Author: mcon

  • Rabbia

    Un’imprecazione gli uscì dalle labbra.
    Il fuoco era quasi spento.

    Nessuna traccia né dei suoi compagni né della zattera.
    Neppure sul fiume si vedevano.
    La sua sacca rimasta lì dove l’aveva lasciata, un rapido controllo gli disse che nulla era stato toccato, nemmeno la borsa di denaro.
    “Bella guardia che hai fatto! Perché non mi hai avvertito?”
    “A differenza di quanto sembri credere”, rispose gelido l’Amuleto, “non vedo e sento tutto quello che succede su questa terra.”
    “Ammetto che avrei potuto accorgermi che questi questi quattro se la stavano filando, se avessi pensato a guardare da questa parte. Disgraziatamente stavo controllando lo stato di salute di un certo Mago di mia conoscenza che è rimasto imbambolato per quasi un’ora a guardare le lucine colorate!”
    “”quasi un’ora”?” Jona sentì girare la testa.
    “Quasi un’ora; cinquantatré minuti, per l’esattezza. Ancora sette minuti e sarei stato costretto a intervenire, anche se gli ordini di Thano sono abbastanza precisi: “se si caccia nei guai da solo è lui che deve trovare il modo di uscirne””.

    “Mai detta una bestialità del genere: “moderatamente pericolose” e “innocue” non sono sinonimi, almeno sul mio vocabolario; comunque ti avevo anche detto che non mi sembravi persona da lasciarti affascinare, per questo mi sentivo libero di contravvenire all’ordine di Thano: tecnicamente non ti eri ficcato nei guai “da solo”. Ma tutto questo non c’entra. Ne sei uscito senza il mio intervento. Ora non dare la colpa a me per la fuga dei quattro “Messeri”, però!”

    Jona si era oramai calmato abbastanza da capire che l’Amuleto aveva, come al solito, ragione: “Scusa, ho abbassato la guardia e sono stato prontamente punito per questo.”
    “Spiace anche a me. Non capisco cosa sia successo. Ivan è stato rigorosamente onesto; quando ti parlava non mentiva.”
    “Forse l’occasione si è presentata e loro l’hanno colta al volo. Inutile piangere sul latte versato. Fammi vedere un Occhio dal Cielo.”
    L’Occhio mostrava solo un mare verde scuro, interrotto dalla striscia argentea del Rin. Niente altro. Jona si sentì stringere il cuore. Il bordo della foresta, a nord, era lontano centinaia di chilometri. Settimane, almeno, di cammino. Se la foresta era pericolosa come si diceva
    “Mi domandavo se ci saresti arrivato da solo. Ci sono diversi piccoli villaggi: qui, qui e qui.”

    L’Amuleto riusciva a essere decisamente irritante, quando voleva. Stava cercando di fargli scontare di averlo aggredito, poco prima? O seguiva direttive precise? Probabilmente entrambe le cose, decise alla fine.
    Scelse un villaggio che si trovava quasi esattamente a nord, a diverse leghe di distanza. Avrebbe seguito il fiume per un po’, per poi tagliare verso l’interno.

    Fece una colazione leggera e poi si affibbiò lo zaino sulle spalle.
    Seguire il fiume si dimostrò presto impossibile. Il sottobosco formava una cortina compatta che non lasciava quasi possibilità di muoversi. Diverse volte fu costretto a tornare sui suoi passi perdendo parecchio tempo. Non aveva paura di perdersi visto che l’Amuleto sapeva sempre dove si trovava, ma anche l’Occhio non poteva aiutarlo molto a trovare una via attraverso quel labirinto vegetale. Alla fine, a malincuore, Jona si decise a seguire un sentiero battuto da animali, cervi, a giudicare dalle orme. La foresta si chiuse su di lui con la sua eterna penombra.

    Mano a mano che si addentrava nella foresta la luce diventava sempre più fioca, ma con questa si diradavano anche le piante del sottobosco, oppresse dalla mancanza di sole e dal peso degli aghi di pino che coprivano ogni cosa.
    Jona si trovò, quasi senza rendersene conto, sotto la volta di un’immensa cattedrale le cui navate, scandite da infinite colonne si perdevano in una foschia che si faceva sempre più densa.
    Il cammino, comunque, si fece decisamente più agevole. Gli unici ostacoli erano i tronchi caduti e la naturale ondulazione del terreno.

  • Le Fate

    Il Rin procedeva rapido e con un percorso abbastanza rettilineo, senza meandri fra due ali di alti pini di un verde scuro e compatto.

    Di tanto in tanto si vedevano animali sulle rive che venivano ad abbeverarsi. La fauna nella foresta doveva essere abbondante. Ivan gli confermò, aggiungendo poi che pochi cacciatori avevano il coraggio — o la stupidità — necessari per addentrarsi lontano dalle valli abitate.
    La sera si accamparono su un piccolo prato che copriva la riva sassosa circondati dagli alberi.

    Quando andarono a raccogliere la legna Jona si stupì di quanto fosse buio nella foresta ad appena pochi passi dal fiume; Ivan rise: “Perché credi che la chiamino “Foresta Oscura”? Non è certo per caso!” Jona dovette convenire che il nome era appropriato.
    Un fuoco ruggente tenne a bada le tenebre, ma loro si sistemarono prudentemente fra il fuoco e il fiume, lasciando ampio spazio tra loro e la foresta.
    I suoi compagni di viaggio si stesero sui loro mantelli.
    “Una splendida notte”, gli disse Ivan mentre si coricava, abbastanza lontano dal fuoco, “fa molto caldo in questa stagione”.
    Jona non commentò, ma si strinse addosso il mantello. Tutto quel caldo lui non lo sentiva e l’umido del fiume già cominciava ad ammantare di bruma la riva. Il fuoco teneva lontana anche quella, ma era evidente che i suoi compagni non gradivano. Jona era di gran lunga quello più vicino al focolare.

    Di notte la foresta era piena di rumori, ma non erano diversi da quelli a cui era abituato e Jona non faticò ad addormentarsi e a dormire tranquillo fino a che Vlad non lo venne a svegliare per il suo turno di guardia, l’ultimo prima dell’alba.
    Controllò il fuoco, ma Vlad doveva averlo appena alimentato. Un’occhiata alla scorta di legna gli confermò che ne avevano più che a sufficienza per arrivare a mattina. Bevve un sorso d’acqua e si dispose ad aspettare l’alba.
    L’acqua bevuta lo stimolò e lui si avvicinò alla foresta per vuotare la vescica.

    Così, sul limitare del bosco, intese un lontano ronzio che sembrava un canto. Si girò verso il punto da cui sembrava provenire e vide, poco lontano, un lieve chiarore.
    “Che cos’è?”
    “Fate, probabilmente”
    “Pericolose?”
    “Moderatamente, non mi sembri tipo da lasciarti affascinare.”

    Jona si mosse per andare a investigare.
    Dal cavo di un grande albero spezzato uscivano decine di piccoli esseri volanti che emanavano una debole luce colorata.
    Quando fu abbastanza vicino le Fate si accorsero di lui e gli sciamarono intorno cantando.
    Jona non aveva mai visto nulla di simile. Si trattava di piccole donne in miniatura, alte un palmo e con grandi ali da libellula. Erano tutte bellissime, anche se le proporzioni erano alquanto strane con quelle gambe lunghissime e quegli occhi enormi.
    Cantavano una nenia dolcissima.

    Jona sentì una forte attrazione fisica, testimoniata da un’improvvisa erezione. Proprio questo segnale lo riscosse: “Amuleto: che cosa sono queste “Fate”?” chiese agitando un braccio per allontanare quelle che gli stavano sfiorando il viso.
    “Tecnicamente sono degli insetti.”
    “Naturali?”

    “Chi?”

