Riposo
Jona stava lottando per rimanere in piedi. Prima che perdesse la battaglia e la faccia il sacerdote lo prese familiarmente sotto braccio e, parlando sommessamente, lo condusse attraverso il portale a ogiva che dava accesso alla grande sala delle udienze del tempio, poi voltò bruscamente a destra e si infilò in uno stretto corridoio.
“Non cercare di camminare da solo. Considera un successo il semplice fatto di essere riuscito a stare in piedi finora. Uomini molto più giovani di te non sarebbero sopravvissuti al viaggio.” Jona faceva fatica a camminare normalmente. Le gambe continuavano a cercare di saltare, ma, senza il sostegno degli elfi, non sarebbe riuscito nemmeno a scendere un gradino. Fortunatamente non ce n’erano. Il sacerdote lo guidò per un paio di brevi corridoi poi entrò in una stanzetta che aveva tutta l’aria di essere uno studio medico.
Lo fece stendere sul lettino. Jona fece per protestare ma era debole come un gattino e l’elfo era abituato a trattare con i malati recalcitranti. Lo palpò leggermente tenendo gli occhi fissi sul suo Amuleto verde. Jona ebbe una fitta al cuore riconoscendo i gesti di sua moglie. Che stava facendo ora? Trasalì quando il sacerdote batté le mani.
“Signore?” Un’Elfa alta e sottile era comparsa come per magia al suo fianco.
“Pasto ipercalorico proteico tipo B, poi tisana calmante per ventiquattr’ore di sonno. Il nostro amico ha bisogno di riprendersi. Idratazione.”
“Non potete mettermi a dormire per un giorno intero”, cercò di protestare Jona. Il Sacerdote lo guardò fisso negli occhi: “Pensi veramente di essere in grado di ragionare? Hai da smaltire tante di quelle tossine, e non solo di stanchezza, che non so se un giorno di sonno basterà. Meglio essere in forma per l’udienza con Re Falanor, non credi?” Jona sapeva che aveva ragione. L’assistente lo prese delicatamente sotto braccio e lui riuscì a seguirla senza appoggiarsi troppo.
“Bell’aiuto mi hai dato”, disse rivolto all’Amuleto mentre si lasciava guidare verso una stanzetta con un letto, un tavolino e una deliziosa finestra a sesto acuto che lasciava filtrare la luce attraverso un vetro decorato con mille sfumature di verde.
“Ho controllato costantemente i tuoi parametri. Non hai mai corso pericoli. Questa corsa, anzi, ti è servita a rimettere un po’ di tono in quei muscoli che stavi lasciando inflaccidire. Quando ti sarai ripreso sentirai d’avere dieci anni di meno.”
Jona rispose con un improperio che l’Amuleto non si curò di tradurre, ma fece fremere le orecchie dell’infermiera che, pur senza capire le parole sentì il tono e gli lanciò un’occhiata di riprovazione molto professionale.
Jona le sorrise serafico: “Allora? Arriva questo “pasto ipercalorico proteico tipo B”? Effettivamente ho un po’ fame.”
Lei lo guardò dubbiosa e uscì per tornare subito dopo con un vassoio su cui si trovavano tre grosse tazze. Sorrise alla sua evidente delusione: “Cosa credevi? Cervo arrosto con salsa di marroni? Dovevi andare al tempio di Dionne per quello.”
Jona sapeva benissimo che non sarebbe riuscito a tenere nello stomaco niente di complicato, ma non lo disse.
Le tre brodaglie non erano, in realtà, male.
Il Risveglio
Jona si svegliò con il sorgere del sole. Lo avevano lasciato a dormire ben più delle ventiquattr’ore previste.
Si alzò di scatto. Si sentiva completamente riposato e tutti i dolori erano spariti.
Non sarebbero bastate solo ventiquattr’ore.
“Amuleto, quanto ho dormito?”
“Quasi sessanta ore.”
Due giorni e mezzo! Doveva essere veramente distrutto! Poi notò i flaconi e le cannule appese vicino alla testa del letto e si palpò le braccia. Come previsto nel cavo del gomito sinistro c’era la traccia di un ago. Lo avevano tenuto sedato.
