7: I Pescatori del Nord

Il viaggio verso nord

Erano dieci giorni che Jona cavalcava verso nord.
Da quando aveva salutato Tarciso non aveva più visto essere umano, né alcun segno che ce ne fossero nei dintorni.
Stava percorrendo sentieri usati dagli animali fra boschi e radure.
Le sue provviste erano quasi finite, ma la natura, almeno in quel periodo dell’anno, era generosa e trovare cibo non era un grosso problema.

“Questo è il posto più solitario che abbia mai visto. Anche nella Foresta Oscura c’era più gente.”

“Vuoi dire che mi stai facendo evitare i villaggi di proposito?”
“No, qua attorno non c’è nessuno davvero. Ti stavo solo facendo notare che hai espresso un giudizio senza avere tutti i dati.”
“Vero. In questo caso avrei potuto fare delle ricerche, magari usando l’Occhio, ma si trattava di una cosa di scarsa importanza, almeno al momento, detta solo per parlare un po’. D’altra parte, fosse anche stata importante, non capisco il “avere tutti i dati”. Nella mia esperienza mi è capitato tante volte di “non avere tutti i dati” e dover decidere lo stesso, anzi, a voler essere pignoli, le volte che avevo tutti i dati sono state veramente poche!”
“Alt, alt! Mi sono espresso male. Come al solito le sfumature di significato si perdono. Dicendo “tutti” io intendevo “tutti quelli che avresti potuto reperire senza troppe difficoltà””

“Ovviamente no. Chi sono io per sapere esattamente cosa abbia in mente un Dio?” Poi, prima che Jona facesse seguire parole allo sbuffo seccato: “Però qualche ideuzza ce l’ho. Ricordi quel che ti diceva Tarciso sulla funzione di Comunicazione?”

“E lo Swahili?”
“Lo Swahili è una lingua molto antica. Ha molte parole per esprimere le forze della natura, le loro interazioni e la loro “volontà”. Penso che sia questo quello a cui si riferiva Ipno quando diceva che ti ha aiutato, tramite il sogno, a comprendere il collegamento fra la realtà e la nostra rappresentazione di essa.”

“Torniamo a bomba”, proseguì Jona dopo qualche minuto di silenzio. “Dicevi che qua attorno non c’è nessuno. Dove stiamo andando?”

“Quanto è lontana ancora?”
“Parecchio. Siamo a poco più che metà strada e, tra non molto, cominceranno le alture che ci faranno perdere più tempo.”
“Fai vedere.”
Apparve la vista dall’alto che comprendeva tutta Albon e le terre a nord. Jona vide che si trattava di una grande isola rozzamente triangolare. Il puntino giallo che rappresentava la loro posizione era più o meno a metà, mentre il cerchietto rosso che indicava la destinazione era molto più a nord, al fondo di un lungo fiordo che faceva penetrare il mare per chilometri.
La terra era corrugata con ampie fratture che correvano parallele da sud-sud-ovest a nord-nord-est, quelle vicine alla costa formavano i fiordi.
Di fronte, verso ovest, si intravedeva un’altra grande isola. Jona chiese all’Amuleto di mostrargliela meglio, ma quello rispose che non poteva. Poteva mostrare solo le cose fino a una certa distanza, poi diventavano sempre più confuse.
“Ma come”, si stupì il mago, “anche l’altro giorno mi hai permesso di fare un Occhio su Tigu, che è sicuramente più lontano!”

“Non vedo nulla che indichi la presenza di uomini fino al nostro arrivo.”
“E infatti, a quel che ne so, non ce ne sono.”

“Stai parlando di quell’orribile cosa che fanno con l’avena?”
“No, quello, che qualcuno usa dalle tue parti, è uno dei peggiori! Non credo che tu riesca a preparartelo qui in mezzo al nulla, ma puoi cominciare a raccogliere gli ingredienti necessari.”
“Che sarebbero?”
“Radici di cicoria e pere selvatiche. Ci vorrebbe anche dell’orzo, ma qui non lo puoi certo trovare.” Continuarono a discutere di come sostituire l’amato caffè e Jona cominciò ad accumulare nelle bisacce erbe, frutti e radici che, a detta dell’Amuleto sarebbero serviti per produrre un “caffè” accettabile.

Qualche giorno dopo, durante una delle interminabili chiacchierate con l’Amuleto, Jona tornò sull’argomento lingue.

L’Avatar dell’Amuleto, appollaiato sul pomo della sella, lo guardò storto e stava par replicare, ma Jona lo bloccò in fretta:
“L’albionese”

“Si dà il caso sia la mia lingua natale.”
“Coincidenza? Non credo molto alle coincidenze, specie quando c’è di mezzo Thano.”
“Potrebbe essere stato uno dei fattori che ha deciso Thano a mandare proprio me, ma non saprei proprio.”
“E non lo sapremo mai, se Thano stesso non ce lo dice; partiamo dal presupposto che sia, almeno un po’, importante. Quali sono le caratteristiche dell’albionese? In che cosa differisce dallo zenano o dallo swahili?”

“Quattordici.”

