5: Monastero di Festo

Arrivo al monastero di Festo

Mesi che passavano in un’oscurità quasi perenne. Il sole si alzava sopra l’orizzonte per poche ore al giorno e, anche quando era in cielo, raramente si faceva vedere, avvolto da nuvole nere che correvano veloci. Quanto poi al donare un po’ di calore non se ne parlava proprio.
Per fortuna il monastero era ben riscaldato.

Jona si teneva impegnato su tre fronti: I suoi studi sugli Dei, un lavoro come giudice conciliatore — che la Sacerdotessa gli aveva affidato volentieri appena si era resa conto di cosa significasse aver fatto il non facile mestiere di mago per più di quarant’anni — e la compagnia di Sorella Mirelle che aveva continuato ad aiutarlo ben oltre i suoi doveri professionali.

Oramai le notti più lunghe erano passate e i giorni stavano, ancora impercettibilmente, ricominciando ad allungarsi. Il freddo, invece, si faceva sempre più intenso e le basse colline che circondavano il monastero erano coperte da una spessa coltre di neve.


“Jona! Jona! Mi senti quando ti parlo?”
Jona alzo lo sguardo dal libro che stava leggendo e si trovò davanti Mirelle con gli occhi sfavillanti e il volto arrossato.

“No. Meglio ancora. Ha chiamato Fra Johannes dal Monastero di Festo in Twerp!”
Jona ricordava di aver già sentito nominare Fra Johannes, ma, sul momento, non riusciva a ricollegarlo a nulla che potesse provocare una tale eccitazione in Mirelle. Non si poteva certo dire fosse una donna imperturbabile, anzi, ma qui doveva esserci qualcosa di grosso. Cosa stava aspettando? Ah, certo!
“Il Torchio è pronto?”
Lei annuì con gli occhi sgranati e luccicanti.
“Quando lo vai a prendere?”
Sembrò che le avessero spento la luce dentro:

Fra Johannes

Il Monastero di Festo era enorme, composto da un insieme apparentemente infinito di edifici per lo più rettangolari, ma anche con le forme più bizzarre. Erano tutti uniti fra loro con camminamenti aerei mentre in basso, fra l’uno e l’altro i vetri delle serre mandavano svogliati riflessi nella luce ancora incerta nonostante fosse il primo pomeriggio.

Il vento gelido gli tagliava la faccia aggirando senza sforzo la protezione in vetro sul davanti del carro che stava portando lui e Fra Jaques.
I due imponenti cavalli dal lungo pelo biondo sembravano invece completamente a loro agio e la neve compatta scricchiolava allegramente sotto i loro zoccoli.

Non c’era molta gente in giro, ma anche da quella distanza si vedeva che al monastero l’attività ferveva.
Il borgo, al confronto, sembrava molto più piccolo, un gruppo di casette a due piani addossate l’una all’altra sulla riva del fiume.

Quello che attirò veramente l’attenzione di Jona fu una lunga teoria di smilze girandole allineate sul crinale delle basse colline che nascondevano il mare. Le pale giravano lente e maestose.
“Quegli affari devono essere giganteschi, per vedersi così bene a questa distanza, sai che cosa servono?”
Fra Jaques scrollò le spalle: “L’ultima volta che sono venuto da queste parti, l’anno scorso, non c’erano. Non saprei proprio.”
“Amuleto?”
“Sono generatori eolici.”
“Ossia?”
“Hai presente i generatori di elettricità al monastero?”
“Certo.”
“Questi sono circa la stessa cosa, solo che usano la forza del vento invece di quella dell’acqua”
“Ma sono enormi!”
“Vero. Il palo di sostegno è lungo più di cento metri. Le pale sono lunghe circa 30 metri ciascuna.”

