2: Gli Stati Guerrieri

Gli stati in guerra

Jona si svegliò, come d’abitudine, all’alba.
“Prima di muoversi forse conviene mi spieghi un po’ meglio la situazione. Occhio del Cielo.”
“Quello che ti ha detto ieri sera Serna è corretto”, disse l’Amuleto mentre appariva la mappa del cielo. Appena a sud la valle si apriva in un’ampia pianura che degradava dolcemente fino al mare con una serie di colline sempre più basse e arrotondate. L’intera pianura appariva pezzata con boschetti sparsi inframmezzati da praterie dove si vedevano anche campi coltivati. Esplorando più da vicino Jona poté distinguere i nuclei dei villaggi. Erano costruiti intorno ad alture sulla cui sommità si vedevano fortificazioni, probabilmente i castelli di cui parlava Serna. Intorno, spesso addossate alle mura, c’erano delle povere case. Più lontano, in pianura dove il terreno doveva essere migliore, c’erano nei campi coltivati e delle abitazioni dall’aspetto malandato.
“Non mi pare che se la passino bene. Sembrano pochi e male in arnese.”
“È anche peggio di quel che sembra. Si sono talmente sfiancati a furia di farsi guerra l’un l’altro che quei villaggi non contano più di un migliaio di persone. Tieni conto che la metà sono soldati al servizio diretto del signorotto locale e vedi bene che ne restano ben pochi per lavorare la terra.”
“E ancora meno per fare gli artigiani, probabilmente sono costretti a scambiarsi mercanzie. Non c’è abbastanza gente perché ogni villaggio abbia il suo fabbro, il suo vasaio, dei suoi falegnami, eccetera.”
“Vuoi scherzare? Non si scambiano nemmeno uno spillo! Prima di tutto, se ci provassero, gli sgherri gli taglierebbero le mani e comunque c’è ormai un tale odio tra i vicini che nessuno osa allontanarsi da casa sua.”
“Non sembra un posto molto allegro.”

“Dov’è che devo andare?”
L’amuleto fece apparire sulla mappa del cielo un cerchietto rosso molto lontano, vicino al mare.
“Cosa c’è lì?”
“Nulla, che io sappia.”
“E allora che ci devo andare a fare?”
“Non ne ho la minima idea. Devi chiederlo a Thano in persona.”
“Ha tanto l’aria di un’altra prova. Hai qualche idea di come posso raggiungere quel posto?”
“Per fortuna, come vedi, gli insediamenti sono piuttosto radi. Dovrebbe essere facile aggirarli senza farsi vedere.” Sulla mappa apparve un sentiero giallo che passava ben distante da tutti i villaggi. “Qui e qui, magari, ci toccherà viaggiare di notte per evitare di essere visti. Per il resto non dovrebbero esserci problemi.”

Jona era scosso. “Sei sicuro di non stare esagerando? Non ho mai visto una situazione del genere. Non mi pare possibile vivere in questo modo.”
“Sull’ultima parte sono d’accordo. Non credo che riusciranno a sopravvivere ancora per molto. Per il resto potrai vedere la situazione con i tuoi occhi fin troppo presto.”

Jona studiò accuratamente la mappa per un po’, senza parlare, poi si decise a chiedere: “Non sarebbe meglio costruire un’altra zattera proseguire sul fiume?”
“No, non si può per due buoni motivi: primo qualunque cosa galleggi diventa un bersaglio; secondo gli Dei hanno posto un bando all’attraversamento del fiume e Zeo è molto rigido nel farlo rispettare.”
“Un bando? Perché?”
“Non sta a me spiegartelo, ma chiunque tenti di attraversare il fiume rischia d’incontrare uno dei fulmini di Zeo.”
Jona ci rimuginò su un po’, poi decise che non aveva abbastanza informazioni per fare domande sensate e accantonò l’argomento.

Fece un rapido inventario delle sue provviste. Aveva da mangiare per parecchi giorni, ma non gli sarebbe sicuramente bastato per arrivare fino al mare. Era necessario trovare qualcosa lungo la strada, ma, se si doveva credere all’Amuleto, non sarebbe stato facile. I vestiti che aveva steso ad asciugare la sera prima erano ancora completamente bagnati.
“Non ci sono insediamenti vicini e io ho parecchia strada da fare a piedi. Penso sia meglio se ci fermiamo qui oggi e mi metto in marcia domani mattina presto, che ne dici?”

Come un fantasma

I primi due giorni trascorsero senza problemi. Jona si alzava presto la mattina, si preparava e incominciava a camminare col suo passo cadenzato. Si guardava attorno, ma non c’era molto da vedere: piccoli boschi, soprattutto di betulle, grandi prati dove spesso si vedevano delle lepri correre.
Passava il tempo discutendo con l’Amuleto che approfittava dell’occasione per proseguire le sue lezioni di lingua. Jona faceva progressi ma si trattava di una lingua difficile, rigorosa, nella quale ogni concetto doveva essere esaminato prima di poterlo esprimere.
Si trovarono spesso a discutere di grammatica e di sintassi.

