fare. Non prevedevamo certo di trovarci in questa precisa situazione, ma questi mesi non sono stati esattamente facili e non credo che siamo disposti a rinunciare ora.”
    La ruga profonda che era la sua bocca si increspò in una specie di sorriso: “Ma queste sono cose che, ne sono sicuro, sono chiare ai Tuoi occhi.”
    Esiste una differenza tra il sapere qualcosa e fare una domanda ed ottenere una risposta.
    Darda e Agio si scambiarono solo un’occhiata, poi lui disse, con un leggerissimo inchino: “Se tu pensi che potremo essere di aiuto, faremo del nostro meglio per non deluderti.”
    La Dea ricambiò l’inchino: “Troverete dei doni sulla vostra barca. Fatene buon uso”, ciò detto si girò e rientrò nella colonna.

    “Scusa per prima, ero veramente preoccupata”, disse Darda al Djinn che era rimasto ad osservare e che ora sorrideva apertamente.
    “Capisco. Ora non sei più preoccupata?” Chiese come fosse la cosa più interessante del mondo.
    Darda ricambiò il sorriso: “Certo che sono ancora preoccupata, ma è una preoccupazione diversa. Ora so che la riuscita dell’impresa dipende interamente dalle nostre capacità.”
    “Non è sempre così?”
    “No. Molto, troppo, spesso ci si imbarca per imprese già destinate al fallimento prima ancora di cominciare, ma, a quanto pare, questa non è di quel tipo, grazie agli Dei!”

    Si avviarono immediatamente verso il porto, dove li attendeva la barca da pesca di Agio, riconvertita a piccolo cabinato per quel viaggio.

    “Una bella coppia”, mormorò fra sé il Djinn che li guardava uscire dalla piazza, “dicono di non essere dei ragazzini, ma non riescono a resistere alla curiosità di vedere i doni di Palla. Mi piacerebbe andare con loro.”

  • Palla

    Erano sulle rive di un gran lago salato circondato da brulle montagne che contrastavano con la valle verde e poco popolata che avevano appena attraversato.

    Si fermarono per la sera proprio dove le acque lievemente limacciose, ma dolci, del fiume si gettavano in quelle salatissime del lago.

    Mentre Serna accudiva i cavalli ed accendeva il fuoco Sindehajad andava a cercare acqua fresca e qualcosa da mangiare. Aveva provato a convincerla a riposare, ma lei aveva ribattuto che, se non era in grado di reggere alle prove che gli Dei avessero deciso di mandare loro era meglio saperlo subito, invece di avere amare delusioni più avanti e che comunque si sentiva benissimo, almeno per il momento; effettivamente era passata solo una settimana da quando Ipno l’aveva informata che era incinta e non sentiva neppure le nausee mattutine che sapeva essere normali.

    Avevano parlato a lungo in quella settimana e ora, prima di prendere ulteriori impegni, avevano bisogno di conferme.
    Dopo una cena frugale, mentre il cielo ancora conservava una luminosità nella quale cominciavano a sbocciare le prime stelle, levarono il canto di invocazione per Palla.
    La Dea apparve in pochi istanti, quasi stesse attendendo il loro richiamo.

    Che cosa vi spinge a chiamarmi, figli miei?
    “Cerchiamo il conforto della Tua saggezza.”
    La Saggezza potrete trovarla solo nel profondo dei vostri cuori, che ora avverto turbati.
    “Siamo sicuri che sei al corrente della proposta che ci è stata fatta da Ipno e Dana”, cominciò Serna che si era preparata il discorso con molta cautela.
    Vero. Non sempre gli Dei sono al corrente di quello che fanno i loro pari, ma quando si tratta di questioni di questa rilevanza vengono discusse in anticipo.
    La Maga sorrise incassando la prima risposta importante: non si era trattato di un’idea isolata di Ipno e Dana.

    “Siamo entrambi onorati della fiducia concessaci, ma ci rendiamo anche conto che, con le nostre sole forze, le probabilità di riuscita sono scarse.”
    La Dea non rispose e non cambiò espressione.