Jona masticò quei numeri e gli venne un leggero capogiro. Quei cosi erano anche più grandi di quanto pensasse. Sembravano girare lenti e maestosi, ma dovevano andare a velocità spaventose.
Dunque, facciamo un conto.
Fanno un giro ogni sei secondi circa.
L’amuleto ha detto che le pale sono circa trenta metri, quindi la circonferenza è di 30×6.28 188.4
Fa dieci giri al minuto, ovvero due chilometri.
Centoventi chilometri all’ora. Un numero da capogiro. Altro che “lenti e maestosi”!
“Devono produrre un sacco di elettricità”, disse all’Amuleto, “Che cosa diavolo pensano d’illuminare?”.
“L’elettricità non serve solo a illuminare, ma anche a riscaldare e per certe lavorazioni. In realtà le applicazioni sono quasi infinite, ma non so cosa abbia insegnato Festo qui e ora. Devo chiedere?”
“No. Siamo quasi arrivati e non mi pare il caso di scomodare Festo per una curiosità del genere.”

I cavalli procedevano spediti su una strada pulita dalla neve e composta da larghi blocchi neri che si incastravano fra loro.
Il complesso principale del Monastero, una struttura massiccia non dissimile da quella degli altri, gli venne rapidamente incontro.

Fra Jaques diresse il carro verso un ingresso laterale e si fece riconoscere da uno stalliere. Staccarono personalmente i cavalli e li strigliarono a dovere, prima di lasciarli in consegna al ragazzo per andare a cercare Fra Johannes.

Lo trovarono nella sua officina, un enorme stanzone pieno di strani macchinari sferraglianti. Tutto era ordinato e pulito in modo maniacale. Un grande tavolo al centro dell’officina era coperto da alcuni grandi disegni.

Fra Johannes aveva in mano un pezzo dall’aspetto complicato e ne stava confrontando le misure con quelle del disegno.
“Perfetto. Ne servono altri undici uguali. Fanne tredici così abbiamo delle parti di ricambio”, disse al frate che stava assistendo all’operazione con aria preoccupata. Il sorriso di sollievo che gli si dipinse in viso mentre si allontanava raccontarono volumi circa la pignoleria di Fra Johannes.

Si dimostrò molto stupito nel vedere Jona invece di Sorella Mirelle e non nascose la sua delusione. Stasera ci sarebbe stata una grande festa al Borgo: l’inaugurazione dell’illuminazione stradale.
“Stanno preparando tutto. La festa inizia al tramonto e si ballerà in strada per tutta la notte. Pensa che arriva anche una compagnia di danzatori dal Monastero di Dionne”
“Leppe?” chiese Jona sperando di rivedere qualcuna delle persone che aveva conosciuto.
“No, Rott. Sono famosi per la danza.” Poi proseguì: “Sarei andato a dare una mano anch’io, ma sapevo che dovevate arrivare e vi ho aspettati. Andate a rinfrescarvi che io approfitto per mettere ordine, poi vi vengo a prendere in foresteria.”

La parola “rinfrescarsi” fece rabbrividire Jona che stava appena cominciando a disgelare: “Ma non farà freddo in strada?” si azzardò a chiedere.
Un sorriso enigmatico si allargò sul viso di Fra Johannes: “Non questa notte, non in quella strada. Fidatevi.”

La Festa della Luce

Scesero al Borgo a bordo di una carrozza completamente chiusa. Era di un materiale strano che sembrava cartapesta, ma molto più duro. I finestrini erano di buon vetro e la temperatura era più che accettabile. Jona, Jaques e Johannes si dividevano un ampio sedile imbottito; insieme a loro c’erano parecchi altri frati che riempivano completamente la carrozza, anzi l’omnibus, come lo aveva chiamato Fra Johannes.

L’omnibus procedeva veloce e senza rumore nonostante le notevoli dimensioni e il carico; Jona aveva contato almeno trenta teste.

Jona avrebbe voluto chiedergli spiegazioni, ma l’omnibus si stava fermando all’inizio della via, vicino alle prime abitazioni.
Il borgo si snodava in due file di case ai lati della strada, malamente illuminata da sparse lanterne, che si faceva più ampia e, verso il centro, si allargava in una piazza circolare che arrivava fino alla riva del fiume.

