Author: mcon

  • Intermezzo II

    “Ma perché dovevano rapire bambini piccoli? E cosa impediva loro di scappare?”
    Il Djinn scosse la testa: “Sempre impaziente, eh? Gli Hasashin impiegarono ancora alcuni anni a scoprire la verità, ma tu la vuoi sapere subito.”
    “Certo”, rispose lei seria ed impettita, “non penserai mica che possa stare qui “alcuni anni” ad aspettare che tu finisca il racconto!”
    Il Djinn scoppiò in una breve risata divertita: “No, non credo proprio che tu abbia tutto quel tempo”, rispose facendosi, solo per un istante, più serio.

  • Prime Risposte

    Il salvataggio venne fatto in modo rapido ed efficiente.
    Il bambino preso di mira era il figlio di Ashira di cinque anni. Era stato mandato, come al solito, a prendere acqua al pozzo ed ora tornava verso casa con il secchio che pareva più grande di lui.
    I rapitori sbucarono improvvisamente dal canneto che bordava il fiume.
    Il piccolo non ebbe nemmeno il tempo di aver paura perché dietro di loro apparve, silenziosa e terribile, Marjad.
    La testa del primo dei rapitori cadde rotolando prima che si fossero resi conto della sua presenza. Il secondo non aveva ancora finito di girarsi quando il filo tagliò di netto le sue gambe poco sopra il ginocchio.

    “Perché”, ruggì Marjad, “perché ci rubate i nostri figli?”
    Il ragazzo, non poteva avere più di sedici anni, si tirò su un gomito e la guardò con aria stupita: “Davvero non lo sai, oh potente Djinn? Anche noi siamo stati rapiti, tanto tempo fa ed ora, per ottenere la nostra libertà dobbiamo portare qualcuno che prenda il nostro posto.”
    La vita fuggiva veloce dalle arterie recise e il ragazzo si accasciò senza dire altro.

    Ashira, con il figlio in braccio, aspettava a rispettosa distanza. Ad un cenno di Marjad si avvicinò e mormorando un fiume di ringraziamenti, confusi nelle parole, ma chiarissimi nel significato, la aiutò a spogliare i due ragazzi e a gettarne i corpi nel fiume.

    Poco dopo ritornava verso la Sede con il grosso involto che era il tributo dovuto agli Hasashin per i loro interventi.

  • L’ultima missione di Marjad

    Erano anni che Marjad non prendeva parte ad una missione di salvataggio, ma il puntino rosso che era apparso sulla mappa era così vicino alla Sede che sembrava quasi una sfida. Quasi sicuramente la vittima era il figlio di qualcuno che conosceva.

    L’arma che impugnava era unica: si trattava di un bastoncino lungo quasi un metro, protetto da una calza fatta con il filo del ragno ed incollata con la sua bava; dalla cima pendeva una sferetta legata con un filo poco più corto del bastone.

    Roteando quella specie di mazzafrusto era in grado di tagliare qualunque cosa le si parasse davanti. Era un’arma terribile e senza pietà, adatta a lei. Nemmeno la nascita del suo terzogenito, che aveva compiuto da poco gli undici anni, aveva placato la rabbia che le covava in cuore e che ora divampava come divampavano le fiamme nel piccolo forno che faceva da casa per Shaitan.

    Quel forno era l’unica cosa che era rimasta uguale in quella casa, ora diventata la Sede degli Hashashin. Si trovava al centro di una fortezza circolare a due piani in un posto dove solo lei e suo marito avevano il diritto di entrare.

    “Sei veramente decisa ad andare da sola?” Le chiese Shaitan.
    Lei non si curò di rispondere, ma si strinse attorno il mantello rosso e si calò il cappuccio sugli occhi.

    Inutile continuare. Era uscita sbattendo la porta.

  • Intermezzo

    “E poi sono riusciti a ritrovare i loro figli?” Chiese Serna.
    Erano notte fonda e il Djinn stava ancora raccontando la sua storia, evidentemente intenzionato a mantenere vivo l’interesse del suo pubblico composto esattamente da una persona.
    “Certo! Un Dio non promette mai invano, dovresti saperlo”, ribatté fingendosi scandalizzato al solo pensiero, “Ma dovrai avere ancora un po’ di pazienza”, finì strizzando l’occhio.

