Ricerca
Jona si svegliò con tutti i sensi all’erta.
Le luci erano tutte accese.
Aveva la gola riarsa.
Si tirò a sedere sul letto.
La mente era sveglia, ma il corpo dolorante e mezzo anchilosato.
Una domanda a quello stupido amuleto gli confermò quel che intuiva: erano passati quattro giorni dal suo incontro con Thano.
Doveva rimettersi in moto o presto sarebbe stato troppo debole per farlo.
Bevve un sorso d’acqua dalla bottiglia che aveva sul tavolino, poi un altro, con attenzione.
Si trascinò in bagno e sciacquò il viso.
La faccia che lo guardava dallo specchio non gli piacque per niente.
Si costrinse a fare una mezz’oretta di ginnastica leggera ignorandole proteste di muscoli e giunture.
Sapeva che mantenersi in una discreta forma fisica era essenziale per mantenere la necessaria lucidità mentale.
Dopo la ginnastica fece una lunga doccia calda e infine si costrinse a mangiare qualcosa.
Non aveva fame; questo era un pessimo segnale e lui ne era perfettamente cosciente.
Oramai sapeva che cosa fosse quel posto e indovinava chi lo aveva costruito, ma tornare subito da Thano sarebbe stata follia.
Aveva molte cose da imparare, prima di andarsene e poco tempo per farlo.
Quando le luci cominciarono a spegnersi, molte ore dopo, aveva pianificato un altro pezzo della sua vita.
Poteva restare lì ancora due mesi circa, se razionava accuratamente le sue provviste e non sorgevano imprevisti.
Aveva deciso che avrebbe affrontato il Dio Cacciatore in buone condizioni fisiche e con provviste per un’altra settimana.
Tutto il giorno era rimasto rintanato nel suo appartamentino, ma da domani doveva cominciare la routine che si era prefisso.
Mise da parte il foglio su cui aveva appuntato il suo programma e tornò a coricarsi.
Le giornate presero a correre lente e uguali: si alzava presto e faceva ginnastica per almeno un’ora filata, poi si lavava, faceva colazione e trascorreva lunghe ore in biblioteca. A sera, dopo una parca cena, tirava le somme di quello che aveva imparato.
Annotava le risposte che aveva trovato, compilava una nuova lista di interrogativi e, cosa alla quale dedicava particolare attenzione, sceglieva gli argomenti su cui si sarebbe concentrato l’indomani.
Ci mise poco a capire che i libri si dividevano in due grandi categorie: quelli divulgativi, con grandi figure, facili da capire, ma molto superficiali e, a volte, pieni di racconti fantastici, e quelli tecnici, spesso concentrati su aspetti estremamente particolari, pieni di parole che lui non conosceva, ma che sembravano più attendibili.
Dopo due settimane trovò il primo tesoro: una serie di trentadue pesanti volumi neri sulla cui costola era impresso in oro “Britannica”.
Da quel momento il lavoro si fece più spedito e i fogli su cui annotava meticolosamente le sue scoperte formarono una pila che cresceva a vista d’occhio, ma il numero delle questioni irrisolte non accennava a diminuire, anzi.
Alla fine del primo mese decise di impiegare qualche giorno per cercare di trovare la versione “elettronica” dell’enciclopedia che, se quanto leggeva era vero, poteva essere trasportata facilmente.
La ricerca lo portò ad approfondire il concetto di “calcolatore”, oggetto indispensabile per utilizzare l’enciclopedia “elettronica”. Si perse per qualche ora nelle descrizioni, zeppe di parole che non conosceva e che venivano definite usando termini altrettanto ignoti prima di arrendersi all’evidenza: non ne sarebbe venuto a capo nel breve tempo che aveva a disposizione.
A malincuore tornò ad argomenti più pressanti e comprensibili.
Il filone principale delle sue ricerche rimase per tutto il tempo la Storia e le Religioni.
Aveva cominciato cercando riferimenti agli Dei e ne aveva trovati troppi e troppo diversi.