L’amuleto tacque per qualche istante, come se stesse pensando, poi, un po’ esitante:

I pescatori del fiordo

Ne passarono tre, di settimane, prima che Jona arrivasse nei pressi del villaggio che costituiva, per ora, la sua meta.
Dopo essersi inerpicato per un ripido crinale di quella terra che sembrava graffiata da titaniche zampate che l’avevano ridotta a striscioline grossomodo parallele, vide sotto di sé il villaggio: un insieme di case con i tetti di paglia poste intorno alla riva del mare, che lì sembrava più un largo fiume o uno stretto lago.
Gli ultimi giorni di viaggio erano stati molto duri. Il continuo sali-scendi fra le alture e la difficoltà di trovare un passaggio praticabile l’avevano sfinito.
Anche i boschi, prima rigogliosi si erano fatti sempre più radi fino a cessare del tutto, lasciando solo qualche macchia di piccole betulle a presidiare un territorio dominato dall’erba alta e dalle rocce nude.

“Occhio di Lince!” Mentre il villaggio gli balzava incontro e gli riportava le immagini familiari dei pescatori intenti a rammendare le reti e riporre le barche si sentì stringere il cuore in una fitta di nostalgia per il suo mare lontano.

Poi le differenze divennero evidenti. Quello non era il suo mare, nonostante gli scogli e l’azzurro intenso che già stava prendendo i colori dorati della sera. Quello era un mare freddo; piatto come una tavola, tanto da sembrare un lago, costretto com’era in quell’intrico di fiordi, ma serio, quasi minaccioso, non giocoso e allegro come quello che conosceva. D’altra parte: chi si sarebbe mai sognato di andare in spiaggia vestito di pelle e a volte di pelliccia in piena estate?

Anche gli abitanti erano differenti: avevano lineamenti grossolani, facce rotonde e piatte con occhi piccoli e un gran naso schiacciato.
“Sono i figli di qualche altro Dio?” Chiese all’Amuleto.
“No. A quanto ne so sono una popolazione naturale, non modificata dagli dei. Vengono da lontano, molto lontano.”
“Ho come la sensazione che mi toccherà vederla la terra da cui provengono. Vieni, preferisco presentarmi domattina, con tutta la giornata davanti. Torniamo ad accamparci dietro quella macchia di betulle che abbiamo passato poco fa.”

Al villaggio

Le poche barche del villaggio stavano prendendo il largo per un’altra giornata di pesca.

Jona rimase a guardarli pensoso. I conti non tornavano.
Le case erano ampie e ben tenute, le barche poche e a portarle erano ragazzi e vecchi.
A terra si vedevano solo bambini e donne.
Dov’erano gli uomini?
Di certo non troppo lontani, dato che aveva intravisto lavarsi alla fonte una ragazza che doveva essere ai primi mesi di gravidanza.

Scese lentamente dal crinale per dar modo ai pescatori di avvistarlo e, sperava, decidere che non era pericoloso.
La sua apparizione generò scompiglio.
I bambini scomparvero e così anche le ragazze più giovani.
Le donne mature e i vecchi presenti si riunirono in un capannello, evidentemente per decidere sul da farsi, poi si schierarono presso le prime case del villaggio. Avevano in mano quanto poteva servire da arma, inclusi parecchi arpioni di rispettabili dimensioni.

“Probabilmente non hanno mai visto un cavallo”, lo informò l’Amuleto.
Jona valutò la distanza, poi, ben prima di arrivare alla portata delle armi da lancio, si fermò e scese da cavallo.
La cosa provocò un visibile ondeggiamento nelle fila di quelli che si stavano preparando a difendere il villaggio da un mostro.

Jona avanzò ancora qualche passo tenendo il cavallo per le briglie, arrivato ad un piccolo pruno selvatico vi legò la bestia e procedette appoggiandosi pesantemente al suo bastone.
L’Amuleto scelse di mantenere un basso profilo ed evitò di mandare lampi o bagliori che potessero essere interpretati come una minaccia.

L’Occhio di Lince gli mostrava volti preoccupati e tesi, sempre più tesi mano a mano che lui si avvicinava.
Prima che la tensione finisse per andare fuori controllo Jona si fermò e attese. Immobile.

Per qualche minuto non successe nulla, poi il muro compatto si aprì per lasciar passare una vecchia incartapecorita che venne verso di lui appoggiandosi a un corto bastone.

“Chi sei, straniero?” Chiese quando fu a pochi passi.
“Sono un pellegrino che segue il volere degli Dei.”
“Da dove vieni? Non abbiamo mai visto stranieri in questa terra”, poi indicò con il bastone il cavallo “e nemmeno mostri come quello!”
“Io vengo da un mare molto lontano. Ci sono altri uomini su questa terra, ma a molti giorni di cammino e non credo siano interessati a venire da queste parti. Per quanto riguarda il “mostro”, è un cavallo; è un animale docile e, in cambio di un po’ di foraggio fresco, è disposto a trasportare me e la mia poca roba.”
“E dove devi andare adesso?”

