11: Il Califfo

Crisi

Alcuni secondi più tardi anche Serna sentì i passi affrettati e la porta si aprì silenziosamente per richiudersi alle spalle del Geco.

“Presto”, sibilò, “dobbiamo scappare subito!”
All’occhiata interrogativa di lei rispose parlando velocemente e a bassa voce: “Sono appena arrivati gli Hashashin che erano venuti a rapirmi. Non so come siano riusciti a scappare da Masq, ma dobbiamo andare ora! Ho mandato ad avvertire anche Duliana, ma temo che sia con il Califfo.”

Il Califfo

Serna marciò con passo deciso verso gli appartamenti del Califfo con l’Amuleto bene in vista alla cintura. Quello che era sempre sembrato una fibbia elaborata e un po’ pacchiana adesso emetteva un flebile alone giallo appena percettibile nella luce del sole del deserto.
Il Geco, dopo un primo istante di sorpresa, la stava seguendo tenendosi solo mezzo passo dietro di lei.

Incrociarono l’altro giannizzero poco fuori dagli appartamenti reali. Stava discutendo con un Hashashin di guardia che non pareva intenzionato a lasciarlo passare, nonostante le insistenze, per andare a conferire con Duliana.
La guardia rimase interdetta quando Serna gli passò davanti senza degnarlo di uno sguardo e il giannizzero ne approfittò per accodarsi ai due.
Un breve incantesimo mormorato a mezza voce e l’Hashashin dimenticò di averli visti passare.

Il Califfo stava giocando a scacchi con Duliana su un piccolo tavolino ricavato proprio sotto il davanzale di una delle grandi finestre del suo studio.
Erano entrambi molto concentrati. Il Califfo aveva oramai capito che Duliana giocava bene almeno quanto lui e se le prime volte lo aveva lasciato vincere facilmente si era trattato proprio di quello: lo aveva lasciato vincere. Il suo rispetto per lei era cresciuto, quando lo aveva capito. Per questo fatto, anche il rispetto che Serna e Duliana nutrivano per lui era cresciuto parimenti.

I due giocatori alzarono gli occhi dalla scacchiera sentendo entrare altre persone.
“Come mai questa sorpresa?” Chiese il Califfo vedendo chi entrava, ma il sorriso gli si gelò sulle labbra vedendo il piglio deciso di Serna e rendendosi conto che la situazione era anomala. Per prima cosa non avrebbero certo dovuto essere lì e, se ci fosse stato un motivo legittimo, avrebbero dovuto essere accompagnati da almeno un paio dei suoi Hashashin.

Si alzò in fretta dalla panca imbottita e si portò in una posizione meno angusta che consentisse almeno un po’ di movimento.
“Chi sei tu?” Chiese come se la vedesse per la prima volta.
“Serna di Tigu”, rispose lei con un inchino ed un sorriso che sciolse, almeno per un istante, la tensione.
“Sono venuta in pace e per capire. Finalmente ci sono riuscita.”

“Capire cosa? Parli di pace, ma siete qui come congiurati.”
Scoccò un’occhiata verso Duliana che non si era mossa ed era rimasta seduta sulla sua panca imbottita con le mani bene in vista sul tavolino che tremavano leggermente; era molto pallida.

Serna scrollò le spalle come per far scivolare via l’implicita accusa: “Non siamo, ovviamente, dei semplici saltimbanchi. Ma siamo qui in pace e non vogliamo fare alcun male, se possibile.”

Il Califfo percepì nettamente la minaccia contenuta nelle ultime due parole: “Non credere che io sia indifeso solo perché voi siete quattro ed io sono solo”, disse tirando fuori il ruhmal da una tasca.

“Se avessimo voluto farti del male avremmo già avuto infinite occasioni, e lo sai benissimo”, disse lei scrollando di nuovo le spalle, “come ti ho già detto siamo qui per capire e, se possibile, consigliare.”
“Ma capire cosa? Io ho già i miei consiglieri.”

Il Califfo impallidì visibilmente: “Come sai di Shaitan? Solo mio padre e mio nonno ne conoscevano l’esistenza. Io non ne ho mai parlato con nessuno.”