    La Dea sorrise con uno dei suoi rari sorrisi materni:
    Sindehajad ascoltava immobile. Non era quello che si era aspettato di sentire, ma capiva le motivazioni di Serna, forse meglio di quanto le capisse lei stessa. Ascoltava immobile facendo del suo meglio per scomparire dalla coscienza sia della donna che della Dea.

    La tua capacità di rimanere fedele ad una missione, anche quando è difficile, è uno dei motivi per cui abbiamo deciso che valeva la pena di darvi questa possibilità. Inoltre ricorda che i piani migliori sono proprio quelli che riescono a soddisfare diverse esigenze apparentemente non correlate fra loro.
    “Questo significa che non dovrò più avere segreti?”
    Se la vostra decisione di percorrere il cammino che avete davanti è ferma, non vedo ragione di rendervi la vita più difficile di quanto non lo sia normalmente.

    Serna annuì seria:

    La Dea inclinò la tasta dea un lato e la guardò a lungo prima di rispondere:

    Il Geco si trovò di colpo al centro dell’attenzione, ma i suoi occhi ridevano:
    “I miei genitori hanno sempre cercato di assecondare le mie inclinazioni, non hanno mai voluto farmi diventare qualcosa di diverso”, disse Serna, ma già mentre le parole le uscivano dalla bocca avevano un retrogusto di falso che la lasciò sgomenta.

    Serna, devi imparare a guardare il passato con gli stessi occhi sgombri e luminosi con cui guardi il futuro”, le disse la Dea con un velato tono di rimprovero, “so bene che né Jona né Dania hanno mai usato la frusta, con te, mentre il Geco ha imparato a levitare in tenera età, pur di sfuggire alle scudisciate sulle gambe”, proseguì rivolta ad entrambi, “ma non credo proprio ti abbiano “assecondata” sempre.
    La Maga si ritrovò per un lungo e doloroso istante nella sua cameretta, al buio, senza poter parlare con nessuno come punizione per una delle sue mirabolanti imprese, intenta a meditare su come potevano essere visti i suoi scherzi con gli occhi delle vittime, sapendo bene che l’indomani sarebbe stata interrogata sull’argomento.

    Serna sentì pesantemente la critica, neppure troppo velata, nelle parole della Dea e abbassò il capo confusa. Il Geco cambiò rapidamente argomento: “Quello che non capisco io, invece, è perché gli Dei vogliano che noi creiamo una società diversa, perché non lo fate voi?”

    Palla tornò a sorridere:

    La Dea stava cominciando lentamente a svanire, ma Serna aveva un’altra richiesta da fare, prima di lasciarla andare. Parlò in fretta, temendo di non fare a tempo: “Potremo parlare con qualcuno, o saremo isolati da tutti?”

    “Come Mentore?”

    “Papà?”
    Può essere, ma non è ancora sicuro”, tagliò corto Palla.
    “Non potrei chiedere a qualcuno di aiutarci, almeno nei primi tempi?”
    Potresti chiedere, ma si tratterebbe di farli rimanere con voi per tutta la vita, comunque.
    Serna annuì e guardò la Dea con aria di sfida: “La nonna e Agio!”

    La Dea scoppiò in una risata cristallina:

  • Intermezzo VI

    Le provviste cominciavano a scarseggiare ed anche la zattera, abituata alle acque dolci dei fiumi, mostrava un colore marrone che non sembrava per nulla sano. Solo la pianta delle acque sembrava essere in perfetta salute e produceva decine di frutti globosi da circa un quarto di litro ogni giorno.
    Jona seguiva sulla mappa che Mentore gli mostrava il lento avvicinarsi alle coste di quella nuova terra.
    Erano passate tre settimane da quando era partito e ancora non si vedeva la costa.
    Cercò di frenare l’impazienza guardando, per l’ennesima volta, la mappa.
    Il puntino che rappresentava la sua piccola imbarcazione si avvicinava lentamente, troppo lentamente per i suoi gusti, a quella costa ancora lontana. La balena che lo stava trainando non sembrava aver modificato la sua andatura e procedeva spedita, ma forse non abbastanza.