“Attento”, sibilò l’Amuleto.
La vecchia aveva ancora il bastone alzato e, al nome di Thano, tentò di calare la punta acuminata sulla testa del Mago che si limitò a passare il suo lungo bastone dalla mano destra alla sinistra, intercettando il pericoloso fendente,

“Non credevo di meritare tanta attenzione dalla Morte”, disse la vecchia riguadagnando l’equilibrio perduto nell’attacco.
“Tutti avremo la nostra parte di attenzione da parte di Thano”, le rispose sorridendo Jona, “ma io non credo di aver niente a che fare con questo. A quanto pare è a me che Thano si interessa in questo momento e ha deciso che devo andarlo a incontrare lontano da casa.”
“Scusa”, gli mormorò l’Amuleto all’orecchio, “temo di aver tradotto qualcosa del tipo “mi manda Thano” che suona abbastanza minaccioso.”

Jona le mostrò la Bussola che puntava dritta verso il villaggio.
“Vi chiedo ospitalità in nome degli Dei fino a quando non mi indicheranno di ripartire.”

Jona la interruppe: “Non so se voi abbiate scelta, io non ne ho di sicuro. Se preferite posso accamparmi da qualche parte nei dintorni in attesa di capire quali sono le volontà degli Dei.”
La vecchia scosse il capo: “No. Sento il volere di Thano molto forte. Non ci conviene cercare di sfidarlo. Aspetta un momento.”

Ciò detto si girò e tornò verso la sua gente.
Ci fu un concitato conciliabolo, poi la piccola folla si divise in due, mantenendo tutta la sua compattezza, e formò un corridoio.
La vecchia lo chiamò con un cenno della mano.
Lui andò a recuperare il cavallo e si incamminò a passo lento verso di lei.

Il corridoio si allargò.
“Starai a casa mia finché piacerà agli Dei, se anche mio marito è d’accordo”, gli disse la vecchia.
La casa era simile a tutte le altre: un grande rettangolo di mura a pietra coperto da un tetto a doppio spiovente composto da uno spesso strato di lunghi fili d’erba sovrapposti in modo da tenere la pioggia fuori e il caldo dentro. Era vecchia, ma molto ben tenuta, ed era la più vicina alla riva del mare, proprio dove finivano i ciottoli della spiaggia e cominciava l’erba.

Davanti all’ingresso sedeva un vecchio pescatore intento a rammendare una rete. Le sue mani correvano veloci sui fili, mentre il suo sguardo vagava lontano.
“Chi porti, Issa?”
“Un vagabondo mandato da Thano, penso che stia meglio da noi che altrove, che ne dici?”
“Un messaggero di Thano?” Si girò verso Jona con lo sguardo esitante:

Jona avrebbe voluto sbuffare, ma lo fece il cavallo per lui.
Il vecchio si girò verso il cavallo allarmato: “Thano?”

“I suoi occhi hanno visto troppe primavere. Ora non vedono più nulla”, spiegò la vecchia Issa.

“Non sono un messaggero di Thano. Thano mi impone questo viaggio, ma non ho incombenze e non sono certo venuto per prendere te.”

Jona guardò l’Amuleto, ma la Bussola era sparita. Lo fece notare alla vecchia: “Questo significa che mi devo fermare qui fino a nuovo ordine.”

Il vecchio era evidentemente in bilico fra il sollievo di non essere l’oggetto delle attenzioni di Thano e la delusione. Sembrava molto più rassegnato al suo immancabile destino di quanto non lo fosse Issa.

Jona rimase affascinato nel vedere come le mani del vecchio danzavano sulla rete, ne trovavano i difetti e li curavano, senza essere aiutate dagli occhi.
La vecchia Issa era entrata in casa e Jona rimase a lungo a chiacchierare con Tremalsong — questo era il nome del vecchio — e da lui seppe che tutti gli uomini adulti erano ora in mare, come tutti gli anni. Sarebbero tornati presto, una settimana, forse due, dipendeva da come era andata la pesca, poi sarebbero ripartiti per la grande traversata, ma non tutti. Alcuni sarebbero rimasti per iniziare la costruzione di altre barche.

Tremalsong tendeva a divagare, a raccontare aneddoti, a far domande e Jona aveva ancora le idee piuttosto confuse quando arrivò la prima barca che fece per spiaggiare proprio davanti alla casa.

La vista di Jona e, soprattutto, del cavallo produsse una notevole agitazione, con il risultato che l’operazione, evidentemente eseguita centinaia di volte, non riuscì bene e solo una piccola parte della prua salì sulla spiaggia, troppo poca per riuscire a trascinare la barca in secca.

Stavano cercando di usare una cima per trascinarla, ma la posizione non era comoda; Allora Jona prese la palla la balzo, si avvicinò con il cavallo, chiese “posso aiutare?” e poi, senza aspettare risposta dagli intimoriti marinai, legò la cima alla sella del cavallo e lo mise a tirare.
Non era certo la bardatura ideale da tiro, ma il cavallo era molto robusto e la lunga scialuppa da pesca salì leggera sulla spiaggia salutata da grida di gioia e risate.

Jona sorrise soddisfatto: il ghiaccio era rotto.

Come i Salmoni

Le imbarcazioni che erano andate alla pesca in mare aperto, presso un gruppo di isole lontane, furono avvistate esattamente dieci giorni dopo il suo arrivo al villaggio.