“Che vuoi dire? Continui a parlare per indovinelli.”
“Sono indovinelli che avranno soluzione tra poco. Sospetto che tra non molto ti verranno a chiamare i tuoi “consiglieri” e allora capirai perché il mio tempo è finito. Starà poi a te decidere se vorrai ascoltarmi o no.” La parola “consiglieri” era stata pronunciata con una carica di disprezzo che non sfuggì al Califfo. Stava per replicare, ma si cominciò a sentire un vociare concitato provenire dal corridoio.
“Vai”, disse Serna, “noi non ci muoveremo di qui fino a che tu non avrai deciso cosa fare.”

Ipno

Il Califfo ritornò nella stanza rosso in volto e furente.
Era attorniato dai suoi Hashashin e al suo fianco aveva uno di quelli che avevano partecipato al tentativo di rapimento del Geco, probabilmente il capo.

Trovò le due donne che stavano giocando a scacchi con i due giannizzeri che guardavano interessati commentando a bassa voce.
In realtà Duliana stava giocando da sola, riproducendo una partita che lei conosceva a memoria e che era sicura che il Califfo non conoscesse; una partita che finiva con una patta. Intanto Serna stava usando l’Amuleto per controllare i particolari. Era certa della sua intuizione, ma voleva conferme e aiuto. Ora l’Amuleto, dopo aver passato tutti i colori dell’iride, era tornato ad un giallo cromo appena percettibile.
La scacchiera con la partita che Duliana stava giocando con Hassijad era in bella mostra lì accanto, come se attendesse i giocatori.

“Sono loro”, disse il capo dei rapitori.
“Così tu sei l’amante del Visir di ‘Rruth! Mandata per sedurmi! E io ci sono caduto come un ragazzino ai primi fuochi.”
“Lo dicevo io che era una puttana mandata per abbindolarti”, disse Zebadiah all’orecchio del Califfo, ma con voce abbastanza alta da essere sentita da tutti.
Serna tossicchiò riportando l’attenzione su di sé: “Allora, hai deciso se vuoi ascoltarmi?”
“Oh, certo che ti ascolterò e tu parlerai eccome! Prendeteli!”
Gli Hashashin estrassero le loro armi, tutte basate sul filo del ragno. Tutte armi assolutamente letali.
Serna si alzò per fronteggiarli: “Qualcuno, poco fa ha detto: “Non credere che io sia indifeso solo perché voi siete quattro ed io sono solo”. Quella di prima era una dimostrazione di coraggio, apprezzabile, ma nulla più. Ora è la pura verità.” Uno dopo l’altro i ruhmal sparirono, o meglio, sparì il filo, dopo essere diventato per un istante luminoso.
“No, questa è una partita che non puoi vincere con la forza”, disse mentre le guardie si accasciavano addormentate come birilli attorno a lui. Solo il Califfo, Zebadiah e il capo dei rapitori rimasero in piedi.

Hassijad si scagliò su di lei brandendo una corta lama di buon acciaio, ma si trovò davanti il muro formato dai due giannizzeri che emanavano un’aura di competenza marziale talmente forte che anche il Califfo capì immediatamente che era inutile sfidarla. Sembrava un topo in trappola, aveva dimenticato di avere centinaia di Hashashin a portata di voce, o forse credeva veramente che la Maga potesse affrontarli tutti assieme.

Zebadiah stava per dire qualcosa, ma Serna lo prevenne: “Taci tu, traditore!” Un gesto e la sua bocca scomparve, assieme ai baffetti a punta lasciando una superficie liscia dalla quale non poteva uscire alcun suono.

Hassijad si rizzò in tutta la sua non formidabile altezza e la guardò con occhi spiritati: “Credi di aver vinto, strega, ma non puoi fermare la Vendetta!”
Cadde sulle ginocchia e schiacciò l’intero volto sul pavimento lucido tenendo le mani serrate dietro la schiena.
Prima che potesse pronunciare l’invocazione a Thano, Duliana gli si precipitò accanto, in ginocchio e con le mani rivolte al cielo: “Ipno, non permettere si distrugga con le sue stesse mani! Lo chiedo nel nome del perdono che io ho già accordato.”

