4: Il Monastero di Palla

Il monastero di Palla

Selle era una grande città che sorgeva su delle basse colline. Su una di queste sorgeva il grande edificio squadrato che conteneva il Monastero di Palla in Selle.
La struttura era strana e Jona ci mise un po’ a capire cosa lo disturbasse. Le quattro porte erano collocate in corrispondenza dei grandi torrioni che occupavano gli angoli, lasciando le mura lisce e bianche fino a quasi cinque metri da terra, dove si aprivano una serie di piccole finestre a intervalli regolari, finestre che diventavano sempre più ampie nei piani superiori.
L’edificio, circondato da bassi boschetti, era visibile da tutta la regione.

Jona, guidato dall’Amuleto, si diresse verso il torrione sud.
Scese da cavallo e si avvicinò al portone aperto.
Non c’era molta gente, notò, gli altri ingressi gli erano sembrati molto più affollati. Dietro la porta c’era un ampio corridoio che portava direttamente al cortile interno dopo aver attraversato tutto il torrione. Vicino alla fine del corridoio, in una nicchia nel muro, stava una scrivania con dietro un uomo dall’aria annoiata.
“Chi siete? Motivo della visita?” Chiese alzando gli occhi dal libro che stava leggendo.
“Jona di Tigu, cerco saggezza.”
L’uomo si fece attento e cominciò a frugare fra le carte sulla scrivania mentre rispondeva meccanicamente:
Afferrò un campanellino di ottone e lo agitò vigorosamente: “Ti aspettavamo, Jona il Cercatore.”

Da una porticina apparve un giovane dall’aria efficiente con un completo pantaloni e casacca grigia stretta da una cintura di tela candida.
I due parlottarono brevemente, poi l’uomo alla scrivania firmò un foglio, lo diede al giovane e riprese la lettura interrotta.
“Mi segua, prego.” Il cortile, che aveva un centinaio di metri di lato, era completamente coperto da un’intelaiatura a vetri simile a quella delle serre.

Delle numerose porte una delle prime era quella delle stalle dove Jona affidò il suo cavallo a uno stalliere anziano e sorridente.
“Ho istruzioni di condurla nell’aula delle udienze appena si sarà rinfrescato. Abbiamo una cella pronta per lei in foresteria.”

La cella assomigliava abbastanza a quella del monastero di Dionne, anche se il bagno era molto meno lussuoso. Era al primo piano e corrispondeva a una di quelle piccole finestre che aveva notato arrivando.

Jona si diede una rapida lavata e si mise la divisa del tempio: pantaloni e casacca grigi, ma con la cintura rossa. Il suo accompagnatore, intanto, lo aspettava nel corridoio. Jona pensò bene di non farlo attendere troppo.
“La Sacerdotessa è nella Sala delle Udienze, oggi ci sono parecchie cause, ma credo abbia quasi finito. Venga.”
Lo guidò per un dedalo di corridoi fino a una piccola porta che aprì e si fece da parte per lasciarlo passare. Il Mago si stupì di una porta così piccola per una cosa che veniva pomposamente chiamata “Sala delle Udienze”.
Lo stupore durò il tempo di passare la soglia e scostare la tenda che la nascondeva. Si trovò su un palco sulla parete destra della Sala, quasi alla stessa altezza dell’alto scranno della Sacerdotessa.

La Sala era più piccola del Refettorio del tempio di Dionne, ma molto più imponente. Sulla parete di fondo, il lato minore del rettangolo, proprio di fronte al palco dove si trovava Jona, c’era una specie di scalinata a gradoni composta da una serie di scrivanie dove sedevano funzionari dall’aria arcigna e che culminava con lo scranno dove sedeva la Sacerdotessa con il suo completo bianco come la neve. Era una donna anziana e severa — doveva avere più o meno la stessa età del Mago — i cui capelli completamente candidi si confondevano con la veste.