    “Sono pericolose?”
    “Ti ho già detto “moderatamente”. Non hanno armi, ma la loro malia può far scordare il tempo che passa e la direzione presa. Ci vuol poco a perdersi in questa foresta.”
    Jona si voltò, ma il chiarore del fuoco era ancora visibile fra i rami. Nessun pericolo da quella parte.
    “No, non mi sono ancora perso. Come si spiega l’attrazione, anche fisica, che sento?” Le Fate, intanto, si erano riavvicinate, ma la magia era andata e Jona ora solo onestamente curioso.
    “Come ti dicevo non mi sembri tipo da lasciarti affascinare, anche se ci sei andato abbastanza vicino. Sono ferormoni di prima qualità, in quantità assolutamente sproporzionate alle dimensioni dei questi esserini.”
    Jona aveva aperto una mano e una Fata ci si era posata sopra.
    Ora poteva vedere bene che si trattava, effettivamente di un insetto: aveva sei zampe, anche se due le teneva strettamente avvolte attorno a quella che sembrava la vita tanto da sembrare una cintura. Aveva un esoscheletro, come testimoniavano le giunture e anche gli enormi occhi erano compositi come quelli di tutti gli insetti. Quella che sembrava una gonna aperta sul davanti a mostrare le gambe era in realtà l’addome.
    “Uno splendido lavoro!”
    “Dana sarà felice della tua approvazione”, gli rispose asciutto l’Amuleto.

    Un gallo cedrone lanciò il suo roco grido poco lontano.
    Il chiarore dell’alba filtrava vagamente dalla riva del fiume.
    Jona si girò per ritornare mentre le Fate, deluse, sciamavano verso il loro tronco.
    “Perché fanno così?”
    “Così come?”
    “Hai capito benissimo: che ci guadagnano ad ammaliare i cacciatori?”
    “Prima di tutto non è detto che ci debbano guadagnare qualcosa: le ha create Dana per fare uno scherzo e poi si sono diffuse, anche se, credo, le uova vengano sempre prodotte dalle piante-utero di cui ti parlava Gornor.”
    “Comunque hai ragione. Il canto e l’attrazione sono funzionali. Lavorano anche su piccoli animali che finiscono per morire di fame. Le Fate sono carnivore.”

  • I pellegrini

    La “colazione inclusa nel prezzo” offerta la mattina dall’oste di Baal si rivelò un pasto importante che Jona, pur affamato, non riuscì a finire.
    Rimase un po’ sorpreso di vedersi portare carne e uova, invece delle focacce dolci degli Elfi, ma non fece commenti.

    Stava caricando la sua roba sulla zattera quando venne avvicinato da quattro uomini segaligni e dall’aspetto duro, in abiti da viaggio, ma di buona fattura. Quello che precedeva gli altri, evidentemente il capo, anche se non appariva dall’abbigliamento, si tolse il largo cappello piumato e si esibì in un complicato inchino che lasciò Jona di stucco.
    “Buongiorno, Messere, io sono Ivan, capo della delegazione inviata dal Signore di Minz per trattare con gli Elfi.” L’Amuleto diede un rapido bagliore verde.
    “Il piacere è mio, Messere, cosa Vi porta da me?”
    “La missione è stata un discreto successo”, la soddisfazione era evidente nella sua voce e l’Amuleto la gratificò con un altro lampo verde. “Ora abbiamo premura di ritornare e la strada è lunga, specie per i cavalli. Ci chiedevamo se fosse possibile affittare la Vostra imbarcazione, Messere; accorcerebbe il nostro viaggio di molti giorni.”
    Jona rimase un attimo interdetto. Aver compagnia non gli dispiaceva e quella poteva essere l’occasione per racimolare notizie sulle zone più a nord. La prima impressione, abbastanza negativa, era stata mitigata dalla gentilezza. Probabilmente si trattava di militari.
    Fraintendendo l’esitazione Ivan tirò fuori da sotto il mantello una borsa di cuoio che aprì mostrando una piccola fortuna in monete d’oro: “Possiamo pagare bene per il passaggio.”
    Jona non era mai stato particolarmente attratto dalla ricchezza e stava per dire qualcosa al riguardo, ma ci ripensò: meglio apparire avido che fuori posto. Artigliò la borsa e disse: “Affare fatto, ma dovete preoccuparvi delle vostre vettovaglie, io ho a malapena quello che basta per me.”
    Un sorriso di soddisfazione si disegnò sul viso di Ivan: “Non c’è problema: avevamo già preparato per un viaggio a cavallo e non ci sono locande per molte miglia. Dobbiamo solo sistemare i cavalli e prendere le nostre cose. Non ci faremo attendere molto.”
    Si girò verso i suoi:
    “Jona”

    Vlad, effettivamente, diede una mano a sistemare le poche cose di Jona a bordo in modo che rimanesse spazio anche per la loro roba, ma Jona era certo che il suo compito principale fosse assicurarsi che lui non prendesse il largo con la borsa di denaro.

    Tornarono in un tempo brevissimo, come se tutto fosse stato preordinato e probabilmente era proprio così. Il bagaglio consisteva in quattro grosse bisacce da sella e da un piccolo forziere cubico che Ivan trasportava personalmente.
    Poco dopo erano sul filo della corrente e procedevano senza scosse verso nord.
    “E stata una vera fortuna aver incontrato te, Jona. Abbiamo cercato in tutta Baal che, come avrai notato, non è grande, un’imbarcazione adatta, ma ci sono solo chiatte, troppo grosse, o barchette inadatte ad affrontare le rapide. Dove l’hai presa questa meraviglia?”

    La giornata passò lenta e Ivan si dimostrò un eccellente conversatore, come c’era da aspettarsi da un diplomatico di qualsivoglia genere. I suoi compagni, invece, rimasero per lo più in silenzio come si addiceva a una scorta armata. Due di loro pagaiavano lentamente mentre il terzo scrutava in continuazione il fiume dietro di loro.
    Venne a sapere che Minz era una grossa città mercantile presso la confluenza del Rin e del Min, poco prima delle cascate del Rin e capoluogo dell’ampia vallata che si stendeva a nord della Foresta Oscura, quella che ora stavano attraversando. Cerano molte strane leggende sulla Foresta che si diceva abitata da esseri malvagi.

  • Baal

    Jona si svegliò di soprassalto.
    Il sole era molto alto.

    Aveva temuto di non riuscire ad addormentarsi, data la tensione e la stanchezza, ma non era stato così.
    Rotolò fuori dal letto, ripiegando il mantello che gli era servito da coperta.
    “Buon giorno!” Lo salutò l’Amuleto.
    “Buon giorno anche a te. Ti sei annoiato?”
    “Non troppo. Ho controllato lo stato delle rapide. Tu dormivi come un bambino.”
    “Infatti mi sento ben riposato”, disse stiracchiandosi e cominciando gli esercizi per sciogliere le articolazioni irrigidite dal sonno. “Siamo ancora a tempo per partire oggi? Non mi pare sia ancora mezzogiorno”
    “Se ti sbrighi sì, anzi, penso sarebbe meglio, visto che tra non molto ci saranno altri che devono usare questo rifugio.”
    Jona non fece commenti. Si stava abituando a quel vezzo irritante di dare consigli circostanziati senza spiegazioni. Sapeva per esperienza che insistere era inutile. L’Amuleto avrebbe spiegato se e quando gli fosse parso opportuno.

    Finì rapidamente i suoi esercizi e si preparò in fretta, fece colazione con gallette e miele ed era pronto a partire.
    La zattera era dove l’aveva lasciata. Un rapido giro d’ispezione mentre sistemava la sua roba a bordo gli confermò che tutto era in ordine.
    Mentre si allontanava dalla riva, spingendosi con il suo lungo palo per guadagnare il filo della corrente un gruppo di elfi entrò nella radura reggendo sulle spalle qualcosa.
    “Quello è l’”appuntamento” di Thano”, spiegò laconico l’Amuleto, “vengono per liberare la sua anima.”
    Jona fece a tempo a notare l’asse che portavano e su cui era scritto un nome in caratteri rossi: “Audagor”, ma sembrava sostenere solamente un vecchio mantello; decisamente Thano non aveva lasciato molto, pensò con un brivido, poi l’ansa del fiume li nascose alla vista.

    La corrente era vigorosa, ma regolare e la zattera procedeva senza troppe scosse.
    “Siamo partiti senza preparazione. Che mi dici di queste famose rapide?”
    “Niente che ti debba impensierire troppo, basta che tu segua la rotta”.
    Una striscia gialla apparve al centro del fiume, poco lontano dalla zattera.
    “Non discuto”, disse Jona mordendosi la lingua e manovrando per avvicinarsi a quella striscia, “ma preferirei ugualmente sapere che cosa mi aspetta.”
    “Va bene.” Apparve l’Occhio dal Cielo che mostrava il fiume che faceva meandri in un’ampia pianura boscosa per poi incunearsi in un passaggio fra un’alta montagna e un collinotto roccioso che chiudeva la valle. L’occhio calò in picchiata sulla strettoia con una velocità tale da costringere Jona a stringere il remo per evitare di cadere per le vertigini mentre lo stomaco gli arrivava in gola.
    L’Amuleto aveva tracciato una rotta che evitava accuratamente i gorghi e i buchi che costellavano le rapide.
    Si poteva fare, ma di spazio per errori non ce n’era molto.