Esplorò la porticina che aveva notato e si trovò in un piccolo bagno. Lo specchio gli rimandò l’immagine di un viso fresco e pulito. Dovevano averne approfittato per fargli un bel bagnetto. Anche la barba sembrava appena rifatta, e probabilmente lo era. Decisamente un servizio di prima classe. Fece una smorfia. Avevano la tendenza a essere un po’ bruschi e autoritari, però.
Quando uscì trovò l’Elfa del giorno prima — di tre giorni prima, si corresse — ad aspettarlo. Aveva in mano dei vestiti di un bel colore rosso.
Stavano di nuovo forzando la mano, ma Jona si sentiva troppo bene per darci peso. Poi gli venne un sospetto: “Amuleto, sono ancora sotto effetti di qualche droga?”
“Non credo. Dovresti aver completamente smaltito tutto quello che ti hanno pompato in corpo. Se ti senti un po’ euforico è solo perché sei in perfetta forma fisica, considerando l’età.”
“Che mi hanno fatto?”
“Un po’ di tutto, compresa una quantità incredibile di fisioterapia — e qui sono molto più attrezzati che da voi, anche se Asclep ha cercato di insegnare un po’ ovunque, come ben sai. Ti hanno massaggiato e rigirato per quasi tutto il tempo che sei stato addormentato. Prova a fare un piegamento.”
Jona si curvò verso il pavimento cercando di mantenere le gambe dritte. Con sua sorpresa riuscì a toccare il pavimento con le palme delle mani. Erano parecchi anni che non ci riusciva più. L’Elfa sorrise: “Non avrai più bisogno di aiuto per lavarti la schiena, almeno per un po’.” L’Amuleto aveva parlato solo per Jona, ma il gesto era stato eloquente.
“Serve aiuto con questi?” chiese appoggiando i vestiti sul letto.
“Non credo”
Lei lo guardò di traverso, ma uscì senza commentare.
Gli abiti che gli aveva portato erano abbastanza diversi da quelli che aveva visto finora. Probabilmente si trattava di abiti da cerimonia o qualcosa di simile.
Oltre a indumenti intimi abbastanza normali c’erano una camicia dalle ampie maniche di un tessuto pesante e un po’ rigido, un paio di pantaloni larghi e con dei lunghi legacci in vita e quello che sembrava essere una via di mezzo tra una giacca e un mantello. Jona non aveva la minima idea di come indossarli.
“Amuleto, come si usa questa roba? Lo sai?”
L’Amuleto emise un suono che poteva essere solo uno sbuffo di impazienza e fece apparire un modellino che rappresentava Jona vestito di tutto punto con i suoi abiti nuovi. Jona non mancò di notare che i legacci erano fissati con nodi complicati e artistici.
“Bello. Come faccio per arrivare lì?”
Il modellino mostrò Jona con la lunga camicia da notte che indossava ora e cominciò a sfilarsela. Jona stava per dire: “lo so come ci si toglie una camicia da notte!” ma si morse la lingua. Aveva già capito che il resto della lezione non sarebbe stato altrettanto semplice.
Aveva appena finito di allacciare l’ultimo legaccio della giacca e stava infilandosi le sue scarpe leggere — non c’era nessuna possibilità di usare le scarpe elfiche — quando l’infermiera rientrò. Gli occhi da gatta gli si fecero ancora più rotondi per lo stupore mentre esaminava i particolari della vestizione senza trovare nulla da eccepire. L’Amuleto aveva convenientemente fatto sparire il modellino e Jona si poté godere un’occhiata ammirata. Aveva la certezza che la sua prodezza sarebbe stata raccontata in giro presto, molto presto.
“Spero che queste vadano. Abbiamo dovuto farle fare apposta”, disse alla fine dell’esame porgendogli un paio di scarpe elfiche fatte per il suo piede. Erano senza calcagno e con uno strano snodo che permetteva di alzarsi facilmente in punta dei piedi. Jona non ebbe difficoltà a infilarle. Non erano certo comode per un plantigrado come lui, ma aveva portato di peggio.
Il Re degli Elfi
Il Sacerdote fece strada su per una scala ricavata in un’intercapedine della parete esterna — ovverosia nella corteccia, pensò Jona, strano dover attribuire nomi botanici a costrutti architettonici e viceversa. La scala spiralava verso l’alto illuminata da finestre a forma di foglia. Giunti in cima imboccarono una delle strade aeree. Jona ebbe un momento di panico. Erano molto in alto, gli elfi che correvano sul terreno sotto a loro sembravano piccole marionette e la passerella non aveva protezioni. Gli Elfi di certo non soffrivano le vertigini.