In questo periodo Jona aveva saputo molte cose sul popolo dei Viknuit — così si chiamavano i suoi ospiti — soprattutto da Tremalsong, sempre contento di raccontare e ascoltare racconti, ma anche da tutti gli altri che, poco a poco, avevano preso a fidarsi di lui e venivano volentieri nella grande casa vicino al mare a sentire le storie fantastiche che raccontava.

Venne così a sapere che i Viknuit si consideravano il popolo dei salmoni: come i salmoni migravano in mare aperto per trovare cibo, come i salmoni ritornavano sempre al villaggio d’origine dove trovavano le loro donne per prolificare e, più tardi, per finire la loro vita.
Le donne, specie quelle in età feconda, non si allontanavano mai troppo o troppo a lungo dal villaggio dov’erano arrivate alla pubertà.
Molto raramente, quando i villaggi diventavano troppo affollati, avveniva una diaspora e un certo numero di ragazzini non ancora nella pubertà venivano portati in un nuovo posto per formare una nuova colonia e lì lasciati assieme ad un certo numero di anziani per aiutarli.

I maschi adulti dei Viknuit prendevano il mare due volte all’anno: una in primavera, seguendo le rotte dei salmoni verso nord — ed erano questi che stavano ora tornando — e una seconda volta qualche settimana dopo il rientro, i più giovani partivano per la grande traversata verso la foce del Fiume Rabbioso, dal quale si diceva che venissero tutti i Viknuit e tutti i salmoni del mondo.

Questa grande traversata era tanto lunga che chi andava doveva svernare laggiù e tornare l’estate successiva.

La ricchezza principale del villaggio era costituita da una miniera di sale sulle colline dell’entroterra, sale che veniva usato per la concia e la conservazione del pesce.

Buona parte della lavorazione del pesce e della carne delle foche, altra risorsa importante, veniva fatta direttamente sulle barche.

Jona si stupì che si potesse fare una cosa del genere su barche tanto piccole, ma Tremalsong rise: le barche che vedeva erano solo dei giocattoli. Le navi Viknuit erano molto più grandi, fino a quaranta metri.

Le navi della “migrazione breve” erano imponenti, simili, come struttura, alle barche da pesca, ma lunghe dai venticinque ai quaranta metri e larghe, al centro, dai sei agli otto metri.

Erano navi slanciate, con prua e poppa alte e quasi identiche fra loro, solo la presenza del largo timone differenziava la poppa.
Avevano un unico albero che sosteneva un pennone che lo faceva diventare ancora più alto.
Le vele erano due: un fiocco e una randa aurica.

La giornata era splendida e il vento favorevole.
Arrivarono ad appoggiare la prua sulla battigia senza usare i remi.

Jona capì a cosa fossero dovuti i lunghi solchi che partivano dalla spiaggia a lato del villaggio.
Le grandi navi vennero tirate a terra su quegli scivoli naturali e lì rimasero mentre la festa del ritorno cominciava.

Il Mago rimase in disparte a guardare.
Erano sei, sapeva che tre avrebbero ripreso il mare per raggiungere, si sperava, il Fiume Rabbioso.

Pagarsi il passaggio

Per tutta la sera nessuno notò il Mago che fu felice di confondersi con la mobilia e osservare la festa del ritorno.

L’anno era cominciato bene: tutte le barche avevano fatto ritorno e non c’erano stati incidenti gravi.

Jona si ritirò presto e si stese, come al solito, su una panca imbottita di pelli.

La mattina dopo, quando il sole era già alto, si presentò da Troomsin, che era il capo della flotta che avrebbe preso il largo per le foci del Fiume Rabbioso, suo fratello Troomdex era a capo della flotta che, presumibilmente, stava facendo ritorno.

“Ah, tu devi essere il Mago pellegrino di cui mi hanno parlato”, esordì Troomsin appena lo vide.
“Infatti.”
“Mi hanno raccontato un sacco di storie, sul tuo conto. Cosa c’è di vero?”
Il tono era decisamente brusco e Jona si trovò istintivamente sulla difensiva: “Come posso saperlo, se non mi dici che ti hanno raccontato?”
“Non mi prendere in giro!” ruggì Troomsin.
Jona capì di aver sbagliato completamente tattica e cercò di correre ai ripari. Si drizzò, allargò le spalle e piantò il suo pesante bastone bene in vista: “Quello che ti posso dire è che quello che io ho raccontato è tutto vero.”
“Anche quando dici che ti manda Thano?”
“Anche quando dico che Thano mi ha imposto questo viaggio.” L’Amuleto, obbedendo ad un muto comando, emise una serie di lampi minacciosi che si scaricarono lungo il bastone fino a terra.
“Anche quando dici che non sai dove devi andare, di preciso?” Il tono di Tromsin era meno ostile.
“Questo è quello che so”, rispose Jona abbassando il bastone in modo che l’altro potesse vedere bene la Bussola.
“Questa punta verso l’altro lato del fiordo.”
“Ho provato a seguirlo via terra. Sono arrivato sulla sponda dell’oceano che, come ben sai, non è molto lontana, e questa continuava a puntare sempre nella stessa direzione, verso il mare aperto. Non credo che ci siano dubbi. Devo chiederti di unirmi alla vostra grande migrazione.”
“Non abbiamo posto per un passeggero.” La voce di Troomsin era ora piana e stava semplicemente enunciando un fatto. Aveva valutato Jona e aveva deciso che poteva essere considerato un uomo. Un passo avanti.
“Posso lavorare a bordo. Come ti hanno sicuramente detto vengo da un paese di mare, anche se molto lontano da qui, inoltre posso pagarmi il passaggio, lasciandovi il cavallo, per esempio.”
“Lascia perdere il cavallo! dovresti lasciarlo qui comunque. Non penserai mica di imbarcare pure lui, vero?”

