4: I monti Penn

Risalita dei Penn

Jona tornò improvvisamente a molti anni prima, quando ancora Gerba era il mago di Tigu e lui veniva mandato a sbrigare commissioni ed ambasciate in tutta Ligu, a volte a centinaia di chilometri di distanza.
In quei viaggi fatti da solo aveva imparato a chiudersi in un suo mondo personale ritmico, di passi e di pietre, di respiro e di erba. I suoi pensieri erano come disconnessi e vagavano altrove, ma i suoi sensi rimanevano allerta e assorbivano i particolari attorno a lui.

Ora il suo inconscio attirò la sua attenzione: il sentiero si era unito a una stradicciola più larga; larga abbastanza da permettere il transito di carri, che erano passati da lì poco prima, a giudicare dalle tracce fresche rimaste sull’erba.

Alzando gli occhi vide che davanti a lui, a poca distanza, arrancava una piccola carovana, quattro carretti trainati da muli; altrettanti uomini a piedi li guidavano tenendoli per la cavezza.
Jona guadagnò lentamente terreno fino a raggiungerli.
“Salve, posso fare la strada con voi?”, chiese quando era ormai a pochi metri.

Insidie di montagna

Le ombre si stavano allungando e Jona cominciò a guardarsi attorno per cercare un bivacco.

I quattro viandanti, d’altra parte, sembravano assolutamente tranquilli e Jona sperò in cuor suo che conoscessero la strada. Era tentato di chiedere informazioni, ma non voleva far vedere che era la prima volta che passava da lì.

Un’imprecazione lo riscosse. Alzò gli occhi e vide il carro davanti al suo inclinarsi verso il burrone, aveva una ruota fuori dalla stradella, pericolosamente sospesa nel vuoto. Le pareti, in quel punto dove il sentiero girava attorno ad uno sperone roccioso, erano particolarmente scoscese. Non c’era spazio per muoversi.
Prima che si avesse il tempo di reagire il mulo, spaventato, prese a scalciare e quella fu la sua fine. Il carretto sfuggì alla presa dei due uomini e lo trascinò giù, ribaltandosi più volte prima di arrivare in fondo sul greto del torrente che si tinse di rosso.
Il tutto era durato pochi secondi.
I viandanti avevano ancora il loro daffare per calmare i muli rimasti.
Con molte difficoltà finirono di girare attorno allo sperone e arrivarono in un punto dove la carrareccia si allargava abbastanza da garantire una relativa sicurezza.
“Maledetto mulo testone!”
“Ma che diavolo è successo?”

“Ho visto io quello che è successo. La ruota è passata su un pietrone che la ha spostata di un palmo. Un palmo più in là c’era il vuoto. Non ho fatto a tempo nemmeno a dirti “attento!””
“Andiamo a vedere?”
“Sei matto? Per scendere laggiù ci vorrebbe un’ora e più”, guardò il cielo, “e noi non l’abbiamo. E poi, che cosa pensi di trovare? Solo cocci unti. Peccato. Era un buon olio d’oliva”
“Adesso rimettiamoci in cammino, il bivacco è vicino, ma non ci arriveremo se stiamo qui a chiacchierare come vecchie comari”.
I muli si erano un po’ calmati e si rimisero in cammino.

Il bivacco

Il bivacco non era molto lontano, ma lo raggiunsero che il sole era già calato.
Si trattava di un ampio spiazzo proprio sotto la cima arrotondata della montagna, protetto dal vento dall’ultimo costone e da parecchi bassi cespugli di pini montani. Al centro c’era un ampio braciere costruito con pietre levigate.
I quattro viandanti sistemarono i carri su tre lati di un quadrato e poi staccarono i muli.
Uno dei suoi compagni di viaggio cominciò a scaricare da un carro gli attrezzi da cucina e a quella vista Jona si dispose a cercare un po’ di legna da ardere.

“Venite spesso quassù?”, chiese Jona piuttosto stupito.
“Due volte il mese, tempo permettendo. I commerci vanno bene.” Cominciarono a scaricare un po’ di legna secca e delle provviste, intanto il mercante spiegava: “Nella Valle non hanno ulivi e l’olio lo pagano bene. Pensa, che prima che arrivassimo noi, usavano soltanto l’olio fatto con le noci! In compenso hanno buon grano a basso prezzo e delle stoffe! Colori che noi in Ligu nemmeno ci sogniamo!”
Jona preparò il focolare e lo accese usando l’acciarino. La fiamma prese rapidamente, forse troppo, chissà se l’Amuleto gli aveva dato una mano?