Alzati, non è questo il modo di stare davanti a degli ospiti. Tsk, tsk, potrai chiedere aiuto a Thano più tardi, se proprio ci tieni.

Si rivolse quindi a Serna: “E tu? Lo hai perdonato?
“Finalmente ho capito”, fu la risposta, “non è lui il responsabile della situazione.”

Giusto, se non c’è dolo non c’è necessità di perdono.

Il Califfo si stava rialzando. Sembrava completamente svuotato. Gli occhi passavano dal Dio a Duliana e poi a Serna per tornare al punto di partenza.

Ipno lo ignorò e si rivolse invece a Zebadiah: “E tu? Tu hai mai perdonato qualcuno?” Passò una mano davanti al suo viso e la bocca ricomparve: “Tsk, tsk, non so se ti sto facendo un favore a ridarti la parola.

Zebadiah aveva gli occhi fuori dalle orbite. La voce che uscì dalle sue labbra era strozzata e non sembrava nemmeno la sua: “No, non ho mai perdonato nessuno. Tutti quelli che mi hanno attraversato la strada sono stati puniti o lo saranno in futuro.”

Tsk, tsk, come pensavo. Temo di non poter fare nulla per te, allora.

Si rivolse quindi al Califfo: “Quella donna ha ragione, sai? Potrai invocare Thano anche un solo istante dopo che me ne sarò andato, ma ho idea che te ne pentiresti presto.
Tsk, tsk, cara ragazza hai intenzione di far del male al qui presente Hassijad?
La domanda era rivolta a Serna che rispose immediatamente: “No, non ho intenzione di far del male né a lui né a nessuno del suo popolo. Giuro e ti chiamo a testimone, che non alzerò un dito se non per difendermi da un attacco diretto ed evidente.”
Tsk, tsk, è più di quello che ti avevo chiesto. Accetto di fare da Testimone del tuo Giuramento, Serna di Tigu.
Poi si rivolse nuovamente al Califfo: “Non credi che ti converrebbe sentire che cosa ha da dire, prima di scatenare il putiferio?

Il Dio si avvolse nel suo mantello di tenebra e scomparve.

“Allora? Cosa hai da dirmi, Serna di Tigu?” Chiese il Califfo ritrovando parte della sua arroganza.
“No, non la stare a sentire! Sono qui per distruggerti. Per distruggere tutto quello che abbiamo costruito”, sibilò Zebadiah che aveva ritrovato la sua voce.

“Di che hai paura Zebby?” Lo interruppe la Maga ghignando, “Forse di quello che potrebbe raccontare Shaitan?”
“Shaitan se ne è andato!”
“Davvero? E tu come lo sai Zebby caro?” Serna aveva usato per la seconda volta il nomignolo con cui Hassijad chiamava Zebadiah da bambino.
Il Califfo si girò lentamente verso il suo consigliere, guardandolo come se non lo avesse mai visto prima d’ora: “Già, tu che ne sai di Shaitan?”
Zebadiah cominciava a sudare e non certo per il caldo: “Me ne ha parlato tuo padre, mi ha detto che sarebbe scomparso per sempre con la morte di tuo nonno, Ahmanejadil. Non è quello che è successo?”
“Certo, ma escludo nella maniera più assoluta che te ne possa aver parlato. Ricordo bene i giuramenti che sia lui che mio nonno mi fecero fare di non far capire a nessuno, che non fosse di famiglia, che esisteva. Non avrebbero infranto i loro stessi giuramenti.”
“E invece sì! Tu eri troppo piccolo per capire veramente. Io ero già il braccio destro di tuo padre. Non aveva segreti con me”, Zebadiah aveva ritrovato la sua sicurezza ed ora stava usando la sua eloquenza oliata da decenni di pratica.

Serna lo interruppe: “Perché non lo chiediamo a lui?”
“Lui chi?”
“Shaitan, naturalmente”, rispose lei con un sorriso.
“Ma se ti abbiamo appena detto che se ne è andato per sempre!”