    Jona si sedette al centro della zattera e posò il remo. Stancarsi per cercare di tenere la rotta migliore ora, era del tutto inutile.
    Studiò accuratamente le immagini e discusse con l’Amuleto le ragioni di certe scelte, più per passare il tempo che per vera necessità.

    Il sole era ben alto nel cielo del primo pomeriggio estivo quando Jona cominciò a sentire da lontano il rombo delle rapide; bevve un sorso d’acqua dal suo otre e si preparò.
    Riguadagnò la striscia gialla e cominciò a seguirla vogando lentamente per mantenere il controllo della zattera che già cominciava a dar segni di nervosismo e smaniava per mettersi a girare su sé stessa.
    Le rive del fiume si alzarono ai suoi lati e non ebbe più il tempo di pensare. Concentrato sulla striscia gialla davanti a lui aveva un solo scopo nella vita: non lasciarsela scappare, anche se si contorceva e cercava di nascondersi fra gli spruzzi.

    Il sole stava accarezzando i dolci pendii dei monti a ovest quando si permise di alzare lo sguardo dalle onde.
    La valle era larga alla sua sinistra.
    Le rapide erano alle sue spalle.
    Di fronte a lui, poco lontano, c’era un piccolo agglomerato di case. Strane, ma indubitabilmente umane.
    Jona si diresse da quella parte.

    Di fronte a quel gruppo di case ben tenute, in uno specchio di acqua calma, c’era un piccolo porto fluviale con un solido molo di legno al quale fissò la sua zattera, prima di prendere la sua roba e dirigersi verso quella che sembrava una locanda.
    Le case erano tutte costruite con grosse travi che si intersecavano in modi complicati, gli spazi fra di esse riempiti di materiale intonacato a calce.

    Vicino alla porta di ciascuna di esse c’era un’asta che recava un’insegna di ferro battuto. Jona si diresse verso quella che rappresentava un letto con sopra un enorme boccale. Difficile sbagliare.

    La stanza aveva il soffitto basso ed era divisa in molte piccole alcove dagli innumerevoli travi e travetti che costituivano l’intelaiatura portante di quella casa. Cerano una decina di avventori divisi su tre tavoli, più un paio seduti su alti sgabelli vicino al bancone dietro il quale un omone con un grembiule di pelle nera stava spillando una birra chiara da una grossa botte.
    Jona sentì qualche parola di una lingua dura e assolutamente incomprensibile prima che l’amuleto cominciasse, come al solito, la sua opera di traduzione:
    “Benvenuto straniero, cerchi alloggio?”
    Jona si trovò davanti un enorme boccale di birra schiumosa prima di avere il tempo di rispondere.
    “Solo per stanotte. Ho bisogno di un posto per dormire e di qualcosa da mangiare.”
    “Hai denaro?”
    Jona fece rotolare sul tavolo alcune monete di rame.
    L’oste fece un rapido calcolo, poi spazzò il bancone con una mano che sembrava un badile: “Stufato, patate e un altro boccale come quello. Dovrai dividere la stanza con un altro pellegrino”, disse come se tutto fosse oramai deciso. Jona fece un cenno d’assenso e trasportò il boccale e il suo zaino fino a un tavolo nell’angolo più lontano dalla porta dove si sedette in silenzio a osservare sala e avventori.

    La birra era buona, meno amara di quella a cui era abituato e sembrava anche più leggera, ma non per questo mancava di sapore, anzi.
    L’atmosfera era strana, per una locanda. Jona ci mise un po’ a capire che cosa lo disturbava: la quiete. Tutti parlavano a bassa voce, tanto che Jona riusciva a sentire lo sciabordare del fiume sopra il sommesso brusio.
    Non c’era tensione o imbarazzo nell’atmosfera; ripensandoci si rese conto che anche l’oste aveva parlato con un tono di voce molto basso. Ci fosse qualcuno che dormiva? No, non sembrava una cosa studiata; pareva un’abitudine. Jona fece un appunto mentale di cercare di tenere il suo tono basso.
    L’oste fece scricchiolare l’assito sotto il suo peso, quando venne a portargli il suo stufato fumante e il secondo boccale, come promesso, ma quello fu quasi l’unico rumore.

    Jona mangiò lentamente, cercando di rilassarsi, poi raccolse le sue cose e chiese all’oste: “Dove?”
    Quello gli indicò la scala e, mentre Jona cominciava a salire, girò attorno al bancone per seguirlo.
    La stanzetta era angusta e spoglia. Due pagliericci ne occupavano la maggior parte.

    “Ti conviene prenderti il letto sotto la finestra, così quando Wolfo verrà a dormire non ti disturberà troppo. Potrebbe essere un po’ brillo. Gli capita spesso, da qualche tempo”, aggiunse con un evidente imbarazzo, “non ti avrei messo con lui, ma ho tutte le camere piene.”
    Jona lo guardò dritto negli occhi: “Devo stare attento a qualcosa in particolare?”

    Quando l’oste uscì richiudendosi la porta alle spalle sistemò lo zaino come cuscino, con l’apertura verso la parete, pur sapendo che la migliore difesa contro i furti la portava appesa al collo.
    Il cielo era ancora chiaro quando si stese.
    Il letto era comodo e lui stanco: si addormentò come un sasso.

    Lo risvegliò un boato spaventoso.
    Wolfo era entrato nella stanza reggendo un fungo luminoso elfico che ondeggiava parecchio assieme alla sua mano che cercava un appiglio.
    Trovò uno dei travetti che dividevano in due lo stanzino e si trascinò ondeggiando verso il pagliericcio più vicino. Decisamente Wolfo aveva bevuto parecchio. Sentiva il suo fiato alcoolico senza bisogno di avvicinarsi. Jona aprì la finestra un po’ di più, sperando in un ricambio d’aria.
    Altro boato. Questa volta Jona capì di che si trattava: un rutto colossale.
    Wolfo si lasciò cadere sul letto senza nemmeno togliersi i grossi zoccoli che aveva ai piedi. In pochi istanti cominciò a russare sonoramente.
    No, decisamente non c’era nulla da temere, almeno da quella parte.
    “Amuleto: incantesimo del silenzio!”

  • Il punto della situazione

    Jona rimase a lungo immobile a fissare il punto in cui Thano era scomparso.
    Gli pareva di avere la testa leggera, vuota.
    Sapeva, in un qualche angolo del suo cervello, che quello era un modo che lui usava spesso per assorbire le novità.
    Poi si riscosse e rientrò, massaggiandosi le spalle irrigidite dall’umido notturno.

    “Amuleto, chiamami Serna per favore.” Intanto lui cominciò a rimettere in ordine la piccola stanza. Stava cominciando a lavare i piatti, come gli aveva chiesto Thano, quando il volto di sua figlia apparve sopra l’Amuleto.
    La voce di Serna era leggermente impastata quando lo salutò con l’usuale: “Ciao, papà; come vanno le cose?”
    “Già a letto? Scusa, non mi ero reso conto fosse così tardi.”
    Serna si fece attenta. Conosceva quell’aria distratta del padre. Il sonno era svanito.
    “Non c’è problema, come ben sai. Cosa è successo?”

    Intanto le sue mani continuavano a seguire i gesti abituali del rassettare la cucina, portando una nota di normalità domestica e di tranquillità di cui aveva estremo bisogno.

    Quando le raccontò del Battesimo Serna rimase dapprima allibita, poi scoppiò in una risata liberatoria quando Jona le comunicò il suo nuovo nome Elfico.
    “”Barcaiolo Rosso” eh? Diventeremo una famiglia di naviganti!”
    “Per quanto mi riguarda Thano non ha lasciato molti dubbi a proposito: l’alternativa sembra essere navigare o perire.”
    “Hai rivisto Thano?”