Aveva attraversato molti paesi, ma tutti riconoscevano l’autorità degli stessi dodici Dei.
Le storie che leggeva qui, invece,parlavano di parecchie grandi religioni molto diverse l’una dall’altra, con dei che spesso sembravano molto presenti in epoche remote, ma poi si ritiravano e non interagivano più di frequente, tanto che c’erano persone che negavano l’esistenza di un qualunque dio. Neppure gli abitanti degli Stati Guerrieri dubitavano dell’esistenza e del potere degli Dei, solo non volevano averci a che fare, o meglio: non volevano avere a che fare con i loro sacerdoti.
Chissà che stava facendo Reginald ora.
Un’altra cosa che sentiva avere una grande importanza era la storia della “civiltà” e del “progresso”.
Quei libri parlavano di imperi e nazioni che avevano un’immensa potenza.
Potenza spesso usata per distruggere.
Quei libri erano stati stampati nell’anno 2056.
Non sapeva quanto tempo fosse passato da allora
Cominciò a cercare la mappa che aveva visto qualche giorno prima.
La costa non era cambiata molto. Non ebbe nessuna difficoltà a trovare il luogo dove si trovava ora: una grande città con, diceva l’enciclopedia, più di dieci milioni di persone.
Il numero gli fece girare la testa. Non ce n’erano così tanti in tutte le terre che aveva attraversato messe assieme.
Eppure non poteva sbagliarsi, anche il nome corrispondeva, più o meno: “New York” non suonava poi tanto diverso da “Nayokka”.
La montagna non c’era, ma quella sapeva bene che l’aveva costruita Festo, il Parco, invece, sì ed era stato costruito intorno al 1850, ovvero circa duecento anni prima che fosse stampata quell’enciclopedia, che doveva essere vecchia di duemila e ottocento anni. Sicuramente non li dimostrava. Sembrava molto più nuova di alcuni dei suoi libri. Nonostante ciò prese a trattarla con un rispetto ancora maggiore di quello che riservava normalmente a tutti i libri.
C’era anche una piantina del Parco Centrale.
Era un grande rettangolo, allora come oggi.
Lui si trovava pressappoco a metà del lato ovest.
Il cuore perse un colpo mentre leggeva “Museo Americano di Storia Naturale”.
Sfogliò febbrilmente le pagine per trovare la definizione che cercava:
Le luci che si spegnevano lo colsero di sorpresa mentre lui stava ancora seguendo i riferimenti incrociati, cercando definizioni e spiegazioni di termini.
Il lavoro era improbo: la lingua era quella dei Nani — o, meglio: i Nani parlavano inglese, si corresse mentalmente — ma il contesto era completamente differente e molti termini non avevano alcun riscontro nel mondo che Jona conosceva.
Tigu
Si costrinse a rivedere i suoi appunti e a controllarne la validità, prima di accantonarli per riprenderli fra una settimana — come era sua abitudine fare per le questioni importanti — prima di cedere alla curiosità che lo attanagliava.
Riprese il grosso volume che raccoglieva le mappe — dal curioso nome di “atlante”; aveva seguito per un’ora intera i riferimenti a quel gigante che, secondo i “miti” reggeva la volta celeste, e non la terra, sulle spalle — per cercare la sua terra natale.
Non fu per niente sorpreso di trovarla quasi inalterata. Anche i nomi erano quasi uguali, curiosamente troncati: quella che l’enciclopedia riportava come Liguria lui la conosceva come Ligu, il golfo del Tigullio era diventato il golfo di Tigu e Genova Gena.
Quello che non era affatto uguale era la quantità di case, paesi e, in generale, esseri umani che la abitavano, come, del resto, sembravano abitare in tutto il mondo antico.
Non sembrava, invece, che esistessero altre razze: Elfi, Nani e Orchi venivano citati come “creature leggendarie” o “fantastiche” il che, se aveva capito bene, voleva dire che non esistevano davvero, anche se questa cosa non gli era ancora del tutto chiara — prese nota di approfondire la cosa — e il regno degli Elfi, pressappoco, coincideva con la “Svizzera”.