“Che tu abbia rubato per amore non è una scusante, lo sai, vero?” Stava dicendo.
Davanti a lei, in una specie di piccolo recinto formato da una bassa balaustra di legno lucido, stava un giovanotto a capo chino: “Lo so perfettamente. Non cercavo di giustificarmi. Solo di spiegare. Non so che mi ha preso: volevo farla felice e ora ho rovinato tutto”, lo sguardo corse verso una ragazza in lacrime fra le braccia di quella che doveva essere sua madre.
“Conosci la condanna per il furto?”
“Il Marchio Nero.”
“E sai anche che cosa significa?”
“Che Palla controllerà ogni mia azione, notte e giorno.”
La Sacerdotessa si concesse un sorriso che addolcì improvvisamente quella faccia arcigna:
Il ragazzo annuì in silenzio.

La Sacerdotessa diede qualcosa al funzionario alla sua destra che la prese, si alzò con fare solenne e si diresse verso il ragazzo.
“Che succede adesso?” chiese Jona alla sua guida che si era seduta in silenzio accanto a lui.
“L’Apposizione del Marchio. La stella a cinque punte viene applicata alla fronte del condannato. Rimarrà lì senza che sia possibile rimuoverla fino a quando la Dea non deciderà che la pena è stata sufficiente, dopo di che cadrà da sola.”
Il ragazzo aspettò a testa alta il funzionario che gli applicò il Marchio.
Jona sentì che gli sussurrava: “Fa male quando si attacca, ma passa subito. Coraggio.”
Il ragazzo non diede segno di averlo sentito, ma non contrasse nemmeno un muscolo quando il Marchio gli fu applicato. Stava guardando la ragazza che, a sua volta, guardava la scena senza riuscire a staccare gli occhi.
Il condannato ringraziò, si girò e, con molta dignità, percorse tutta la sala uscendo dalla grande porta in fondo.

La porta si era appena chiusa alle sue spalle che la Sacerdotessa si rivolse direttamente alla ragazza: “Ha bisogno di te. Non deludere la Dea e, soprattutto, non deludere lui. Vai!” Lei si divincolò dall’abbraccio della madre e percorse la sala in un lampo, sparendo dietro la grande porta che si stava aprendo per ammettere il prossimo caso.

La scena cambiò radicalmente. L’imputato si divincolava e inveiva contro tutto e contro tutti, bestemmiando gli Dei e i loro Sacerdoti.
Lo trascinarono di peso nel recinto e lì lo lasciarono. Quello, pur incatenato, tentò di saltare la bassa balaustra che brillò di luce attinica e lui cadde a terra contorcendosi dal dolore.

Jona vide chiaramente che l’uomo aveva già sulla fronte un Marchio rosso, anche se aveva cercato di nasconderlo facendosi crescere i capelli.
“Che significa il Marchio Rosso?”

La Sacerdotessa fece del suo meglio per interrogare l’uomo, ma questi rispose solo con insulti; allora mormorò qualcosa al suo Amuleto dal quale partì un lampo di luce bianca che colpì in pieno il Marchio Rosso.

L’uomo rimase come paralizzato mentre davanti a lui compariva la scena del suo secondo omicidio. Una taverna, gente allegra e rumorosa. Un commento salace. L’ira immediata e assassina.

La Sacerdotessa aveva un volto triste mentre emetteva il suo verdetto: “Non credo ci sia molto da aggiungere”, disse con voce piatta, “la condanna è l’ostracismo per tre anni, ma anche dopo ti rimarrà per tutta la vita il Marchio Giallo. Non potrai più bere nemmeno una goccia di birra. Liberatelo!”

L’uomo era ancora paralizzato e non si mosse mentre le guardie gli toglievano le catene e si allontanavano.

L’effetto della paralisi cessò con la stessa rapidità con cui era arrivata e l’uomo crollò a terra, per poi alzarsi e ricominciare a inveire schiumando di rabbia.
“Ora vai!” disse la Sacerdotessa e il Marchio Rosso diventò viola e cominciò a brillare. L’uomo si portò le mani alla fronte e corse via ululando come un animale ferito. Nessuno cercò di fermarlo.
“Non capisco”, disse Jona al suo vicino.

