Author: mcon

  • Lontano da casa

    Jona era stanco, il tasso di adrenalina nel sangue stava lentamente scemando, ma il sonno non si decideva a venire.
    “Che ore sono?”
    “Dieci minuti dopo l’ultima volta che me lo hai chiesto. Sono le dieci e mezzo.”

    “Lo vedo!”

    “Sì. Sta leggendo nello studio. La chiamo?”
    “Sì, Chiamala, per favore.”
    “Ciao, papà, tutto bene?” Le bastò un’occhiata per capire che non andava tutto bene: “che è successo?”

    Jona raccontò con precisione professionale, aiutato dall’Amuleto che aveva conservato un bel po’ d’immagini dei Troll e del loro inseguimento.
    “Non credo che ci siano molte speranze di passare inosservati. Ci sono famiglie un po’ dappertutto e l’Amuleto mi dice che di notte sono molto attivi. Sentono odori da chilometri di distanza.”

    “Incoraggiante. Puoi farci vedere queste famose cascate?”

    Le cascate apparvero nella stanza. Era giorno e la cosa stupì sia Jona che Serna, visto che ora era buio pesto là fuori.
    “Pensavo che me lo avresti chiesto, quindi ho registrato queste immagini oggi pomeriggio mentre tu eri occupato a mettere un piede davanti all’altro.”

    Mentre guardavano videro un grosso tronco che arrivava sul filo della corrente. Ne seguirono la caduta e lo videro riapparire poco oltre fra la spuma.
    “Due secondi”, disse Serna, “circa trenta metri.”
    “Probabilmente la zattera degli Elfi sarebbe in grado di sopravvivere, ma non certo chi ci stia sopra!”
    “Dovresti stare “dentro” la zattera, non sopra.”

    “Un bottiglia no, magari una damigiana.”
    “Beh, facciamo una botte, allora, anche se non si può vedere fuori.”
    Serna alzò gli occhi al cielo: “Un momento, mi chiamano.”

    Jona continuò a guardare le immagini cercando una scappatoia, ma non ne vedeva. Il Rin correva veloce fra due pareti di roccia che aveva levigato per secoli fino a farle diventare lisce e senza appigli.
    Più in alto, dove la vegetazione ricominciava, si vedevano le radure con i gruppi di “massi” coperti di “muschio”. Decisamente impossibile passare da lì.

    Serna ricomparve e si sedette sulla sua poltroncina. Aveva una strana espressione: “Dice che si può fare.”
    “”Chi” dice che si può fare “che cosa”?”
    “Festo dice che puoi passare le cascate del Rin chiuso in una botte.”
    Jona strabuzzò gli occhi. “Mi stai prendendo in giro? Non è divertente, sai?”
    Serna scosse la testa, tenendo gli occhi fissi su qualcosa che era fuori dal campo visivo del padre. Era un po’ pallida e concentratissima. Alla fine annuì di nuovo e si girò verso Jona.
    “Festo dice che si può fare con relativa sicurezza. Le cascate sono alte solo 27 metri e c’è parecchia acqua sotto. Dice che, per la massima sicurezza dovresti prendere una botte da 40 ettolitri e riempirla per un terzo di zavorra, in diagonale. In modo che galleggi inclinata. Se ti stendi su questa base, dopo averla imbottita, dovresti avere la sicurezza di sopravvivere, anche perché pietre e malta ti faranno da scudo.”

    Jona non disse quel che pensava dell’idea per evitare di offendere Festo.
    “Ti sei fatta dare l’intero progetto?”
    Serna fissava qualcosa con un’espressione fra l’affascinato e il terrorizzato. Annuì.
    “Va bene. Ne parliamo domani. Ora non sono in grado di ragionare coerentemente.”