Troomsin lo fermò con un gesto secco della mano: “Non capisci. Partecipare alla grande migrazione è un grande onore: per i ragazzi significa il permesso di prender moglie, per tutti gli altri non essere nella schiera degli anziani o, peggio, dei buoni a nulla! Tutti quelli che verranno con me si sono guadagnati il diritto di farlo. Non posso lasciare a terra qualcuno senza un buon motivo, e dubito che ci sia qualcuno disposto a cederti il suo posto!”
“Come posso guadagnarmi l’onore?” Chiese Jona cupo, immaginando già la risposta.
“Non puoi. Ci sono già parecchie ottime persone che non potranno venire perché una fottuta tempesta ci ha distrutto una nave, l’anno scorso e quella nuova non è ancora pronta. Ci fosse stata quella una probabilità l’avresti avuta. Mi dispiace. Prova l’anno prossimo con mio fratello.”

Jona non voleva darsi per vinto, anche perché sapeva perfettamente che Thano non avrebbe gradito.
“Perché non potete usare una delle navi più piccole? Mi pare che tengano il mare bene come le altre.”
Il comandante scosse la testa: “Non pescano abbastanza, non riescono a stringere il vento come quelle più grandi e non possiamo viaggiare assieme. No, non si può fare, purtroppo.”

Un barlume di idea si agitava nella mente di Jona:
“Saresti un mago!”
Jona sorrise placidamente: “Ma io sono un Mago!” L’Amuleto si accese di un’abbagliante luce gialla, “Vediamo se riesco a risolvere questo problemino. Posso chiedere aiuto a qualcuna di quelle “ottime persone” che sarebbero destinate a rimanere a terra con me?”
Troomsin era senza parole, ci mise qualche istante prima di rispondere: “Sì, certo”, mentre cercava di immaginare che avesse in testa l’altro.

La nave con le ali

Jona si chiuse tutto il giorno nella casa di Tremalsong, con l’Amuleto davanti a parlare fitto fitto con Serna prima, poi con Agio, quindi con il capomastro del cantiere di Tigu e infine con Festo.

Era oramai notte fonda quando si alzò dalla panca stiracchiandosi per sciogliere le membra intorpidite dall’immobilità.
Un largo sorriso gli aleggiava sul volto quando si decise finalmente a spiegare ai suoi perplessi ospiti che cosa stava succedendo.
Mentre raccontava in poche parole i suoi progetti si accorse di non aver toccato né cibo né acqua dopo colazione. Il suo stomaco stava cercando di farsi sentire già da un po’, ma solo ora ci stava riuscendo.

“Che diavolo sarebbe questa cosa? Una nave con le ali?” Ruggì Troomsin quando vide i risultati degli sforzi di Jona e dei suoi compagni.

Era passata una settimana esatta da quella prima conversazione e ora la soluzione del “problemino” era davanti agli occhi di tutti. Si trattava solo di vedere se fosse davvero in grado di funzionare.

La nave che avevano scelto era stata modificata applicando due lunghe “ali” incernierate sulla murata che ora erano quasi in verticale, appoggiate alle sartie che sostenevano l’albero.

Prepararle e fissarle era stato un lavoro estenuante, sia perché le tecniche costruttive dei Viknuit erano completamente differenti da quelle che conosceva Jona, sia perché non avevano la possibilità di fare molte prove: doveva funzionare al primo tentativo o sarebbero rimasti a terra.
I consigli di Festo si erano rivelati, come sempre, puntuali e risolutivi.

“Ali per volare sull’acqua, se ti piace. Vogliamo provarla?”

L’acqua del mare, lì in fondo al fiordo, era calma e piatta come sempre, ma le nubi sparse correvano in cielo e Jona sapeva bene che fuori, in mare aperto, il vento era teso e il mare ruggiva; un esame severo per la nuova creatura.

Le due navi vennero messe in acqua e presero il largo insieme.

Drizzate le vele, la nave di Troomsin cominciò lentamente a distanziare quella su cui era Jona, che scarrocciava di più sprecando molta della spinta delle vele.

Arrivarono alla bocca del fiordo navigando al traverso e Jona vedeva l’altra nave oramai lontana che aggrediva le onde alte più di due metri con grazia e potenza quando finalmente passarono l’ultima secca e Jona si azzardò a dar l’ordine di calare le “ali”, che in realtà erano due derive.