Jona aveva molte perplessità, ma le tenne per sé.

Stava intanto facendo il suo ingresso quello che, a giudicare dall’aria di disarmo che aleggiava nella Sala, doveva essere l’ultimo caso della giornata.

Entrarono due donne con aria indispettita che si presentarono spontaneamente nel piccolo recinto davanti a quello che oramai Jona aveva capito essere un vero e proprio tribunale.

A specifiche domande del funzionario di più basso livello dichiararono i loro nomi e il motivo della loro disputa: un contenzioso circa i pagamenti di una partita di stoffe ricamate.

La Sacerdotessa non aprì bocca per tutto il tempo. Bastarono infatti poche domande mirate fatte dal funzionario che le aveva accolte per accertare che non c’era stato dolo, ma semplicemente non si erano capite bene all’inizio e poi l’equivoco si era incancrenito fino a diventare una lite.
L’alone verde che avvolgeva la balaustra garantiva non stessero mentendo.

Un altro funzionario, una donna sulla quarantina, che era seduta appena sotto lo scranno della Sacerdotessa, fece alle due una breve, ma severa, ramanzina sulla necessità di essere precise e, soprattutto, non far perdere tempo con questioni che si potevano risolvere senza ricorrere al Monastero; dopo di che comminò a entrambe una multa “per il tempo che avete fatto perdere a tutti noi” che, a giudicare dalla faccia delle due, doveva essere piuttosto salata.

Le due donne uscirono parlando fitto fitto tra di loro. Jona sorrise: era evidente che, nonostante la multa, erano contente di aver scoperto che nessuna delle due aveva, in realtà, cercato d’imbrogliare l’altra.

Teocrazia

“Da questa parte, prego.” Jona seguì la sua guida per un’altra serie di corridoi. Il suo senso dell’orientamento, del quale era sempre andato fiero, gli diceva che avevano fatto un ampio giro per tornare al punto di partenza o quasi. Stava per chiederne il motivo quando si fermarono davanti a una porta. Dentro c’era un piccolo ufficio con l’immancabile scrivania alla quale stava una giovane donna. Ci fu un breve colloquio, un passare di mano di fogli di carta, poi la sua guida si ritirò salutando Jona con un cenno del capo.
“Si accomodi, prego. La Sacerdotessa la riceverà a breve”, disse la donna indicando le sedie dall’aspetto scomodo mentre si alzava per andare a bussare a un’altra porta, poi entrò apparentemente senza aspettare risposta.
Riapparve pochi istanti dopo invitandolo a entrare mentre annunciava formalmente: “Jona di Tigu, Cercatore di Thano”.

La stanza era una versione più grande ed elaborata dello studio della segretaria, ma non meno austero. La Sacerdotessa si alzò da dietro la scrivania per venire ad accogliere Jona che notò come si fosse cambiata d’abito e avesse raccolto i capelli in una coda di cavallo. Sorrise dentro di sé: ecco a cos’era servito perder tempo con quel lungo giro.
“Benvenuto Jona di Tigu, cosa ti porta a noi?”
“Cerco saggezza”.