    Serna si riscosse. Probabilmente Festo se ne era andato.
    “Certo, papà. Meglio dormirci sopra.” Poi si guardò attorno e vide la strana grotta dove si trovava il Mago, “dove sei? Sembri in una casa abbandonata.”
    “Non lo so. Questa caverna è ben strana”, disse facendo un ampio gesto con le braccia come per comprenderla tutta, “come hai detto sembra tu di essere dentro un palazzo, come se fossi entrato da un finestrone e laggiù sembrerebbe esserci il vano di una porta, bloccata da detriti e piante, ma è roccia compatta, non si vedono mattoni né calce ed è vecchia. Forse è opera degli Dei.”
    “No. Non è opera degli Dei” interloquì l’Amuleto.
    “E di chi, allora?”
    “Non lo so, ma non è opera degli Dei di sicuro.” Più di questo non riuscirono a cavargli.

  • Notte nella grotta.

    Il rumore dei Troll e del loro ferale pasto era oramai lontano alle sue spalle quando Jona rallentò il passo. “Dove sono?”
    “Qui”, rispose l’Amuleto mostrando la solita mappa celeste.
    “Minz è fuori discussione, ma anche Ruudesh è troppo lontana. Non ci arriverò mai prima di notte!” disse Jona sconsolato. Si trovava ancora a mezza costa, più vicino alla cima dei monti che alla valle ed era anche spostato rispetto al paese.
    “Con un po’ di sforzo forse potresti arrivare qui.” Sulla mappa apparve un cerchio rosso. Jona si chinò a guardare meglio e vide un grosso roccione con un’apertura in cima: “Una grotta?”
    “Sì, sembra in una posizione sicura.”
    “Come ci arrivo?”
    La solita pista gialla apparve fra gli alberi e Jona si rimise in moto.

    Arrivò allo sperone roccioso che era già buio pesto. La luce dell’Amuleto illuminò una parete verticale di roccia ruvida e screpolata.
    La bocca della caverna si apriva quasi in cima. Jona non sarebbe riuscito a raggiungerla se non fosse stato per una fessura che tagliava tutta la parete in diagonale, ma, seguendo quella e con molto sforzo, riuscì a rotolare dentro.

    La grotta era un vano squadrato, chiuso sul fondo da un ammasso di massi e pietre.
    Era strana, sembrava artificiale, anche la parete era troppo verticale e troppo piana per essere naturale. A domanda l’Amuleto rispose con un neutro: “non saprei” e Jona capì che lo sapeva benissimo e che non voleva, o non poteva, parlare.

    Si diede ancora un’occhiata in giro ripromettendosi di esaminare meglio quel posto alla luce del giorno.
    “Siamo al sicuro?”
    “Penso di sì. Non sento animali pericolosi nelle vicinanze. I lupi, anche se ce ne fossero, non potrebbero entrare e i Troll nemmeno: troppo grossi per passare da lì”.

  • I Troll

    Il cavallo saliva lentamente seguendo il sentiero che alternativamente si allargava o si restringeva fino a quasi scomparire. Era oramai pomeriggio inoltrato e Jona non vedeva l’ora di arrivare all’ampia radura che avevano scelto come punto di tappa. Sembrava un buon posto aperto, proprio sulla cima di un monte, dove accendere un bel fuoco per tenere lontane le bestie.

    Sbucò nella radura d’improvviso. Il bosco lasciò posto al prato coperto di fiori. Era sulla cima di un mammellone erboso. Proprio in mezzo c’erano una decina di grossi massi arrotondati coperti di muschio. Strano, non li aveva notati nelle immagini dell’Occhio. Forse c’era un riparo là in mezzo.
    Poi il vento portò uno strano odore.
    Il cavallo roteò gli occhi e nitrì.
    “Troll!” disse l’Amuleto.
    Jona non sapeva esattamente che cosa aspettarsi, ma cercò di calmare il cavallo.