    “Dunque, quella notte fecero davvero l’amore e lei rimase incinta di quello che sarebbe divenuto il padre del Califfo.”
    “Shaitan li aiutò a scegliere altre persone, la maggior parte delle quali avevano perso i propri figli, e queste costituirono il nucleo originario degli Hashashin.”

    “Erano un piccolo gruppo, ma molto attivo. I rapimenti diminuivano, ma non cessarono mai del tutto. Gli Hashashin erano benvenuti nei villaggi e non si nascondevano più. Accettavano volentieri i regali che la gente faceva in cambio della loro protezione.”

    Con un sorriso complice ed un inchino appena accennato il piccolo Avatar girò dietro la sua colonna e scomparve.

    Prima che arrivassero, Serna riuscì anche a contattare suo padre. Solo poche parole perché lui era già in navigazione sulle acque pericolose di quel fiume incassato tra montagne altissime tra le quali si era scavato un passaggio.
    Solo l’aiuto di Mentore gli permetteva di passere certe rapide insidiose.
    Come le aveva detto qualche giorno prima: Mentore gli indicava la strada, ma seguirla richiedeva tutta la sua abilità e la sua forza. Arrivava a sera completamente sfinito. Lo seguì per qualche minuto mentre cavalcava la criniera spumeggiante del fiume che si precipitava in una gola rocciosa che era stata levigata fino a sembrare liscia come il marmo rosa della fontana che c’era in giardino.
    Jona parve rilassarsi.
    Assentì con un sorriso:

  • Shaitan

    Thano apparve loro la notte in cui rientrarono a casa, stanchi e tesi.
    Vedo che cominciate a rendervi conto che il vostro lavoro non sarà facile”, sogghignò il Dio,
    I due scattarono in piedi come morsi da una tarantola. L’impressione che avevano avuto era stata esattamente quella, ma adesso stava già scomparendo.
    Così va meglio”, proseguì il Dio in tono discorsivo, “c’è ancora molto lavoro da fare e non credo che possiate farlo da soli, nonostante l’indubbia buona volontà”, disse indicando la mappa con i venti segni in bella mostra sul tavolo.

    Ahmanejadil aiutò la moglie ad accendere i piccolo forno per il pane che era stato costruito incastrato nel muro di pietra della casetta. Entrambi avevano sentito la sferza della voce del Dio sulla loro pelle e si muovevano come automi, svuotati da ogni volontà propria.

    Passò parecchio tempo prima che il forno, spento da una settimana, si scaldasse e diventasse una piccola fornace incandescente.
    Da quella fornace uscì uno strano essere, un omuncolo alto una trentina di centimetri con la pelle completamente rossa, barba e capelli nerissimi così come le corna che gli ornavano la fronte, le grandi ali da pipistrello e la punta della coda a forma di lancia.
    Vi presento Shaitan”, disse Thano con un leggero inchino, “vi aiuterà ad organizzarvi, ma attenzione: non tutti i suoi consigli sono buoni.
    Il Dio non era più con loro.

  • Scoperti

    La spedizione fu, per la prima volta, un mezzo fallimento.
    I carovanieri dovevano aver sentito i racconti del Djinn rosso ed avevano cambiato tattica. Invece di un paio di persone che inseguivano bambini indifesi Marjad si trovò davanti una decina di predoni armati fino ai denti che circondarono immediatamente i bimbi senza dar loro la possibilità di raggiungere il Djinn.
    Lei si scagliò urlando verso di loro e due che le si pararono davanti vennero tagliati senza pietà dal filo che lei roteava sopra la sua testa, ma gli altri afferrarono i bambini e fuggirono. Inseguirli avrebbe significato rischiare di affettare anche loro.
    Ahmanejadil, anch’egli vestito di rosso, sbucò all’improvviso e riuscì a tagliare le gambe di due rapitori, facendo capitombolare le loro prede nell’erba, ma gli altri, con le due prede rimaste, riuscirono a fuggire.

    Marjad era furiosa. Il suo viso aveva lo stesso colore dei suoi abiti e lei voleva inseguire i fuggitivi e distruggere l’intera carovana, se necessario.
    Ahmanejadil cercò prima di calmarla con le buone, ma, visto che sembrava di parlare al vento, la prese per le spalle e la scosse brutalmente: “Calmati! abbiamo un lavoro da fare prima che tornino qui quelli che abbiamo salvato, con i loro genitori! Ricordati che bastano un paio di frecce per mettere fine ai nostri sogni di vendetta. La nostra migliore arma è il fatto che nessuno ci conosce. Ora tutto sarà più difficile.”