L’omnibus arrivò alla piazza al cui centro era stato eretto un palco anch’esso circolare e, al momento, vuoto.
“Siamo arrivati appena in tempo”, disse Fra Johannes indicando l’alta figura paludata di bianco che stava salendo sul palco. L’Amuleto che sfavillava di luce argentea non lasciava dubbi: era Il Sacerdote di Festo.

Si affrettarono a scendere e a Jona mancò il fiato: il freddo, dopo il tepore dell’omnibus lo fece rabbrividire; altro che calore!
La piazza era piena di persone che sembravano sopportare il gelo meglio di lui, probabilmente perché più abituati, pensò lui guardando con rimpianto l’omnibus che si allontanava.

L’Amuleto del Sacerdote si accese illuminandolo di luce argentea e attirando l’attenzione di tutti. Lui si schiarì la voce.
“Oggi è un giorno importante perché l’elettricità entra nella vita di tutti i giorni. Avremo tempo di ringraziare Festo per questo dono, ma adesso cominciamo a godercelo subito, perché non ha senso rimanere tutti al buio e al freddo! Accendete!”
A quel comando si sentì un forte ronzio e la piazza si illuminò a giorno. Montati su dei pali che Jona non aveva notato nella semioscurità c’erano una serie di lampade elettriche simili a quelle che davano luce alle serre, ma dalla luce più calda, quasi gialla, e meno accecante. Vicino a queste c’erano altri pannelli che si stavano anche loro accendendo, ma avevano un colore rossiccio. Jona percepì immediatamente il calore che irraggiavano.
Il ronzio si spense lentamente, forse sommerso dal vociare, ma la luce rimase e il calore stava decisamente aumentando.

Il Monastero di Festo

Jona si svegliò presto, come d’abitudine, e cercò a tastoni il piccolo interruttore incastrato nel muro vicino al letto.
La luce elettrica si accese obbediente, ma lui, pur debitamente impressionato, si ritrovò a pensare che i funghi luminosi degli Elfi erano meno complicati e più comodi. Meglio tenere certi pensieri ben nascosti. Di certo Festo non avrebbe gradito, permaloso com’era.

Mentre Fra Jaques andava a ispezionare il Torchio che dovevano riportare indietro Jona chiese a Fra Johannes se fosse possibile visitare almeno parte del Monastero.
“Vedo cosa è possibile organizzare”, disse lui, e uscì dal laboratorio lasciandolo libero di esaminare alcune delle meraviglie presenti. Cominciò dal Torchio, che era, in realtà, costituito da due macchine: una “Linotype” e dal Torchio vero e proprio.

La prima era un apparato che serviva per comporre la matrice, accostando fra loro le lettere in una linea per volta fino a ottenere l’intera pagina. Era una macchina meravigliosa e complicata che, alla pressione di un singolo tasto faceva scendere dall’alto la matrice di una lettera e la allineava alle altre, incastrandola. Jona seguiva il percorso di quei blocchetti bianchi mentre un frate mostrava il funzionamento.

La pagina fu pronta prima che Fra Johannes tornasse e venne trasferita al Torchio. Il frate assistente spiegò che lo chiamavano così solo per ragioni di tradizione, oramai non c’era nulla del vecchio torchio da stampa.

Quando il frate lo mise in funzione cominciando a girare una manovella collegata a un grosso volano dapprima lentamente, poi sempre accelerando, Jona rimase impietrito dallo stupore.
Una serie di ventose prelevava un foglio di carta da una pila ordinata e lo depositava sulla matrice, che era stata appena inchiostrata da un rullo imbevuto.
Al posto del torchio piano che Jona conosceva, era un pesante rullo di metallo che pressava la pagina sulla matrice, poi, mentre la fila di ventose, collegata a un braccio meccanico andava a prendere un altro foglio un’altra sollevava quello appena stampato e lo girava, dando il tempo all’inchiostro di asciugare prima di sovrapporlo agli altri.
Tutto con il semplice girare di una manovella. Beh, tanto semplice non doveva essere, visto che il frate assistente stava sbuffando per la fatica di tenere in movimento quella macchina complicata composta da centinaia di ingranaggi e camme, ma era un miracolo di Festo che ci riuscisse