    Il sollievo venne rapido e leggero sulle ali del vento sotto forma di un gruppo di gabbiani che calarono in picchiata sulla sua scia cercando pesce nelle acque smosse.
    La costa non poteva essere lontana.
    Apparve il giorno dopo come una sottile linea all’orizzonte.
    Jona, abbrutito da un mese di inattività forzata sotto un sole implacabile e con razioni sempre più scarse e stantie, si sentì rinascere.
    A sera la costa era ben visibile, davanti a lui si apriva l’estuario di un ampio corso d’acqua che si gettava nell’oceano. La balena venne a fare capolino proprio accanto alla sua zattera ed il Mago la liberò dalla corda che aveva usato per farsi trainare.
    La morbida fibra non aveva lasciato segni su quel corpo enorme che si immerse immediatamente sollevando un’onda che fece danzare la piccola imbarcazione come fosse un turacciolo. L’enorme animale si allontanò un po’, poi salutò spiccando un paio di salti fuor d’acqua che fecero stagliare il corpo nero ed argenteo nelle luci della sera.

    Jona aveva già rimesso in azione il suo lungo remo e stava dirigendo verso terra.
    Vogare contro la debole corrente del fiume, dopo tanto tempo nel quale l’unica attività erano stati gli esercizi che quotidianamente si imponeva per evitare la completa inazione, lo stancò rapidamente, ma lui si costrinse a continuare, con ritmo lento e regolare, per buona parte della notte, alla luce di una luna quasi piena che faceva risplendere le acque nere dominate da quelle onde lunghe che lui aveva imparato a conoscere bene.
    Non appena fu abbastanza vicino alla costa calò una pesante pietra che aveva portato proprio per quello scopo legata alla fune di traino. Il fondale era sabbioso e ancora relativamente profondo. Il suo ancoraggio non avrebbe certo retto alla prova di un fortunale anche modesto, ma sembrava proprio che Zeo e Posse si fossero messi d’accordo per rendergli le cose più facili; in tutta la traversata aveva solo dovuto sopportare un violento acquazzone che lui aveva salutato con gioia in quanto l’aveva aiutato a togliersi il sale di dosso, sale che ora era tornato a incrostarsi sulla sua pelle nonostante cercasse di tenersi pulito usando l’acqua della pianta.
    Rimase a lungo ad ammirare la luna che si specchiava sulle onde e quella striscia nera che era la costa, oramai poco lontana, prima di assopirsi.

    Si svegliò alle prime luci dell’alba, come al solito, e, come al solito, i primi raggi del sole arrivarono a scaldarlo poco dopo, senza aurora, così come la sera era quasi senza crepuscolo.

    La costa era bassa e acquitrinosa, dominata da alti alberi di mangrovie che formavano ampie isole sull’estuario.
    Seguendo le indicazioni di Mentore si inoltrò sotto le chiome verdi seguendo una strada contorta nei canali fino ad arrivare ad una riva sabbiosa dove poteva approdare facilmente.

    Aveva appena messo piede sulla terraferma che venne accolto da uno scroscio di pioggia improvviso che, nonostante la relativa brevità, lo lasciò completamente bagnato.

    “Mah”, rispose il Mago, “almeno è pioggia calda; ho idea che sarà la benvenuta, con questo caldo umido.”

    Davanti a lui una cortina di vegetazione rigogliosa impediva completamente la vista in ogni direzione. Solo un piccolissimo lembo di cielo di un azzurro pallido era visibile dove i rami degli alberi non riuscivano a saldarsi completamente sopra uno dei bracci del fiume.

  • Ipno

    Una luce improvvisa li svegliò poco prima dell’alba, mentre le stelle cominciavano appena ad impallidire.
    Il Geco balzò in piedi come una molla con la sua corta scimitarra in mano, mentre Serna afferrava l’Amuleto alzandosi a sua volta. Erano entrambi nudi sotto la pesante coperta da campo, ma i loro abiti apparvero dal nulla attorno a loro.
    Tsk, tsk, è così che si accoglie un vecchio amico?