Era ormai buio pesto quando la cena fu pronta e i cinque uomini si sedettero attorno al fuoco.
Come si era aspettato arrivò puntuale la domanda: “Ma tu che ci fai quassù?” Era stata fatta senza la minima malizia, ma esigeva una risposta credibile; era chiaro che i quattro non incontravano molti viandanti da quelle parti. Jona aveva preparato la risposta con largo anticipo: “Sono lo speziale della sacerdotessa di Asclep. Devo andare a fare raccolta di certe radici che crescono solo da queste parti.”
“Chi, la vecchia Dania?”, il cuore di Jona perse un battito: non ci teneva proprio a essere riconosciuto, “Ecco dove avevo visto la tua faccia, era un po’ che mi chiedevo dove ti avevo incontrato!”
“Sì, lei, ma non ricordo d’averti mai visto. Sei venuto al tempio di recente?”.
“Sì, ero venuto a portare mia figlia, è normale che non ti ricordi”.

Mappa

Jona estrasse l’Amuleto e chiese la comunicazione.

Stavolta c’era solo Serna.
“Problemi?”, chiese Jona un po’ preoccupato.
“No”, rispose Serna con un sorriso “solo che le nostre puerpere si sono date da fare: quattro parti in un giorno solo.”
Quattro parti! Nella loro piccola comunità era un evento raro. Qualcuna doveva aver affrettato un po’ i tempi
“Vado anch’io; c’è il marito di Tania più agitato di sua moglie. Devo tenerlo d’occhio. Ci sentiamo domani!”
“Amuleto, chiudi”, disse il Mago sottovoce. Serna scomparve, al suo posto apparve la mappa. Jona rimase interdetto. Non solo non l’aveva chiesta, ma vedeva bene che c’erano due sentieri segnati: quello che gli aveva mostrato il giorno prima e un altro, più sottile e luminoso che s’inerpicava in alto, e passava su un crinale che sovrastava di parecchio il passo che aveva intenzione di percorrere con i mercanti.
Stava per chiedere informazioni, ma sentì un fruscio e la mappa scomparve.
Jona si riabbottonò i pantaloni e ritornò al fuoco.
Era sicuro di aver memorizzato il secondo sentiero, ma non capiva perché avrebbe dovuto prenderlo.

Il passo

Verso mezzogiorno arrivarono al punto dove il sentiero si divideva. Il tratturo che doveva prendere saliva ripido sulla costa di un picco roccioso. Jona era tentato di proseguire sulla carrareccia, infinitamente più invitante.
“Beh, qui le nostre strade si dividono”, disse invece.
“Buona ricerca, fratello!”
“Buona fortuna anche a voi.”
Procedette lentamente, gli occhi sul sentiero, la mente libera, il respiro regolare.
Dopo pochi minuti la piccola carovana scomparve dietro una curva. Presto anche i rumori delle ruote e degli zoccoli svanirono. Era solo.

A una svolta del tratturo, molto più in alto, la vista si aprì su un’altra valle e un altro ruscello che scorreva verso nord.
Rivide anche i mercanti che avevano appena valicato il passo, qualche centinaio di metri sotto di lui, ma c’era qualcosa che non andava.
Uomini acquattati dietro uno spuntone roccioso. Senza quasi pensare estrasse l’Amuleto e cominciò a dargli istruzioni. L’Amuleto si accese immediatamente, con barbagli rosso sangue.
Intanto la carovana era arrivata all’altezza delle rocce. Gli uomini nascosti si prepararono a balzare fuori. Anche lui era pronto.
I briganti si lanciarono all’attacco con le spade sguainate. Jona diede il comando. L’Amuleto disse: “No” e si spense.
Rimase basito. Non gli era mai successo di essere contraddetto dall’Amuleto.

Nel frattempo, sotto di lui, il dramma ebbe rapidamente termine. I mercanti non fecero nemmeno a tempo di prendere le armi dai carri. Furono trucidati in pochi istanti, buttati sui carri e la piccola carovana ripartì verso il basso, con nuovi padroni che lanciavano urla di giubilo per la facile vittoria. Scomparvero alla vista prima che Jona fosse riuscito a muovere un muscolo. Fortunatamente nessuno dei briganti aveva guardato verso l’alto.

“Che diavolo ti viene in mente?”, sibilò all’Amuleto, ma quello rimase perfettamente inerte, come fosse davvero un medaglione di lucido legno e nulla più.
Jona cercò di riattivarlo, ma avrebbe potuto rivolgersi alla roccia su cui era seduto: l’effetto sarebbe stato lo stesso.