“Sei il quarto Cercatore di Thano che arriva al nostro Monastero in altrettanti anni”, gli disse mentre gli faceva cenno di accomodarsi su uno dei due divanetti affacciati che erano sotto la grande finestra. “Precedentemente i nostri registri annotano solo apparizioni sporadiche, decenni l’una dall’altra. Pare che Thano trovi questo gioco particolarmente interessante, ultimamente.”
“Oppure prima ci faceva passare da qualche altra parte”,
azzardò Jona.
Dopo un breve pausa: “Quello che non capisco è perché Thano consideri “istruttiva” per noi Cercatori una visita a un’Alta Corte di Giustizia”.
“Oh, se è per questo, il nostro Monastero è molto più di un semplice tribunale”, rispose lei con evidente orgoglio, “Come hai sicuramente visto ha quattro porte. Ciascuna corrisponde a una ben precisa funzione: la Porta della Giustizia conduce, in ultima istanza, alla Sala delle Udienze che hai già visto”.
“La Porta del Governo conduce, per vie più o meno tortuose, a quest’ufficio dal quale Palla, attraverso me e una schiera di funzionari, governa tutte queste terre”.
“La Porta della Seta è quella da cui sei entrato e conduce alle filande del monastero”.
“La Porta della Sapienza, infine, conduce alla più grande biblioteca che si conosca e, se sei anche lontanamente simile ai tuoi predecessori, è lì che passerai la maggior parte del tuo tempo.”

Jona soppesò le informazioni. “Quindi anche qui avete le funzioni di produzione, insegnamento e servizi.”
“Certo. Questo è vero per tutti i Monasteri. Tutti gli ordini monastici si basano sui tre cardini del servizio alla comunità, dell’istruzione sia dei monaci che dei laici e della produzione di beni, ognuno rispettando le proprie specificità. Qui il servizio reso alla comunità è duplice: Giustizia e Governo, l’istruzione si concentra sulle scienze giuridiche e la filosofia e la produzione riguarda i tessuti in generale e le sete in particolare”.

Palla

Jona era nella sua cella e guardava il paesaggio lontano fuori dalla sua finestrella senza vederlo veramente. La sua mente vagava ancora più lontano.

Che cosa ti disturba tanto, Jona?
La voce della Dea era asciutta , come al solito, ma pareva anche sinceramente interessata e aveva un sovrattono amichevole, comprensivo. Il Mago abbassò la testa ed esitò un lungo istante prima di rispondere lentamente: “Non riesco a credere che tu ti occupi effettivamente del governo di queste terre.”

La risata argentina della Dea lo colse di sorpresa. Alzo gli occhi e la vide con un sorriso ampio e divertito.
E hai perfettamente ragione. Io non governo queste terre, anche se la Sacerdotessa è sinceramente convinta del contrario, ma, dimmi, perché la cosa ti sembrava tanto inverosimile?
“Ci sarebbero diverse ragioni, ma, per la maggior parte, sono basate su una presunzione di fondo che potrebbe benissimo essere falsa, se non addirittura blasfema”, rispose lui in evidente disagio.
E sarebbe?” Il sorriso della Dea non era cambiato. Jona sentì il sangue fluire nelle vene e pulsare nelle tempie mentre rispondeva a capo chino: “Che io possa davvero comprendere le motivazioni e i fini di un Dio.”
E allora?” lo incitò la Dea.
Jona alzo gli occhi e li puntò dritto in quelli della Dea: “Il Saluto: se tu vuoi veramente che troviamo la saggezza nei nostri cuori non puoi prendere nelle tue mani i nostri destini.”

La Dea era evidentemente compiaciuta, accennò perfino un breve applauso: “Bravo. Vedo che Thano ha scelto bene questo suo Cercatore.
Il Mago era ovviamente lusingato dall’apprezzamento di Palla, uno degli Dei più arcigni e inflessibili, ma era almeno altrettanto confuso:

Più alto il grado meno sono tollerati interessi personali.

Jona ci pensò su, poi chiese:
La Dea annuì: “Vero.
“Ma tu stai dicendo che consideri negativi gli interessi personali, che sono la base della competizione!”
Vero anche questo, ma non tutto è competizione.
Qui si fronteggiano il principio di competizione e il principio di cooperazione: il maschile e il femminile. Sono necessari entrambi.
“Maschile e femminile. Tu sei il femminile e Thano il maschile. Quasi tutti i funzionari di grado elevato qui al monastero sono donne. C’è una correlazione?”
Una correlazione? Certo, ma non una corrispondenza. Non sto parlando di cromosomi X o Y, ma di principi generali, di archetipi. Tutti abbiamo sia caratteri “maschili” che “femminili”; la questione è la proporzione e, soprattutto quando privilegiare una cosa e quando privilegiare l’altra. Spero ti sia chiaro.
Jona annuì: “Mi stai dicendo, se non sbaglio, che per l’arte del governo la cooperazione è più importante della competizione e che è più facile trovare donne disposte a cooperare che uomini.”