In realtà non c’era il minimo pericolo: il camminamento sembrava stabilissimo ed era largo più di un metro e mezzo. Jona sarebbe riuscito a passare anche da ubriaco. Si costrinse a guardare davanti a sé e a camminare deciso.
La passerella, solida e stabile come roccia, li condusse con un arco aggraziato fino al palazzo del re.
Il re li stava aspettando in quello che pareva essere uno studio privato.
“Così questo sarebbe l’umano che Thano ci manda?” Chiese il re rivolto al Sacerdote, dopo che un anziano elfo ebbe declamato qualcosa che l’Amuleto non si curò di tradurre.
“Per Servirvi, Maestà”, rispose Jona senza dare al Sacerdote il tempo di parlare.
Il re lo guardò direttamente, chiaramente infastidito dalla sua presenza: “Sono spiacente per il viaggio scomodo, per gli standard umani, ma l’Innerwald è sacro per tutta la Nazione, oltre che per Asclep nostro Padre. Nessuno vi penetra mantenendo il ricordo di come arrivarci.”
“Capisco, Maestà, e non tutto il male viene per nuocere. Sono arrivato molto più in fretta di come avrei potuto fare usando solo le mie gambe. Ringrazio Voi e gli Elfi che hanno dovuto caricarsi addosso le mie vecchie ossa.”
“E cosa volete da Noi, umano?” chiese il Re, un pochino meno arcigno.
“Sinceramente non lo so, Maestà.” disse Jona tenendo bene in vista il suo bastone in cima al quale brillava l’Amuleto, “Thano mi impone di andare e, a quanto pare, devo trovare qualcosa nel tempio di Asclep”, la Bussola puntava infatti decisa verso il tempio, come aveva sempre fatto sin da Blanzoon, “Chiedo quindi il permesso di visitarlo e di rivolgere domande”.
“La volontà di Thano verrà rispettata”, disse Falanor lentamente, “devo ammettere che i Cercatori di Thano non ci hanno mai dato veri problemi. Non loro, a differenza di quasi tutti gli altri umani che sono penetrati nei nostri territori.”
Jona ebbe la netta sensazione che gli Elfi dovessero aver provato a fermare qualche Cercatore. Probabilmente una sola volta.
“Confido che Gornor saprà guidarvi nella vostra Ricerca. Che Asclep sia con voi.”
Visita al cantiere
Era solo la seconda volta che passava sull’alta passerella fra i due palazzi, ma Jona sentì distintamente una maggiore familiarità, tanto che si azzardò a guardarsi attorno. Il panorama era veramente splendido: da lassù, vicini alle chiome degli enormi alberi, non si vedeva quasi il cielo, in compenso si vedeva tutta la valle snodarsi verso sud-ovest. Una posizione ideale per godersi il sole fino al tramonto.
“Meglio non guardare troppo in basso, le prime volte.”
“Va già molto meglio. Comunque sto attento a non guardare direttamente giù.”
“Il Re non mi è sembrato molto contento di vedermi qui.”
“Che ti aspettavi? Abbiamo sempre avuto problemi con gli umani. Cercano costantemente di espandersi abbattendo le nostre foreste. Quando non riescono a tagliare gli alberi gli danno fuoco per far pascolare le loro dannatissime vacche!”
Jona rimase zitto. Sapeva bene che la maggior parte degli “Umani” consideravano le foreste solo come un luogo da depredare. Nel migliore dei casi, come facevano i boscaioli più a sud, ripiantavano qualche alberello dopo aver tagliato quelli grandi. Anche in questo caso Jona sospettava fortemente che la capacità persuasiva dei vicini Elfi avesse una parte rilevante in questa attenzione verso i bisogni delle foreste.
“Ma voi non tagliate nulla?” si azzardò a chiedere adocchiando il panorama, più simile a un giardino ben tenuto che una valle montana.
“Certo che tagliamo, ma piantiamo anche e, soprattutto, usiamo la foresta cercando di preservarla. In realtà noi dipendiamo dalla foresta molto più di quanto la foresta dipenda da noi. Certo, potremmo distruggerla facilmente, ma perderemmo i suoi doni.”
