Partenza
“Allora Sindehajad, sei disposto a giurare di fronte a Thano che farai di tutto per far sì che torniamo tutti, sani e salvi da questa missione?”
“No”, rispose lui senza scomporsi.
Serna lanciò un’occhiata interrogativa sia a lui che al Visir, che gli aveva appena detto di aderire senza riserve alle richieste della Maga.
“Spiega”, disse semplicemente il Visir.
“Non mi è possibile”, replicò quello con un guizzo divertito nello sguardo, “giurare nei termini proposti dalla Maga. Dovrei immediatamente adoperarmi per far cancellare la missione. Solo in questo modo potrei dire di “aver fatto di tutto per far tornare tutti sani e salvi”.”
“Sono disposto a giurare di fare del mio meglio perché la missione vada a buon fine.”
“Hai ragione”, rispose Serna, “con i giuramenti bisogna stare attenti. Se aggiungi “aiutare e proteggere lealmente i miei compagni” e “riconoscere Serna come comandante della missione” possiamo essere d’accordo.”
La figura ammantata di rosso di Thano apparve alle invocazioni di Serna.
“Gran Dio della Morte, ti chiedo di essere testimone per le mie azioni future”, cominciò Sindehajad, “di qui a poco partirà una missione comandata da Serna: io mi impegno a riconoscerne l’autorità di comandante e di agire lealmente per proteggere il buon esito della missione e le vite dei miei compagni, fino al termine della missione stessa.”
“Ti sei preso un bell’impegno, giovane guerriero”, sogghignò Thano girando lo sguardo attorno e appuntandolo prima sul Visir, poi su Fermo e quindi su Serna,
Quindi si drizzò e sembrò divenire ancora più alto e minaccioso mentre intonava la formula rituale: “Accetto di fare da Testimone Imparziale per questo impegno. Quale deve essere la pena per il fallimento?”
Fu Serna a rispondere: “Morte, rapida e indolore, per chi fallisce e per il mandante.”
“Accetti questa pena, giovane guerriero?”
“Sì.”
“E così sia!” Ruggì Thano mentre svaniva.
Il Visir era un po’ più pallido, ma non fece commenti di sorta.
Veleggiando verso il Grande Fiume
Una pioggia fredda e insistente bagnava le vele, sembrava che fosse finalmente giunto l’inverno anche in queste terre calde. Posse, comunque, trattene la sua furia: vento teso e pioggia sferzante non si trasformarono mai in vera burrasca.
La nave correva veloce con Agio al timone, riparato da un tendone tirato su all’uopo.
Sotto coperta Serna, Fermo e il Geco — la Maga aveva cominciato a usare il suo soprannome non appena era stata sicura che a lui non dispiaceva, trovando “Sindehajad” insopportabilmente lungo — stavano cercando una strategia per ritrovare il Principe.
“Quello che sappiamo è che Samaldinir è scomparso la notte prima che arrivassero alle secche del Grande Fiume.”
“Siamo ancora troppo lontani perché io possa vedere quella zona.”
“Comunque deve essere ben lontana, visto che il nostro uomo ci ha detto che ci sono voluti sei giorni, su quel rottame di nave spinto dal vento di sud, per arrivare al delta e poi sono stati spinti a occidente per molti giorni, prima di fare definitivo naufragio.”
Il Geco spianò bene la rozza mappa che Serna aveva disegnato ricopiando le informazioni dell’Amuleto:
Serna e Fermo si guardarono sentendo un brivido lungo la schiena.
Il Dio che si divertiva a fare scherzi complicati, che facevano divertire solo lui, era uno solo e il suo interessamento non lasciava presagire niente di buono.
Se era vero allora niente era casuale, in quel viaggio.
Serna pescò una piccola borsa dalle pieghe del suo vestito e da questa trasse il rocchetto con i due anelli d’ottone: “Che cos’è questo?”
Il Geco sgranò gli occhi stupito: “Dove hai preso quel ruhmal?”
“Prima tu ci dici che cos’è di preciso e poi noi ti diciamo chi ce lo ha dato”, intervenne Fermo.
Sindehajad lo ignorò platealmente e rispose a Serna:
“Un’arma? Ma è solo un filo!”
Il Geco la guardò con aria di sufficienza: “Hai idea di che cosa possa fare quel “filo”?”
La risata improvvisa la interruppe.
“Che ho detto di tanto buffo?”