    I “massi”, intanto, si girarono verso di loro e aprirono gli occhi. Si trattava di strane creature: enormi scimmioni dalle lunghe braccia e gambe corte. Seduti erano alti più di cinque metri, coperti da un ispido pelo arruffato verdastro che lui aveva scambiato per muschio.
    Adesso si stavano alzando lentamente emettendo borbottii a metà fra l’assonnato e l’irritato.
    mrengo wa Mungu wa kulala (Ala di Ipno)”
    “Niente da fare. Quel verde è rame. Sono completamente schermati da tutte le onde elettromagnetiche.”
    miguu kulala (gambe che dormono)!”

    ghadhabu ya Mungu ya kifo (ira di Thano)!”
    L’Amuleto vibrava nelle mani di Jona e una pioggia di ammiccanti luci rosse si riversò verso i Troll. L’effetto fu grandioso.
    I Troll bucarono quella cortina di luce caracollando sulle nocche delle mani e sulle corte gambe ruggendo in modo spaventoso. Direttamente verso Jona. Decisamente non era quella l’intenzione.
    Stavano rapidamente coprendo la distanza che li separava.
    umeme katika anga (lampo di Zeo)!” urlò Jona mentre faceva voltare il cavallo e tornava precipitosamente da dove era venuto.
    Il lampo accecò i Troll che ulularono il loro disappunto e poi ripresero l’inseguimento guidati da odori e rumori.
    “Fai qualcosa per fermarli!” sibilò Jona mentre era occupato a tenersi in sella nella pericolosa discesa.

    “E allora chiedi un fulmine celeste!”
    “Già fatto. Zeo mi dice che devi piantarla di cercare scorciatoie ai tuoi problemi.”

    Jona imprecò fra i denti e si concentrò sul sentiero che l’Amuleto continuava a marcare, per fortuna, altrimenti si sarebbe già perso là in mezzo ai rovi e alle mortelle.

    I Troll non stavano guadagnando terreno, ma non ne stavano nemmeno perdendo troppo.
    La luce stava cominciando a calare. Era una fortuna che il crepuscolo durasse così a lungo da quelle parti.
    Poi il cavallo inciampò, Jona cercò di sostenerlo, ma un istante dopo rotolava a terra. Un secco “pop” proveniente dalle zampe anteriori non lasciava presagire nulla di buono.
    Jona si rialzò in un lampo e vide il disastro: la zampa anteriore sinistra era piegata con un angolo innaturale.
    wengine wa Mungu wa kifo (riposo di Thano)”, sospirò Jona mentre si chinava a raccogliere le bisacce. Gli occhi del cavallo smisero di roteare e il suo corpo si rilassò nell’abbraccio della morte.

    I troll si stavano avvicinando rapidamente. Mise le bisacce in spalla e cominciò a correre più silenziosamente possibile.
    Sentì un coro di ruggiti alle sue spalle e si girò a guardare, cercando di non perdere il passo.
    “Pensa a correre”, gli disse l’Amuleto, “hanno trovato il cavallo e lo stanno facendo a pezzi. Per ora non sembra si siano accorti di noi”.

  • Sui monti Thun

    Mentre a Minz si assisteva alla caduta di Vadym, Jona seguiva la Bussola verso nord, verso i monti Thun. Si trattava di montagne relativamente basse e arrotondate, coperte di boschi. Qui predominavano le querce e, di conseguenza, il sottobosco era rigoglioso e intricato.

    Aveva preso tutte le informazioni che era riuscito ad avere. Poca cosa, in verità. Tutti dicevano che i boschi dei Thun erano pericolosi, ma si raccontava di qualcuno riuscito a passare, la strada del fiume, invece, era bloccata dalle cascate del Rin.
    Il fiume si infilava in un’ampia gola a metà della quale c’erano le famose cascate. Nessuno sapeva quanto fossero alte e pochi ne avevano visto da vicino la spuma. Nessuno era mai tornato indietro di quanti avevano cercato, in un modo o nell’altro, di superarle. La scelta sembrava obbligata.