“Ma come fate? Intendo dire: prendiamo questi alberi-casa. Sono evidentemente artificiali, uno diverso dall’altro e sicuramente “progettati”, ma al tempo stesso, sembrano assolutamente naturali e “cresciuti” così. Non c’è segno di sega, colla o chiodi!”.
Gornor rise. “Sì, capisco che, a prima vista la cosa possa sembrare così, ma quelli che tu chiami alberi-casa sono, in realtà piccole foreste composte da centinaia, a volte migliaia di alberi di molte specie diverse, anche se quello che vedi sono, per la maggior parte, “piante del falegname”.”
“”Piante del falegname”?”
“Uhm, forse farti vedere come si coltivano le case può essere una buona idea. Ci sarà un po’ da camminare, visto che le zone qui intorno sono già completamente costruite, ma penso ne valga la pena. Vieni.” Allungò il passo costringendo Jona quasi a mettersi a correre, cosa non facile con quei vestiti addosso.
“Già completamente costruite” era da intendersi in un senso completamente diverso da quello a cui era abituato Jona fin dall’infanzia. I due enormi palazzi gemelli, infatti, erano circondati da una fitta serie di abitazioni, botteghe e magazzini, ma poco oltre c’era solo foresta. In Ligu la terra adatta a costruire case era abbastanza rara e molto più sfruttata. Lo disse a Gornor.
“Sì, lo so che agli umani piace ammassarsi tutti assieme. A noi no. Sappiamo bene che ci sono degli ottimi motivi per lavorare assieme, sia per il governo, sia per la ricerca — il Palazzo e il Tempio servono a questo — ma poi abbiamo bisogno di spazio. La mia casa è a due leghe dal tempio, in quella direzione” disse indicando vagamene verso est. Jona si chiese oziosamente se si trattasse di un altro tratto derivato dai felini, animali prevalentemente solitari: “Vivete in famiglie isolate?”
“Non abbiamo famiglie, almeno non nel senso che voi umani date alla parola. Ogni Elfo è autosufficiente.”
“Ma i bambini?”
“I bambini crescono con la madre fino a che sono piccoli, poi vengono adottati dalla comunità e rimangono in gruppo fino a quando non diventano adulti e decidono dove andare a vivere. I giovani che sono nati qui intorno vengono al tempio per imparare, altrove ci sono altri templi o altre comunità. Tutte hanno scuole per i ragazzi.”
Era almeno mezz’ora che camminavano senza vedere nessuno.
“Forse sarebbe stato meglio cambiarci d’abito, prima di metterci in cammino. Io non sono agile come un Elfo e questi vestiti non sono esattamente comodi, almeno per me!” sbuffò Jona a un certo punto.
Gornor rallentò leggermente il passo. “No, è meglio così. Quest’abito ti qualifica come un amico degli Elfi rispettato dal Re. Gli umani non sono molto ben visti, da queste parti.”
“Da Selinar: è una giovane che ha lasciato il gruppo dei ragazzi sei mesi fa. Lavora al tempio ed è molto innovativa. Troverai sicuramente interessante la casa che sta costruendo.”
“La costruisce da sola?”
“Certo! La casa è una delle cose che ogni Elfo deve fare da sé. Non ci sono due case uguali. Ogni casa esprime la personalità del proprietario; cresce e cambia con lui. Spero che sia in casa”, disse fermandosi, “Selinar!!”
“Maestro!” rispose una voce sopra di loro.
Una ragazza che Jona giudicò avere intorno ai diciott’anni si precipitò giù lungo quelli che lui aveva creduto essere tronchi crollati e che invece si rivelarono essere una stretta rampa d’accesso a un padiglione aereo. Balzò a terra e corse verso il Sacerdote. Poi si bloccò di colpo quando vide meglio Jona. Le orecchie le si accartocciarono all’indietro come quelle di un gatto infuriato.
“Chi porti a casa mia, Maestro?” chiese scandendo le parole.
“Chiedo il permesso di mostrare a questo Cercatore di Thano il tuo lavoro, se così ti piace”, rispose Gornor in tono formale. Avevano invaso il territorio di Selinar, pensò Jona, e adesso dovevano farsi accettare.