    “Che intendi dire?”
    “Dopo. Ora finisci il tuo resoconto. Non voglio influenzarti. Poi vi spiego.”
    Jona non insistette. Oramai aveva finito di lavare le stoviglie, per cui si sedette di fronte alla figlia con un bicchiere di vino in mano e continuò la narrazione, senza tralasciare nessun particolare.

    Concluso il racconto entrambi si girarono a guardare l’Avatar dell’Amuleto che brillava di un rosso cupo in mezzo al tavolo.
    “Quello che hai incontrato, Jona, era una vera incarnazione di Thano. Thano le usa spesso per le sue cacce. Non vorrei essere nei panni di chiunque fosse quello con cui aveva il suo “appuntamento””

    “Non ne avevo mai sentito parlare, e non ricordo neanche leggende al riguardo.”

    “Capito”, dissero all’unisono padre e figlia.

    Il canto dell’allodola li avvertì che presto sarebbe sorto il sole. Un’altra nottata era volata via.

    “Fossi in te non lo farei.”
    “Perché?”
    “Perché tra un paio d’ore di navigazione cominciano le rapide di Baal. Farai bene a studiarti il percorso e ad arrivarci riposato. Lì finisce il territorio degli Elfi.”
    Jona sapeva che aveva ragione, ma non gli andava di perdere un altro giorno. Stava per dire qualcosa, ma quando aprì la bocca ne uscì uno sbadiglio.
    “Va bene. Hai ragione tu. Vado a farmi una bella dormita, poi mi farai vedere la mappa delle rapide”
    “Mi metto giù anch’io”, disse Serna,
    “Buona notte, cara”

  • La seconda prova di Thano

    Thano, contrariamente a quanto aveva detto l’Amuleto, non si fece vedere e la giornata trascorse calma con Jona che meditava silenzioso sulle giornate trascorse dettando, di tanto in tanto, appunti all’Amuleto e questo che commentava liberamente.

    A sera Jona chiese la mappa dal cielo per cercare un posto per passare la notte, ma l’Amuleto rispose: “Non credo tu abbia molte scelte. Alla prossima ansa del fiume accosta alla riva destra”.

    Dietro la curva, protetto da alti alberi, c’era un piccolo albero casa dalle cui finestre usciva una minacciosa luce rossa. Jona si diresse da quella parte.
    Thano li stava aspettando.

    L’albero era su un piccolo promontorio erboso che formava una gora di acqua calma dove Jona pilotò la sua zattera, saltò a terra e la trascinò sulle pietre levigate sistemandola ove la corrente non potesse portarsela via, poi afferrò il suo zaino e si preparò ad affrontare Thano.

    Thano era seduto all’unico tavolo che occupava il centro della stanzetta.
    Ce la siamo presa comoda, Mago.
    “Non avresti apprezzato se fossi corso qui senza assicurarmi che tutto fosse in ordine.”
    Vero” rispose il Dio annuendo sotto il cappuccio del suo immancabile mantello rosso, “siedi”, disse con voce piana e, allungando una gamba sotto il tavolo, diede una spinta alla sedia che aveva di fronte, allontanandola e indicando chiaramente a Jona dove dovesse sedersi.

    Jona sbiancò e si sedette con estrema cautela.
    Gli Dei erano stati una presenza costante nella sua vita, ma, pur potenti, erano stati sempre delle immagini, dei fantasmi
    Questo aveva spostato una sedia. Una sedia solida a sufficienza da sostenere il suo peso.

    Thano gli lasciò il tempo di assorbire la novità, poi: “Sai perché sono qui?
    “Per mettermi alla prova un’altra volta, suppongo”
    Thano rise.

    Jona prese tempo. Non poteva trattarsi di qualcosa di banale come l’aver superato le rapide — cosa della quale Jona si sentiva molto fiero — ma che probabilmente interessava poco a Thano. D’altra parte non gli pareva di aver fatto nulla di particolarmente ingegnoso o pericoloso ultimamente. L’evento più rilevante degli ultimi giorni era stato il Battesimo, ma anche quello non sembrava certo una prova di Thano.

    Thano cominciò a tamburellare con le dita della mano sinistra sul tavolo.
    “Non la so”, disse Jona ammettendo la sconfitta, “non ho fatto nulla di particolare, negli ultimi giorni; più che altro sono stato sballottato su e giù per queste montagne, trasportato come un bagaglio e sempre un passo indietro rispetto a quel che succedeva.”
    Oh, il nostro buon Mago fa il modesto” lo schernì Thano,
    Fece una breve pausa, poi: “Vai a darti una lavata, ché puzzi ancora di sudore e di birra. Nel frattempo pensa a questo: Quando e perché ti sei comportato in modo diverso da quello che fa di solito la gente, per esempio Michele o Arianna?
    Jona afferrò lo zaino e, senza dire altro, cominciò a salire le scale che portavano, come d’abitudine in quei rifugi isolati, ai servizi e alle camere da letto.

    L’Amuleto lanciò un breve lampo che non passò inosservato: “No. Tu rimani qui” disse Thano con il solito ghigno.
    Jona scrollò le spalle e continuò a salire, dandosi mentalmente dell’idiota per non aver pensato di prendere l’Amuleto. La presenza di Thano mi ha scombussolato più del dovuto

    Il bagno era assolutamente normale, per un bagno elfico. Riempì il tino di acqua calda e mantenne il getto caldo aperto anche dopo essersi immerso fino a quando non riuscì più a resistere al calore. Poi lo chiuse e si abbandonò sul sedile lasciandosi cuocere piacevolmente dall’acqua caldissima.

    Thano gli aveva dato quelli che dovevano essere indizi essenziali.
    Aveva nominato Michele e Arianna.
    Che aveva fatto con loro?
    Con Arianna era stato duro.
    L’aveva rifiutata.
    Poi aveva capito l’errore e aveva cercato di rimediare.
    Sperava di esserci riuscito.
    Michele era stato un piacevole compagno di viaggio.
    Un po’ chiuso, almeno all’inizio.
    Quando era venuto a conoscenza del problema con Linda, Jona aveva provato a dare una mano.
    Si sorprese a chiedersi come fossero andate a finire le cose fra quei due. Avrebbe dovuto chiedere all’Amuleto. Forse ne sapeva qualcosa.
    Anche Arianna
    Sorrise.
    Sicuramente la vocazione l’aveva.
    Che aveva fatto lui, di tanto strano?
    No. Questa è la domanda sbagliata.
    Thano è stato chiaro.
    Che cosa avevano fatto loro?
    Sì questa è una domanda più sensata.
    Arianna aveva cercato di fare il suo dovere, o, almeno, quello che pensava fosse il suo dovere.
    Anche Michele lo aveva aiutato; a pagamento, almeno all’inizio, ma era stato fedele alla parola data.
    Che c’era di diverso?
    Sicuramente Jona non aveva sentito nessun dovere nei loro confronti.
    Aveva agito a quel modo perché gli pareva giusto.
    Questa era una differenza.
    Improbabile che Thano si interessasse del suo senso del dovere, almeno fino a che questo dovere non era nei Suoi riguardi.
    Si rituffò nei ricordi.
    Doveva esserci qualcos’altro.
    L’acqua stava cominciando a diventare fredda.
    Quanto tempo era passato?
    Thano non avrebbe aspettato in eterno.
    Lascia perdere Thano; idiota.
    Pensa ad Arianna!
    Quella stupida aveva cercato di fare “il suo dovere”, senza curarsi di capire di che cosa avesse bisogno lui
    Il cuore di Jona perse un battito.

    Allungò la mano e azionò il getto che, mentre il tino si svuotava, lo risciacquò dalle essenze detergenti e profumate.
    Fortuna che l’uomo non è solubile in acqua calda!” lo salutò il Dio appena Jona cominciò a scendere le scale.
    “Volevo essere ben sicuro di non offendere l’olfatto”
    Bene, vedo che sei convinto di aver trovato la soluzione dell’indovinello. Me la dirai dopo cena
    Jona rimase di sasso.
    Il Dio era ai fornelli e stava armeggiando con un paio di piccole padelle e un tegamino.
    La tavola era apparecchiata di tutto punto con un elegante servizio di piatti e bicchieri. Ovviamente tutto era rosso, ma non aveva una tonalità minacciosa.
    Spero ti piaccia il pesce”, disse con un tono conviviale che non gli si addiceva per nulla, “penso che gradirai qualche piccola novità
    Scoperchiò una delle padelle ed estrasse due palle un po’ schiacciate di una pasta dorata che sembrava molto morbida. Pesce? Non sembrava! Thano versò nell’incavo superiore di quella specie di spessa focaccia tonda una generosa cucchiaiata di palline grigie di pochi millimetri di diametro e ne presentò una a Jona, mentre faceva sparire l’altra con evidente soddisfazione.