Jona arrivò quasi a dimenticare le guerre perenni che si svolgevano intorno a lui.
Il terzo giorno doveva passare vicino a un piccolo agglomerato, quindi riposò tutto il pomeriggio e partì al chiarore della luna.
Era ancora molto lontano, non aveva ancora messo piede sui campi coltivati, quando una torma di cani si avventò su di lui.
Non latravano. Non ululavano. Venivano verso di lui con l’evidente intenzione di farlo a pezzi.
L’Amuleto non ebbe nessuna difficoltà a immobilizzarli in un sonno artificiale, ma erano cani ben addestrati, portavano collari di maglia di ferro con grosse punte che dovevano preservarli dagli assalti dei propri simili.

Jona era scosso da quella dimostrazione pratica che l’Amuleto non aveva affatto esagerato.
“Cani addestrati a uccidere.”
“Già.”
“Meglio sbrigarsi. Potrebbero essercene degli altri. Questi quanto rimarranno a dormire?”
“Almeno un paio d’ore, ci sono altri gruppi di cani in giro, ma non sembra vengano da questa parte. Se ti mantieni al limitare delle foreste può essere che non fiutino la tua traccia.”

Jona si aggiustò meglio lo zaino sulle spalle e incominciò a correre con un trotto leggero che sperava di riuscire a tenere per parecchio tempo. Non fece altri incontri fino all’alba quando si addentrò decisamente in un boschetto essendosi lasciato ormai alle spalle l’abitato.
Continuò a camminare ancora per diverse ore per aver la sicurezza di non essere seguito.

Proprio dal mezzo del boschetto, sulla cima di un collinotto, si trovò davanti un edificio di pietra quasi completamente distrutto dal fuoco. La vegetazione lo aveva quasi completamente ricoperto; la distruzione non era cosa recente.
Trovò una stalla il cui tetto ancora reggeva e decise di fermarsi lì.

La fattoria distrutta

Jona camminò per due settimane tenendosi a debita distanza da ogni insediamento umano, ma adesso doveva attraversare una vallata che ospitava una delle comunità più grandi della zona.
Fece un largo giro cercando di mantenersi il più possibile nei boschi, poi decise di attraversare la valle nel punto in cui si restringeva, il confine tra due feudi.

Sulla sinistra del sentiero, in cima a un mammellone verdeggiante c’era una grossa fattoria fortificata dalla quale si alzava un filo di fumo.
“Occhio di Lince!”
La fattoria gli balzò incontro nella luce della sera.
Era completamente distrutta e il fumo non si levava dai camini, ma dalle travi abbrustolite che una volta reggevano i tetti.

D’impulso Jona incominciò a camminare deciso in quella direzione.
“Non credo che sia una buona idea.”
“C’è ancora qualcuno?”
“No, almeno nessuno vivo, ma non è un bello spettacolo.”
“Ti credo sulla parola, ma voglio vedere lo stesso.”
L’Amuleto non replicò.

Per primi vide cani. Alcuni erano trapassati delle frecce, altri squarciati dalle spade. Tutti erano rimasti lì dove erano morti.
Poi, vicino ai resti di una palizzata ormai ridotta a una fila di monconi anneriti che spuntavano dalla terra battuta come denti guasti, vide gli uomini che erano caduti cercando di difendere le loro case. Il tanfo di morte appestava l’aria. Jona continuò a camminare registrando i particolari. A giudicare dallo stato di decomposizione la strage doveva essere avvenuta da parecchi giorni, forse una settimana, i cadaveri erano stati spogliati da qualunque cosa di valore, a volte anche degli abiti.
Passò il portone divelto ed entrò nell’aia. Lo accolse lo spettacolo agghiacciante di due vecchi che pendevano impiccati a una trave. Ai loro piedi una montagna di cadaveri, perlopiù donne e bambini.
Jona si muoveva come un automa, una parte di lui osservava la scena come se la cosa non lo riguardasse minimamente, ma il resto era semplicemente anestetizzato dall’orrore.

Senza sapere bene perché lo facesse staccò i due vecchi dalla forca e li distese, uno a fianco all’altro, vicino alla catasta dei morti.
“Perché gli Dei permettono questo?”
“Non sono gli Dei, ma gli uomini che hanno fatto questo!”

Jona stava per replicare, ma un rumore proveniente da quella che doveva essere stata una stalla interruppe i suoi pensieri. Si fece immediatamente attento mentre l’Amuleto lanciava un raggio di luce in quella direzione. Illuminò due enormi occhi tristi.
“C’è nessun altro?”
“No. Oltre quel cavallo c’è solo qualche topo ancora vivo.”

Jona si avvicinò al cavallo, era sporco e aveva ancora addosso la sella.
Roteava gli occhi spaventati, Jona cercò di calmarlo, poi gli tolse la sella e i finimenti e cominciò pulirlo. Si accorse subito che aveva la bava alla bocca. Riuscì a trovare un po’ d’acqua e un secchio di legno che non era stato distrutto.
Ebbe il suo bel daffare per impedire che cavallo bevesse troppo rapidamente.