Calava la sera e come il cielo cambiava colore, così cambiarono colore anche i sentimenti del Mago. Alla rabbia per l’insubordinazione si stava sostituendo l’angoscia per la sua situazione. Che significava tutto questo? Aveva forse già fallito la sua missione? Dove aveva sbagliato e perché?
Il sole scomparve e Jona si riscosse. Con o senza Amuleto doveva trovare un posto per passare la notte.
Lungo la strada percorsa non c’era riparo.
Cercò di ricordare la mappa vista la sera prima. Gli sembrava che il piccolo sentiero terminasse poco più avanti del punto dove si trovava. Pregò Ipno di non sbagliarsi e si rimise in moto. Doveva sbrigarsi; stanotte non avrebbe potuto contare nemmeno sull’aiuto della luna.

Lo zaino diventava più pesante ad ogni passo, ma Jona si costrinse a mantenere un’andatura sostenuta. Le caviglie e le ginocchia protestavano per i contraccolpi della discesa.
Non si era sbagliato; sotto di lui vide un piccolo spiazzo erboso con dei cespugli che lo proteggevano.
Si avvicinò quasi di corsa, tenendo una mano sul manico del lungo coltello che portava alla cintura e badando bene a far rumore. Quel posto era ottimo anche come rifugio per animali: serpenti, lupi e, forse anche orsi, tutti comunque ben felici di evitare il contatto con l’uomo.
La piccola grotta era vuota. Troppo poco profonda per essere una tana comoda.
Si accorse di tremare e non soltanto per lo sforzo.
Oramai era quasi completamente buio.
Appoggiò lo zaino alla parete e cercò di rilassarsi.
Dopo poco il respiro divenne regolare, ma non poteva certo dirsi tranquillo.
Si costrinse a mangiare qualche galletta e a bere un po’ d’acqua.
Tentò di nuovo di attivare l’Amuleto. Niente da fare.
Si avvolse nel tabarro e usò lo zaino come schienale.
Dormì seduto con il coltello in mano.

La discesa

I primi chiarori dell’alba lo ridestarono, sempre che avesse dormito.

A un certo punto le stelle erano scomparse e lui aveva perso la nozione del tempo.

Adesso era intirizzito e quasi incapace di muoversi.
Una fitta nebbia lo avvolgeva. Impossibile camminare in quella penombra traditrice. Forse era meglio aspettare che il sole sorgesse.
Un campanello cominciò a suonare insistente dal fondo del suo cervello. Fastidioso.
Il campanello si congelò in un pensiero preciso: “Se non mi muovo ora Thano mi prende.”
Si costrinse ad alzarsi. Muscoli e giunture protestarono sonoramente.

Doveva essere più tardi di quanto pensasse: il sole, già alto nel cielo, filtrò per un momento attraverso la nebbia come un vago fantasma giallastro.

Cominciò gli esercizi mattutini per riattivare la circolazione. Era ancora gelato. L’umido della notte aveva risucchiato tutto il calore dal suo corpo. Prese dallo zaino la fiaschetta del cordiale e ne ingollò un gran sorso. Gli bruciò la gola, ma sentì il calore espandersi dallo stomaco. Ne aiutò l’azione costringendo i muscoli induriti dalla fatica e dalla posizione scomoda a muoversi.
Il sole, dopo la prima fugace apparizione, stava tornando e pareva deciso a rimanere. Jona pregò Zeo di dargli forza; sapeva di averne bisogno.
Zeo, a quanto pareva, aveva buon orecchio. Il sole riuscì finalmente a bucare la nebbia e fu una calda presenza, non solo un pallido fantasma avvolto nel bianco sudario.
Si tolse il mantello e lo stese ad asciugare, poi proseguì la sua ginnastica fino a quando non sentì svanire la sensazione di gelo.

Sotto di lui il panorama era splendido. La nebbia formava un vasto mare bianco da cui spuntavano, come un arcipelago, le cime delle montagne.

Tentò inutilmente di attivare l’Amuleto.

La Caccia sembrava finita ancor prima di cominciare.
Rimase qualche minuto a fissarlo, poi si alzò, si rimise in ordine, si riallacciò lo zaino sulle spalle e cominciò a scendere verso quel mare che stava lentamente evaporando sotto i raggi del sole.