    Jona tagliò un pezzo della sua, facendo versare i pallini in giro per il piatto.
    Ricompose alla meglio il boccone e lo mise in bocca.
    Le palline avevano un forte gusto di pesce ed erano gelate, la focaccia era una nuvola d’uovo calda. Jona, come Thano sapeva perfettamente, non aveva mai assaggiato nulla di simile.
    “Buono. Cos’è?”
    Cos’era, vorrai dire!” Thano aveva ripreso la sua voce beffarda, “in più di un senso: oltre che per l’ovvio fatto che non esistono più” disse indicando i piatti, “anche perché il ricordo di come farli è rimasto solo in cielo. Nessuno sulla terra sa più come preparare i Blinis con il Caviale.
    Ma questo era l’antipasto. Adesso veniamo al piatto forte.

    Afferrò un lungo coltello che aveva l’aria solida ed estremamente affilata.
    Mise sul tavolo di legno una serie di blocchi compatti di carne di pesce di tutti i colori e di tutte le consistenze, dall’immancabile rosso al bianco al giallo tenue. Sembravano tutti assolutamente crudi.

    Thano cominciò a tagliare strisce di carne dai vari blocchi, a sistemarla su due spessi vassoi di legno, a volte su masse di roba che sembrava mollica di pane bagnata, a volte da sola, inframmezzando con foglie aromatiche.
    Le due composizioni sui taglieri erano diverse, ma evidentemente fatte per essere piacevoli alla vista, oltre che al palato.

    Jona aveva seguito la preparazione affascinato.
    Più che di cucina si poteva parlare di arte dell’intarsio.
    Thano ammirò un attimo le sue creazioni, fece qualche impercettibile aggiustamento, aggiunse a ciascun tagliere una coppetta che riempì di un liquido scuro e una pallina di una pasta verde, la stessa che aveva utilizzato, a volte, per aromatizzare le striscioline di pesce.

    Ne mise una davanti a Jona e gli porse una lunga pinzetta formata da due bastoncini appuntiti uniti da una molla.
    Guarda, si fa così.
    Prese i suoi bastoncini che, come Jona vide chiaramente, non erano uniti fra loro, e li usò per prendere un pezzetto di pesce crudo, lo tuffò nel liquido della tazzina e lo portò alla bocca.
    Jona cercò d’imitarlo, ma il boccone tendeva a scivolare e Jona era costretto a inseguirlo. Quando arrivò sulla tazzina il pezzetto di pesce gli sfuggì e si tuffò di sua spontanea volontà nel mare scuro, provocando alti schizzi.
    Thano non faceva commenti, ma Jona si sentiva addosso gli occhi divertiti del Dio. Dovette ripescare dalla tazzina il boccone, reso ancora più viscido.
    Jona era concentratissimo sul movimento di quella strana pinzetta (come faceva Thano a usare i bastoncini staccati? Sembrava che obbedissero a comandi mentali
    Si era spettato qualcosa di viscido e dominato dal sapore della salsa che aveva un odore piuttosto forte; niente di tutto ciò. Il sapore di mare era ben evidente e la consistenza piacevole. Anche in questo caso Jona era sicuro di non aver mai mangiato niente di simile, ma questo non gli impedì di apprezzare.

    Thano gli stava versando un bicchiere di vino di un rosso trasparente.

    Ben prima della fine Jona aveva imparato a maneggiare la strana pinzetta abbastanza da rilassarsi e godersi la cena.

    Poteva essere la sua ultima cena. Jona lo sapeva benissimo e non lo dimenticò neppure per un istante, ma questo non gli impedì d’interessarsi alle diverse varietà di pesce che aveva davanti.
    Dopotutto essere serviti a tavola da un Dio non è cosa di tutti i giorni.
    Thano si dimostrò un commensale piacevole, prodigo di spiegazioni sulle sue creazioni. La mente di Jona era divisa in due, apparentemente non comunicanti: una si stava godendo la cena e cercava d’imparare più possibile dall’esperienza, l’altra si arrovellava preoccupata sulle ragioni del comportamento così anomalo del Dio.

    Jona si rilassò appoggiandosi allo schienale della sua sedia. Inutile preparare il corpo al combattimento contro un Dio; meglio mettere la mente nelle condizioni migliori per lavorare. Si concentrò sulla respirazione. La ricreazione era finita.
    “La differenza principale fra il mio comportamento con Arianna, Michele e anche altri è che io ho sempre cercato di capire quello che volevano loro, in quel momento, mentre loro, pur con le migliori intenzioni, avevano un’idea preconcetta di cosa serviva a me. Non si sono mai curati di capire le mie ragioni, al massimo le hanno subite di buon grado.”

    Jona esitava, conosceva perfettamente un altro aspetto del suo carattere che era pertinente, ma non capiva perché potesse interessare a Thano.
    Il Dio ricominciò a tamburellare con le dita sul tavolo. Sembravano piccole martellate ritmiche, come se le dita fossero state d’osso. Jona si decise:
    Thano assentì lievemente col capo: “Empatia”, disse e attese che Jona continuasse.

    Vieni al punto

    Jona stava, come faceva spesso quando era in difficoltà, girando attorno all’argomento dicendo cose sensate, ma che avevano poco contenuto, mentre il suo cervello vagava alla ricerca di quell’elemento che gli avrebbe permesso di arrivare alla soluzione; ovviamente Thano non era tipo da lasciarsi portare a spasso per lungo tempo.
    “Non so, ancora, cosa vuoi da me, ma è chiaro che devo fare un lungo viaggio e vedere strane genti. Ho il sospetto di essere solo agli inizi. Non c’è speranza di portarlo a termine senza la capacità di entrare rapidamente in sintonia con gente diversa.”
    Fece una breve pausa: “In realtà credo che più che Michele e Arianna la vera prova siano stati gli Elfi. Il fatto di avermi accettato al punto da farmi questo”, disse piegando l’orecchio sinistro per mettere bene in evidenza il nuovo tatuaggio, ancora un po’ gonfio, “significa che sono riuscito a comportarmi “come loro”, molto di più di quanto si aspettassero. Questo è quello che Ti interessava!”.
    Bravo, “Barcaiolo Rosso”. Ci hai girato un po’ attorno, ma alla fine sei riuscito ad arrivare al cuore del problema.

    Scoppiò in una fragorosa risata:

    Si alzò con un movimento fluido: “Adesso devo andare: ho un appuntamento fra poco. Ti lascio i piatti da lavare.

  • L’alto Rin

    Dormì tutto il giorno.
    Preparò una parca cena con le provviste rimaste nell’albero-casa e si riaddormentò.

    Prima dell’alba era finalmente in piedi e preparava le sue cose per il viaggio sul fiume, che si preannunciava lungo.
    “Dormito bene?” gli chiese l’Amuleto.
    “Come un sasso!”

    “C’è sempre una prima volta nella vita!” Jona lo canzonò di rimando mentre usava il suo lungo remo per allontanare la zattera dalla riva e portarla verso il centro del fiume, dove la corrente era più veloce e correva liscia, senza vortici.

    L’Amuleto non rispose e Jona cominciò a rimuginare su quelle parole che gli erano uscite, per scherzo, dalle labbra.
    “Tu non sei vivo, vero?”
    “Dipende da cosa intendi per “vivo”.”

    “Mi stai prendendo in giro? Sicuramente ti comporti in maniera molto diversa da come agiva il “mio” Amuleto. Forse non sei “vivo”, ma sembri molto cosciente di te stesso”
    “Perché, non sono il “tuo” Amuleto, ora?” lo canzonò l’Amuleto.
    “Mi stai prendendo in giro. Ora ne sono sicuro. Dovresti essere ben più stupido di quel che sembri per non capire che tu, per me, sei sempre “l’Amuleto di Thano”.”

    “E questo non significa nulla, per te?”