La Grande Biblioteca

Il Refettorio del Monastero di Palla era molto diverso da quello di Dionne. Qui tutto era molto più efficiente, quasi essenziale. Jona si mise in fila all’ingresso con gli altri e gli venne dato un vassoio con sopra tre piatti coperti da larghi coni di carta bianca. Non sembrava esserci una disposizione precisa per i posti, quindi lui andò a sedersi in un angolo, posizione privilegiata da cui poteva osservare la sala che si stava rapidamente riempiendo.

Nessuno toccò i piatti che aveva davanti e quindi anche Jona si guardò bene dal fare qualcosa di diverso.

Non dovette attendere molto, comunque, visto che pochi minuti dopo fece il suo ingresso la Sacerdotessa alla quale fu dato un vassoio del tutto simile agli altri. Si sedette in uno dei posti liberi e disse, con il tono di chi recita una formula sentita migliaia di volte: “Ringrazio tutti per l’impegno profuso anche oggi. Nutriamo il nostro corpo come abbiamo nutrito la nostra mente”, e scoperchiò i suoi piatti. Un istante dopo si cominciarono a sentire rumori di posate fra il brusio delle chiacchiere.

Una bella voce femminile fendette il brusio: “Il racconto di oggi si intitola “Il vecchio pescatore”.” Jona si girò e vide una giovane donna in piedi a una specie di podio. Il vocio si attenuò sensibilmente mentre lei cominciava a leggere con voce educata, professionale. I rumori delle stoviglie ripresero, anche se più attutiti. L’attenzione di Jona era al racconto: la storia dell’ultima, solitaria pesca di un vecchio che aveva dedicato al mare tutta la sua vita e ora dal mare rischiava di venir risucchiato per sempre.

Nessuno si mosse dal suo posto fino a che lei non ebbe terminato la lettura. Quando terminò, ringraziando i presenti e lasciando il podio la gente cominciò, senza fretta a defluire dalla sala, riportando i vassoi vuoti verso il bancone da cui li avevano presi pieni.

Jona tornò verso la sua cella meditando sulle differenze e le similitudini fra i due monasteri che aveva visitato.

La sera raccontò quel che ricordava di quella lettura a Dania che, alla fine, commentò: “Strano, è la prima storia di mare che sento in cui Posse non viene citato neppure una volta.”
Jona rimase colpito: la storia si era sviluppata in modo estremamente convincente e il mare ne era protagonista assieme al vecchio, ma né Posse né nessuno della sua corte ne facevano parte

La mattina seguente, subito dopo la colazione, durante la quale un anziano funzionario con un gran vocione baritonale lesse una serie di notizie locali alle quali Jona non riuscì ad appassionarsi, si recò alla Grande Biblioteca.

Lo accolse la ragazza che aveva letto la sera prima “Cosa posso fare per te, Cercatore?”
Jona aveva avuto tutt’altro in testa fino a un momento fa, ma disse d’istinto:
“Ernesto. Troppo tardi! Tutti i suoi libri sono stati già presi. Per trovare qualcosa degli autori letti la sera, bisogna venire prima di colazione, e poi di Ernesto avevo solo poche cose, non è uno scrittore molto noto.”
“Eppure scrive molto bene. Non credo sia stata solo la tua interpretazione a colpirmi tanto”, aggiunse con un pizzico di gigioneria che fece arrossire la ragazza.
“E che cosa ti “ha colpito tanto”, se non la mia splendida dizione?”, ritorse lei.