    Si rilassarono visibilmente riconoscendo la figura di Ipno che veniva verso di loro.
    Sindehajad abbassò la scimitarra e la ripose nel fodero mentre Serna teneva l’Amuleto stretto sotto il seno invece di brandirlo come un’arma.

    Sono contento che abbiate deciso di convolare a nozze, mi stavo giusto chiedendo quanto ci avreste messo ancora. Siete dei bei testoni, a volte, sapete?

    “Non è vero”, la interruppe Sindehajad, “è colpa mia che ho rovinato tutto con quella richiesta prematura ed offensiva.”
    Ipno si schiarì la voce interrompendoli: “Tsk, tsk, ma che carini”, disse congiungendo le mani in un gesto lezioso, “il loro primo litigio!
    Poi cambiò completamente voce e atteggiamento chiedendo seriamente: “Sono venuto troppo presto? Avete veramente intenzione di rovinare tutto?
    I due si guardarono scoppiarono in una breve risata, poi fu Serna che parlò per entrambi: “No. Credo che quest’unione durerà a lungo. Siamo d’accordo che questo è un punto di inizio di qualcosa che vogliamo costruire assieme giorno per giorno, anche e forse proprio perché siamo così diversi.”

    Tsk, tsk, cara ragazza non ti hanno mai detto di stare attenta a quel che desideri? Potrebbe avverarsi!
    “Ma noi vogliamo che si avveri!” dissero quasi all’unisono, “Ne abbiamo parlato a lungo, stanotte.”

    Sì, immagino. Anch’io ho parlato a lungo stanotte con una vecchia amica. Vi stavamo tenendo d’occhio, come forse avrete capito. Siamo qui per farvi una proposta che vi sarà difficile rifiutare, ma che cambierà la vostra vita al di là di ogni più sfrenata fantasia. Siete disposti ad ascoltarci?

    I due giovani erano stupiti, ma, in quel momento, si sentivano abbastanza forti da sollevare le montagne. Oltretutto ricevere una “proposta” da un Dio e da “una sua vecchia amica” non è certo cosa da tutti i giorni. Si guardarono un attimo in tralice, poi Sindehajad, chinando il capo, rispose per entrambi: “Siamo onorati.”

    Tsk, tsk, bene. Come vi dicevo, questa mia vecchia amica sta osservando il nostro Geco da molti anni, così come diversi di noi stanno tenendo d’occhio te, Serna. Penso che te ne sia accorta.
    Il fatto che abbiate deciso di metter su famiglia ha aperto alcune possibilità interessanti, ma forse è meglio che ve ne parli lei.
    Ipno fece un passo di lato e al suo fianco apparve Dana, con il suo lungo arco armato a tracolla. Indossava il suo solito abito formato da un paio di pantaloni marroni aderenti infilati in un paio di morbidi stivali e una casacca verde scuro con un ampio cappuccio che ora pendeva sulle sue spalle.

    Allo stupore dei due la Dea fece un breve sorriso che, per un istante, addolcì i suoi lineamenti severi:

    Siete due persone particolari e, date le vostre caratteristiche, c’erano buone possibilità che vi respingeste al primo incontro. Questo non è avvenuto e avete imparato ad apprezzarvi vicendevolmente.
    Questo non è strano, sapete?” Disse Ipno approfittando di una breve pausa,
    Lo sanno”, ribatte Dana, “o noi non saremmo qui a parlare con loro.
    Siete entrambi il risultato di incontri particolarmente fortunati, dal punto di vista genetico, tanto che il vostro incontro è un evento molto raro e potrebbe, sottolineo potrebbe, avvicinare l’umanità al cielo.