    “Sai benissimo che ho mentito diverse volte in questo viaggio. Quindi sai perfettamente che posso mentire, se necessario. E comunque quella delle bugie era solo un esempio, e sai anche questo.”
    “E allora che cosa volevi dire, di preciso?”
    “Che non so se mi posso veramente fidare di te.”
    “Beh, questo è un problema tuo. Io non ti posso aiutare.”
    Jona sorrise: “Corretto. Qualunque cosa tu possa dire io non posso sapere se lo dici perché è vero o per ingannarmi. Sono io che devo decidere se crederti o no.”

    Rimasero per un po’ in silenzio, poi Jona sbottò:

    Jona sorrise di nuovo: “Beh, non è il paragone che avrei fatto io, ma calza abbastanza, anche se non ce lo vedo un Amuleto a fare le feste al padrone che rincasa. Sicuramente tu sei diverso. Qualunque cosa tu sia sei una “persona”. Per ora ti considererò un compagno di viaggio. Poi vedremo.”
    L’Amuleto colse le implicazioni, perché rispose:
    “Thano. Che vuole da me, veramente?”
    “Non lo so. E, anche lo sapessi, è una di quelle cose che non potrei proprio dirti.”

  • L’addio degli Elfi

    Mani forti e dure lo svegliarono di soprassalto.
    Prima che potesse aprire gli occhi si ritrovò avvolto nel lenzuolo che lo copriva come una mummia. Solo la testa era libera.
    Mise a fuoco i suoi assalitori mentre lo sollevavano e lo portavano, impacchettato come un bimbo in fasce, fuori dalla casa albero. Indiscutibilmente elfi, ma con la pelle scura, quasi rossiccia; erano seminudi e portavano enormi maschere di legno che coprivano interamente la testa e buona parte del petto.

    Fuori, vicino al fiume, era acceso un alto falò.
    Appena fu portato fuori dall’albero scoppiò un frastuono indescrivibile di urla ritmate al suono di tamburi e un qualche genere di pifferi.
    Jona sempre avviluppato nel suo bozzolo di tela fu appeso senza tanti complimenti a un gancio presso il fuoco. Il calore gli fece arricciare i capelli.

    Gli elfi, una decina, cominciarono una danza ritmata dai tamburi.

    Jona stava cercando di liberarsi dal lenzuolo che lo avvolgeva, ma con scarsi risultati.
    Cercò di evocare l’Amuleto, ma quello doveva essere rimasto a fianco del letto e non lo sentì.
    Lo sentirono, invece, gli elfi che esplosero in una fragorosa risata senza smettere la loro forsennata danza.

    Il ritmo si faceva sempre più serrato fino a un’esplosione cacofonica che bloccò tutti.
    I tamburi ripresero con un ritmo lento e maestoso, mentre quattro elfi si dirigevano verso Jona.
    Gli altri erano fermi attorno al fuoco e cadenzavano, battendo le mani, l’incedere dei quattro.
    Due si piazzarono ai suoi fianchi e lo tennero ben fermo, anche se lui stava cercando di divincolarsi disperatamente.
    Il più alto dei due che rimasero di fronte a lui fece un discorso di cui Jona non capì nulla, visto che non c’era l’Amuleto a tradurre, ma che fu accolto con risa, schiamazzi e applausi dagli altri elfi.
    Poi fu la volta dell’altro che, con voce chiara, disse: “Ti battezzo Rotbaadsmand: “Il Barcaiolo rosso”.”

    Jona rimase folgorato dalla sorpresa, poi un dolore lancinante all’orecchio sinistro gli fece chiudere gli occhi.
    Quando li riaprì i due davanti a lui si stavano togliendo le maschere e Jona si trovò di fronte Gornor e Falanor, poi sentì uno scatto e si sentì proiettare verso il cielo mentre il gancio strappava il lenzuolo che lo imprigionava.
    “Strano modo di morire”, pensò mentre ancora lottava per liberarsi dagli stracci che lo avvolgevano.
    Poi piombò nell’acqua fredda del Rin.
    Il colpo lo costrinse a espellere l’aria dai polmoni, ma ebbe abbastanza prontezza di spirito da evitare d’inspirare.
    Le braccia erano libere e si dette una spinta per tornare a galla.
    La luna, quasi piena, si rispecchiava sulle acque scure del Rin.

    Jona era in una pozza di acqua calma a pochi metri dalla riva, dove gli elfi lo aspettavano.
    Si liberò dai resti del lenzuolo che ancora gli bloccavano le gambe e si guardò intorno, poi, con poche bracciate, raggiunse la riva.
    “Maestà, Maestro, sono felice di vedervi, anche se, debbo dire, non mi aspettavo una Vostra visita”, disse chiamando a raccolta tutta la dignità che gli era rimasta e facendo un inchino degno di un paggio di corte.
    Gli elfi, vedendolo bagnato come un pulcino, con addosso solo una camicia strappata e il suo spirito, scoppiarono in un fragoroso applauso.

    “Nessun Elfo si aspetta quello che gli capita durante il battesimo”, gli disse Falanor, “con te siamo andati leggeri perché non avevi nemmeno idea che esistesse questa cerimonia. Puoi andare orgoglioso: non sono molti gli umani che si sono guadagnati il nostro rispetto”, poi, notando che Jona si stava massaggiando l’orecchio dolente, gli fece vedere il suo orecchio sinistro: dietro il padiglione erano tatuate una serie di lettere strane e sottili. “Questo è il mio nome di Battesimo: “Amico dei Cervi”. Non sono molti ad averlo visto.”
    Jona era ancora frastornato, ma capiva bene che gli era stato fatto un grande onore.

    Tutti gli elfi che aveva conosciuto erano lì attorno al fuoco, Smullyanna, Selinar, i suoi compagni di zattera, altri quattro guerrieri che potevano essere quelli che lo avevano condotto fino all’Innerwald, Jona non riusciva a ricordarli chiaramente
    La cerimonia privata del Battesimo si concluse con un banchetto che durò fino al mattino.
    Gli elfi lo salutarono e scomparvero silenziosi nei boschi.

    Per ultimo rimase il capo-pattuglia che gli aveva insegnato i rudimenti della navigazione fluviale.
    “Ti consiglio di riposarti una giornata. Devi essere stanco. Questa borsa contiene un sigillo reale che ti permetterà di ottenere assistenza da qualsiasi Elfo nel regno di Falanor e un po’ di denaro umano con cui potrai affrontare i primi giorni nei territori a nord di Baal. Fai buon viaggio e ricordati che, da oggi, sei anche un elfo. Fai onore alla tua razza e alla nostra.”
    Poi sparì anche lui veloce nella foresta.