Questo era consistente con il fatto che gli Elfi si dicessero “figli di Asclep” e i Nani “figli di Festo”.
Che fine avevano fatto tutti gli Umani che c’erano — se doveva prestar fede all’enciclopedia — in quel mondo antico?
Fece qualche ricerca, ma non si aspettava di trovare davvero qualcosa. Quei libri li avevano scritti gli Umani, probabilmente all’apice della loro potenza, non potevano contenere la storia della loro scomparsa.
Libero
La mattina stabilita Jona preparò con calma le sue cose, si caricò lo zaino sulle spalle e scese ad affrontare Thano per la seconda volta.
Le grandi porte della metropolitana erano aperte, come sempre, del resto.
Stavolta però di Thano non c’era traccia.
Intonò l’invocazione, ma senza risultato; quello stupido Amuleto non riusciva a fare neppure le cose più semplici, figurarsi se era in grado di evocare un Dio.
Rimase ad attendere nella penombra, incerto sul da farsi.
Non riusciva più neppure a vedere l’aura attorno alle porte.
Alzò la mano e passò un dito, il mignolo sinistro, attraverso il grande vano della porta.
Nulla.
Prima di lasciarsi il tempo di pensare troppo raccolse zaino e bastone da viaggio e, con un lungo passo determinato, attraversò la soglia.
Con la coda dell’occhio colse un lampo rosso e si preparò alla sferzata, che non venne.
L’Amuleto, in cima al bastone, brillava allegramente di luce rossa.
“Sei tornato?”
“Già, per un momento ho temuto tu non trovassi il coraggio di attraversare le porte e ripiegassi verso il museo.”
“Stavo per farlo, infatti”, poi, colto da un improvviso pensiero: “possiamo tornare dentro, ora?”
L’Amuleto non si curò di rispondere e Jona, voltandosi, vide che l’aura rossa era ricomparsa a sbarrare le porte; lieve, ma inconfondibile.
Riprese a camminare lasciandosi alle spalle il museo, oramai irraggiungibile.
“Peccato.”
“Perché, hai dimenticato qualcosa?”
“Oh, se è per quello puoi stare tranquillo: ho di molto meglio. Ora che hai scoperto l’enciclopedia da solo, Isto mi ha consentito l’accesso a parecchi altri libri che prima non potevo raggiungere. Isto mi dice di comunicarti, però” proseguì in tono formale e diventando violetto, “che non posso suggerirti che cosa leggere. Devi chiedere tu.”
“Come faccio a sapere cosa c’è? Quello che posso chiedere?”
“C’è un catalogo, simile a quello della biblioteca di Palla in Twerp.”
Mentre parlavano Jona era arrivato in una grande sala rettangolare attraversata per il lungo da uno stretto canale secco e sassoso che si infilava poi in due buie gallerie.
Jona si guardò attorno mentre un vento improvviso gli agitava i vestiti addosso.
Piantò i piedi preparandosi ad affrontare quella novità che si annunciava con il vento e i due occhi luminosi che gli correvano in contro.
Il vagone della metropolitana venne a fermarsi quasi davanti a lui e aprì le porte. Entrò senza esitare e quello ripartì sferragliando e si tuffò nel buio del tunnel sul lato opposto.
Proseguì senza rallentare nemmeno nelle numerose stazioni che trovò sul suo cammino, buie, ma apparentemente in buone condizioni.
Il carro procedeva veloce nel buio. Neppure le stazioni rompevano più la monotonia di quelle pareti nere che sfrecciavano a pochi centimetri dai finestrini.
Jona non aveva nessuna idea di quanto avesse percorso quando, più di un’ora dopo, il carro si fermò alla base di una lunga scala, stretta e molto ripida.
Non sembravano esserci altri passaggi.
Appena sceso il vagone richiuse le porte e ripartì, tornando da dove era venuto. Aveva fatto il suo lavoro.
Jona strinse le cinghie dello zaino e cominciò a salire.