“Non riusciresti mai a rompere quel filo. Gli anelli si romperebbero molto prima. Nessuno è mai riuscito a rompere un filo di Seta Nera. Guarda!” Prese il rocchetto e, premendo il piccolo pulsante, fece srotolare un palmo di un filo che si vedeva appena tanto era sottile. Tenendolo per i due anelli e facendo bene attenzione a non toccarlo lo fece scivolare lungo il bordo del tavolo staccandone una sottile scheggia perfettamente liscia, come se il tavolo fosse stato di burro, poi ne avvolse una spira sul collo di una bottiglia e tirò leggermente: anche quella venne recisa con un taglio netto, come nessun coltello avrebbe potuto fare.
Il Geco fece riavvolgere strettamente il filo e lo restituì a Serna: “Attenta a come lo maneggi: cercare di toccarlo è un buon modo per restare senza dita.”
La mente della Maga stava inseguendo i risvolti di quello che aveva visto, a cominciare dal chiedersi perché la bottiglia s’era tagliata a quel modo, ma gli anelli di ottone non sembravano aver subito danni, quando la voce pacata di Fermo la riportò bruscamente al presente: “E perché il tuo padrone ha mandato un Assassino in missione con il Principe?”
“Sayif un Assassino? Non ci posso credere!”
Sembrava sincero e, a quanto testimoniava l’Amuleto, lo era.
“Non sappiamo se fosse un Assassino, ma questo lo aveva lui, assieme a poche altre cose.”
“Un Assassino non si separa mai dal suo ruhmal. Sono rari, preziosi e, soprattutto, una specie di distintivo.”
“Quindi ora siamo degli Assassini?” Lo schernì Fermo.
“Io, con quello in tasca, potrei farmi passare per un Assassino, almeno per un po’.”
“Ma chi sono, esattamente, questi “Assassini”?”, chiese alla fine Serna.
“Sono una setta, particolarmente devota a Thano, ma anche fedele al Califfo di Gadadh, che li usa per togliere di mezzo tutti quelli che non accettano la sua autorità. Tra quelli che si oppongono all’espansione del Califfato c’è proprio il Visir di ‘Ruth. Per questo non riesco a credere che lui abbia al suo servizio un Assassino. Molto più facile fosse il bersaglio.”
“Ho come il sospetto che Duliana potrebbe raccontarci cose interessanti.”
“Duliana?”
Il Geco proruppe in una risata amara: “Ho capito. Duliana è in grado di far perdere la testa a qualunque uomo, se vuole. Il povero Sayif deve essere arrivato per regolare i conti con il Visir e si è trovato impegolato dai profumi di Duliana.”
“Ma tu non ne sapevi nulla?” Intervenne Fermo.
“Io sono il capo dei giannizzeri, le guardie private del Visir e ho avuto molti incarichi delicati, ma non mi viene detto nulla che non sia necessario perché io faccia il mio dovere efficientemente. Da voi si usa raccontare i fatti propri a tutto il palazzo?”
“No, nemmeno da noi si usa raccontare i fatti propri a chicchessia”, rispose Serna fingendo di non aver percepito i sovrattoni acidi, “ma pensavamo che tu fossi qualcosa di più del capo delle guardie, per il Visir.”
“Senza dubbio Duliana sa molte cose che io non so, e viceversa. Facciamo lavori diversi, sai?”
Fermo prese queste parole come una battuta, mentre Serna, pur fingendo di non dare importanza alla cosa, rimase colpita: Sindehajad considerava Duliana una pari grado.
Dubbi
Poco dopo aver raggiunto il Continente Proibito la costa cambiò improvvisamente aspetto e, da arida e brulla che era, divenne verde e lussureggiante.
Agio guardò la costa con occhio critico: “Meglio fermarci al largo ed entrare domattina con il favore della marea. Queste acque hanno l’aria di esser piene di secche.”
Serna annuì la sua approvazione e scivolò silenziosa sotto coperta.
La piccola colonna che la univa al Djinn di Isto era lì, sul tavolino e brillava di una leggera aura violetta.
“Sembri preoccupata, Serna”, disse il Djinn.
“Lo sono. Non mi piace sfidare così l’ira degli Dei.”
Nella voce del Djinn si intuiva un sorriso: “Prova a vederla sotto un altro profilo: Tu non stai sfidando gli Dei, per lo meno Isto ti ha dato il suo permesso di tentare la missione e sono certo che ti sei già accorta che Posse ti sta aiutando. Al contrario, sono gli Dei che vi stanno mettendo alla prova: vogliono vedere se sarete in grado di completare il salvataggio senza infrangere le regole.”
Serna rimase in silenzio per alcuni lunghi minuti: “Effettivamente, messa in questo modo, ha tutto un altro sapore.”
“Sei sicuro di potermi aiutare nella navigazione?” Chiese poi con un tono completamente diverso.