    Fu più lo sguardo deciso di lui che le parole a calmarla.
    Quando tornarono i cadaveri erano scomparsi, tagliati in lunghe strisce di carne sanguinante usando una delle tele di ragno tessuta su un largo cerchio di legno e gettati nel fiume per la gioia dei pesci. Anche se qualcuno avesse trovato i frammenti di ossa era ben difficile che le riconoscessero per ossa umane.

  • Djinn

    La notizia del Djinn rosso che salvava i bambini dai rapimenti e mangiava gli aggressori, vestiti e tutto, si sparse lungo il fiume e, come tutte le leggende, si arricchì di infiniti particolari, tanto che Marjad faticava a rimanere seria quando le narravano dell’ultima impresa del misterioso Djinn.
    Poi arrivava l’inevitabile commento: “Ah, se fosse arrivato un po’ prima forse i tuoi figli sarebbero ancora qui” e lei perdeva ogni voglia di sorridere mentre la rabbia divampava nel suo cuore.

    Dopo uno di questi episodi, come sempre succedeva, i due si ritrovavano chini sulla mappa del Dio per scegliere la prossima vittima da salvare.

    Non c’erano puntini nelle vicinanze. I rapitori di bambini dovevano aver capito che la zona era protetta.
    La donna con cui aveva parlato oggi, tornando dal mercato, le aveva spiegato con un certo sollievo che oramai i rapitori della zona dovevano essere tutti morti, ringraziando il Djinn!
    Marjad e Ahmanejadil sapevano che non era vero. Avevano metodicamente spogliato le loro vittime di tutti i loro averi, prima di farli scomparire nel fiume e sapevano bene che non si trattava di gente del luogo. Erano tutti carovanieri. Quella gente che attraversava il grande deserto ad est con le sue lunghe teorie di cammelli, portando stoffe ed oggetti dai colori incredibili e ripartendo poi carica di argento ed altre cose apparentemente di scarso pregio, come tappeti ed i comuni vassoi decorati a sbalzo.
    Più volte si erano chiesti perché rapissero i bambini, ma non avevano trovato una risposta soddisfacente. Nelle carovane non si vedevano mai né donne né bambini; i più giovani erano già in piena adolescenza, perfettamente in grado di badare alle bestie ed al carico che difendevano da predoni ed animali come si trattasse della loro stessa vita .

    Marjad ricontò per l’ennesima volta i segni che aveva fatto: sedici, uno per ogni bambino salvato.
    Quasi a rispondere alle sue domande un gruppo di quattro puntini verdi apparve all’estremo nord della mappa, vicino alle montagne.

    “Lì”, disse, “quelli. Stavolta dovremo camminare un po’. Speriamo di arrivare a tempo.”
    Ahmanejadil scosse la testa. Erano troppo lontani. Quattro assieme. Sapeva che era inutile discutere con la moglie, quando parlava con quella luce negli occhi, ma provò ugualmente: “Non sarebbe meglio cercare qualcosa di più vicino?”

    “E poi?”
    “E poi Thano ci aiuterà a ritrovare Ramil e Sandajadil!”
    Ahmanejadil aveva forti dubbi che fosse così facile e cominciava a pentirsi, in cuor suo del giuramento fatto al Dio Cacciatore, ma non era possibile tirarsi indietro, anche se lo avesse voluto davvero.
    Cominciò a preparare il mehari per il viaggio.

  • Salvataggio

    Il sole stava calando e, sul sentiero che portava al villaggio, due bambini stavano spingendo davanti a loro il piccolo gregge per ritornare all’ovile. A sei anni e con l’aiuto di due cani erano perfettamente in grado di fare quel lavoro.
    Due uomini si pararono loro dinnanzi.
    Avevano sentito tante storie di compagni scomparsi e provarono un immediato terrore.
    “Presto, di qui!” Il grido li scosse e cominciarono a correre verso la sconosciuta, ammantata di rosso che li aspettava a braccia aperte.
    I due sconosciuti rimasero interdetti. Evidentemente non si aspettavano altri interventi, ma dopo un momento si lanciarono all’inseguimento. In pochi passi li raggiunsero, proprio mentre si infilavano nel piccolo frutteto verso la donna che non si era mossa. Poi stramazzarono al suolo mentre le loro teste rotolavano lontano, tagliate di netto.
    La donna li avvolse nel suo mantello rosso prima che si rendessero conto di che cosa era successo alle loro spalle e li riportò al loro gregge.
    “Ora è tutto finito. Tornate a casa. Mi dispiace per i cani.”