La sera stava calando e Jona lasciò la fattoria tenendo il cavallo per le briglie. Era troppo debole per essere montato. Doveva essere scappato quando il suo cavaliere era stato ucciso, poi, tornato alla stalla come d’abitudine, aspettava ancora che il suo padrone si prendesse cura di lui.

Continuò a camminare per tutta la notte e buona parte del giorno successivo. Quando finalmente arrivò in un punto dove pensava di potersi fermare con una relativa sicurezza Jona si sentiva stanco e sporco.
Si lavò nell’acqua fresca di un torrentello che scorreva in mezzo a prati che sembrava non avessero mai visto il piede di un uomo, ma non riusciva a liberarsi dal tanfo della morte.

Afro

Jona si svegliò in una luce rosata. Per un istante pensò fosse l’aurora, poi si inchinò di fronte ad Afro. Era bellissima, come ci si aspetta dalla dea dell’Amore. Nonostante la sua lunga tunica coprisse quasi completamente la sua pelle nera come l’ebano la sua femminilità era più che evidente.
“Che cosa posso fare per te, Afro?”
La dea sorrise: “Sempre attento ai particolari. Bravo. Sono qui per chiederti un favore. Sei disposto ad aiutarmi?
“Sono sempre disposto ad aiutare e sai bene che ho dei debiti di riconoscenza che intendo onorare, ma mi è difficile prendere impegni prima di sapere che cosa vuoi da me in questa terra dove l’amore non sembra esistere, in questa terra dimenticata dagli dei!”
La vista di quel che succede qui ti ha scosso più di quanto tu non voglia ammettere; forse avresti fatto meglio a seguire il consiglio del tuo Amuleto. In ogni modo hai torto su entrambe le questioni: l’amore c’è pure in questa terra — anche se devo ammettere che delle quattro forme qui ne sopravvive quasi soltanto una — e gli Dei non hanno dimenticato, ma sono stati cacciati.
“Cacciati?”
Sì, cacciati.

Fece una breve pausa per consentire alle sue parole di penetrare lo scetticismo del Mago, poi proseguì: “Anche se voi mortali amate pensare il contrario, noi Dei abbiamo le nostre leggi e siamo tenuti a rispettarle. La prima e principale è quella che ci vincola a non intervenire se il nostro intervento non è gradito alla maggioranza della popolazione. In queste terre, a torto o a ragione, sono quasi tutti convinti che il nostro intervento finisca per limitare la loro libertà. Libertà alla quale loro tengono molto, anche se in molti casi si tratta della libertà di morire sgozzati.

È successo circa un centinaio di anni fa; queste terre erano molto simili a quelle dei monasteri, che credo visiterai dopo queste, se Thano te lo permetterà. I sacerdoti dispensavano consigli e aiutavano nella conduzione dello Stato, forse troppo. A un certo punto si sparse la voce che in realtà i sacerdoti controllavano tutto, sapevano tutto, e pretendevano che tutti facessero quello che sembrava giusto a loro. La voce si ingigantì rapidamente. In appena qualche mese si arrivò al punto che la grande maggioranza della popolazione guardava i sacerdoti con sospetto, non voleva il loro intervento, non voleva sentire le loro parole, non voleva sentir parlare di noi. La gente non lo sapeva, ma questo, per la legge di cui ti dicevo prima, ha fatto sì che non potessimo più intervenire direttamente in questa terra. Molti sacerdoti, visti i propri Amuleti praticamente inusabili, sono fuggiti e questa loro fuga è stata interpretata come un’ammissione di colpa. Quelli che erano rimasti sono stati trucidati. In questo modo siamo stati cacciati da qui.
Jona era attonito. Non aveva mai immaginato che gli dei potessero essere piegati alla volontà degli uomini, ma questo era esattamente quello che Afro raccontava. Non alla volontà di un uomo, ma alla volontà della maggioranza della popolazione. La cosa aveva innumerevoli implicazioni e lui rimase a lungo immobile in silenzio mentre la sua mente inseguiva quei rivoli di conoscenza.

Quando la Dea riprese ebbe un sussulto di sorpresa:
Uno degli amuleti, appartenuto a una mia sacerdotessa, è stato ritrovato da un bambino, un bambino pieno di amore, e ha reagito a quell’amore. Ora sono entrambi in pericolo mortale. Ti chiedo di salvarli.
“Un bambino?”
Ragazzo, per la verità, abbastanza grande da sentire i primi richiami dell’eros. Questo ha fatto sì che potesse provare tutte quattro le varietà dell’Amore e a questo l’amuleto ha reagito.