  • Addio agli Elfi

    Il giorno dopo fu più tranquillo.
    Il fiumicello che usciva dal lago era ben più ampio del torrentello che avevano percorso, anche lui aveva rapide e acque bianche, ma meno strette ed eccitanti del precedente. La corrente era vigorosa e li trascinò verso nord tra valli che si andavano sempre più allargando.
    Jona colse un cambiamento nell’atteggiamento degli elfi: erano tutti più rilassati e il capo si permise perfino di parlare un po’ con lui.
    “Stasera saremo alla confluenza con il Rin. Lì ti lasceremo. Devi proseguire con la zattera. Sarai in territorio elfico fino a Baal. Potrai fermarti negli alberi casa presso il fiume, forse ci saranno altri elfi, non avrai problemi, se tieni quello bene in vista”, con il pollice accennò al drappo rosso che ornava il bastone di Jona, subito sotto l’Amuleto.
    “Come trovo gli alberi casa?”
    “Non c’è problema, ti farò vedere. Lungo il Rin ci sono molti alberi lungo la riva, sorgono isolati e sono ben visibili dal fiume. Fai attenzione a rimanere lungo la sponda quando ti vuoi fermare, altrimenti rischi di non riuscire ad arrivare a riva per tempo e la corrente ti trascinerà via.”
    “A proposito: come faccio a manovrare questa zattera da solo? Voi state due a destra e due a sinistra e ho visto che pagaiate sempre insieme, ma io come faccio?”
    L’elfo rise: “Hai buoni occhi, umano. Non si possono usare le pagaie. Ora ti faccio vedere.” Tirò fuori dal fondo della zattera un lungo remo piatto e flessibile e una canna anche più lunga che incastrò sul remo ottenendo un palo flessibile con una lunga pala ad un estremo. Gli altri avevano smesso di remare e stavano a guardare.
    “Tieni, usa questo.”
    Jona prese in mano lo strano remo. Era abbastanza pesante e, lungo com’era, circa sette/otto metri, non si poteva maneggiare bene. Provò ad appoggiarlo su un bordo della zattera e a muoverlo; la zattera ruotò ondeggiando pericolosamente mentre il remo si fletteva.
    Lanciò un’occhiata interrogativa all’elfo che indicò, con il solito gesto del pollice, verso poppa, dove c’era una profonda scanalatura legnosa, proprio lì dove avevano staccato il picciolo.
    Usarlo come scalmo?
    Jona appoggiò il lungo remo, incastrandolo in quella fessura e provò a vogare. La zattera ruotò di nuovo su sé stessa, ma con meno ondeggiamenti Lo riportò indietro, notando che si fletteva come la coda di un pesce. Cominciò a portarlo avanti e indietro e la zattera prese ad avanzare a scatti nella direzione voluta
    “Bravo. Hai quasi capito come si fa. Adesso ti faccio vedere i dettagli prima che ti stiri qualche muscolo. Così fai troppo sforzo. Guarda.” Jona gli cedette il remo molto volentieri, l’elfo lo prese e lo tirò per circa la metà a bordo, poi si mise al centro alla zattera e cominciò ad ondeggiarlo lentamente. Il remo si fletteva molto di più e imprimeva una spinta maggiore.
    Jona si avvicinò all’elfo e gli tolse il remo dalle mani. Quello lo lasciò fare e andò a sedersi in modo da bilanciare la zattera. In quel modo il remo era molto più leggero, imperniato com’era nel suo punto centrale. Anche il movimento lento aiutava a far meno fatica, ma era ugualmente efficace. La zattera proseguiva su una linea serpeggiante.

    Jona continuò a vogare ancora per parecchio tempo, facendo esperimenti per avvicinarsi alla sponda o allontanarsi, poi si avvicinarono ad una piccola rapida e gli elfi afferrarono le pagaie, ma non le misero in acqua. Jona capì di essere stato ammesso a sostenere la prova d’esame.
    Era in piedi quasi al centro della zattera e poteva valutare benissimo le condizioni dell’acqua.
    Manovrò per trovarsi proprio al centro, dove la corrente è più veloce, ma anche meno turbolenta.
    La zattera rispondeva prontamente alle rotazioni e Jona capì subito che doveva cercare di andare più veloce della corrente, non lasciarsi solo trasportare da lei. Gli elfi rimasero immobili per tutto il tempo, con le pagaie in mano puntate verso il cielo. Solo quando furono di nuovo in acque più calme il capo pattuglia ruppe il silenzio:

    A metà pomeriggio arrivarono al Rin un largo fiume dalla corrente veloce. Si fermarono in un albero casa proprio alla confluenza.
    Jona era stanco, ma sapeva di essere in grado di manovrare la zattera da solo.
    Gli elfi erano d’accordo con lui.

  • La pianta-zattera

    Fu accontentato, ma questo non gli impedì di avere un’altra sorpresa prima che la giornata volgesse, finalmente, al termine.
    Un’occhiata all’Amuleto, infatti, gli rivelò che era già ora di ripartire: la Bussola, nuovamente in bella vista, puntava decisa verso nord.
    Jona aveva sperato di rimanere ancora un po’ lì nell’Innerwald, ma gli Dei, e Thano in particolare, la pensavano in modo differente.
    Jona sospirò e andò a cercare Smullyanna per avvertirla.
    In meno di mezz’ora un messo del Re gli aveva comunicato che la scorta per condurlo verso nord era già stata assegnata. Sarebbero partiti l’indomani all’alba.
    Jona sorrise fra sé quando la pesante tenda si richiuse alle spalle del messo: il Re non vedeva l’ora di sbarazzarsi di quell’ospite ingombrante.

    Stava radunando le sue cose quando un pensiero lo colpì facendolo barcollare: avevano intenzione di farlo ripartire al galoppo come era arrivato?
    Meglio riposare il più possibile.

    La mattina dopo Smullyanna lo svegliò che era ancora buio.
    La colazione era a base di quelle focaccette dolcissime che ben conosceva.

    Poco dopo, mentre il primo sole si specchiava nella rugiada della notte, arrivarono i suoi quattro accompagnatori.

    Smullyanna lo salutò appoggiandogli il naso in mezzo alla fronte, dopo di che partirono al piccolo trotto.
    La formazione era la stessa del viaggio di andata: un elfo davanti, due ai lati a sorreggerlo e uno dietro con i bagagli, ma Jona si accorse subito che le cose sarebbero andate molto meglio.
    Innanzi tutto gli avevano permesso di tenere il suo lungo bastone su cui stava appollaiato l’Amuleto, ora ornato dal drappo rosso che lo qualificava come ospite del Re, poi l’andatura era molto meno forsennata e i due elfi che lo sostenevano facevano in modo da trasportarlo con leggerezza; lui doveva soltanto assecondare il loro movimento.

    Si fermarono anche molto più spesso, ogni due ore circa, per bere e riposarsi.
    Questo non gli impedì di arrivare a sera stravolto dalla stanchezza, anche se ancora in grado di ragionare.
    Avevano risalito la valle e ora si trovavano al limitare della grande foresta, dove gli alberi cominciavano a diradarsi per lasciar spazio a prati e nude rocce.

    L’albero-casa in cui si fermarono era piccolo e relativamente spartano, composto da una singola camera rettangolare e due sgabuzzini che fungevano da bagno e doccia. Jona fu lieto di usarli entrambi.

    Le sue guide erano elfi taciturni, ma non evidentemente ostili come quelli di Blanzoon, Jona sperò d’essersi guadagnato un minimo di rispetto da queste creature altezzose che si consideravano così superiori agli “umani”. Resistette alla stanchezza fin quando anche gli elfi non decisero che era ora di dormire, poi si stese sulla sua branda, chiuse gli occhi e si addormentò immediatamente.

    Si svegliò che gli elfi erano già vestiti di tutto punto e stavano preparando la colazione. Il sole era già sorto e loro non sembravano aver fretta. Anche la colazione era meno abbondante di quella del giorno prima.
    “Oggi abbiamo poca strada da fare?” azzardò.
    “Solo fino al lago, dall’altra parte del crinale, ma dobbiamo arrivarci abbastanza presto per dar tempo alla zucca di crescere.”
    Jona non fece commenti.

    Quando furono pronti a ripartire e i suoi due “portatori” si avvicinarono Jona decise di provare a guadagnarsi un altro po’ di rispetto: “Lo so che non posso correre veloce come voi, specie su queste montagne, ma, visto che non abbiamo molta strada da fare, non potrei seguirvi camminando normalmente?”

    Gli elfi si guardarono senza parlare per in istante, poi uno fece un cenno con il capo e due di loro scattarono sul ripido sentiero senza dire nulla mentre gli altri lo affiancarono senza toccarlo: “Vai avanti con il tuo passo, noi ti seguiremo.”

    Jona prese un passo veloce che sapeva di poter tenere a lungo, anche su quelle salite. Cercare di correr dietro ai due battistrada che stavano già sparendo fra le rocce, là, in alto, non sarebbe una buona idea.
    Si sentiva bene e l’esercizio fatto nei giorni precedenti lo aveva rimesso in buone condizioni. Anche a casa cercava di tenersi in esercizio e sicuramente conduceva una vita attiva, ma c’era una bella differenza fra quello che faceva normalmente e quel che l’avevano costretto a fare qui. L’Amuleto aveva ragione a dire che il moto gli faceva bene.

    In pochi minuti dimenticò la presenza dei due elfi che camminavano silenziosamente qualche passo dietro di lui e cominciò a godersi la passeggiata. L’aria era fresca e il sole caldo, il sentiero ben tenuto e sicuro. Accelerò lievemente l’andatura e il valico gli corse incontro sorridendo.
    Sul crinale, dove il sentiero cominciava a scendere ripido, si fermò un minuto ad ammirare il panorama. Era splendido. Sotto di lui, a poche centinaia di metri, c’era un piccolo laghetto rotondo da cui partiva un torrentello.
    I due battistrada erano presso il lago e stavano facendo qualcosa in una macchia di vegetazione proprio sotto di lui.