Senza dar loro il tempo di rispondere si avviò con passo regale verso la porta. Passando accanto al Califfo lo prese sotto braccio e gli mormorò: “Dubito tu voglia tutta questa gente senta quel che Shaitan avrà da dire.”

Uscirono dallo studio in parata: Serna sorridente a braccetto con il Califfo, seguiti da Zebadiah e Duliana che si guardavano in cagnesco; dietro venivano i due giannizzeri che si comportavano come la guardia d’onore.

Shaitan

Il forno di Shaitan era proprio sotto la quinta del teatro dove loro si erano esibiti il primo giorno. Ci si arrivava per un lungo corridoio che partiva dagli appartamenti del califfo e passava sotto il giardino centrale. La piccola porta anonima che dava accesso a quell’antica stanza si aprì cigolando. Uno spesso strato di polvere copriva ogni cosa. Nessuno era più entrato lì dentro da quando Ahmanejadil era morto, più di trent’anni or sono.

I due giannizzeri accesero il fuoco. La legna era secca come più non sarebbe stato possibile e bruciava allegramente. Il forno divenne presto rosso ed incandescente.

“Come dicevo, se n’è andato”, cominciò Zebadiah, ma Serna lo fulminò con un’occhiata.

“Shaitan! So che mi puoi sentire e tu sai che la tua missione non è ancora terminata!” Disse con voce ferma.
“E allora vediamo la fine di questa storia”, le fece eco la voce del piccolo Djinn che usciva sulla bocca del forno stiracchiandosi come se avesse veramente dormito per tutti quegli anni.

Zebadiah, nonostante i riflessi rossi che provenivano dalla fornace ardente sembrava un cencio lavato, tanto era pallido: “Tu”, balbettò, “mi avevi detto che saresti andato via.”
Shaitan lo guardò dritto negli occhi: “Ma tu hai cambiato le cose, prima che io avessi il permesso di andare. Non te ne eri reso conto?”
L’anziano funzionario si scagliò urlando verso la Maga, ma non riuscì a fare nemmeno un passo che la mano pesante di Sindehajad si abbatte sul suo collo, facendolo stramazzare al suolo come un sacco semivuoto.

Hassijad rimaneva immobile in disparte, come se la cosa non lo riguardasse minimamente, ma non perdeva una sola espressione.

“Questo dovrebbe mettere fine alle sue inutili interferenze. Avrà tempo più tardi di spiegare le sue ragioni, forse”, disse Serna a nessuno in particolare, poi tornò a rivolgersi a Shaitan: “Puoi spiegare, per favore, che cosa sarebbe successo se il Califfo fosse riuscito ad evocare Thano?”
“Dipende dalla richiesta, ovviamente.”
“Avevo intenzione di chiedergli vendetta contro tutti quelli che stanno cercando di distruggere me ed il mio popolo.”
“Saresti morto all’istante”, rispose il Djinn con voce piatta.
Hassijad prese quella notizia con uno choc molto minore di quanto ci si sarebbe potuti aspettare; evidentemente aveva già indovinato che quella sarebbe stata la risposta, anche se ancora non riusciva a capire perché, ed infatti lo chiese esplicitamente al Djinn.
Questi lo guardò un po’ di traverso, come fosse uno scolaro un po’ zuccone: “Dovresti sapere che la morte è il pedaggio che Thano richiede per le sue nemesi.”
“Certo, ed ero disposto a pagare il prezzo, dopo aver avuto vendetta.”
“Diciamo allora che la nemesi si sarebbe risolta molto in fretta.”