Rientrò Fra Johannes che, con un largo sorriso disse: “il Sacerdote non ti può ricevere perché deve partire a minuti, ma mi ha permesso di farti da guida per tutta la giornata, se vuoi.”
“Certo che voglio, e lo sai bene. Il problema è che il Monastero mi sembra enorme e anche correndo non credo riuscirei a vedere tutto. Domani dobbiamo ripartire e il tempo è poco: che cosa mi consigli di visitare?”
“Qui al Monastero abbiamo quattro lavorazioni di base: vetro, ceramica, metalli e resine.”
“Beh, vetro e ceramica li conosco abbastanza, forse è meglio concentrarci su metalli e resine.”
Fra Johannes fece una faccia strana, si avvicinò a un ordinato banco da lavoro facendo a Jona cenno di seguirlo.
Senza dire una parola prese un grosso tronchese e lo usò per tagliare una catena d’acciaio, poi afferrò un martello e calò un colpo poderoso sul tronchese, finalmente consegnò tronchese e martello allo stupefatto Jona dicendo: “Il martello è di vetro e il tronchese di ceramica.”

Il martello era pesante e la testa semitrasparente abbastanza riconoscibilmente di vetro; il manico, molto leggero, probabilmente di una schiuma come quella dei sostegni delle serre.
Il tronchese, invece era sensibilmente più leggero di quello che avrebbe dovuto essere se fosse stato di buon acciaio, di un materiale grigio e privo di lucentezza che Jona non avrebbe saputo identificare.

“Come non detto: questo vetro e questa ceramica non li ho mai visti. Mi affido alle tue scelte”.

Fra Johannes annuì mentre riprendeva i due attrezzi e li riponeva al loro posto: “Andiamo, allora, perché hai perfettamente ragione: il Monastero è molto grande, vieni.”

Quando si ritirò, a notte fonda, nella cella che gli era stata assegnata in foresteria, a Jona dolevano le estremità: i piedi per le lunghe camminate e la testa per la massa d’informazioni nuove che aveva cercato di stiparci.

Partenza

Nel cortile illuminato, i cavalli aspettavano tranquilli il segnale per cominciare a tirare il pesante carro, mentre Jona e Fra Jaques salutavano. Finiti i brevi convenevoli di rito il Mago si apprestò a raggiungere il frate che era già a cassetta, ansioso di prendere la via del ritorno. D’improvviso si rese conto di guardare il carro con occhi diversi. Ora sapeva qual era la funzione delle larghe ruote morbide e perché riuscivano a girare senza rumore e senza sforzo: merito di un piccolo apparecchio che Johannes aveva chiamato “cuscinetto a sfere”; una cosa che aveva deliziato Jona con la sua efficiente semplicità. Il frate aveva però messo in guardia riguardo alla differenza fra semplicità e facilità:
Il corpo del carro era in fibra di vetro: un matrimonio ben riuscito fra due opposti: il vetro rigido e fragile e una resina duttile e tenace. Il risultato era davanti ai suoi occhi: un carro che stava portando senza apparente sforzo due grossi macchinari, ciascuno dei quali avrebbe schiantato il loro vecchio carro in legno solo a caricarcelo sopra.
“Dai, vieni che è quasi giorno!”
Jona si riscosse e salì a fianco di Fra Jaques, chiudendosi dietro la porta.

Quel carro era completamente chiuso e le briglie venivano azionate attraverso delle leve. Il frate mosse le leve come gli era stato insegnato e le briglie schioccarono sul dorso dei due cavalli che presero a tirare; Jona ricordò di allentare il freno ed il carro prese finalmente a muoversi senza rumore, dapprima lentamente, ma rapidamente accelerando.

Fuori era buio pesto, o almeno così sembrò in un primo momento quando uscirono dal raggio d’azione delle forti luci del monastero. In realtà l’alba stava già schiarendo l’orizzonte a est e i loro occhi non tardarono a distinguere il nastro nero della strada dal bianco della neve che la circondava.