Eros e Agape, le categorie classiche. Sono quelle che vengono insegnate da tutti i sacerdoti. In realtà ne esistono altre due: l’amore che nasce dalla morte ed è la varietà che più abbonda da queste parti.
“L’amore che nasce dalla morte? Intendi dire l’impulso naturale a far l’amore quando si è in presenza di morti, specie se violente?”
Sì, intendo proprio quello, ma non disprezzarlo troppo questo “impulso naturale”. Anche quella è una forma di Amore e ha una sua dignità; una dignità e una forza che gli permettono di sfidare Thano.
La dea sorrise: “è buffo come voi mortali siete sempre pronti a pensare che gli “impulsi naturali” siano, per qualche ragione, meno importanti o meno interessanti del resto. Ma, pensaci bene, cos’è l’amore tra un uomo e una donna se non l’effetto di un “impulso naturale”? Gli impulsi naturali formano la base e la materia sulla quale poi noi costruiamo i nostri sentimenti e le nostre azioni.
“Capisco, almeno credo. E la quarta forma?”
La quarta forma cercala nel tuo cuore, perché ne sei pieno.

Jona era confuso, si rendeva conto che la dea gli aveva appena fatto un alto elogio, ma non capiva cosa si riferisse: “perdonami, dea, ma non riesco a seguire le tue parole.”
Perché hai tirato giù quei due vecchi dalla forca, ieri mattina?
“Semplicemente perché mi sembrata la cosa giusta da fare,” rispose Jona sempre più perplesso.
E avevi sicuramente ragione! Ma perché ti è sembrata la cosa giusta?” Insistette la Dea.
“Mi è sembrata una cosa indegna lasciarli lì. Nessuno vorrebbe essere lasciato appeso in quel modo, anche dopo morto.”
Appunto, come ti dicevo: un atto di Amore. L’Amore per il quale il nostro benessere, il nostro essere in pace con noi stessi, passa per il benessere della persona o della cosa amata.
Jona cominciava a capire in modo ancora abbastanza confuso: “Intendi il piacere che si ricava ad aver fatto del bene?”
Se vuoi puoi anche esprimerlo in quel modo, ma ricorda che per ricavare piacere dall’aver fatto del bene bisogna voler bene. Bisogna amare.
La quarta forma dell’Amore è quel particolare stato d’animo in cui il “benessere” della persona o dell’oggetto amato diventa importante, essenziale, per il nostro proprio benessere mentale.
“Non l’avevo mai guardata sotto questo profilo, ma so perfettamente che molto spesso rendere felici le persone mi rende felice. Mi rendo conto adesso che questo vuol dire che in qualche modo io amo quelle persone.”
Hai il cuore veramente grande Jona”, disse la Dea con un sorriso radioso,

Jona arrossì fino alla radice dei capelli, tanto che l’imbarazzo lo costrinse a cambiare argomento: “Che devo fare con questo tuo nuovo sacerdote, dove lo trovo?”
Per quanto riguarda il “dove” il tuo Amuleto ti può aiutare. Per quanto riguarda il “cosa” fare dovrai decidere da solo. Ti chiedo solo d’incontrarlo e di consigliarlo per il meglio.
“Farò quel che posso.”

Afro gli lanciò uno strano sguardo ammiccante, poi con un sorriso enigmatico disse: “Che cosa si può chiedere di più a una persona, se non di fare quel che può?

Amore

“Dove lo trovo questo giovane sacerdote?”
Obbediente l’Amuleto fece apparire la consueta mappa dal cielo. Un puntino luminoso rosa brillava proprio al centro del maniero di uno degli abitati più grandi del circondario.
“Come faccio ad arrivare lì? Non c’è speranza di passare inosservati! Anche se sembra un grosso centro, in realtà, non saranno più di due o tremila persone. Devono conoscersi tutte.”

Quasi a rispondere alle sue parole il punto rosa cominciò a muoversi, girando prima per i corridoi del maniero per poi uscirne.
Si diresse verso una serie di costruzioni a ridosso delle mura e lì rimase.
“Puoi entrare in contatto con il suo amuleto?”
“Si, devo?”
“No, non ora.”

Jona cominciò a pianificare il viaggio con l’aiuto dell’Amuleto. La città dove si doveva recare era un pochino più a ovest del cerchietto rosso che indicava il posto dove Thano voleva che andasse. Il terreno era pianeggiante e coperto da boschi intervallati a prati. Con un po’ di fortuna sarebbe stato lì in tre o quattro giorni.

La sera del terzo giorno si accampò in una radura nei pressi della città. Non osava andare più vicino senza prendere precauzioni.
“Inutile aspettare oltre. Puoi farmi parlare con il suo amuleto senza che lui lo sappia?”
“Tecnicamente si, ma è molto probabile che poi l’amuleto glielo dica.”
“Oh, non importa, non voglio mantenere la cosa segreta; vorrei evitare di spaventare troppo il ragazzo. Collegami con l’amuleto.”
“Posso spiegare io la situazione all’amuleto? Faremmo molto prima.”
“Fai pure.”