I due intrusi rimasero assolutamente immobili mentre Selinar squadrava Jona da capo a piedi. Le orecchie di Selinar ripresero la solita forma e Jona si azzardò a guardarla direttamente. Era una bella ragazza con dei lunghi capelli biondi raccolti in una grossa treccia che le arrivava quasi alla vita. Portava un comodo abito da lavoro di morbida pelle marrone.
“Un Cercatore di Thano?” C’era curiosità nella voce.
“Sì. Ne abbiamo parlato.” L’Amuleto, sempre al suo posto sul lungo bastone, si presentò con una serie di lampi cremisi che fecero vibrare le orecchie di Selinar. Jona abbassò il bastone, facendo ben attenzione a non puntarlo verso nessuno, in una posizione che sperava non fosse minacciosa. Le orecchie di Selinar gli comunicarono che c’era riuscito.
“Siete i benvenuti nella mia futura casa”, disse finalmente.
Gornor ancora non si mosse:
“Selinar, vuoi spiegare a Jona come stai costruendo la tua casa? Ricorda che lui non sa molto delle nostre foreste. Pensa di avere davanti un bambino piccolo.”
Selinar guardò Jona dubbiosa, poi cominciò indicando i sette alberi chiari disposti ad esagono regolare che sostenevano il padiglione aereo: “Questi sono la prima cosa che ho piantato qui, sei anni fa. Ho scelto il terreno con cura e li ho concimati tutte le settimane. Quando sono in rapida crescita gli alberi del falegname hanno bisogno di molte cure. Venivo qui più spesso possibile.” Diede una rapida occhiata verso il Sacerdote che sbuffò: “E, per venire qui, hai rischiato di farti espellere dalla scuola del Tempio. Hai imparato ad aspettare il momento giusto per le cose, ora?”
Selinar assunse un’aria contrita: “Spero di sì, Maestro.”
“E a cosa dobbiamo questo notevole risultato?” chiese Gornor con pesante sarcasmo.
“Ho provato ad accelerare i tempi e ho provocato due crescite contemporanee sull’albero centrale; stava per morire.”
Gornor sgranò gli occhi già tondi di natura: “Sei riuscita a salvarlo?”
“A malapena. Ho dovuto suturare una delle due crescite e non so quando potrò farla ripartire.”
Jona stava capendo poco, a parte che Selinar era stata troppo impaziente e aveva combinato un qualche guaio. Intanto avevano salito la rampa, estremamente stretta, almeno per lui, gli altri due non sembravano avere alcun problema. Ora si trovavano su una piattaforma triangolare tesa tra tre degli alberi che Selinar aveva indicato. Aveva circa sei metri di lato e si trovava ad una decina di metri da terra. La successiva piattaforma triangolare era rialzata di circa mezzo metro, e la successiva ancora di altro mezzo metro, e così via. In questo modo fra i sette alberi si veniva a formare una specie di gigantesca scala a chiocciola che formava stanze triangolari alte tre metri. Jona scalò faticosamente i gradoni arrivando a raggiungere gli altri due al secondo giro dove, finalmente, vide come crescevano le case.
C’era una serie di passerelle e impalcature mobili che servivano a Selinar per lavorare. Incideva la corteccia e spandeva un liquido che promuoveva la crescita del legno. Questo cresceva anche trenta centimetri in un giorno quindi, in teoria, per chiudere lo spazio fra due alberi sarebbero bastati dieci giorni, facendo avanzare la parete linearmente, ma Selinar, non amava le cose semplici, e stava facendo crescere i suoi alberi in complesse spirali che, dopo sei mesi di lavoro, erano arrivate a saldarsi solo per le pareti laterali del primo giro, mentre il secondo era ancora un arabesco con ampi spazi da cui ammirare il cielo. Guardando bene le pareti già complete Jona si rese conto che il complesso disegno che aveva creduto essere solo la vena del legno era, in realtà, dato dall’accrescimento e dalle saldature delle varie parti che Selinar aveva curato con amore. Non c’erano due pareti che avessero lo stesso disegno. I pavimenti erano ottenuti con una tecnica simile. Questa volta si praticavano le incisioni sulle pareti e queste crescevano nella direzione voluta. Jona cominciava a capire come fossero state fatte quelle scale “cresciute” dalla parete là a Blanzoon.