    Jona, l’Amuleto e Serna avevano passato lunghe ore a studiare l’Occhio dal Cielo e a tracciare quelli che sembravano sentieri percorribili. Ora, dopo aver attraversato il Rin stava seguendo la riva sinistra verso ovest cercando il punto che avevano individuato. Per ora seguiva un sentiero battuto che era quello che portava a Ruudesh, ma presto lo avrebbe dovuto abbandonare per inoltrarsi nella foresta.
    Il cavallo procedeva lentamente e l’Amuleto aveva cominciato a insegnare la sua lingua privata al Mago, così come aveva fatto, tanti anni prima, l’amuleto che ora era alla cintura di Serna.
    Questa era una lingua complicata, piena di sfumature, tanto che tutta la mattinata passò senza che Jona fosse riuscito a imparare una singola frase. In compenso stava imparando su grammatica e sintassi molto di più di quanto avesse mai creduto esistesse.

    La foresta iniziava dove finiva la piana del fiume. Gli alberi erano bassi e il sottobosco impenetrabile. Visto da vicino era anche peggio di come gli era sembrato dall’alto. A metà mattinata arrivò nel punto che avevano scelto. Il bosco sembrava compatto come sempre.
    “Dove?”
    Ricomparve la solita stradina di mattoni gialli che puntava dritta verso gli alberi. Il cavallo fece uno scarto per la sorpresa, ma Jona lo costrinse a seguirla.

    Avvicinandosi Jona vide che i cespugli erano spezzati e, quando l’Amuleto ridusse la stradina ad una semplice linea gialla, si accorse che il terreno era pieno di orme di animali, per la maggior parte cervi. Probabilmente venivano al fiume a bere, pensò.
    Si inoltrò nella foresta e cominciò a seguire il sentiero, con il cavallo che si apriva la strada fra le frasche che gli sbattevano sulle gambe.

  • Epilogo II

    Ipno galleggiava beato nel suo mare di vigile incoscienza quando percepì un’altra potente entità che si avvicinava.
    Salve Dana”, disse nel flusso di parole non-parole con cui comunicavano gli Dei.
    Salve Ipno, come vedi le cose si stanno deteriorando rapidamente a ‘Rruth.
    Ipno impiegò un battito di ciglia per recuperare alla coscienza quanto avveniva ai confini del Continente Proibito e seguire le implicazioni che la Dea gli stava suggerendo.
    Il tuo protetto non è implicato, vedo.
    Lascia perdere quello! I problemi sono altri, e lo sai bene.
    Ipno considerò i fatti, poi scosse la testa: “Per ora stanno solo facendo preparativi. Seguiamo gli eventi, ma non è il caso di intervenire.” Fece una breve pausa, poi proseguì:

  • Epilogo I

    Il cavallo procedeva spedito sulla larga strada di terra battuta che costeggiava il Rin. Aveva ancora qualche chilometro da percorrere prima di lasciarla e cercare il sentiero fra i boschi che aveva scelto con tanta cura.

    Nel frattempo l’Amuleto cominciava le prime lezioni della sua lingua segreta. Una lingua strana e complicata, che specificava con pignoleria non solo l’azione e chi la faceva, ma anche come dove e perché avveniva.

    D’improvviso un cavaliere gli si accostò. Da dove sbucava? Asclep!

    Salve Jona.
    “Lode e onore a Te, Asclep”, rispose il Mago abbassando la fronte fino a toccare la criniera del cavallo.
    Lode ed onore anche a te”, rispose il Dio con uno dei suoi sorrisi asciutti e senza allegria, “volevo ringraziarti per come hai risolto la faccenda, lì a Minz.
    Oramai era ora di iniziare a esportare i prodotti elfici, ma questo furto, che non è passato inosservato, rischiava di essere un ostacolo. Grazie.
    Ci rivedremo, anche se non credo avverrà molto presto. La tua strada è ancora lunga, non aver fretta ed assaporane ogni passo.

  • Una porta verso i Monti.

    Ivan era seduto su uno scomodo sgabello a tre gambe davanti al Sacerdote di Asclep, che ne occupava uno identico al suo.