  • La Tela

    La mattina dopo, alla luce del sole, intravidero quello che immaginavano già dovesse esserci: il ragno aveva tessuto una tela subito sotto il coperchio.
    Si trattava di una tela di fili sottilissimi e neri come la notte, tanto sottili da essere quasi invisibili, ma abbastanza resistenti da tagliare qualunque cosa come la lama di un rasoio. Il legno non incontrava quasi resistenza, come si era visto la sera prima, mentre sostanze più dure, come vetro e metallo, offrivano una certa resistenza e riuscivano a piegare i fili della ragnatela, ma poi venivano tagliati anche loro senza che la tela ne risentisse.

    Cominciarono ad arrivare i vicini a chiedere notizie. La triste novella era passata di bocca in bocca con la velocità tipica delle piccole comunità.

    La coppia si chiuse nel suo dolore e non fece il minimo accenno né al giuramento né al Dio e tanto meno al ragno.

    La sera invocarono nuovamente Thano, ma il Dio non si manifestò né quella sera né le sere successive.

    La vita riprese il suo corso, lenta e monotona. Ahmanejadil coltivava l’orto vicino alle rive del fiume e Marjad curava gli animali da cortile e filava la lana. Tra gli animali da cortile v’era anche il ragno che rimaneva nel suo secchio anche se, con l’aumentare dei detriti sul fondo dava segni di crescente irrequietezza.

    Tutte le sere, dopo cena, entrambi rimanevano immobili con le fronte schiacciata nella polvere invocando Thano perché tornasse, ma il Dio tardava.

    Le uniche differenze nella loro vita erano che ora Marjad accompagnava il marito al mercato, quando andava a vendere i prodotti del suo orto non sopportando di rimanere da sola e, naturalmente, che mancavano i bambini.

    Un pomeriggio, mentre filava sull’uscio, sentì che il ragno si agitava nel suo bugliolo. Raspava e lavorava vicino al bordo, poi spuntò fuori e saltò a terra.
    Marjad si guardò attorno freneticamente, vide l’altro secchio che suo marito aveva costruito in sostituzione di quello occupato dal ragno, lo svuotò lanciando l’acqua fuori dalla porta e lo mise davanti al ragno che si stava dirigendo verso un angolo.
    L’animale parve riconoscere l’oggetto e vi entrò, fece un giro di perlustrazione che dovette dare esiti positivi perché cominciò subito a costruire un’altra tela che ne sigillasse l’ingresso in modo che nulla di dimensioni superiori ad un centimetro circa potesse entrare senza essere affettato.
    Terminato il suo lavoro si ritirò al centro del secchio, ben distante dalla tela e rimase immobile.

    Marjad era rimasta ad osservarlo affascinata senza nemmeno accorgersi che Ahmanejadil era rientrato e stava guardando al suo fianco.
    La nuova tela era invisibile nella penombra della casa ed anche la vecchia, nonostante avesse trattenuto qualche granello di polvere, era più un’entità astratta che reale. Un’astrazione pericolosa, però. Se quel ragno doveva “essere utile”, come aveva promesso il Dio, era per quella tela, ne era certa.

    Prese il bugliolo e lo portò alla luce del sole.
    Ora, avvicinandosi, poteva vedere il filo nero che chiudeva quasi completamente l’apertura. Il ragno l’aveva staccato dal bordo del secchio in un paio di punti per poter uscire.
    Era attaccato con una specie di colla semitrasparente.
    Marjad provò la resistenza di quella colla, che era in palline abbastanza grandi da poter essere prese e manipolate, se si faceva molta attenzione.
    Dopo un’ora buona di lavoro e l’aiuto di uno dei suoi aghi di ferro, la tela era appoggiata su un piatto di ceramica bianca.

    Marjad e suo marito la guardavano perplessi. Che dovevano farci? Era sicuramente un oggetto pericoloso, ma come usarlo?