    La caratteristica principale di entrambi”, proseguì la Dea ignorandolo completamente, “è la capacità di interessarsi al futuro e di prendere a cuore le sorti di persone che non conoscono e che, probabilmente, non conosceranno mai.
    Serna ha dato prova di questo nei mesi appena trascorsi, ma anche Sindehajad non è da meno, e noi lo sappiamo, vero?
    Il Geco si limitò ad abbassare il capo e Serna gli lanciò un’occhiata che diceva: “Sembra interessante, me la dovrai raccontare, quella storia.”

    Vi piacerebbe”, scandì lentamente Dana, “essere i capostipiti di un intero popolo? Decidere quali saranno le loro condizioni di vita e la loro cultura?

    “Come ha detto Ipno: questa è un’offerta difficile da rifiutare”, cominciò Serna.
    “Ma non possiamo accettare finché non sapremo che cosa volete esattamente da noi”, concluse per lei Sindehajad.

    Tsk, tsk, sempre sospettosi. I giovani d’oggi non si fidano più di nessuno, nemmeno degli Dei.
    Si tratta di un gioco: il gioco della vita”, spiegò Ipno gesticolando garbatamente,

    Fondamentalmente corretto, ma mancano alcuni particolari: Il vostro popolo dovrà vivere, almeno per un certo numero di generazioni separato da tutti gli altri. Voi sceglierete il posto, nel Continente Proibito, in cui vi volete stanziare con i vostri figli. Avrete aiuto dagli Dei e, per un certo tempo, anche dagli assistenti. La prima generazione sarà composta interamente da figli vostri.

    “Ma è troppo poco per avere una comunità stabile”, obiettò Serna.
    La Dea la guardò con un sorriso indefinibile: “Già cominciamo a tirarci indietro, signorina? Avrai il tuo daffare, non temere.
    Tsk, tsk, non la spaventare, Dana. Starà a voi decidere quanti figli vorrete avere”, sorrise bonario verso la Maga,

    Serna era impallidita: dieci figli? Non conosceva nessuna che ne avesse avuti così tanti. Sapeva che già quello era un grande onore, data la strettezza di maniche di Opia che concedeva le nascite con il contagocce. Sua madre, con i suoi sei figli era già un’eccezione molto rara.

    Dana aveva ricominciato a parlare: “Dovrete anche decidere cosa insegnare ai vostri figli e quali sono le cose che avranno a disposizione: volete avere dei sacerdoti? Amuleti? Djinn? Animali dotati di linguaggio? Qualcosa di ancora diverso? Dove? Come? Ne discuterete con tutti gli Dei e, se possibile, cercheremo di aiutarvi a realizzare quello che avete in mente.

    Il Geco inghiottì a fatica mentre cercava di immaginarsi l’enormità del compito e la responsabilità. “Quanto tempo abbiamo?” Chiese.
    Fino a che la vostra prima figlia non arriverà al menarca. Da quel giorno non potrete più cambiare idee, anche se potrete modificare il vostro comportamento, naturalmente.

    Serna era concentratissima:
    Ipno rispose gentilmente: “Sì, ma solo dopo aver accettato la proposta.
    “Capisco.”
    Un’ombra fugace passò sugli occhi di Sindehajad e lei si sentì in dovere di spiegare: “Se non accetteremo Ipno cancellerà il ricordo di tutta questa conversazione dalla nostre menti.”
    Lui annuì:
    Poi si rivolse verso Ipno: “Questo, però, è un problema. Noi abbiamo una missione da terminare.”
    Certamente. Non mi aspettavo che lasciaste tutto e correste via verso il Continente Proibito. Termineremo noi la missione. Penso che non avremo difficoltà a convincere il Visir dell’autenticità di quella missiva, anche in vostra assenza. Voi potrete comunque sempre vedere quello che faremo e darci dei consigli, se lo riterrete opportuno. Non state mancando al vostro dovere”, rispose per lui Dana.
    Allora, cosa decidete?

    Il sole ancora non si vedeva, ma la luce stava correndo veloce giù dalla montagna verso di loro. Serna e Sindehajad si presero per le mani e si guardarono negli occhi senza parlare. Non ce n’era alcun bisogno.
    Dopo un lungo istante si voltarono verso gli Dei in attesa e dissero insieme: “Sì, accettiamo la Vostra offerta.”

