Author: mcon

  • Prologo III

    Jona stava guardando la Pianta, la prima di un piccolo boschetto che circondava la casa di sua figlia. Somigliava a una verza troppo cresciuta, alta un metro e mezzo e larga quasi altrettanto, con grandi foglie di un verde pallido. Attraverso la scorza traslucida di quel grosso frutto giallo, ancora lontano dalla maturazione, si poteva già intravedere l’undicesimo figlio di sua figlia. Sembrava guardarlo con quei due occhioni enormi, sproporzionati anche in quella testa troppo grande per il corpicino raggomitolato cui era attaccata.

    Scrollò le spalle, poi rimase immobile mentre i suoi pensieri vagavano lontano.

  • Prologo II

    L’Elfo correva veloce come il vento, il candore dei capelli raccolti in una corta treccia per non intralciargli la vista era l’unico indizio della sua età.
    Si guardò alle spalle.
    Quella era la sua ultima caccia.
    Non aveva speranze di tornare con un carniere pieno, come sempre aveva fatto prima di allora.
    Ora la preda era lui.
    Le sue orecchie sensibili percepirono il suono, ancora lontano, del suo inseguitore che procedeva veloce sulle sue tracce.
    Attraversò un ruscello e percorse un centinaio di metri seguendo la corrente, poi spiccò un balzo prodigioso per andare ad atterrare direttamente su una solida roccia dove i suoi piedi nudi non avrebbero lasciato impronte.
    Si concesse un sorriso. Era ancora in buona forma, nonostante le sue duecento primavere.
    Thano sarebbe stato soddisfatto.
    S’infilò in uno stretto canalone pochi istanti prima che il suo inseguitore raggiungesse il ruscello.
    La figura ammantata di rosso cupo esitò solo per una frazione di secondo, poi ripartì all’inseguimento rimbalzando fra le rocce senza curarsi di celare il suo arrivo. Le schermaglie erano finite. Ora la caccia si sarebbe conclusa rapidamente.
    Anche il Dio sorrise mentre l’esaltazione della caccia lo sommergeva. Audagor si era guadagnato il diritto di essere ucciso rapidamente, prima che l’inevitabile stanchezza dei Mortali lo sopraffacesse. Si era guadagnato il diritto di guardare la Morte negli occhi.

    Il vecchio Elfo, intanto, stava scendendo uno stretto canalone tagliato da un gelido torrentello nel corso dei millenni. Le pareti di granito erano quasi verticali e lisce come un piatto di porcellana.
    Era un posto in cui non veniva da quando era giovane e inesperto, ma tutto era rimasto come allora. Il suo cuore ebbe un fremito.

    Thano, il Dio della Morte, il Dio Cacciatore che, alla fine, raggiunge tutti, scelse proprio quell’istante per apparire in cima al canalone e precipitarsi, rimbalzando da una parete all’altra, verso la sua preda.

    “Sì”, pensò Audagor mentre si slanciava fuori dal budello di roccia, “ero veramente molto giovane e inesperto, tanto da pensare di poter intrappolare un Dio!”
    Mentre pensava queste parole atterrò pesantemente su una roccia lunga e stretta: una leva che mise in azione la trappola preparata con cura tanti anni prima.
    Prima di diventare un cacciatore famoso in tutto l’Innerwald.
    Prima di guadagnarsi la stima di Thano.
    Prima di metterla fuori dai suoi pensieri con tanta fermezza che nemmeno un Dio sarebbe riuscito a indovinare nascondesse qualcosa.

    Alle sue spalle una scaglia di solido granito di duecento metri quadrati si staccò dalla parete sinistra e in un battito di ciglia percorse il breve spazio che la separava dalla parete destra.
    Thano alzò le braccia per fermarla e scomparve alla vista.

    Un’esplosione spaventosa fece tremare la montagna scaraventando massi di tutte le dimensioni verso il cielo. Audagor fu sbattuto violentemente contro un alto larice, dove rimase intontito, nonostante i rami avessero attutito alquanto l’impatto.

    Quando il polverone si diradò, il vecchio cacciatore vide che il canalone era diventato ben più largo, ma da liscio e pulito che era, ora si presentava ingombro di spezzoni di granito dagli spigoli vivi.

    Da sotto di un masso particolarmente grosso spuntava una mano e una lacera manica rossa.
    Audagor crollò in ginocchio.
    Aveva veramente ucciso il suo Dio?
    Gli occhi gli si velarono di lacrime.
    Com’era possibile?

    Perché sei così triste? Erano secoli che non mi divertivo tanto. Vieni ad abbracciarmi, figlio mio!
    Audagor si girò e in un lampo volò fra le braccia del suo Dio.
    Da oggi sarai conosciuto anche come “guds morder”: uccisore di Dei”, furono le ultime parole che sentì.

    I suoi amici rovesciarono ogni masso, in quel canalone devastato, ma non trovarono nulla.

  • Prologo I

    La Pianta non era certo imponente, somigliava a una verza troppo cresciuta, alta quasi un metro e mezzo e larga altrettanto, grandi foglie verde pallido sormontavano un tronco corto e tozzo dal quale partiva un robusto peduncolo che portava a una grossa zucca adagiata sulla sabbia pulita.

    Era proprio la zucca a occupare per intero l’attenzione dell’Assistente che, immobile, la osservava.
    Si trattava di un frutto oblungo con la buccia di un bel colore giallo solcato da striature più chiare. Ora si stava agitando e sulla pelle morbida apparivano dei rigonfiamenti, come se qualcosa stesse premendo per uscire.

    Qualche minuto dopo, d’improvviso, la zucca si lacerò esponendo alla luce del sole il suo contenuto.
    L’Assistente scattò in avanti, raccolse il corpicino, recise il cordone ombelicale e, dopo una rapida occhiata per accertarsi tutto fosse in ordine, cominciò ad asciugarlo.
    Il piccolo Elfo lanciò il suo primo vagito.

    L’Assistente raccolse anche i resti del frutto con la placenta ancora attaccata e si diresse a passo spedito verso la bassa costruzione che fungeva da nido, senza prestare la minima attenzione agli altri suoi colleghi che, immobili come statue, attendevano la maturazione dei frutti a loro assegnati.

  • Hello world!

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