    Una voce alle loro spalle li fece sobbalzare: “Bravi. Abbastanza intelligenti da capire che cosa è importante ed abbastanza abili da non perdere le dita cercando di prenderlo.
    I due erano con la fronte sul pavimento ben prima della fine della frase.
    Alzatevi. Non c’è bisogno di prostrarsi. Ho un regalo per te, Marjad ed uno anche per te, Ahmanejadil.
    Sullo sgabello vicino alla porta c’era un foglio di pergamena e, sopra, due pinzette di lucido metallo che terminavano con una punta nera come la notte.
    Con quelle pinzette puoi manipolare il filo del ragno. La colla, se scaldata diventa morbida e la puoi usare per riattaccarlo a qualche altra cosa.
    La mappa, invece, quando direte il mio nome, vi mostrerà i bambini in pericolo. I puntini verdi sono quelli che sono sotto osservazione dei rapitori, quelli rossi stanno per essere rapiti e quelli marroni sono quelli nelle loro mani, poi scompaiono di nuovo.
    Il Dio scoppiò in una risata vedendo come Marjad allungava il collo per sbirciare sopra la spalla del marito.
    No, i tuoi figli non ci sono. Vi ho già detto che la vendetta è un piatto che si deve gustare freddo.

  • Il Ragno

    Ahmanejadil era disperato. Sua moglie si era ripresa, ma non parlava, rifiutava il cibo e scuoteva violentemente la testa ogni volta che lui cercava di parlarle.
    Sapeva che aveva bisogno di riposo e di tranquillità, ma anche lui era con i nervi scoperti ed alla fine, incapace di reggere la tensione, il dolore e la stanchezza, la afferrò per le spalle costringendola a guardarlo negli occhi: “Donna, mentre ti credevo morta e con i nostri figli persi per sempre ho fatto un giuramento che ora tu mi dovrai aiutare a mantenere! Di sicuro Thano ti ha lasciata in vita per questo!”
    Lei lo guardò con occhi spenti: “Thano doveva portarmi con sé.”
    “No”, disse lui scuotendola, “Thano ci ha concesso vendetta. Noi gli daremo molto lavoro e Lui ci farà ritrovare i nostri figli!”
    Un lampo cupo si accese nello sguardo di Marjad mentre un filo di colore ritornava sul sui viso.
    Ahmanejadil raccontò con poche parole quanto era accaduto poco prima, cercando di riferire le parole del Dio alla lettera, ben sapendo quanto fossero essenziali le sfumature quando si aveva a che fare con un Dio.

    Marjad aveva abbandonato l’atteggiamento disperato e senza volontà che aveva fino a pochi istanti prima ed era divenuta fredda, distante ed animata da una volontà che si intuiva ferrea, ben diversa da quella dolce ed allegra che aveva avuto fino ad allora.
    “Thano non ti ha affatto promesso di farci ritrovare i nostri figli, ma solo vendetta. Dovremo farcela bastare. Vediamo questo ragno.”

    Scoperchiò il bugliolo e vide un grosso ragno nero e peloso che se ne stava immobile al centro del secchio e sembrava guardarli.
    Avvicinarono la lampada ad olio, ma la luce danzante non rivelò troppi particolari. Era un grosso ragno nero grande come una mano, coperto di una fitta peluria nera opaca che sembrava inghiottire la luce. Solo gli occhi erano grandi e lucidi. Non sembrava nemmeno avere i lunghi denti delle tarantole del deserto che cacciavano saltando addosso alle loro prede ed uccidendole con il loro potente veleno.

    Rimasero un po’ ad osservarlo da lontano, poi, vedendo che non si muoveva, Marjad prese un lungo cucchiaio di legno e cercò di toccarlo per vedere come si comportava. Il cucchiaio, appena superato il bordo del secchio, cadde a pezzetti nel bugliolo ed il ragno si precipitò sui frammenti, per poi ritirarsi deluso alla scoperta che si trattava solo di frammenti di legno.

    I due trattennero il fiato sorpresi. Sul bordo di quel secchio di legno c’era qualcosa che affettava qualunque cosa cercasse di attraversarlo, ma che era impossibile vedere.
    Rimisero il coperchio al suo posto, poi Marjad, presa da un’improvvisa ispirazione, lo riaprì e lanciò dentro un piccolo pezzo di carne cruda che arrivò sul fondo in sottili striscioline sulle quali il ragno si avventò famelico.