Pochi istanti dopo apparve l’Avatar dell’amuleto di Afro; era un volto incappucciato di un tenue colore rosa.
“Salve Jona, la Dea sia con te.”
“Come posso aiutare il tuo padrone?” Chiese Jona senza troppi convenevoli.
“L’Amore che lo muove lo sta mettendo in guai seri. La Dea ti ha detto che ora conosce anche l’eros. Quello che non ti ha detto è che si è innamorato di una ragazza catturata durante una razzia.”
“L’ha salvata da morte sicura fingendo di violentarla. Suo padre è stato molto fiero di lui. Tanto da lasciarla ancora in vita perché lui ci si divertisse un po’.”
“E lui ha accettato?”
Loro hanno accettato. La ragazza si è sinceramente innamorata del suo salvatore, nonostante questi avesse partecipato alla razzia nella quale erano perite praticamente tutte le persone che lei conosceva.”
“Non è strano?”
“No, in realtà è abbastanza normale. Per tua fortuna non hai vissuto in condizioni estreme come quelle che si trovano qui, altrimenti sapresti bene come funzionano le cose. C’è una tendenza naturale a sentirsi attratti dal vincitore, specie se questo mostra un barlume di umanità.”
“E adesso cosa succederà? La sposerà? La prenderà come concubina?”

“Immagino che ragazzi sappiano perfettamente qual è la situazione.”

“Che possiamo fare? Tutto quel che mi viene in mente è aiutarli a fuggire verso la terra dei monasteri, di cui mi parlava la Dea, ma non sembra cosa facile.”
“Prima che arrivassi tu la situazione era praticamente senza speranza. Ora la Dea ha creato un barlume di speranza, ma è bene che sappiamo tutti quanti che questo è il massimo dell’intervento che gli Dei possono fare qui.”
“Sì, capisco. La Dea mi ha spiegato.”
“Quali sono i tuoi rapporti con il ragazzo?”
“Intendi dire: “quanto sono riuscito a insegnargli finora”, immagino. Non moltissimo, nonostante sia un ragazzo molto dotato, siamo in rapporto da appena due mesi.”
“No. Volevo sapere se sa esattamente che cosa sei e da dove provieni. Vorrei parlargli direttamente, ma non voglio spaventarlo a morte e ho bisogno del tuo consiglio perché non lo conosco.”
“Per quello non dovrebbero esserci problemi. Ha una certa idea di che cosa posso fare. Sa che posso mettermi in comunicazione con altre persone. Ha anche parlato diverse volte con la Dea.”
“E la ragazza?”
“Lei non sa nulla, per ora.”

Jona rifletteva. Un bel ginepraio, non c’è che dire, e lui odiava dover agire senza conoscere davvero l’intera situazione.
Continuò far domande all’amuleto finché il suo cervello non fu completamente vuoto, poi gli chiese di avvertirlo quando il ragazzo fosse stato solo e disponibile un abboccamento. Chiuse quindi il collegamento e cominciò a occuparsi dei suoi bisogni materiali come accendere il fuoco, prepararsi qualche cosa da mangiare e trovare un posto dove ripararsi per la notte; possibilmente un posto sicuro, dato che enormi nuvoloni neri si stavano avvicinando velocemente da ovest e non presagivano nulla di buono.

Era notte fonda e una pioggia sottile, ma insistente, cadeva sul suo rifugio di fortuna quando l’amuleto di Afro segnalò che poteva parlare con il ragazzo.
Il colloquio fu corto, anche per il timore di essere scoperti nonostante la sorveglianza dell’amuleto. Alla fine Jona non sapeva nulla di più, ma il ragazzo aveva acconsentito a fuggire, pur combattuto fra l’amore per i suoi cari e il nuovo amore per la ragazza.
Il Mago aveva anche insistito perché si facesse presto. L’idea di rimanere in quei posti più dello stretto necessario non gli arrideva per nulla.

L’Amuleto aveva predetto che l’indomani notte ci sarebbe stata tempesta. Era una buona occasione.
Jona si sarebbe fatto trovare poco fuori della città per aiutarli nella fuga, ma liberare la ragazza e farla uscire era compito del ragazzo.

La pioggia continuò a cadere per quasi tutta la notte, solo al mattino le nuvole, veloci come erano venute, fuggirono verso est e il cielo tornò azzurro.

Jona si avvicinò alla città fin dove la prudenza glielo permise, lasciò il cavallo pascolare in una radura ben nascosta e si recò fino al limitare del bosco da dove poteva guardare senza essere visto.
“La città”, che parola grossa! Quel che gli era sembrato un grande maniero circondato da mura si rivelò una grossa fattoria con un corpo centrale a due piani e una serie di edifici attorno che fungevano sia da magazzini e abitazioni che da fortificazione. Il muro esterno, infatti, non aveva finestre e sul tetto piatto c’erano dei camminamenti da dove era possibile difendere il borgo.
Un unico varco interrompeva il cerchio di abitazioni, là dove la cinta accennava a diventare una spirale. Dietro di quello si intravedeva il portone dell’edificio centrale.