    “Se si parla di azioni materiali sei ancora più colpevole di Vadym, è vero”, disse pensieroso,

    Lo lasciò a scaldare lo sgabello e a preoccuparsi per più di due ore.
    Quando rientrò il suo sguardo era imperscrutabile.
    “Forse è vero che non tutto il male viene per nuocere. Asclep mi dice che i tempi sono maturi per cominciare a diffondere alcune delle tecniche Elfiche più semplici anche fuori dalle montagne.”
    “Se sei serio nel tuo proposito di ripagare per gli errori commessi invierai una delegazione per riportare quella Pianta dove è stata presa.”

    Il Sacerdote sorrise:
    “Come sempre Asclep è un faro di saggezza”, disse Ivan inchinandosi leggermente.
    “Per ora questo è tutto. Ci rivedremo quando sarai pronto a partire.”
    “Grazie.”

  • La gogna di Vadym

    Jona era appena uscito che il Sacerdote chiamò il suo Apprendista e dette una serie di ordini, poi tornò a parlare con l’Amuleto.
    Poco dopo una piccola processione composta dal Sacerdote, dal suo Apprendista e da quattro accoliti lasciava il Tempio, mentre altri andavano a informare il Burgmeister e gli altri maggiorenti della città di quello che stava succedendo.
    Il Sacerdote camminava in testa, con la sua tunica verde, cappuccio tirato fin sugli occhi e completamente avvolto da una luce pulsante. Dietro venivano i quattro accoliti che reggevano un’ampia cassetta vuota. L’apprendista chiudeva la piccola processione. Camminavano lentamente, senza guardare né a destra né a sinistra.

    Non ci misero molto ad arrivare al palazzo. Vadym in persona li aspettava all’ingresso.
    “Che Piacere! Cosa posso fare per te, oggi?” chiese con una giovialità che suonò falsa anche alle sue stesse orecchie.
    Il Sacerdote non dette segno di averlo visto né udito. Continuò dritto come se fosse in mezzo alla pubblica strada.
    Vadym si fece da parte appena in tempo. Un lembo della sua ricca palandrana sfiorò l’aura verde del Sacerdote e prese immediatamente fuoco.

    La processione salì le scale fino agli appartamenti privati di Vadym. A fianco alla porta c’era il capo delle guardie, pallido, ma deciso.

    Il Sacerdote, senza battere ciglio alzò la mano per aprire la porta e il capo delle guardie gli si parò davanti, entrando in contatto con l’aura verde. Un istante dopo si contorceva sul pavimento urlando per il dolore. Apparentemente illeso, ma era come se stesse bruciando vivo.

    La porta si aprì senza sforzo e la processione entrò con il suo passo lento. Non avevano nemmeno guardato in basso mentre superavano il corpo che si contorceva ai loro piedi.
    Le concubine pensarono prudente non fasi vedere.

    Il Sacerdote arrivò alla grande porta a vetri che dava sulla terrazza privata, la aprì e si trovò di fronte una pesante inferriata in ferro battuto. La chiave che gli aveva dato Jona girò con uno scatto oleoso e la grata si aprì senza cigolare.
    La terrazza era, in realtà, un modesto balcone al centro del quale c’era il vaso con la Pianta dei Semi.
    Il Sacerdote rimase immobile a fianco del tavolo mentre l’apprendista la piazzava nella cassetta portata dagli accoliti, poi mormorò qualche parola e l’aura verde di Asclep ricoprì cassetta e Pianta.
    La processione riprese la marcia seguendo il percorso inverso.

    Quando uscirono dal portone trovarono una grande folla. In prima fila il Burgmeister e gli altri maggiorenti.
    “Allora è vero!”
    “Che dobbiamo fare, Sacerdote?”

    La piccola truppa non ruppe il passo e tutti continuarono a guardare fisso davanti a loro, ma l’espressione del Sacerdote avrebbe potuto riempire volumi. Nessuno l’aveva mai visto così adirato e disgustato allo stesso tempo.