Locanda

Arrivarono alla locanda che era di nuovo buio, tanto che dovettero usare le lanterne nell’ultima ora di viaggio.
La speranza di arrivare presto era sfumata non appena erano cominciate le prime lievi salite e il peso, sia pure su quel carro ben lubrificato, aveva cominciato a farsi sentire.
I cavalli erano stanchi. Fortunatamente la locanda fungeva anche da stazione di posta per il cambio dei cavalli, altrimenti non avrebbero potuto ripartire il mattino dopo.

Dopo cena l’oste attaccò un lungo bottone con Fra Jaques di Palla riguardo a certe sue beghe con un vicino. Jona approfittò dell’insperata libertà per ritirarsi nella cameretta che divideva con il frate e chiedere un collegamento con la moglie.
Dania lo lasciò parlare a lungo: sapeva per esperienza che era inutile cercare di dire qualcosa quando lui era in quello stato di esaltazione per un nuovo gioco, fisico o intellettuale che fosse. Si limitò quindi a sentire e assentire, godendo del fervore con il quale lui la faceva partecipe delle sue scoperte, anche quando non riusciva a seguirlo in pieno.

Quando lui, a un certo punto, esclamò: “Come vorrei che Serna potesse vedere queste meraviglie!” colse la palla al balzo: “Forse faresti bene a sentirla; è parecchio che non vi parlate e io sono un po’ preoccupata per quel nuovo progetto per il quale sta rintanata da giorni nel suo studio con Darda e Agio.”
“Nuovo progetto? Di che si tratta?” Chiese Jona. Era troppo tempo che non sentiva Serna! Da quando aveva ritrovato la possibilità di parlare con la moglie non l’aveva più sentita! Bel padre!

“Come va la gravidanza?” chiese lui, grato per la diversione.
“Bene, nonostante io non sia più una giovincella. Comunque pesano. Non credo che aspetterò ancora le sei settimane che mancano al termine.”

“Uhm, chi parla ora? La puerpera o la Sacerdotessa di Asclep?”
“In questo caso sono perfettamente d’accordo: la puerpera non ne può più e la sacerdotessa sa che un parto gemellare di questo tipo si conclude, di solito, con un certo anticipo. Diciamo di un paio di settimane.”
“Un paio di settimane di anticipo non dovrebbero essere un problema, no?”
“No. Stanno tutti e due benissimo. Non si vedono problemi, per ora, speriamo continui così.”
“Ora parla la puerpera.”

“D’accordo. Grazie. Vai a riposare. Un bacio.”
“Un bacio anche a te, caro.”
La sua immagine sparì.

Jona chiamò immediatamente Serna, le raccontò le sue avventure, chiese notizie di Dania e della gravidanza, chiacchierò del più e del meno.
Serna, dal canto suo, fu spigliata e allegra, stette a sentire con interesse, parlò del suo lavoro, ma non fece parola né di progetti, né di Agio e nemmeno di Darda.

Quando finalmente interruppero il collegamento Jona chiese a bruciapelo all’Amuleto: “Sai che cosa bolle in pentola?”
“No. Non so nulla di più di quanto sia stato detto questa sera. Devo fare indagini?”

Jona ci pensò su, poi decise che se Serna voleva parlare dei suoi progetti o no questo era una decisione che spettava solo a lei: “No. Ricordami invece, nel caso io sia abbastanza rimbambito da dimenticarmene ancora, di chiamare Serna con più regolarità.”