Il Djinn era rimasto sulla quinta di dominate e Serna se ne accorse immediatamente. Che cosa aveva tralasciato?
“A me basta il mio Amuleto per avere la mappa del fondale. Ho già provato. Tu sei disposto ad aiutare qualcuno che non sia io? Il viaggio durerà diversi giorni. Non posso stare sveglia per tutto quel tempo. Gettare l’ancora, ovviamente, non possiamo.”
“Posso rispondere ad una sola persona, di tua fiducia. Devi scegliere chi.”
“Agio”, rispose Serna senza esitazione.
Il Djinn si mostrò stupito: “Non Fermo?” Chiese.
“No”, disse lei scuotendo la testa, “Agio deve avere le informazioni di prima mano, se deve pilotare in sicurezza.”
Il Grande Fiume
La mattina dopo, alle prime luci dell’alba, sospinta dalla marea montante, la piccola nave si infilava in una delle bocche del fiume, un largo canale con rive distanti più di cento metri.
La costa era lussureggiante con alti alberi che arrivavano fin sull’acqua. Grandi uccelli bianchi con la testa — fornita di un lungo becco — e la coda neri nidificavano fra i rami.
La tensione era palpabile. Non potevano esserci errori di manovra.
Posse e Zeo erano favorevoli. Un leggero vento di Tramontana li spingeva contro la corrente fiaccata dalla marea.
Gli occhi di Agio, al timone, passavano dalle vele all’acqua alle immagini che Serna gli mostrava con la profondità delle acque.
Nel pomeriggio Serna, annoiata della navigazione tranquilla, si rese improvvisamente conto di aver fatto un errore: Agio era sicuramente il miglior timoniere, anche se il suo secondo, Mirko, era anche lui molto sveglio. Sarebbe stato meglio legare lui al Djinn, in modo da poter essere presenti entrambi nei momenti difficili che, lo sapeva, sarebbero sicuramente arrivati.
Provò a chiedere, pur sapendo bene quale sarebbe stata la risposta.
“Hai scelto. Capisco le tue ragioni, ma avresti dovuto essere meno precipitosa.”
Mandò Agio a riposare e, maledicendosi per la sua impazienza, si mise accanto a Mirko.
La notte passò tranquilla, mentre facevano turni di due ore.
Ai loro lati i vari bracci del grande delta continuavano a confluire e il Grande Fiume si faceva sempre più grande.
Era tarda mattina quando passarono l’ultima ramificazione; erano fuori dal delta e la corrente era vigorosa, ma il vento si manteneva favorevole.
Gli alberi cambiavano, ma i due muri di vegetazione, alti diverse decine di metri, rimanevano, impedendo loro la vista.
Serna sapeva, perché l’Occhio del Cielo lo mostrava chiaramente, che quello era solo un nastro relativamente sottile; solo pochi chilometri di verde lussureggiante, poi c’era il deserto.
Un giorno, dopo una settimana di navigazione, il muro di verde si interruppe bruscamente e il deserto, sotto forma di un’alta costa rocciosa che arrivava fin sulla riva, si presentò in tutto il suo abbacinante fulgore. Nonostante fosse ancora gennaio, il mese più freddo, si sentiva chiaramente che il sole arroventava senza pietà quelle pietre calcinate.
Sindehajad sparì sotto coperta come un lampo e ritornò tenendo in mano un lungo arco ricurvo e una freccia.
Agio stava tenendo la nave lì dove l’acqua era più profonda, proprio vicino alla ripa rocciosa.
La freccia partì sibilando e scintillò stranamente al sole, prima di sparire fra le rocce.
Serna era infuriata, più per il fatto di essere stata presa in contropiede che per altro; dopotutto le acque erano rimaste tranquille e il cielo non dava segni di voler crollare sulla loro testa. Anche l’Amuleto confermava che gli Dei non si interessavano a loro, almeno in apparenza.
“E che favore sarebbe, di grazia?” Chiese acida.
“Il Sultano voleva sbarazzarsi del Djinn che lo aveva servito così bene negli ultimi tempi. La Lampada era legata alla punta della freccia.”
Serna rimase prima attonita, poi scoppiò in una fragorosa risata.
“Bellissimo! Così dovrà aspettare che gli Dei decidano di togliere la proibizione all’intero continente, prima di avere qualcun altro da turlupinare. Si sentirà ben solo quando riuscirà a guardar fuori dalla sua lampada”, disse quando riuscì a riprendere fiato, “di chi è stata l’idea? Non credo che il Sultano abbia abbastanza fantasia per un tiro simile.”