    Bene. Il tuo Amuleto vi indicherà la via da percorrere”, disse Dana mentre si voltava, quindi sparì.
    Anche Ipno cominciò a girarsi verso la valle alle loro spalle, ma a metà del gesto si fermò: “Tsk, tsk, io starei attenta ad andare troppo a cavallo, nelle tue condizioni.

  • Dichiarazione

    Si trovavano nel punto esatto in cui Serna e i quattro giannizzeri avevano teso l’agguato che aveva portato alla liberazione di Sindehajad.

    Era sera ed il sole era oramai calato dietro le montagne, ma il cielo era ancora luminoso con dei riflessi rosa che il Geco considerò di buon auspicio.

    Si svolse lentamente la lunga striscia di cotone nero che costituiva la tagelmust fino a rivelare completamente il viso ben rasato e la testa con i lunghi capelli neri raccolti in una grossa treccia.

    “Serna”, disse guardandola dritto negli occhi, “un’altra volta ho provato ed ho fallito per mia ignoranza. Ora credo di aver imparato abbastanza da poter riprovare.”
    Piegò un ginocchio fino a terra e, guardandola dal basso in alto, le chiese: “Serna di Tigu, Maga dei tre continenti, vuoi essere la mia sposa?”

    Lei rimase un attimo in silenzio, poi lo prese per le mani e lo costrinse a rialzarsi sorridendo.

  • Intermezzo V

    Jona era giunto al mare da una luna intera.
    Il viaggio era stato lungo e, nella prima parte, molto faticoso.

    Il fiume era diventato progressivamente più largo e le rapide più rare e meno violente. Si era scavato una strada contorta fra le montagne di roccia rossa che sembravano altissime. Mentore gli aveva detto che, in certi punti, il fiume scorreva quasi duemila metri più in basso dell’altopiano che aveva inciso così profondamente. Jona non faticava a credergli. Quelle pareti quasi verticali che lo circondavano sembravano anche più alte.

    Aveva attraversato un grande lago dove le montagne si aprivano un po’ e le pareti attorno a lui si facevano più dolci e, a tratti verdeggianti.

    Il fiume riprese la sua corsa, verso sud, questa volta e, dopo un nuovo tratto ripido e incassato in brulle montagne, si apriva in una valle a tratti molto ampia e a tratti più angusta, ma sempre molto verde, a differenza delle alture circostanti che contrastavano con il loro aspetto spoglio e riarso.

    Il viaggio si era fatto più lento e il Mago aveva cominciato ad usare il suo lungo remo per accelerarlo, oltre che per dirigere la sua imbarcazione nelle rapide.
    Il caldo si era fatto intenso e lui passava le sue giornate seminudo bagnandosi spesso nelle fresche acque di quel largo fiume.

    Finalmente le mangrovie che crescevano sulle rive lo avvisarono che era arrivato al mare.

    Lì Mentore gli aveva detto di fermarsi per prepararsi alla traversata.
    Gli aveva fatto preparare una scorta di carne e frutta che aveva fatto seccare in modo che si conservasse a lungo.
    Lo aveva guidato lungo la costa alla ricerca di una strana pianta che calava le sue lunghe radici aeree fino all’acqua salmastra e produceva dei grossi frutti semitrasparenti e pieni di acqua dolce. Un adattamento per attirare gli animali assetati in quelle zone aride che poi facevano da veicolo per i piccoli semi neri. Jona sospettava fortemente che quell’adattamento fosse stato voluto da Asclep, ma Mentore si rifiutava di commentare sull’argomento.

    Mano mano che le provviste si accumulavano Jona si faceva sempre più preoccupato. Era evidente che “la traversata” sarebbe stata cosa lunga e la sua guida si rifiutava recisamente di dargli informazioni. Calcolò che aveva cibo per almeno tre settimane.