Sul pavimento, vicino alla parete esterna, c’erano svariati fori, evidentemente intenzionali e non risultanti da saldature incomplete, Jona ne chiese la ragione e Selinar si lanciò in una lunga dissertazione sulla dislocazione dei servizi. Il Mago fece del suo meglio per seguirla, ma la mole di particolari che Selinar gli riversava addosso, ora che aveva preso confidenza ed era orgogliosa di spiegare i particolari del suo progetto, era semplicemente troppo. Jona attivò i suoi filtri mentali e si fece un’idea abbastanza chiara della massa di vegetali che venivano impiegati con funzioni specifiche: c’erano piante-tubo che potevano trasportare acqua o aria (ed erano diverse!), piante che fungevano da serbatoi, piante-pompa che succhiavano acqua dal terreno e la portavano anche a cinquanta metri d’altezza fino alle piante serbatoio, piante che assorbivano l’energia solare per scaldare acqua o aria, funghi parassiti che emettevano luminosità di vari colori e perfino una strana pianta carnivora che era in grado di digerire quasi qualsiasi sostanza organica e veniva utilizzata come gabinetto chimico che produceva sostanze fertilizzanti e le condivideva poi con le altre piante.
Jona era impressionato e lo disse. Selinar era raggiante. Jona si guardò bene dal far notare che la fonte della sua meraviglia era molto più la dovizia e la specializzazione dei simbionti vegetali usati che le raffinatezze architettoniche della giovane, delle quali, con dispiacere, doveva ammettere di non aver capito molto.
Era tardo pomeriggio quando salutarono Selinar e presero la via del ritorno.
Jona stava rimuginando tutto quello che aveva visto. Gornor lo lasciò ai suoi pensieri.
Quando arrivarono al tempio era quasi buio e la strada era illuminata da innumerevoli funghi-lampada disseminati nella foresta. Gornor riconsegnò uno Jona molto stanco all’assistente-infermiera. Prima di salutare Jona si azzardò a chiedere: “Quelle piante non sono “naturali”, vero? Sono un dono di Asclep?”.
“No, non sono “naturali”, ovviamente, ma, per la maggior parte, sono state progettate da noi, con la benedizione di Asclep, naturalmente.”
Jona rimase di sasso. “Da voi?”
Serata di riposo Elfico
Jona seguì l’infermiera fino alla sua stanzetta dove lei gli mostrò l’uso corretto della vasca da bagno e delle varie suppellettili, poi lo lasciò solo.
L’acqua era profumata e calda. Impregnata di essenze vegetali. Ora Jona sapeva che si trattava del contenuto della pianta-cisterna, probabilmente modificata per usi ospedalieri, pensò oziosamente, chissà se era anche disinfettante? Avrebbe dovuto chiedere a Gornor. Per un momento lo disturbò il pensiero che il suo sudore, che si stava sciogliendo nell’acqua odorosa assieme alla stanchezza, andava a concimare la pianta-pompa che avrebbe riportato l’acqua alla pianta serbatoio, poi si rese conto che quello era il mestiere che facevano tutte le piante, in un modo o nell’altro: assorbire rifiuti per produrre frutti.
Stava per addormentarsi quando getti d’acqua lo investirono e la vasca prese a vuotarsi rapidamente. La doccia violenta lo svegliò completamente. Poco dopo usciva dal bagno fresco e rilassato avvolto in un pigiama verde che non gli si attagliava completamente bene.
L’infermiera lo stava aspettando e gli fece cenno di stendersi sul letto. All’occhiata interrogativa di Jona rispose con un laconico: “Massaggio”.
La ragazza aveva delle dita d’acciaio e il “massaggio” fu, tutto sommato, piacevole, anche se parecchio energico e inframmezzato da torsioni e piegamenti forzati, tanto che Jona, più di una volta, si chiese se le sue ossa avrebbero retto alle sollecitazioni. Quando poi lei gli salì in piedi sulla schiena e cominciò a camminargli in punta di piedi sulla spina dorsale facendogli scrocchiare tutte le vertebre una per una si preoccupò parecchio. Lei dovette accorgersene perché lo apostrofò con un perentorio: “Rilassati, altrimenti non serve a niente!” Jona fece del suo meglio per accontentarla, dato che era evidente che conosceva bene il suo mestiere. La parte finale del massaggio, a base di oli caldi, fu decisamente più rilassante. Alla fine lei lo coprì con una morbida coperta e gli disse di rimanere immobile per una decina di minuti, prima di rivestirsi. La cena sarebbe stata pronta presto. Nelle due ore abbondanti che era durato il massaggio lei aveva parlato solo tre volte e Jona mai.