In cima trovò solo un piccolo pianerottolo e una porta dall’aspetto massiccio. La spinse e quella si aprì facendo entrare una lama di sole che gli ferì gli occhi.
Una volta uscito la porta si richiuse silenziosamente alle sue spalle. Nulla nella parete di roccia chiara faceva supporre che lì ci fosse, o ci fosse stata, una porta.
Jona guardò l’Amuleto, aspettandosi di trovare la bussola, ma fu deluso. Quello dovette indovinare i suoi pensieri: “Thano dice che, da qui in poi, la strada devi cercartela da solo. Io posso aiutarti a trovare i posti dove vuoi andare, ma la destinazione devi darla tu.”
Jona annuì. Collimava con la posizione di Isto.
Il sole stava cominciando a scendere.
“Non credo sia il caso di affrettarsi troppo. Per stasera cerchiamoci un ricovero sicuro e qualcosa di fresco da mangiare. Sono più di due mesi che mangio solo roba secca; vedi alberi da frutta nei dintorni? Selvaggina?”
“Uhm, aranci nei dintorni?” Chiese speranzoso, “Qualcosa di pericoloso?” Aggiunse preoccupato, sapendo bene che l’abbondanza di selvaggina, di solito, comportava anche la presenza di predatori.
“Su questo costone roccioso dovresti essere al sicuro. Poco più avanti c’è una sporgenza dove passare la notte in relativa tranquillità. Per gli agrumi posso controllare, ma credo che faccia troppo freddo per loro”
“Fai strada.”
La solita stradina di mattoni gialli ricomparve e Jona la seguì.
Quando arrivò all’anfratto che l’Amuleto aveva individuato la sua cena era appesa al bastone : una specie di pollo che l’Amuleto aveva paralizzato e lui aveva finito tirandogli il collo.
Certo che come pollo era ben strano: prima di tutto aveva una bocca piena di denti, invece del solito becco, e poi quegli spuntoni di ali terminavano con delle dita unghiute.
Mai visto nulla di simile.
Questo non gli impedì di trovarlo delizioso, nonostante, per la fretta, lo avesse cotto decisamente troppo poco.
Serna
Con lo stomaco pieno e un bel fuoco scoppiettante davanti Jona si sentiva decisamente meglio.
“Puoi evocare Serna?”
L’Amuleto non rispose, ma il viso assonnato della giovane maga apparve sprofondato tra cuscini colorati.
Jona ebbe una fitta di rimorso: doveva essere ben tardi da lei. In effetti mancavano alcune ore all’alba, ma Serna si tirò a sedere completamente sveglia appena si rese conto di chi la chiamava: “Papà, come stai? Che è successo? Sembri pallido come un lenzuolo di bucato!”
“Calma, calma”, disse lui sorridendo, “sto benissimo, ma passare tre mesi sotto terra senza vedere il sole non giova all’abbronzatura. Tu come stai, piuttosto? A vederti mi sembri in piena forma, nonostante ti abbia svegliata nel bel mezzo della notte.”
“In realtà devo avere un aspetto orribile. Sono reduce da una settimana intera di festeggiamenti per aver riportato a casa il figlio del Sultano. Sono riuscita a liberarmi solo poche ore fa.”
“Oops, scusa, non ti volevo privare del tuo giusto riposo. Magari ci sentiamo domani.”
“Domani ci risentiremo di sicuro, ma ora raccontami che cosa ti è successo.”
Jona ebbe un attimo di esitazione: quanto e cosa poteva raccontare? Sicuramente gli Dei sapevano quel che lui diceva.
“Con Serna puoi parlare”, gli sussurrò una voce nell’orecchio mentre l’Amuleto diventava nero. Ipno?
Raccontò quel che gli era successo, ma si tenne sulle generali, anche perché la figlia era evidentemente stanca.
Lei, a sua volta, gli dette un breve resoconto del viaggio sul fiume, poi, prima di riaddormentarsi, gli promise di richiamarlo l’indomani, dopo l’appuntamento che aveva con il Djinn di Isto.