Camminava lentamente. Sapeva molto bene che la discesa è più faticosa della salita, almeno per un uomo della sua età.
Cercava di fare piani, ma era difficile. Aveva perso l’unica vera fonte d’informazioni.
I mercanti gli avevano parlato un po’ della Valle. Sapeva che c’era un grosso villaggio ai piedi delle montagne dove andavano a barattare le loro merci. Più a nord c’era anche una grande città: Mila, ma i mercanti non c’erano mai stati. Lì sicuramente avrebbe trovato un tempio. Quella era la sua prossima meta. Non sapeva cosa fare dopo. Sapeva però che tornare indietro non sarebbe servito a nulla, anche se la tentazione era forte.

I pastori

Jona accelerò il passo e si portò al riparo degli alberi. Era stanco e aveva bisogno di riposare, ma non poteva certo presentarsi nel covo dei briganti
Tornò sulla carrareccia che aveva seguito nella discesa e vide le tracce dei carri passati la sera prima. Le seguì per un tratto e dopo aver controllato che proseguissero verso valle, tornò indietro tagliando per i boschi e rimase a osservare il gruppo di casupole: erano di pietra a secco e senza finestre, i tetti di lastroni piatti. Malghe estive. Pastori, pecorai a giudicare dai bassi steccati circolari che servivano a tenere le bestie ammassate contro il freddo della notte. Jona ebbe un brivido al pensiero. Si sentiva un po’ più sicuro, ma non aveva intenzione di rischiare. Rimase ancora a guardare.

Poco dopo, da uno degli alpeggi uscì un vecchio che diede tre colpi decisi a un grosso campanaccio appeso vicino alla porta. Immediatamente si sentirono da lontano fischi e latrati di cani. Jona si rilassò. Pastori. Quando vide arrivare il primo, un bambino che agitava il suo bastone per dirigere le pecore, mentre i cani zigzagavano intorno al gregge cominciò a sentirsi sicuro.
Le ultime bestie stavano entrando nel loro recinto quando apparvero altri pastori; questi erano adulti, avevano lunghi bastoni e un coltello alla cintura, ma non si vedevano né spade né altre armi. Jona uscì dal bosco e s’incamminò verso di loro.
“Salve!” Gridò da lontano.

Osservò con interesse la reazione; per prima cosa si misero in allarme, stringendosi assieme e impugnando i bastoni; poi probabilmente, vedendo che era solo, si rilassarono un po’ e fischiarono per richiamare i cani che già si erano portati a semicerchio davanti a loro e stavano avanzando rugliando sommessamente; quando infine notarono il suo abbigliamento, diverso nella foggia e nei colori dal loro, Jona vide i segni della curiosità.
Avanzò con passo deciso, tenendo le braccia bene in vista e lontane dal corpo.

“Salve!” ripeté quando fu vicino, “mi sono perso. Nella nebbia ho perso il sentiero e devo essere sceso dalla parte sbagliata”.
“Salattè. Dundoveni?” gli rispose il vecchio che aveva visto per primo.
“Vengo da Ligu. Sono finito nella Valle, vero?”
“Nosemammonte, avalle ecchiggiù”.
Parlava con un accento pesante, ma ancora comprensibile.
“Posso fermarmi per la notte?”
“Hai coperte? Stanotte farà freddo.”
“Più freddo che in mezzo alla foresta?”

Verso la Valle

Rimase con i pastori tutto il giorno seguente cercando si smaltire la stanchezza e di avere informazioni sulla Valle che si trovava a nord, sul suo cammino.

Il vecchio parlava volentieri mentre lavorava per preparare i caci con il latte delle pecore. Jona cominciava a farsi un’idea della strada da percorrere.

Quando si rimise in viaggio, la carrareccia era comoda e lui riposato, aveva una meta e il sole metteva allegria.

Dietro una curva si trovò improvvisamente di fronte Thano: “Bravo Mago! Hai superato la prima prova!
Jona annuì: Thano aveva sistemato bene la sua prima trappola, lassù in montagna.
Il Dio rise. “No, non è quella la prova che dovevi superare. Quella era facile. Non mi aspettavo certo che ti facessi fermare da un po’ di nebbia!
Jona stava per replicare, ma di Thano restava solo la sua risata.
Davanti a lui si snodava la strada di mattoni gialli. Jona capì in un lampo. Era stata la sua determinazione a essere messa alla prova. Se fosse tornato indietro, com’era stato tentato di fare, avrebbe perso. Con ogni probabilità non sarebbe uscito vivo dai monti Penn.