Il Califfo sembrava soddisfatto di quella risposta e Serna scoppiò a ridere: “Shaitan, vuoi spiegare che cosa avrebbe fatto Thano prima di esigere la sua ricompensa? Penso che il Califfo sarebbe anche interessato alla differenza che tu fai tra “vendetta” e “nemesi”.”
Il piccolo Djinn sorrise apertamente a Serna mostrando i denti da carnivoro: “Finalmente qualcuno che sta attento a quel che si dice senza cercare di distorcerne il senso”, poi si rivolse direttamente ad Hassijad: “Thano non avrebbe fatto assolutamente nulla prima di prendersi la tua vita.”
“Thano non garantisce mai assurde vendette, solo nemesi, ovvero “giuste vendette”: riparazioni di onte subite senza particolari colpe. Se lo chiami per qualcosa che non è abbastanza grave o, peggio, se quel che ti accade è responsabilità tua, lui si limita ad esigere il suo.”
Fece una breve pausa per lasciare che le sue parole penetrassero, poi riprese: “Che io sappia è relativamente raro che Thano faccia davvero qualcosa. Di solito chi lo chiama è la causa stessa dei propri guai. Il tuo caso è proprio di tal genere, a differenza di quello dei tuoi nonni.”

“Lascia che ti spieghi, Shaitan potrà sempre correggermi se dico qualcosa di sbagliato, glielo chiedo esplicitamente.”
“Già, perché una delle caratteristiche principali di Shaitan è quella di dire sempre la verità, ma non sempre di dirla tutta in modo chiaro ed inequivocabile. Di solito si diverte a dire le cose in modo da poter essere interpretate in due o più modi. Molta gente sente nelle sue parole quello che vuole sentirsi dire, indipendentemente da quello che ha detto davvero, non è così?”
“Io la vedo alla rovescia: Io parlo chiaro e la gente spesso si ingegna a trovar modi astrusi per capire tutt’altro.”
“Già, come poco fa”, rise Serna, “ma va bene, posso considerarla una conferma senza timore di “ingegnarmi a capire tutt’altro”. Per favore intervieni se dico cose che non siano sostanzialmente vere”, poi si rivolse nuovamente al Califfo.

“Quando sono arrivata qui mi aspettavo di trovare un despota assetato di sangue, ma non ci abbiamo messo molto Duliana ed io, a capire che le cose non erano così semplici e lineari.”
“Non sono mai semplici e lineari”, intervenne Shaitan, ma Serna lo ignorò.
“Tu sei veramente convinto di fare il meglio per il tuo popolo, anche se noi sappiamo per certo che le minacce che tu vedi esistono, per la maggior parte, solo nella tua testa.”

Il Califfo era sul punto di parlare, ma Serna lo fermò con un sorriso ed un piccolo gesto delle mano:

Hassijad era perplesso, non riusciva a capire dove volesse andare a parare la Maga che alternava accuse di malgoverno, fino al confine con la pura stupidità, agli elogi.
“Tu dici che il mondo stesso è molto diverso da come lo vedo io, in buona sostanza. Perché dovrei crederti?”
“Non devi credermi, per tutti gli Dei!” Esclamò Serna scuotendo vigorosamente la testa,
“Sono anni che controllo”, sbuffò lui, “ho spie in ogni città!”
“Magari questo potrebbe essere un problema”, disse Serna meditabonda, “chi controlla le spie?”
“Zebadiah, naturalmente” Disse il Califfo che non si sentiva più così sicuro.
“Come temevo”, disse la Maga annuendo pensosamente, “Immagino che avesse lo stesso incarico anche con tuo padre, vero?”
Hassijad riuscì solo a fare un cenno affermativo con la testa, mentre seguiva le conseguenze di quel che la Maga stava dicendo:
Lei lo ignorò: “Immagino che l’idea di allontanare i Djinn di tutti gli Dei, oltre Thano, sia sempre farina del suo sacco, vero?”
L’unica risposta che ebbe fu lo sgranare degli occhi del Califfo.
“Questa, in generale, è una pessima idea: ognuno degli Dei ha un suo punto di vista ben preciso e cercare di uniformarsi ad uno solo è poco salutare, anzi, come potrebbe raccontarti mio padre, anche ignorare gli insegnamenti di uno solo degli Dei può essere pernicioso.”
Guardò il Califfo con un indefinibile mistura di pietà e di determinazione: “Credo che tu abbia oramai capito quello che è successo. Shaitan potrà confermare i miei e i tuoi sospetti.”
“Shaitan, puoi spiegare al Califfo perché sei ancora qui?”
“Perché Ahmanejadil aveva chiesto la nemesi per tutti coloro che avevano rapito i suoi figli e la nemesi non era completa.”
“E perché non era ancora completa?” Incalzò Serna.
“Perché mancava la vendetta verso chi aveva ucciso il terzo figlio Dinajal. All’epoca non esisteva ancora, ma lui aveva chiesto “vendetta contro tutti coloro che mi hanno portato via i miei figli”.”
“I maledetti che hanno invaso la Sede sono ancora vivi, quindi?” Chiese il Califfo rosso in volto.
Shaitan si limitò al suo sorriso ferino, ma Serna non si lasciò deviare dai doppi sensi del Djinn: “Shaitan! Non riesci proprio a parlare schiettamente, eh? Non bisogna far molta fatica a fraintenderti. Sono i carovanieri e i loro alleati dell’epoca che “hanno portato via Dinajal”?”