Zeo
A sera, prima di coricarsi per il suo turno di riposo, Serna chiese a Zeo quali erano le sue intenzioni, ma, invece di sentirsi dire, come tutte le sere, che i venti da sud sarebbero continuati costanti, Zeo apparve con il suo Avatar: un’aquila azzurra.
“Il tempo sta per scadere, Serna”, disse il Dio guardandola con quegli occhi rapaci, “hai meno di una settimana, poi cominceranno i venti da sud.”
“In teoria i venti da sud ci dovrebbero aiutare sulla via del ritorno, ma non credo che sia questo che volevi dirmi. Che cosa non so?”
“Sono molte le cose che non sai, bambina”, disse l’aquila con una voce lievemente gracchiante.
Serna attese pazientemente e a capo chino.
“I venti da sud”, riprese il Dio, “sono molto più impetuosi di quelli del nord, da queste parti. Stavolta non saranno troppo forti. Solo cinquanta nodi.”
Serna impallidì. Solo cinquanta nodi? Erano quasi novanta chilometri orari. Su un fiume, per quanto largo? Senza poter toccare terra né gettare l’ancora?
“Puoi dirmi, tu che tutto vedi, dov’è il Principe?”
Verso la palude
La mano del Geco la scosse.
Serna si alzò ancora frastornata.
“Arrivo. Vieni anche tu, dobbiamo parlare.”
“Chiamo Mirko e Fermo?”
“No. Non ancora. Sbrighiamoci.”
In poche parole spiegò ad Agio e al Giannizzero quello che le aveva detto Zeo.
Il timoniere era preoccupato, ma disse con una certa confidenza: “Questa nave è piccola, ma su acqua calma, e il fiume lo è, può sopportare venti di cento chilometri all’ora. Dobbiamo prepararci, ma penso che ce la faremo.”
Il Geco, invece, scosse la testa: “Zeo ti ha detto solo la metà della storia.”
Quattro occhi preoccupati e interrogativi si fissarono su di lui: “I venti del deserto, quando cominciano a soffiare, sollevano la sabbia. Perché credi che noi, gente del deserto, ci vestiamo a questo modo?” Svolse due giri della sciarpa nera che gli faceva da cappello e se la avvolse attorno al viso; ora non si vedevano più neppure gli occhi:
Serna e Agio si guardarono sgomenti, poi si riscossero.
“Vai a chiamare Mirko e cerchiamo di sbrigarci”, disse la Maga.
“Non c’è molto da poter fare”, ribatté Agio, “dati vento, barca e corrente questo è il meglio che possiamo fare, purtroppo.”
Il vecchio marinaio, come al solito, aveva perfettamente ragione e né insulti né blandizie riuscirono a far correre la piccola nave più di quanto già non stesse facendo.
Due giorni dopo arrivarono alla gola che Serna aveva visto.
Era proprio come la ricordava: una sottile striscia di verdi piante acquatiche lungo la riva, poi sassi e roccia calcinata dal sole.
Era anche molto corta, forse meno di un chilometro, poi si apriva in una valle paludosa nella quale crescevano alberi imponenti.
Agio cominciò a far bordeggiare la nave cercando di mantenerla ferma, mentre Serna usava l’Amuleto per cercare il Principe che, a quanto aveva detto Zeo, non doveva essere lontano.
La valle era ampia e la palude non si estendeva, il resto era una foresta intricata pullulante di vita. Trovare il Principe non sarebbe stato facile.
“Più facile che sia lui a trovare noi”, disse a un certo punto il Geco,
Serna non lo lasciò finire: “Tappatevi tutti le orecchie!” Gridò con un sorriso.
Il Principe
La risposta non si fece attendere troppo.
Un grido lontano, appena udibile nei rumori del fiume: “Sono qui! Arrivo! Attenti ai tronchi!”
Guidata da quella voce Serna lanciò l’Occhio di Lince.
Il Principe era sui rami di un albero e, muovendosi con una cauta scioltezza che denunciava una certa pratica, cercava di spostarsi da un albero all’altro per avvicinarsi alla riva del fiume.
Procedeva con lentezza e determinazione, attento a non scivolare.
“Ecco come ha fatto a non destare l’ira degli Dei!” Esclamò il Geco.
Serna annuì ammirata:
Gli occhi del Giannizzero ridevano: “Non credo che si toglierà mai quel soprannome di dosso. Può darsi che non gli piaccia, ma può andarne fiero. Non sarebbe meglio calare la lancia in acqua, così da andarlo a recuperare?”
La Maga stava per rispondere quando Fermo disse: “Vado io”, con il tono di chi non vuol sentire ragioni.
Serna si morse il labbro e rimase zitta.