    La folla si aprì per farli passare, poi cominciò a sciamare nel palazzo. Ne uscì poco dopo spingendo Vadym, che cercava di divincolarsi verso il Burgmeister.

    Il processo fu sommario e breve. Buona parte della popolazione di Minz era presente.
    Il Sacerdote di Isto invocò l’Aura di Isto e le menzogne di Vadym si tinsero di rosso vivo.
    La sentenza era scontata: confisca di tutti gli averi ed espulsione dalla città.
    L’esecuzione fu immediata: Vadym fu spogliato di tutto e venne gettato nudo nel fiume. Doveva attraversarlo subito a nuoto, se avesse rimesso piede su questa riva, in territorio della Città di Minz sarebbe stato ucciso senza ulteriori formalità.

    Il Burgmeister, con l’approvazione degli altri maggiorenti, nominò Ivan curatore pro-tempore delle sostanze di Vadym.

  • Il Sacerdote di Asclep

    Il cielo stava appena cominciando a schiarire a oriente quando Jona si presentò alla porta del Tempio di Asclep.
    L’Amuleto brillava giallo in cima al suo bastone spandendo una luce allegra che lasciava completamente in ombra il viso di Jona coperto dal cappuccio del suo mantello.

    Il portone di legno chiaro si aprì prima che lui potesse usare la campanella che qui tutti i palazzi avevano.
    “Il Sacerdote la attende”, disse un accolito deferente che lo scrutava per capire chi fosse il Mago che si faceva ricevere a quell’ora.

    Il Sacerdote di Asclep era un omone gigantesco che aveva più l’aria di un tagliaboschi che di un chierico. Aveva in dosso una tunica verde immacolata stretta alla vita da una cinta di cuoio marrone alla quale era appeso il suo Amuleto.
    “Quindi sei tu”, disse guardandolo dall’alto in basso, “che hai provocato tutto quello scompiglio l’altra notte. Un Mago, avrei dovuto immaginarlo.”
    “Sono stato Mago, ora sono anche tante altre cose”, gli rispose Jona abbassando il cappuccio e mostrando il viso prima e l’orecchio sinistro tatuato poi.

    L’Amuleto intanto aveva cambiato colore ed era di un torvo rosso sangue.
    “Sì, l’Amuleto mi ha informato di qualcosa. Vedo che le cose sono anche più complicate di quanto pensassi. Siedi, posso offrire qualcosa?”
    “No, grazie. Sono in partenza. Prima di andare volevo informarti sulle attività si Vadym.”
    “Lo tengo d’occhio da un po’ di tempo e, debbo dire, le sue attività non mi piacciono proprio. Ivan ha avuto una brutta sorte a passare dal servizio di un galantuomo com’era Petruk a quel mascalzone di Vadym.”
    “Questa è una cosa che non capisco bene: perché, se ha capito di che pasta è fatto, continua a rimanere al suo servizio?”
    Il Sacerdote inarcò un sopracciglio:
    “Capisco”, disse Jona che, in realtà, aveva solo capito che Ivan era legato e che non era il caso di scavare oltre. La natura del legame gli sfuggiva completamente.
    “Anche tralasciando Ivan, le azioni di Vadym non porteranno nulla di buono all’intera Minz.”
    “Vero, a quanto ho capito sta preparando una specie di esercito per farsi nominare Burgmaister con la forza, visto che già due volte gli è andata male al consiglio cittadino, ma io ho le mani legate.”
    “Perché?”
    “Perché rappresento Asclep, qui a Minz. Non posso prender parte ad azioni politiche. Una volta che ci ho provato e Asclep è stato molto chiaro. Gli Dei non vogliono entrare direttamente negli affari umani. Sono disponibili, alle loro condizioni, a offrire aiuto, ma non intervengono direttamente per dettare una politica. Danno consigli e oracoli se richiesti, molto raramente si permettono di elargire premonizioni in modo spontaneo. Tutto qui. Quando ho cercato di usare il mio prestigio di Sacerdote per forzare certe decisioni in Consiglio il mio Amuleto ha smesso di funzionare per un anno intero.”