Il timoniere lascò prontamente mentre la deriva sottovento si inabissava e aderiva fortemente alla murata.
Jona tirò un primo sospiro di sollievo: i rinforzi tenevano egregiamente e ora la deriva era solidale con la nave che riprese a stringere il vento e si lanciò in avanti all’inseguimento della sorella maggiore.
Ora lo scarroccio era minimo e la nave minore riusciva a stringere il vento molto meglio dell’altra.
Il timoniere fece qualche aggiustamento, chiese la regolazione delle vele e cominciò a sorridere mentre vedeva che il suo scafo guadagnava acqua.
Il sorriso si trasformò in un boato di gioia quando la piccola nave
superò l’altra, pur essendo parecchie centinaia di metri sopravvento.

Continuarono le prove per tutta la giornata, ma oramai sapevano di avercela fatta.
Tornarono al fiordo mentre il sole si abbassava fra le nubi che promettevano tempesta.

La Grande Migrazione

Esattamente il giorno del solstizio d’estate la piccola flotta, composta da quattro grandi navi Viknuit e dal piccolo “vascello alato” — come avevano preso a chiamarlo scherzosamente i pescatori — prese il mare con la marea che si abbassava aiutandoli a uscire del fiordo.
La giornata era perfetta e spirava un debole vento da nordest.
Le navi girarono attorno ad un’ansa del fiordo e il villaggio scomparve alla vista; la Grande Migrazione era cominciata.

Una volta in mare aperto puntarono verso nord seguendo da lontano l’alta costa frastagliata. Procedevano ad una certa distanza l’una dall’altra in modo da poter manovrare con tutta calma.

Jona stava imparando la lingua dei Viknuit, più per gioco che per altro, faceva i suoi turni al timone e per le altre corvee di bordo ed era sempre disponibile a parlare con gli altri, ma, per la maggior parte del suo tempo, stava seduto su un gran rotolo di corda con la schiena appoggiata all’albero a studiare. Leggeva i libri immagazzinati dall’Amuleto, studiava con lui la lingua dei Nani, rimaneva in contatto con casa sua a Tigu.

Le giornate si succedevano tutte uguali mentre la piccola flotta procedeva lentamente lottando contro il vento che cercava di allontanarla dalla costa, poi un giorno la costa rimase indietro e attorno a loro non ci fu che acqua.

Jona, grazie all’Occhio dal Cielo, sapeva esattamente dove erano e dove erano diretti: un gruppo di isole quasi esattamente a nord: le isole della Piccola Migrazione.
Si trattava di mari molto pescosi e lì sarebbe cominciato il lavoro vero.
Quello che Jona non capiva era come riuscisse Troomsin a guidare la flotta in mare aperto, senza l’ausilio di un Amuleto.
“Hai visto che Tromsin fa misurazioni all’alba e al tramonto?”

“Un orologio?”
“Una specie. Si tratta di un oggetto molto piccolo, più piccolo di me, ed estremamente preciso. Se hai quello anche la longitudine è facile da calcolare: basta vedere in che momento, esattamente, sorge — o tramonta — il sole. Se non hai il cronografo i calcoli diventano molto più complicati e bisogna calcolare l’altezza di certe stelle quando sorge il sole.”
L’Amuleto cercò anche di spiegargli nel dettaglio quali fossero i calcoli necessari e Jona comprese l’idea generale, ma dubitava fortemente di riuscire ad eseguirli in pratica con la necessaria precisione.
La stima che aveva di Troomsin crebbe.
Poi gli venne un dubbio: “Ma se il cielo è coperto?”
“Allora si è nei guai. I Viknuit hanno buoni metodi per valutare la direzione di marcia e la velocità, ma sono efficaci solo per percorsi brevi. Per questo, a volte perdono intere flotte.”

Le isole della Piccola Migrazione apparvero davanti a loro nella bruma del mattino.

Si infilarono in un lungo canale fra due isole dove scorsero alcune vele lontane. Jona era vicino al timoniere e gli chiese: “Queste isole sono abitate?”
“Certo, ci sono ben cinque villaggi su queste isole. Quelli”, aggiunse indicando le vele, “sono quelli che non hanno potuto partecipare alla loro Grande Migrazione.”,
“Non ci fermiamo da qualche parte?”
Il timoniere lo guardò inorridito: “Sei matto? La Grande Migrazione deve essere fatta senza toccare mai terra!”
“Scusa, non lo sapevo”, rispose Jona con un’aria talmente contrita da strappare un largo sorriso al timoniere.
Questi era un tipico Viknuit: non molto alto — Jona lo sovrastava di una decina di centimetri, pur non essendo certo un gigante — con una faccia rotonda caratterizzata da un naso camuso, da due occhietti piccoli che sembravano due fessure orizzontali e da una larga bocca spesso atteggiata al sorriso.

Jona rimase a lungo a fissare quelle vele lontane e a meditare sulla vita di quel popolo che, pur essendo vitale e vigoroso, perpetuava gli usi e costumi tramandati attraverso le generazioni quasi ciecamente, senza pensare di poterli cambiare.

La piccola barca conteneva cinquanta persone: quarantacinque pescatori migranti e cinque ragazzine di dieci anni, orgogliose del loro ruolo di “trasmigranti”.