La barchetta era stretta e piatta, l’avevano scelta apposta per poter passare nelle acque basse.
Fermo e un marinaio si diressero verso il punto dove stava convergendo Samaldinir: un grande albero dalla larga chioma che si protendeva fin sul fiume.
Serna seguiva l’avvicinamento del Principe e, a un certo punto vide che si sbracciava verso la barca urlando un avvertimento che non riuscì a capire.
“Dì a Fermo di tornare indietro”, disse il Geco con una calma carica di tensione, “Agio, cerca di avvicinarti alla barca più che puoi. In fretta.” Intanto si stava togliendo la giubba e la camicia.
Serna riportò la sua attenzione alla barca e vide che stava viaggiando verso alcuni tronchi galleggianti. No, non erano tronchi. Si muovevano e avevano degli occhi che le sembrarono avere un lampo malvagio: “Che cosa sono?”
“Non lo so”, rispose lui, “ma il Principe dice che sono pericolosi.”
La barca era quasi sotto la chioma dell’albero quando il più vicino di quei “tronchi” aprì una bocca enorme e si avventò sulla piccola lancia facendola ondeggiare pericolosamente.
Il Geco chiese a Serna, con gentilezza, ma con l’urgenza nella voce: “Posso avere il ruhmal?”
Avuta la strana arma disse qualche parola ad Agio che sorrise
e si inerpicò come un gatto su per le sartie e poi, raggiunto l’albero, si inerpicò in precario equilibrio lungo il pennone che sosteneva la parte superiore della vela.
Presto Agio avrebbe dovuto virate per non andare a impigliarsi nella chioma dell’albero, mentre la lancia, stava andando alla deriva con Fermo e il marinaio che stavano usando i loro remi per tenere a bada quei terribili animali che li assediavano.
Agio virò bruscamente sfiorando la chioma dell’albero.
Sindehajad urlò: “Ora!”, e la vela su cui stava appollaiato venne lascata completamente proiettandolo verso l’albero dove riuscì ad afferrarsi ad un ramo che si piegò pericolosamente sotto il suo peso, ma resse.
Un istante dopo stava correndo sui rami orizzontali, come fossero comodi sentieri, fino a trovarsi sopra la barca. Svolse la cintura, che si rivelò essere una solida corda nera e la lanciò verso Fermo che se l’arrotolò attorno al polso proprio mentre uno di quei mostri riusciva a strappare con un morso un pezzo della fiancata della lancia, che prese ad affondare rapidamente.
Con uno sforzo erculeo il Geco riuscì a sollevare Fermo dall’acqua.
Il marinaio intanto cercava di raggiungere la nave a nuoto. Non riuscì a fare che poche bracciate, ma attirò tutti quei mostri lontano da Fermo che intanto stava tentando di risalire quella fune, troppo sottile per una comoda presa.
L’arrivo del Principe risolse la situazione e Fermo fu issato a forza di braccia come una balla di fieno.
“Che facciamo, ora?” Chiese Fermo quando tutti e tre ebbero ripreso fiato.
“Ci diamo al giardinaggio”, rispose il giannizzero con aria misteriosa.
Gli altri due si guardarono senza capire.
“Dobbiamo potare un po’ quest’albero cosi che Agio possa avvicinarsi di più.”
“E come pensi di tagliare questi rami? Ci vorranno giorni.”
“No. Non abbiamo tutto questo tempo, datemi una mano, ma fate attenzione”, disse tirando fuori il ruhmal.
Usando il filo come un’affilata sega cominciarono a tagliare la maggior parte dei rami che andavano verso il fiume, lasciando solo il più grosso e pochi altri, poi sfrondarono anche quelli fino a che non rimase una passerella che si protendeva sul fiume.
Al Giannizzero non sfuggì che il Principe lo stava guardando con una montante ostilità: “Trattieni la tua ira, o Signore”, gli disse senz’ombra d’ironia, “Quest’utile strumento non è mio e, anche se temo che sia stato usato contro di te, non sono stato io a farlo e non intendo farlo ora. Attendi che siamo in salvo sulla nave e poi avrai tutte le spiegazioni.”
Samaldinir si rilassò solo un poco, i suoi occhi dicevano: “Fa che le spiegazioni siano complete ed esaurienti o dovrai fare i conti con me!”
Agio attese che la corrente portasse via i detriti più grossi e poi si riavvicinò.
Tre volte fece virare la nave sotto il ramo, e tutti e tre vennero tratti a bordo. Prima il Principe, poi Fermo e infine Sindehajad, che riuscì anche a recuperare la sua corda, riavvolgendola in vita con un nodo complicato.