Jona le disse della strana assenza di Posse, cercando di ritornare a essere più distaccato. Lei ci pensò un po’ su, poi: “Hai ragione, Ernesto è strano, molti dei suoi racconti parlano del mare, un mare caldo, non come il nostro, ma Posse non viene citato nemmeno una volta. Eppure è sempre presente, come rimanesse appena sotto il pelo dell’acqua.”

Cambiò improvvisamente tono: “Comunque non c’è più nulla, per ora. Posso aiutarti in qualche altro modo?”
Jona tornò a malincuore al vero motivo e della sua visita: “Non so di preciso. La Sacerdotessa mi ha detto che sono arrivati diversi Cercatori negli ultimi anni. C’è modo di sapere che cosa hanno letto?”
“Certo. Annotiamo negli schedari ogni volta che qualcuno prende un libro, quanto lo tiene e, soprattutto, quando lo riporta. Vieni, ti faccio vedere come si usano.”
“Ti posso dire che, per la maggior parte, si sono interessati di filosofia e medicina.”
“Te li ricordi?”

Il viso di Jona dovette tradire il suo stupore perché lei rise facendosi venire le fossette sulle gote: “No, non sono la ragazzina che sembro. Sono giovane, ma non tanto.”
Poi, con fare improvvisamente serio: “Avrei dovuto presentarmi prima. Io sono Sorella Mirelle, responsabile della biblioteca e delle edizioni”. Gli porse la mano che lui strinse con fermezza: “Jona di Tigu, fino a pochi mesi fa Mago delle mie terre, ora Thano ha fatto di me un Cercatore.”

Sorella Mirelle girò attorno alla scrivania e lo prese per mano trascinandoselo dietro: “Vieni Jona di Tigu, ti faccio vedere come funzionano gli schedari. Sono un dono della Dea!”. Era ritornata a essere una ragazzina. Chissà se l’entusiasmo che metteva nel suo lavoro era quello che la faceva sembrare così giovane? Jona sospettava fosse proprio così.

Gli schedari erano effettivamente una piccola meraviglia. Assomigliavano un po’ alle scrivanie-amuleto di Gornor. Facevano apparire lunghi elenchi di libri con molte informazioni, inclusa la posizione attuale, chi li aveva letti e, se del caso, i commenti lasciati dai vari lettori.

Mirelle rimase con lui fino a quando non arrivò un altro studente.
Jona rimase a giocare con gli schedari per parecchio tempo, fino a quando Sorella Mirelle non fece capolino dicendo: “Ancora lì? Io vado a mangiare qualcosa: o vieni anche tu o salti il pranzo: tra poco la mensa chiude”.
Jona si affrettò a seguirla; ora che aveva la sua attenzione lo stomaco stava protestando con una certa veemenza.
“Non hai ancora deciso cose prendere?”. Gli chiese Mirelle mentre si sedevano a un tavolo vuoto.
Jona scosse la testa con aria colpevole: “In realtà sono stato a giocare con gli archivi. Avete una quantità incredibile di libri su argomenti che non sapevo nemmeno esistessero.”
Lei sorrise mostrando di nuovo le fossette: “Normale. Succede a tutti almeno la prima volta”.
“Comunque credo di essere arrivato a una decisione: devo studiare a fondo le Vite degli Dei, cominciando da Thano. Forse in questo potresti aiutarmi: quali sono, secondo te, i volumi più interessanti?”.
“Non credo che quella sia la domanda giusta. Chiediti piuttosto quali sono i più attendibili.”
Jona la guardò stupito: “Credevo che gli Dei fossero sempre attendibili. Mi sono perso qualcosa?”. La sola idea era blasfema e Jona non si aspettava bestemmie in un monastero, specie da una ragazza che sembrava sapere il fatto suo.
Lei scosse la testa: “Gli Dei sono sempre attendibili, anche quando ci prendono in giro, ma tutti quei libri li hanno scritti degli uomini, mica gli Dei!”.
Messa in quel modo la questione prendeva un aspetto completamente differente. La ricerca sarebbe stata ancora lunga e faticosa, ma anche interessante.