Jona aveva impiegato parecchio tempo a capire questa funzione ed era dovuto ricorrere all’aiuto di Asclep; i Viknuit, infatti, gli avevano solo spiegato che cosa facevano: ogni anno la Grande Migrazione portava con sé un certo numero di ragazzine che venivano “scambiate” con loro coetanee nella grande festa d’inverno, così che i migranti tornavano a casa con lo stesso numero di ragazzine che presto avrebbero avuto il menarca e “quindi” non si sarebbero più potute muovere dal villaggio.
I Viknuit narravano storie tremende di villaggi che avevano rinunciato a questa tradizione ed erano incorsi nell’ira degli Dei.

A Jona tutta questa storia non quadrava assolutamente e quindi chiese spiegazioni ad Asclep.

C’è parecchio di vero in quello che raccontano”, gli disse il Dio, “I Viknuit hanno un senso dell’olfatto e del gusto particolarmente sviluppato e tutti, ma soprattutto le femmine, sviluppano una specie di assuefazione per odori e sapori del luogo di origine. Naturalmente il fatto di essere fermamente convinti che andandosene saranno infelici rafforza questo effetto.
Per quanto poi riguarda il fatto che la tradizione è funzionale questo è del tutto vero e mi stupisce”, proseguì Asclep con un tono particolarmente severo, “che tu non ci sia arrivato da solo. I villaggi, come sai, sono composti da poche centinaia di persone. Senza scambi si finisce per essere tutti strettamente imparentati, e tu sai quanto questo sia negativo, dal punto di vista genetico.
“Ma il menarca?” aveva chiesto Jona, pur sentendosi un po’ a disagio di fronte all’atteggiamento professorale del Dio.

L’isola del Fuoco

La mattina dopo la terra era scomparsa alle loro spalle e intorno a loro il mare era di un blu profondo.

Non ebbe bisogno di consultarsi con l’Amuleto per sapere che avevano cambiato direzione, ora andavano verso nord-ovest e procedevano più spediti, con il vento al traverso.

Anche la routine di bordo cambiò in maniera drastica: era iniziata la pesca in mare aperto.

Pescavano all’amo, tenendo solo le prede migliori — sapevano di avere tutto il tempo per riempire la stiva — e le pulivano immediatamente, per poi cominciare la conservazione, diversa per i vari tipi di pesce.

Jona imparò cose sulla conservazione del pesce che non avrebbe mai immaginato.
In Ligu il pesce si consumava quasi esclusivamente fresco, Solo poche cose, le alici, per esempio, venivano conservate sotto sale, chiuse in barili.
Questo perché, più o meno bene, si poteva pescare tutto l’anno; qui, invece, la stagione della pesca era corta, essenzialmente dalla fine di marzo fino a settembre, poi si doveva pescare solo nei fiordi e nei mesi invernali si viveva essenzialmente tappati in casa ad aspettare che arrivasse la primavera.
Avere scorte variate e non avariate era assolutamente indispensabile.

Le lavorazioni erano tutte lunghe e quasi tutte impiegavano la scorta di sale che appesantiva la stiva. Jona si interessò anche alla varietà di erbe seccate che venivano usate per insaporire il pesce prima della seccatura, affumicatura o salatura finale.
L’affumicatura avveniva in una specie di tenda di grossa tela che conteneva un braciere alimentato con torba seccata.
Lo spazio liberato dalle scorte consumate veniva utilizzato per sivare il pesce conservato.

Il timoniere, con cui Jona aveva imbastito un certo rapporto di amicizia, gli spiegò che il pesce che stavano preparando sarebbe stato scambiato con attrezzi, pelli ed altre cose che non si potevano trovare o produrre nei piccoli villaggi. Quello che avrebbero pescato al ritorno sarebbe, invece, servito per il consumo invernale.

Le giornate si succedevano uguali, con il tempo che si manteneva buono e il vento costante.

All’orizzonte apparve finalmente l’Isola del Fuoco: una terra aspra, costellata di vulcani e scintillante di ghiacciai.

La costeggiarono per due interi giorni e due notti, prima di virare decisamente verso ovest e riprendere il mare aperto.

Il timoniere gli disse che anche lì c’erano insediamenti Viknuit e che sfruttavano il calore di vulcani e geyser per sopravvivere al gelo invernale.

Sul mare cominciarono ad apparire delle isolette ghiacciate e Jona rimase incredulo quando il timoniere gli spiegò che si trattava di blocchi di ghiaccio alla deriva.

“Vedrai quanti ce ne saranno quando passeremo accanto alla Terra dei Ghiacci”, gli disse il timoniere con aria di chi la sa lunga.

In effetti gli avvistamenti di quei blocchi di ghiaccio si fece sempre più frequente e le dimensioni maggiori fino a che, dopo molti giorni, non apparve la Terra dei Ghiacci.

Jona era affascinato.

Nebbia

Una notte Jona fu svegliato dal suono di una campana.
“Che succede?”, chiese al pilota.
Altro rintocco.
“Nebbia”, fu la laconica risposta, ma la voce preoccupata e tesa non lasciava dubbi.
Ding!
“Occhio dal Cielo”, ordinò Jona all’amuleto.
L’Occhio apparve mostrandogli la posizione nella notte, ma era in versione ridotta, disegnato sulla superficie dell’Amuleto stesso, quasi non volesse farlo vedere ai Vinuit.
Ding!
“Perché non vuoi farlo vedere?”
“Hanno i loro metodi. Meglio lasciarli fare, almeno per ora.”