Si rimise la casacca del pigiama e indossò una vestaglia lunga fino al polpaccio, poi tolse l’Amuleto dal bastone, lo piazzò sul tavolo e chiese il collegamento con casa.
Serna apparve dopo poco con indosso un abito leggero. Era oramai estate piena e a casa doveva far parecchio caldo. Lì sui monti l’aria era ancora fresca. D’inverno doveva essere gelida, pensò Jona e lo disse ad alta voce.
“Qui fa caldo, ma si sta benissimo”, disse Serna raggiante, “oggi sono stata in barca tutto il giorno.”
“In barca?”
“Lavoro! Che ti credi?” replicò lei fingendosi offesa.
“Un lavoro certo piacevole”, ribatte Jona guardando fisso la pelle di Serna arrossata dal sole.
“Questo è vero”, concesse lei sorridendo, “ma è stato lo stesso lungo e difficile”.
Serna era evidentemente orgogliosa del suo “lavoro” e moriva dalla voglia di raccontare ed avere l’approvazione del padre, questi se ne accorse e chiese particolari con l’aria più professionale che riuscì a trovare.
Lei non si fece pregare: “Abbiamo ancora problemi con Posse”.
“Un altro capitano da buttare ai pesci?”
“Puoi dirlo forte! Ha incenerito le barche dal cielo. Abbiamo trovato solo qualche pezzo di legno carbonizzato.”
“Brutta storia, ma è chiaro che la hai risolta. Come?”
“Già, prima spiana chi lo offende e poi, forse, spiega perché.”
Serna annuì: “Non voleva nemmeno parlarmi. Ho dovuto chiedere a Ipno di spiegarmi i veri motivi e di calmarlo, per quanto possibile.”
In quel momento rientrò l’infermiera con il vassoio della cena.
“Altro pasto ipercalorico proteico tipo “B”?”
Lei sfoderò un sorriso che mise in mostra dei denti decisamente più appuntiti del normale: “No, stavolta viene direttamente dalle cucine del Re. Il Sacerdote ha deciso che ti sei ripreso completamente.”
In effetti Jona aveva una fame da lupo. Poi si rese conto di una certa tensione, anche perché il sorriso si era trasformato in una specie di ruggito silenzioso.
“Serna, lo sai che non è educato guardare troppo le persone!” disse con il tono più casuale che riuscì a trovare,
“Probabilmente perché non ti è mai stato detto. Di solito cerchiamo di evitare familiarità fra personale e pazienti.” Poi si rivolse direttamente a Serna che si era ripresa abbastanza da chiudere la bocca e abbassare lo sguardo: “Io sono Smullyanna, assistente personale del Sacerdote. Piacere di conoscerti.”
Poi, rivolta a Jona:
“Il mio e il suo. I due Amuleti sono in comunicazione e possono farci vedere anche quello che sta attorno”
“Capisco. Così è più normale. Non avevo mai sentito di Amuleti che potessero trasmettere a distanza con questa nitidezza.”
“Sentite, ora che abbiamo fatto le presentazioni, perché non andate a prendere qualcosa da mangiare anche voi e mi tenete compagnia? Non mi è mai piaciuto mangiare da solo.” L’Elfa rimase un attimo interdetta e Serna ne approfittò per schizzare via cinguettando: “Certo! Vado a prendere qualcosa e torno! Magari chiamo anche Darda.”
Smullyanna non era molto convinta. Jona diede un’occhiata al vassoio.
L’elfa si rilassò un po’: “Non è certo la norma, ma non hai offeso nessuno, per ora, anche se tua figlia c’è andata vicino. Da noi non si guarda a quel modo qualcuno di cui non si conosce il nome senza presentarsi. Senza saperlo hai fatto la cosa giusta. Vado a prendere un altro piatto e delle posate.” Vedendo che Jona stava per parlare aggiunse: “Per noi mangiare nello stesso piatto è una cosa piuttosto intima, se mi capisci”, annusando ostentatamente.
Jona capiva. Probabilmente con l’olfatto acuto che avevano erano in grado di percepire ben più degli umani gli odori lasciati dagli altri commensali.