    Una sera sua figlia si era messa a ridere delle sue preoccupazioni e gli aveva detto: “Se non altro sai che viaggerai comodo!”
    Alla sua faccia stupita aveva ribattuto: “Non riusciresti mai a trasportare tutta quella roba, quindi ci sarà un qualche mezzo di trasporto.”
    “Oh, se è per quello sono sicuro che sarà la pianta-zattera. Mentore mi ha fatto sistemare la pianta dell’acqua a bordo, con le radici che pendevano dietro.”

    Infatti qualche giorno dopo l’Amuleto gli diede istruzioni di stivare tutte le sue cose a bordo, perché presto sarebbe stata ora di partire.

    Partì all’alba e remò lentamente per tutto il giorno nell’aria calma e tiepida che si riscaldava sempre più. Remò fino a notte fonda, rischiarato da una luna quasi piena, prima di avvolgersi in una coperta per proteggersi dall’umidità notturna.
    Il giorno dopo fu uguale al precedente. Della costa si vedevano oramai nella bruma all’orizzonte solo le cime delle alture che costeggiavano la lunga baia che stava percorrendo.
    A sera, quando Mentore gli disse che era meglio riposarsi un po’, era oramai certo che avrebbe passato il prossimo mese a vogare in mezzo al mare.

    L’Amuleto lo svegliò verso mezzanotte: “Il nostro trasporto è arrivato. Fai attenzione.”
    La luna piena rischiarava il mare producendo lame di luce argentea intervallate a zone nere come la pece.
    Attorno a lui nuotavano parecchi corpi che non riusciva a distinguere bene, ma che erano certamente di dimensioni enormi.
    Almeno quattro volte la lunghezza della sua zattera.
    Vide chiaramente una pinna caudale alzarsi dall’acqua mentre l’essere si immergeva.
    “Balene?” Chiese a Mentore.
    “Balenottere grigie, confermò lui.”

    Un muso molto più lungo di lui spuntò a fianco della barca rischiando di farla rovesciare.
    “Che devo fare?”
    “Prendi la corda che ti ho fatto preparare e mettigliela al collo.”
    Jona ci mise un attimo per capire. Parecchio tempo prima Mentore gli aveva fatto preparare un largo cappio con una morbida corda che gli avevano dato gli assistenti su alla valle dei draghi. L’aveva quasi dimenticata.
    Fece passare quell’anello attorno al gran testone fino a che non andò a fermarsi attorno alle lunghe pinne pettorali. Un istante dopo la balena si immergeva provocando un’onda che Jona ebbe parecchie difficoltà a cavalcare.
    La corda fuggiva rapidamente.
    “Attento alle mani!” gli gridò Mentore appena a tempo.
    Jona imprecò e buttò la coperta sulla corda, cercando poi di afferrarla con quella.
    Fortuna che la corda era molto lunga e ben arrotolata, altrimenti l’avrebbe persa e, probabilmente le sua possibilità di proseguire il viaggio sarebbero finite in mare con lei.
    La zattera cominciò a muoversi con decisione e lui cercò un punto a cui fissarla e Mentore gli spiegò come fare, facendola girare un paio di volte attorno al suo bastone incastrato nel fondo forato della zattera, a fissarla in modo che non fosse rigida, avrebbe potuto assecondare gli occasionali strattoni che la balena dava.
    Normalmente la balena si muoveva poco sotto la superficie, un centinaio di metri davanti alla zattera che procedeva spedita e regolare.

    La balena si riposava poche ore al giorno, per il resto nuotava in quello che, per lei, doveva essere un’andatura di tutto riposo, ma che divorava i chilometri sollevando due piccoli baffi di spuma attorno alla prua della barca.

    “Perché non mi hai detto niente?”
    “Non volevo rovinarti la sorpresa.”
    “Avrei potuto rovinare tutto semplicemente lasciando che la cima si aggrovigliasse e cadesse fuori bordo”, disse Jona con aria accusatoria.

    Jona stava per rispondere in malo modo, ma invece si mise a ridere.