Morte

Reginald era nella sua stanza in preda un’attività febbrile. Tremava leggermente, ma non per il freddo o per il timore della tempesta che si addensava fuori. Era la determinazione che lo spingeva.
Piegò accuratamente il foglio che aveva davanti e lo depose sul suo cuscino, dove l’indomani non avrebbero potuto fare a meno di trovarlo. Aveva affidato alla carta tutte le parole che non era mai riuscito a dire a suo padre. Sperava che finalmente lo comprendesse. A modo suo era sempre stato un buon padre, anche se non l’aveva mai capito fino in fondo. E come avrebbe potuto? Onore, dovere e fedeltà al Signore erano le uniche cose che suo padre capiva veramente. Anche sua madre l’aveva sposata per dovere, più che per amore.

Amore, questa chiave potente l’aveva imparata soprattutto da sua madre.
Un processo di liberazione del cuore dalle catene che lo aveva alla fine portato alla scoperta dell’Amuleto e della Dea.

Mise fermamente da parte questi pensieri e raccolse la sua sacca e il mantello. Fuori era già buio, di lì a poco avrebbe cominciato a piovere. Era ora di andare. Spense la candela e scivolò fuori dalla sua stanza.

Fece un lungo giro per evitare di essere visto e finalmente arrivò alla stalla dove aveva lasciato il suo cavallo. Sellarlo fu questione di pochi minuti. Ora veniva la parte più difficile: far uscire Magda.

Portò silenziosamente il suo cavallo in un punto riparato e gli diede una pacca sul collo pregando che rimanesse fermo. In giro non si vedeva nessuno, normale a quell’ora e con quel tempo, ma ringraziò, grato, la Dea.

Entrò rapido nel magazzino dove avevano rinchiusa Magda portando con sé il mantello che aveva preso per lei. Il pesante chiavistello era aperto e lui aggrottò le sopracciglia preoccupato, ricordava perfettamente di averlo chiuso poche ore prima. Era stato molto attento, non aveva certo paura che fuggisse, ma non farlo avrebbe sicuramente attirato attenzioni e domande delle quali faceva volentieri a meno.

Accese la candela che era lì sulla mensola a fianco della porta. Gli apparve il volto di Magda, pallido come un lenzuolo di lino appena lavato, i suoi occhi azzurri dilatati dal terrore.
“Così questa piccola strega ti ha fatto la sua fattura, eh?” Suo padre fece un passo in avanti e apparve alla luce della candela. Spinse avanti Magda reggendola solidamente per i capelli.
“Scappa!”
“Zitta, strega.” Poi, con fredda efficienza, le trapassò il cuore con il pugnale. Il freddo acciaio uscì dalla ruvida tunica che indossava e il fiore rosso del sangue si allargò sotto il suo seno sinistro. Si accasciò come un sacco vuoto.
“Errore mio. Ti ci ho lasciato divertire per troppo tempo, dovevo farlo prima, ma non tutto il male viene per nuocere: ora sai cosa aspettarti dalle donne”, disse il padre mentre puliva il pugnale sulla tunica di Magda.

Reginald era rimasto basito. Il suo cervello come congelato. Una lieve pulsazione sul petto, lì dove aveva nascosto l’Amuleto, lo riportò al presente. Lasciò cadere la candela e lanciò il mantello addosso suo padre poi, senza sapere davvero che cosa stesse facendo, corse fuori, balzò in groppa al suo cavallo e fuggì nella notte.
Mentre grosse gocce di pioggia cominciavano a cadergli addosso confondendosi con le lacrime che salivano, un solo pensiero occupava la sua mente “almeno non ha sofferto”.

Jason rimase fermo sotto la porta spalancata del piccolo castello. Il bagliore lampo gli mostrò Reginald che fuggiva veloce ad appena qualche centinaio di metri di distanza. Lo stalliere, un ragazzone alto che aveva quasi la stessa età di Reginald arrivò trafelato con il suo cavallo e il mantello.

Raccogliere i cocci

Jona aveva visto tutto. L’aura rosata che l’amuleto di Afro aveva aggiunto alle immagini non era riuscita a ingentilire l’orrore di quella morte inutile. Spronò il cavallo e si lanciò all’inseguimento del ragazzo.

Non procedeva in linea retta, probabilmente aveva neppure idea di dove stesse andando, di sicuro voleva allontanarsi da quella scena di morte che avrebbe portato scolpita negli occhi finché fosse vissuto.

Pochi minuti dopo Jona intuì qual era la destinazione del ragazzo. Presto l’intuizione divenne certezza.
“Come sta? È in grado di ragionare?”
“Non credo, è ancora sotto choc.”

L’Amuleto non rispose, ma la solita striscia gialla comparve davanti a lui. Jona accelerò l’andatura e seguì quella traccia nella notte.

“Reginald può sentire, ma non credo che ti ascolterà”, disse l’amuleto di Afro, “Sto cercando di calmarlo, ma ancora non reagisce; è in stato di choc.”
“Lo credo bene! Anche se deve aver già visto più morti ammazzati lui alla sua età di quanti ne abbia visti io in tutta la mia vita.” Poi, cambiando voce, si rivolse direttamente al ragazzo: “Reginald, rallenta, nessuno ci insegue. Pensi forse che lei vorrebbe vederti buttare così la tua vita? Se tu ti rompi l’osso del collo in un fosso chi la ricorderà?”