Filosofia

Qualche giorno dopo, in Biblioteca, l’attenzione di Jona fu attratta da un volume dall’aspetto semi-nuovo, a differenza degli altri che sembravano sul punto di disfarsi, tanto erano stati usati. La copertina riportava il titolo: “La Coscienza”. Incuriosito lo prese e cominciò a leggere: — Il cervello è l’organo che ci consente di pensare, ma come un organo che funziona in modo essenzialmente parallelo riesca a produrre il pensiero, che è essenzialmente percepito come un flusso sequenziale di coscienza è rimasto a lungo un mistero. Recenti studi hanno gettato nuova luce sull’argomento

La Bussola ricompare

Jona guardò fuori dalla finestra della sua cella. Nel cielo si rincorrevano nubi nere spinte dai venti occidentali e il paesaggio era coperto da una spessa coltre di neve, bucata dalle scintillanti cupole delle serre, mantenute sgombre, anche se in quel periodo non c’era nulla che valesse la pena di coltivare. L’inverno teneva le campagne serrate nel suo gelido abbraccio

La bussola era scomparsa dalla lucida superficie dell’Amuleto mesi prima, più o meno quando era arrivato al tempio di Palla. Lo aveva considerato come un invito a svernare lì, al caldo, magari approfittandone per fare una sana immersione nei libri che affollavano gli scaffali.

Ora Thano (non v’erano dubbi si trattasse di Lui) lo invitava a rimettersi in cammino, nonostante l’inverno non accennasse ad allentare la sua stretta.

La Biblioteca in tasca

Due giorni dopo era nella sua cella e stava stipando i suoi averi in due capaci bisacce. Il tempo era migliorato decisamente e, nonostante la neve continuasse a dominare il paesaggio, si sentivano nell’aria e nel tepore del sole le prime avvisaglie della primavera.

Soppesò il libro che aveva interrotto di leggere quando si era accorto della Bussola. Era indeciso se provare a chiedere a Mirelle di poterlo portare con sé. Non sembrava molto usato e forse

“Non è necessario portarselo dietro in pagine e copertina.” disse l’Amuleto con voce piana. Al di sopra dell’Amuleto, anche lui appoggiato sul tavolo, apparve una copia del libro, aperta a mezz’aria.
Jona allungò la mano, ma quella passò attraverso l’illusione sentendo appena una lieve presenza.

Il libro era aperto alla pagina che lui aveva letto per ultima. Provò a sfogliarlo e le pagine girarono. Jona fu stupito nel sentire la carta sotto le dita e lo disse ad alta voce.
L’Amuleto rise: “Sei sicuro? Mi sa tanto che hai sentito quello che ti aspettavi di sentire.”

Jona toccò di nuovo le pagine. Non era carta. Sentiva distintamente la pressione, ma non c’era traccia della rugosità della superficie. Eppure, la prima volta

“Come fai?”
“Ultrasuoni focalizzati, se ti interessa davvero uno di questi giorni, quando non hai veramente niente di meglio da fare, te lo spiego.”
“Comunque la cosa importante è che ho immagazzinato tutti i volumi della biblioteca di Palla, che te ne pare?” aggiunse con evidente orgoglio.

Clys

Il freddo della mattina era ancora sufficiente a farlo rabbrividire, ma nell’aria c’era una promessa di primavera che allargava il cuore. Lì, sulla riva di quel mare grigio e ventoso, il sole stava combattendo per disperdere la foschia e portare un po’ di calore.

Si trovava a Clys, in attesa di imbarcarsi per Albon.
La Bussola lo aveva guidato a ovest per tutta una settimana, ma ora puntava nuovamente a nord. Forse Thano aveva intenzione di farlo arrivare fino al polo.

Il viaggio a cavallo era stato abbastanza piacevole nonostante il freddo. Due cose gli erano particolarmente care: un leggero, ma caldissimo giaccone imbottito con piume d’oca che Mirelle gli aveva regalato e la sua personale biblioteca ambulante.

Aveva scoperto di non aver bisogno di voltare le pagine, visto che l’Amuleto poteva benissimo farlo per lui e aveva quasi dimenticato che doveva anche tradurre, tanto era immediata la cosa; gli pareva che il libro fosse lì semplicemente nella sua lingua, o meglio, nella lingua dell’Amuleto, visto che erano oramai mesi che parlavano, leggevano e scrivevano unicamente in quella lingua e Jona ci si trovava completamente a proprio agio, nonostante l’avesse all’inizio detestata per la sua apparentemente inutile complessità. Ora si rendeva conto che permetteva sfumature di significato impensabili nella lingua di Ligu ed era anche molto meno facile cadere in quelle ambiguità così usuali nella sua lingua nella quale una frase, tolta dal contesto, poteva avere due o anche più significati differenti.