    Jona annuì:
    “Questo non cambia nulla, anche se Asclep è molto affezionato agli Elfi.”

    “Che intendi dire?” Il Sacerdote era proteso in avanti e i suoi occhi erano ridotti a due fessure.
    “Intendo dire”, proseguì Jona senza cambiare il suo atteggiamento rilassato, “che Vadym ha ordinato un furto in un qualche tempio di Asclep.”
    “Impossibile!”
    “Ma vero.”
    “Dove?”
    “Questo non lo so. Da qualche parte nel regno degli Elfi. Quel che so è ciò che è stato preso: una Pianta dei Semi.”

    Il Sacerdote assorbì lentamente la notizia. Era chiaro che non sapeva se essere più indignato per l’enormità del sacrilegio o più divertito per la sua completa inutilità.
    Poi prese il suo Amuleto, parlò per qualche istante in una lingua che l’Amuleto di Jona non conosceva o che, comunque, non si curò di tradurre. Anche la risposta fu breve e apparve un modellino del palazzo di Vadym con una luce verde pulsante su un’ampia terrazza.
    “Grazie. Adesso posso agire.”

    “Sì, sono d’accordo, è meglio così.”

  • Ivan II

    Il giorno dopo Jona lo passò preparando la partenza. Rimase ore chiuso nella sua camera a esaminare l’Occhio del Cielo cercando un passaggio sicuro nelle foreste sulle basse montagne che chiudevano la valle del Min verso sud. A volte aiutato da Serna che aveva buoni occhi per trovare i sentieri. Sembrava un percorso agevole, anche se non brevissimo. Non si vedevano insediamenti per parecchi chilometri, poi, cominciava un’ampia pianura che si estendeva fino al mare con diverse città, molto lontane le une dalle altre.

    La sera un bimbetto di pochi anni gli si parò davanti, fece un grande inchino e, dandosi un’aria d’importanza, gli porse un biglietto arrotolato e sigillato con la ceralacca. Poi scappò via correndo.
    Jona sorrise e ruppe il sigillo.
    Come si aspettava il biglietto proveniva da Ivan.
    Conteneva solo poche parole: “Pessime nuove. Dobbiamo incontrarci. Aspettami in camera tua dopo cena. Ivan”

    Ivan arrivò dopo mezzanotte. Socchiuse la porta senza bussare, scivolò dentro e se la richiuse alle spalle.

    “Racconta dal principio.”

    In realtà Ivan non sapeva molto più di quello che aveva già detto. Vadym si era chiuso nei suoi appartamenti e non aveva fatto entrare nessuno, tranne le sue concubine, che erano già dentro, e il capo delle guardie di casa, un tipaccio che Ivan sospettava essere un ex-brigante. Da lì erano partiti gli ordini.
    “Io non posso e non voglio fare direttamente altro, in questa storia. Ho imparato a mie spese che, se si fa qualcosa poi bisogna assumersi la responsabilità di seguire le cose fino in fondo. Io questa possibilità non l’ho: parto domattina.”
    Ivan aveva un’aria decisamente delusa.
    “Non ho detto che non farò nulla, Ivan. Ho detto che non farò nulla direttamente.”
    “Che intendi fare?”

    Aveva già la mano sul catenaccio che bloccava la porta quando Jona lo richiamò: “mwanga wa ukweli (aura di Isto!). Ma tu, Ivan, che faresti se fossi al posto di Vadym?”

    L’Aura di Isto era di un verde purissimo.
    “A bella domanda una bella risposta. Ti auguro di trovarne una ancora migliore, in futuro”

    Ivan aprì il catenaccio, poi si girò di nuovo: “Ma, secondo te, cosa dovrei fare?”