Jona continuò parlare e nel frattempo faceva del suo meglio per evitare di rompere il suo osso del collo mentre seguiva la traccia gialla alla fioca luce dell’Amuleto.

Il ragazzo non gli rispose mai, ma l’amuleto di Afro gli disse che incominciava lentamente a calmarsi. Poi arrivarono a destinazione. Aveva pochi minuti di vantaggio su Reginald e li impiegò per assicurarsi che non ci fosse nessuno nei dintorni. La fattoria era buia e vuota.

Jona si piazzò a sbarrare l’ingresso.
“Quando arriva cerca di fare un po’ di luce. Voglio che capisca dov’è.”
L’Amuleto doveva avere un debole per le messe in scena teatrali: non appena Reginald sbucò nei campi coltivati, ormai invasi dalle erbacce, si produsse uno spettacolo pirotecnico di luci rosse, gialle e rosa. In un altro momento Jona avrebbe sorriso, ma adesso gli parve decisamente di cattivo gusto.
“Bene, ora sei arrivato. Cosa intendi fare ora?” Chiese Jona abbassando il cappuccio per permettergli di vederlo bene in viso.

Reginald parve svegliarsi in quel momento: “Chi sei?”, chiese mentre si guardava intorno.
“Io sono Jona il Mago, e vorrei aiutarti, se me lo permetti.”
Reginald finalmente capì dove l’avevano portato le zampe del suo cavallo. Cercò di smontare, ma incespicò e finì a terra e lì rimase, scosso dai singhiozzi.
Anche Jona scese e abbracciò il ragazzo senza parlare; sapeva benissimo che le parole erano completamente inutili. Sperò che il contatto fisico potesse aiutarlo.

Rimasero così per parecchio tempo, sotto una pioggia che era diventata sottile e insistente.
Lentamente il ragazzo si sciolse in un pianto liberatorio. Jona sapeva di dover fare ancora parecchie cose quella notte, ma non poteva affrettare i tempi.
Non appena gli parve che si fosse calmato un po’ chiese ai due amuleti di farlo scivolare in un sonno senza sogni.
Jona era ancora robusto, ma trasportare quel ragazzone muscoloso più alto di lui fino al fienile lo lasciò senza fiato.
Raccomandò all’amuleto di Afro di fare buona guardia e uscì di nuovo nella pioggia.

Tornò che il sole doveva essere già alto, anche se non si vedeva nascosto com’era dalle nuvole nere che si in rincorrevano in cielo. Aveva smesso di piovere, ma lui era bagnato fino al midollo, intirizzito e stanco: “Comincio a essere troppo vecchio per queste cose”, pensò mentre scendeva con il suo involto su una spalla.
Depose il corpo di Magda su un tavolo, sotto quel che restava del pergolato e cercò di ricomporlo nel modo migliore. Non provò nemmeno a nascondere la macchia rossa sul suo petto, ma fece del suo meglio perché i suoi lineamenti avessero un’espressione serena.

Sapeva che Reginald stava ancora dormendo e che avrebbe continuato a dormire fino a che gli amuleti l’avessero voluto. Ora forse poteva prendersi qualche minuto per sé. Non aveva senso rischiare una polmonite.
Entrò nella casa e accese un fuoco. La battaglia, se c’era stata battaglia, dove essere stata breve perché quasi tutto era in ordine. Oh, certo, qualunque cosa avesse valore era stata portata via, ma il resto, incluse le stoviglie, erano ancora lì quasi in ordine.
Mise bollire l’acqua per lavarsi e per preparare il caffè e poi andò a prendere dei panni asciutti.

Pulito, asciutto e con una tazza di caffè nello stomaco si sentì decisamente meglio. Guardò sconsolato le sue scorte che, nonostante le economie stavano scemando. Non ne aveva più trovato da quando era partito. Da aspettarselo, si disse, visto che arrivava dalle terre del sud, oltre il mare e lui se ne stava allontanando sempre più. Scrollò le spalle: ora aveva altri problemi.
Era ora di svegliare Reginald. Lo disse all’Amuleto mentre versava due tazze e si avviava verso il fienile.

Trovò Reginald seduto sul pagliericcio dove lo aveva lasciato.
“Buongiorno Reginald”, gli disse passandogli una tazza.
Il ragazzo lo guardò dubbioso poi chiese: “Che cos’è?”
“Caffè. Bevilo. Ti farà bene.”
Reginald bevve lentamente, senza staccare gli occhi dalla tazza, come sperasse di trovare le risposte alle sue domande nelle volute di vapore. Solo quando la tazza fu vuota la appoggiò per terra e, guardandolo dritto negli occhi, chiese a Jona: “Non è stato un incubo, vero?”
“No, temo proprio di no.”
“E adesso che faccio?” gli occhi rimasero asciutti, ma erano vacui, sperduti.
“Per prima cosa direi che devi rimetterti un po’ a posto; sembri un pulcino bagnato. Poi devi occuparti di Magda.”
“Di Magda?”
“Si, di Magda. Io ho recuperato il corpo, ma darle una sepoltura degna è compito tuo.”