Dalla nave ammiraglia, della quale si vedeva solo il puntino luminoso della lanterna sfuocato dalla nebbia si sentì levare una cantilena.
Ding!

Ding!
Jona continuò a seguire la loro rotta nel silenzio teso che regnava a bordo.

Molti “Ding” più tardi, quando il sole era oramai sorto e la nebbia avvolgeva completamente la nave, il canto, che non era mai cessato, cambiò.
Di-Ding!
Un sospiro di sollievo pervase tutto l’equipaggio mentre il canto sfumava.
“Posse ha risposto. Le orche ci guideranno”, disse il timoniere, più per sé stesso che in risposta all’occhiata interrogativa di Jona, mentre il sorriso ritornava sul suo viso.
Di-Ding!

La nebbia non era molto fitta, ma più che sufficiente a nascondere le navi l’una dall’altra e a rendere pericolosa la navigazione.
Una volta il timoniere fu un po’ lento a rispondere ad un cambio di rotta della campana e loro videro apparire, come per magia, un’alta parete di ghiaccio alla loro destra. Tutti la guardarono sfilare lentamente fino a quando non fu inghiottita di nuovo dalla nebbia.
Un dolore al petto lo informò che stava trattenendo il fiato e Jona si costrinse a riprendere il respiro.

Continuarono a procedere lentamente nella nebbia per tutto il giorno e la notte successiva, poi, quando il sole era già alto sentirono il vento che riprendeva vigore. In pochi minuti la nebbia era scomparsa e il sole splendeva nel cielo terso.

Jona vide le orche.
Erano dei pesci enormi, no non erano dei pesci, avevano la coda orizzontale. Dei delfini. Bianchi e neri. Lunghi fino a una decina di metri. Si comportavano più come una famiglia che come un branco, con i più giovani in posizione protetta.

Arrivo

Procedevano verso sud, costeggiando la Terra dei Ghiacci, blocchi e montagne di ghiaccio diventavano sempre meno numerose mentre loro si avvicinarono sempre più all’alta costa che alternava speroni rocciosi a distese di ghiaccio che scendevano fino al mare, poi anche questa costa finì e venne lasciata indietro, mentre le cinque navi procedevano veloci a favore di vento verso sud-ovest.

Il tempo peggiorò vistosamente e furono salutati da piogge e temporali quasi quotidianamente, poi dopo un altro paio di settimane di mare aperto si infilarono in uno stretto che arrivò ad essere largo solo una decina di miglia.

Oramai le stive erano piene e la pesca finì.
Anche la scorta di acqua potabile era oramai scarsa, ma non importava: la Grande Migrazione volgeva al termine.

Sul mare cominciavano a vedersi altre flottiglie dirette al Gran Mercato.

Il timoniere spiegò a Jona che loro erano sempre tra gli ultimi ad arrivare perché erano una delle colonie più lontane e, visto che la migrazione cominciava per tutti nello stesso giorno, loro dovevano accontentarsi.

Proseguirono ancora seguendo la costa alla loro destra anche quando lo stretto si allargò e le terre a sinistra scomparvero alle loro spalle.

Intorno a loro si cominciavano a vedere barche da pesca normali, più piccole delle navi, fino a che, a metà agosto, dopo quasi due mesi di navigazione arrivarono nella baia del Gran Mercato.

Jona non aveva mai visto tante navi tutte insieme. La grande rada semicircolare era completamente piena di navi alla fonda e le rive sabbiose erano coperte da un tappeto di navi arenate. Dopotutto, si disse il Mago, circa un quinto dell’intera popolazione Viknuit era presente lì in quel momento, Aveva già visto città che avevano più persone, la stessa Door aveva certamente più abitanti dei circa centocinquantamila Viknuit che affollavano il Gran Mercato, ma vedere quelle due o tremila navi alla fonda faceva una certa impressione.

La piccola flotta sfilò a ranghi compatti dietro la nave di Troomsin, salutata da urla di benvenuto, e andò ad occupare il suo posto, vicino ad una delle estremità del porto naturale, ben lontano dagli edifici centrali che si vedevano chiaramente su una collina davanti a loro.

Le ali della piccola nave di Jona, ora sollevate per evitare di romperle sui bassi fondali, destarono molta curiosità e ancor maggiore ilarità.

Troomsin poteva contare solo su un posto per una nave, sulla spiaggia. Le altre sarebbero rimaste alla fonda.
Pilotò la sua nave decisamente sulla spiaggia dove si arenò solidamente nel solco lasciato dalle sue consorelle.
L’equipaggio balzò a terra e mise in azione un paio degli argani sparsi per tutta la spiaggia facendo avanzare la nave fino a che non fu quasi completamente all’asciutto.
Le altre navi si accostarono alla poppa rimasta sul bagnasciuga e si ancorarono a quella.
Passerelle di legno completarono l’opera e l’intera flottiglia era diventata un grosso pontone sporgente dalla spiaggia.

Troomsin e pochi altri andarono a prendere possesso delle case lasciate alcuni mesi prima dalla precedente Migrazione.