    Esaminò il terreno accuratamente, poi cominciò a correre direttamente verso di loro abbandonando il sentiero. Più che correre, data la pendenza e le rocce, saltava da un sasso all’altro scegliendo con cura dove appoggiare i piedi, rimbalzando da una roccia a una chiazza erbosa, dritto verso il lago.
    Erano anni, tanti, che non faceva quel gioco che gli era sempre piaciuto fin da ragazzo. Ginocchia e caviglie non protestarono troppo per il maltrattamento e gli alti scarponcini di cuoio lo aiutarono a non prendere storte.

    Quando si fermò a fianco della macchia di vegetazione aveva il fiato grosso, ma si sentiva bene. Le cure di Smullyanna lo avevano veramente riportato anni indietro, in pochi giorni.
    Si girò verso i suoi angeli custodi e non li vide. Sorpreso di non trovarseli alle spalle li cercò con lo sguardo. Erano appena sotto il valico e stavano cercando faticosamente di riguadagnare il sentiero. Si rese conto di aver scelto il percorso meno adatto a un elfo. Saltellare da uno spuntone rocciosa all’altro sulla punta dei piedi non è un esercizio consigliabile; lui sapeva bene che le discese di quel tipo, su rocce e ghiaioni, si fanno piantando i calcagni, tecnica poco adatta ai piedi degli elfi.
    I due, intanto, avevano riguadagnato il sentiero ed erano partiti con il loro passo elastico che divorava i chilometri.

    “Non farlo mai più!” I due battistrada erano alle sue spalle e lo guardavano con occhi ridotti a due fessure verticali, le orecchie appiattite sulla nuca e i loro lunghi archi tesi con le punte delle frecce rivolte verso il suo cuore, pronte a trapassarlo.
    Jona sollevò lentamente le mani in un segno che sperava essere di pace.
    Una vocina nel suo cervello gli disse che lo stavano proprio guardando in gattesco.
    Dall’Amuleto partirono due raggi rossi che recisero le corde degli archi che scattarono inutilmente nelle loro mani.

    “Fermi!” urlò il capo del drappello mentre arrivava con un passo da far invidia a un ghepardo, “Se avesse voluto scappare non sarebbe venuto dritto verso di voi.” I due si rilassarono visibilmente, ma le orecchie indicavano chiaramente che non si fidavano del tutto.
    “Scusate, non pensavo di mettervi in difficoltà. Queste discese sono un gioco che facevo spesso da giovane, oggi mi sentivo particolarmente bene e ho voluto provare a rifarlo”, disse terminando con un ampio sorriso di soddisfazione.

    Gli elfi lasciarono cadere l’argomento e tornarono al lavoro, dopo aver sostituito le corde dei loro archi. Jona li seguì per curiosare.
    Stavano finendo di pulire una grossa zucca grinzosa che avevano colto dalla macchia vicino al lago e faticosamente trasportata su alcune rocce scure dove avrebbe potuto prendere il sole per quasi tutta la giornata. Staccarono anche quattro larghe foglie dai lunghi piccioli legnosi e le misero al sole, spianandole bene sotto dei sassi piatti, poi, soddisfatti del loro lavoro, si allontanarono per andare a caccia. Il capo pattuglia e Jona rimasero per raccogliere la poca legna secca che si poteva trovare fra gli arbusti attorno al lago.

    Erano molto in alto, ben sopra la il limite per gli alberi d’alto fusto e quindi non c’erano alberi-casa disponibili, in compenso una piccola spelonca presso la riva era stata adattata a comodo rifugio. I funghi luminosi che crescevano sulla bassa volta si accesero al loro ingresso. Jona chiese spiegazioni.
    “Non so di preciso come facciano, ma sentono il movimento e reagiscono illuminandosi,” gli spiegò l’elfo, “se tutto è fermo si spengono lentamente in due o tre minuti. Controlla che il focolare sia pulito e accendiamo il fuoco. Al calar del sole qui fa freschetto.” Jona non aveva alcun dubbio a proposito: vedeva perfettamente il grande ghiacciaio che alimentava il laghetto e che incombeva su di loro a sud.
    Quando tornarono i cacciatori con le loro prede un fuoco ardeva allegro e la spelonca era stata ripulita. Non venivano molto spesso da queste parti, gli dissero, nonostante fosse uno dei passaggi più diretti verso nord perché era agibile solo d’estate, quindi approfittavano dell’occasione per manutenere il piccolo avamposto.
    Controllarono lo stato di salute delle varie piante-simbionte, a cominciare dalla fungaia di funghi commestibili sul fondo, diradarono e riposizionarono i funghi-lampada, tagliarono le parti debordanti dei muschi che fungevano da giacigli e, in generale, rimisero a nuovo l’abituro.

    Prima che il sole sparisse dietro le cime andarono a controllare lo stato della zucca. Aveva già cominciato a gonfiarsi ed era molto più grande di prima, le foglie, invece, si erano seccate e diventate rigide e dure.
    “Quando la si stacca dalla pianta e la si mette al sole la polpa interna marcisce rapidamente producendo gas che gonfiano la zattera”, gli disse il capo pattuglia che, dopo l’esibizione della mattina, sembrava un po’ più loquace, “domattina sarà pronta all’uso.”

    L’indomani mattina, infatti, trovarono ad aspettarli un’imbarcazione lunga più di quattro metri e larga quasi due, formata da lunghe vesciche gonfie di gas al punto da risuonare come un tamburo se percosse, come fecero gli elfi “per controllare che sia ben gonfia”, come rispose il capo ad un’occhiata interrogativa di Jona.
    Soddisfatti la sollevarono e la deposero nelle gelide acque del laghetto, piazzarono al centro, lievemente concavo, Jona e i bagagli che fissarono a piccoli viticci che sporgevano dalla ruvida superficie a intervalli più o meno regolari e cominciarono a pagaiare allegramente con le foglie secche. Jona non ebbe bisogno di chiedere per avere la certezza che anche quella pianta era stata “progettata” al tempio di Asclep.

    Il torrentello che avevano imboccato era largo, profondo e gelido, alimentato com’era dalle acque di fusione del ghiacciaio. Si snodava placido per qualche centinaio di metri, poi girava entrando in una gola fra due pareti rocciose. Probabilmente un tempo il ghiacciaio arrivava fin lì, pensò oziosamente Jona, poi sentì il rumore delle acque proprio mentre la zattera veniva afferrata dalla corrente e balzava in avanti. Gli elfi non pagaiavano più; si limitavano a mantenere l’imbarcazione sul filo della corrente e a stabilizzarla, per quanto possibile.

    “Reggiti” disse il capo pattuglia con voce piana e un largo sorriso. Imboccarono un canalone poco più largo della zattera e Jona si aggrappò ai viticci per non essere sbalzato mentre le acque sotto di loro diventavano bianche per la spuma.
    Il canalone era lungo poche centinaia di metri, li percorsero in un minuto che a Jona parve un’eternità, poi il fiumicello si allargò in un altro tratto quasi in piano.
    Proseguirono così fra rapide e pianori per buona parte della giornata. La prima rapida l’aveva colto di sorpresa, ma poi Jona cominciò a guardarsi intorno con crescente interesse. Anche i suoi compagni si stavano divertendo in quella discesa a rotta di collo.
    Presto cominciò a divertirsi anche lui, la paura del primo impatto dimenticata e sovrastata dall’esilarante sensazione di cavalcare le acque ruggenti.
    A metà pomeriggio, mentre stavano sfrecciando in uno stretto canalone, il capo disse con un ampio sorriso: “Adesso reggiti forte!” stava urlando per sovrastare il rumore. Jona non ebbe il tempo di chiedere nulla perché erano arrivati al termine del canalone e il fiume scomparve davanti alla zattera. Jona fece appena a tempo a pensare “cascata” e si trovò in aria mentre gli elfi agitavano le pagaie per mantenere l’imbarcazione orizzontale.
    Piombarono in un laghetto dopo un volo di solo tre o quattro metri, ma che era sembrato molto più lungo. Jona per poco non perse la presa rimbalzando sul fondo gonfio e teso. Un grido di vittoria gli sfuggì dalle labbra. Gli elfi lo guardarono e gli sorrisero complici, poi pagaiarono lentamente verso le rive boscose del grande lago.
    Un’ora dopo erano in un vecchio albero casa molto usato e in perfette condizioni.