Si riscosse, prese il cavallo per le briglie e lo condusse su per la comoda passerella che portava sul ponte del largo barcone che l’avrebbe portato a Door. Quei barconi erano molto differenti dalle agili navi che lui conosceva fin dall’infanzia. Queste erano poco più che delle chiatte a vela; adatte solo a fare avanti e indietro in quel braccio di mare compreso tra le due coste, sempre che Posse e Zeo non avessero altre idee.

Jona aiutò a legare il cavallo, spaventato dal lieve ondeggiare, nel suo stabulo e poi si ritirò in un angolo tranquillo dal quale poteva osservare le operazioni che precedevano la partenza.

La marea era al massimo e presto avrebbe cominciato a calare dando il segnale per la partenza; il ritmo dei preparativi si fece febbrile per sistemare e assicurare gli ultimi pezzi del carico, poi, per alcuni minuti, regnò una calma assoluta.

“Mollate gli ormeggi di prua!”
“Cazzate la randa!”

La voce del capitano, usa a combattere con il vento, fece scattare i marinai.
La grossa e grassa imbarcazione si staccò del molo e seguì l’acqua che tornava in mare aperto.

Jona pensava si sarebbe trattato di una traversata noiosa, visto che il vento era favorevole e il mare relativamente calmo; la leggera foschia non permetteva di vedere la loro meta e presto avrebbe nascosto anche Clys.

“Papà, mi senti?”
“Certo, Serna, che succede di bello?”
“Che alla mamma si sono rotte le acque, pensavo volessi saperlo.”
“E avevi perfettamente ragione. Come sta?”
“Bene, ma è molto affaticata. Quei due pesano come bisonti!”

“Regolari. Ogni sette minuti. Ora devo andare.”

“Vorrà dire che cercherò di raccontarti quel che succede. Vado.”

Jona la sentì scendere le scale e se la immaginò correre leggera fino allo studio della madre, dove c’era la sala per i parti. Sette minuti. Era già abbastanza avanti.

“Ti andrebbe di guardare dal buco della serratura?” chiese l’Amuleto con un velo di canzonatura nella voce.
“Che buco della serratura?”
“Prendimi e mettimi davanti agli occhi, se vuoi puoi nascondermi sotto il cappuccio.”

Jona si sedette sul tavolato e si appoggiò ad un alto rotolo di corda, come se avesse voluto dormire e portò l’Amuleto al volto, reggendolo nell’incavo del gomito. Era nero come la pece.
D’improvviso divenne trasparente e di là vide, come da una piccola finestra circolare, la sala parto con sua moglie già sul tavolo.

Respirava con un certo affanno tra una contrazione e l’altra.
Dopo essere rimasto a guardarla affascinato si permise un’occhiata circolare e vide Zelda, la vecchia Sacerdotessa di Asclep della famiglia reale di Zena. Dania la conosceva bene. Ora stava immobile con il suo Amuleto fra le mani, con un benevolo sorriso che le increspava il viso rugoso.

“L’ho chiamata io”, gli disse Serna, “la mamma continuava a dire che non era necessario e che questo non è il suo primo parto, ma io non stavo tranquilla. A proposito: hai pensato ai nomi?”

Jona non ci aveva, in realtà, pensato molto, quindi disse i primi due nomi che gli vennero in mente: “Mira e Giolo, se anche alla mamma vanno bene.”

Il parto non fu cosa breve e Jona non si mosse per tutto il tempo. Dania aveva oramai i due neonati grinzosi attaccati al seno, uno per parte e sorrideva felice quando la barca ebbe un forte scossone.

Il Mago cercò di alzarsi, ma era tutto anchilosato e un secondo scossone stava per mandarlo a gambe per aria quando una forte mano lo prese per un braccio: “Dovevi essere ben stanco, nonno”, disse il nostromo, “sei riuscito a dormire per tutta la traversata. Benvenuto in Albon!”