“Non si tratta di un carovaniere, vero? Sospetto che si tratti proprio si un Hashashin, invece”, disse lei serissima, “puoi confermare?”
Shaitan fece un altro dei suoi sorrisi da carnivoro: “Sì, posso confermare.”

Il Califfo era di nuovo pallido come un cencio appena lavato: “Chi?” Chiese con voce strozzata.

Fece l’occhiolino a Serna: “Vedi che a volte do informazioni anche senza bisogno che me le si chieda?”

Il Califfo stava tremando visibilmente e Duliana gli si avvicinò mettendogli una mano sul braccio. Lui le sorrise mestamente.
“Che facciamo di lui, ora?”
“Dobbiamo scoprire che cosa ha organizzato.”
“Questo credo di potervelo dire io”, disse Serna che stava armeggiando da qualche minuto con il suo Amuleto. “C’è un gruppo di Hashashin che ci sta aspettando nel corridoio. Non mi pare che siano esattamente un comitato di benvenuto. Dobbiamo rinchiuderlo da qualche parte dove non possa fare altri danni.”
“Seguitemi”, disse Hassijad che sembrava aver recuperato il suo sangue freddo, “Non credo che sappia che ho riparato personalmente la cella in cui mio padre aveva rinchiuso il nonno. A volte ci vengo per meditare.”

I due giannizzeri presero Zebadiah che era ancora svenuto e se lo caricarono sulle spalle come fosse un sacco.
La cella era ancora più spoglia di quanto lo fosse stata ai tempi in cui aveva fatto da casa per Ahmanejadil. C’era solo un piccolo tavolino con una candela ed un folto tappeto rosso sangue. Aggiunsero una brocca d’acqua ed un bicchiere prima di scaricarlo senza particolari cerimonie sul tappeto e chiudere la spessa porta di solido legno. Fuori l’intera stanza era coperta da un enorme cumulo di stracci che erano i vestiti dei carovanieri uccisi negli anni. Nessun rumore sarebbe uscito da lì.

Serna camminava davanti agli altri nel corridoio fiocamente illuminato, circondata da un’intensa aura gialla.
Tre volte l’aura toccò il filo di un ruhmal teso per uccidere chiunque passasse. Ogni volta il filo brillò per un istante prima di dissolversi.
“Se il filo viene scaldato oltre i mille gradi”, aveva detto ai suoi compagni, “brucia istantaneamente. Mi dispiace distruggere una cosa così preziosa, specie ora che il ragno non c’è più, ma non ho altri modi per difendere tutti noi.”

Quando erano quasi al termine del corridoio subirono l’agguato.
Era preparato con cura e sarebbe probabilmente riuscito, ma l’Amuleto e Shaitan avevano rivelato i piani dei congiurati.
Mentre i due giannizzeri sostenevano l’assalto all’arma bianca di un nugolo di Hashashin che si intralciavano a vicenda in quello spazio angusto, Serna lanciava due palle di fuoco verso i due arcieri che stavano prendendo di mira il Califfo con dardi avvelenati.
L’Ala di Ipno si abbatté sugli attaccanti, uno dopo l’altro, facendoli stramazzare al suolo.
Tutto era durato pochi secondi.
Otto corpi nudi e strettamente legati giacevano sul pavimento.