Reginald si alzò e fece per uscire dalla porta, Jona lo bloccò: “No, non ci si presenta così alla persona amata, neanche se è morta. Aspetta qui.”
Tornò dopo pochi minuti con un secchio d’acqua e la bisaccia dei vestiti che Reginald aveva appeso alla sella del suo cavallo. Lo costrinse a lavarsi e a rivestirsi di tutto punto, prima di lasciarlo uscire.

Lo fece lavorare come un matto per due giorni filati per preparare il funerale, ma soprattutto per impedirgli di pensare. Solo quando l’ultimo tizzone della pira che aveva consumato il corpo di Magda si spense gli poggiò una mano sulla spalla e gli disse: “Bene. Questa è fatta. Ora puoi anche permetterti di pensare a quel che devi fare domani. Io non posso rimanere ancora molto qui. Tu, se vuoi, puoi venire con me, ma deve essere una tua scelta.”
Il ragazzo ci pensò su, poi scosse la testa:

Jona si alzò e si diresse verso la fattoria: “Vieni, è inutile rimanere ancora qui al freddo. Prima che riparta è bene che parliamo un po’. Ho idea che, più che chiedere aiuto ad Afro, tu debba parlare con Ipno e Dionne.”
“E chi sono?”

Un fantasma a cavallo

Jona era di nuovo in sella, salutò Reginald con una stretta di mano. Non c’era bisogno di altro. Erano rimasti insieme alla fattoria per più di una settimana e oramai il ragazzo era diventato un giovane uomo che nascondeva sul petto uno strano amuleto di cui non si erano mai visti uguali: era per metà rosa, ma l’altra metà era nera e bordeaux. Chissà se quel seme sarebbe riuscito a germogliare in una terra tanto ostile.

Il tempo era bello ma Jona sapeva che non sarebbe durato, cercò quindi di affrettarsi a raggiungere nuovamente il Rin. Mentre viaggiava usò molto l’occhio del cielo per studiare quel posto. Passò vicino a una grande fortezza stretta d’assedio dall’esercito della città rivale. Visti da vicino assedianti e assediati si assomigliavano molto: erano tutti stanchi, sporchi e soprattutto affamati, mentre tutto intorno i campi giacevano abbandonati. Jona scosse la testa per la centesima volta; ma cosa speravano di guadagnare in quel modo?
Conosceva il meccanismo perverso attraverso il quale l’odio generava altro odio e qui sembrava veramente che solo distruzione totale potesse porre fine alla spirale.

Attraversamento del Rin

Jona sbucò dal boschetto proprio di fronte al guado. Il fiume era immenso e in quella terra piatta si vedeva a malapena l’altra sponda.

Urla non troppo lontane lo fecero voltare.
“È meglio se ci sbrighiamo, sono troppi per affrontarli.”
A Jona bastò un’occhiata al drappello a cavallo che si era lanciato verso di lui per capire che l’Amuleto aveva perfettamente ragione. Spronò il cavallo e si diresse dritto verso il guado.
Gli inseguitori, vedendo quello che faceva, si misero a sghignazzare e si aprirono a ventaglio per impedirgli di ritornare sui suoi passi. Il cavallo intanto dava segni di sempre maggiore irrequietezza.
“Ma che hanno da ridere?”
“Pensano di averti intrappolato, ma non sanno che la barriera di Zeo è stata aperta per te. Anche il cavallo ha paura, anche lui non sa.”

Sulla riva il cavallo si fermò mentre i suoi inseguitori rallentavano sicuri di averlo ormai intrappolato. Jona piantò i tacchi nei fianchi del cavallo costringendolo a balzare nell’acqua. Gli scheletrici cavalieri che lo inseguivano rimasero interdetti, poi vedendo che non succedeva nulla spronarono anche loro i cavalli e ripresero l’inseguimento con urla belluine.
Jona continuò a incitare il cavallo per mantenere la distanza, anche quando l’acqua si fece più alta e la corrente minacciava di trascinarli via. Toccò la sponda mentre i cavalieri erano ancora in mezzo al guado.

Proprio mentre usciva dall’acqua sentì una forte scossa e un dolore lancinante in tutto il corpo, anche il cavallo dovette sentirlo perché con uno scarto improvviso si portò sulla riva. Il dolore sparì come era venuto.
I suoi inseguitori non furono così fortunati. La barriera di Zeo era nuovamente attiva e loro si contorcevano urlando mentre la corrente li trascinava via.
“Non c’è niente che tu possa fare”, disse l’Amuleto.
“E non ho nessuna intenzione di provare, anche se non mi piace vederli morire così. Dove dobbiamo andare adesso?”
“A cercarci una bella locanda. Qui si può!”
Jona ci pensò su un attimo, poi: “Vuoi dire che se fossi approdato direttamente sulla riva sinistra mi sarei risparmiato tutto questo?”

“Fai strada!”