Inseguendo la via marrone
Jona seguiva senza troppo sforzo la via marrone di Dana meditando sulle parole della Dea.
“Immagino che non serva a molto chiederti direttamente: “Perché sono scomparsi gli antichi?”, vero?”
Mentore, dall’alto della sua postazione in cima al bastone, fece un risolino: “Non hai nemmeno idea quanto! Per essere sicuri che non ti potessi aiutare, nemmeno per sbaglio, mi hanno cancellato completamente tutti i ricordi che avevo a partire dall’anno 2050 della datazione degli antichi.”
Jona fece quattro passi prima di replicare; “Immagino che i ricordi ti ritornino non appena avremo trovato i riferimenti giusti.”
“Isto mi conferma che è così.”
Altri quattro passi: “Beh, stavolta abbiamo almeno due vantaggi, rispetto alla volta precedente.”
“Quando Thano mi ha direttamente tolto dall’Amuleto? Quali sarebbero?”
“Prima di tutto ora sei qui e hai senz’altro voglia di recuperare i tuoi ricordi.”
“Vero. In questa condizione possiamo collaborare senza che io debba stare attento a quello che ti dico. E l’altro?”
Altri quattro passi: “Che ci sono parecchie cose che abbiamo studiato e che, se ben mi ricordo, sono successe dopo il 2050. Possiamo cominciare da quelle.”
“Mi pare una buona idea. Comincia.”
“Beh, la prima cosa che mi viene in mente, e che dovrebbe riguardarti direttamente, è che poco dopo il 2050, nel 2056 credo, hanno cominciato a salvare le anime, che poi avrebbero impiegato per dar vita agli “assistenti”.”
“Bene”, disse Mentore e Jona poteva ben immaginarselo a strofinarsi le mani soddisfatto, “Isto mi ha sbloccato tutta la memoria del progetto “Anima Eterna”. Altro?”
Jona rimase a lungo in silenzio a rimuginare: “Quindi tu sei effettivamente nato prima del 2050, vero?”
“Perché dici questo?” Mentore sembrava assai sorpreso.
“Perché, se ti hanno tolto la memoria di quella parte di storia, senza, apparentemente, modificare il tuo modo di pensare, allora tu, in quel momento, dovevi avere già sviluppato i tuoi processi mentali. So bene che effetti tremendi può avere cercare di estirpare dei ricordi troppo radicati.”
“Questo è vero per gli esseri umani in carne ed ossa, per noi le cose stanno un po’ differentemente.”
“Spiega.”
“Isto mi ha restituito tutte le memorie relative, quindi penso di potertene palare liberamente. Negli esseri viventi la memoria e il ragionamento si basano essenzialmente sugli stessi meccanismi. Ricordare una cosa significa modificare la propria rete neuronale, che è la stessa che veicola il pensiero. Per noi anime la cosa è diversa. La rete neuronale è fissa ed immutabile.”
“Non potete imparare?” Jona era esterrefatto.
“Sì e no. Abbiamo dei meccanismi di memoria diversi, separati da quelli del ragionamento. Possiamo immagazzinare altre informazioni, ma il nostro modo di usarle è fisso ed invariabile: messi nella stessa identica situazione agiremmo sempre nello stesso identico modo.” Esitò un attimo e poi proseguì:
“E le cose sono rimaste così? Anche ora che non siete più “automi da combattimento”?”
Jona poteva vederlo scuotere la testa sconsolato:
Jona continuò a camminare in silenzio per parecchio tempo, prima di riprendere l’elenco delle cose che ricordava di aver visto.
A volte si sbloccavano memorie di Mentore, a volte no.
La strada si fece sempre più malagevole mentre le rive del fiume si alzavano sempre più e lui si trovava a percorrere una gola profonda, tra grossi massi e, spesso con le gambe nell’acqua gelata che cercava di riportarlo verso valle.
La conversazione cominciò a languire.
Era oramai pomeriggio inoltrato e la fine della pista marrone lo tallonava dappresso quando la gola si allargò e il Mago si poté permettere il lusso di camminare su un terreno quasi piano, anche se ingombro di arbusti.
Aveva ripreso a mormorare sottovoce la nenia di Sindehajad.
La pista si allontanò dal fiume seguendo un piccolo rigagnolo per poi lasciare anche quello ed inerpicarsi fra le rocce vive.
La fine della pista lo raggiunse mentre si arrampicava a quattro mani e lo superò, sparendo dietro una cengia.
Quando Jona riuscì a raggiungerla la pista era sparita.
Al suo posto c’era un “assistente”, immobile e silenzioso. Sembrava una statua di metallo che teneva per la cavezza due strani animali pelosi alti quasi quanto lui.
Un piccolo simbolo rosso sangue apparve sul petto dell’assistente che aprì gli occhi e si precipitò a sostenerlo.
Verso le sorgenti
La settimana seguente fu molto meno faticosa. Aiutato dai due animali — due lama, venne a sapere — continuò a risalire il fiume mentre Mentore dava una mano e provvedeva a controllare che non corressero pericoli.
La strada era, in generale, più agevole di quella che aveva percorso il giorno prima, anche se in parecchi punti fu costretto a bagnarsi fino al midollo nelle acque gelide.
Mentre camminava, appoggiandosi da una parte al suo bastone e dall’altra ad uno dei due lama, Jona continuava a discutere con Mentore che camminava al suo fianco.
Lentamente stavano ricostruendo la storia degli antichi a partire da quello che sembrava essere il punto di massima espansione: l’inizio del terzo millennio.
Apparentemente gli antichi erano semplicemente diventati troppi perché il pianeta potesse soddisfare i loro bisogni e assorbire i loro rifiuti.
Mano a mano che seguivano le tracce sui documenti che avevano a loro disposizione, Isto sbloccava intere sezioni della memoria di Mentore che, invariabilmente, confermavano le loro supposizioni e fornivano ulteriori spunti di ricerca.
Qualche volta imboccavano strade sbagliate, ma se ne accorgevano presto proprio perché le memorie rimanevano ostinatamente chiuse. Dovevano allora cercare un’altra spiegazione ai fatti che conoscevano e cercare di fare previsioni su quel che sarebbe avvenuto poi.
Prima di arrivare alle sorgenti del fiume avevano un’idea abbastanza chiara di quello che era successo agli antichi, dal momento in cui si erano avute le prime avvisaglie di problemi di sovraffollamento e inquinamento, seguite da risorse naturali in via di esaurimento, la Terra trasformata rapidamente in una immensa città pulsante di vita con una popolazione umana superiore ai 12 miliardi di persone, quasi una media di 80 abitanti al chilometro quadrato su tutte le terre emerse, comprese montagne, deserti e le immense distese ghiacciate dell’Antartide. Numeri da capogiro, specie tenendo conto che v’erano zone con una densità superiore a 1000 abitanti per chilometro quadrato; ognuno aveva una trentina di metri quadri a disposizione!
“Quanti siamo oggi?” Chiese ad un certo punto Jona.
“Se comprendiamo anche Elfi, Nani, Orchi eccetera quasi duecento milioni”, fu la risposta.
Jona si chiuse in un silenzio pensoso cercando di digerire quei numeri che gli facevano girare la testa; già duecento milioni gli sembrava una quantità enorme.
Non si stupì troppo quando scoprì che avevano cominciato a succedere disastri e a scoppiare guerre sempre più sanguinose che, però, non riuscirono nemmeno a rallentare la crescita. Quello che lo lasciò, invece, sconvolto fu lo scoprire il potenziale distruttivo al quale erano arrivati e come una buona fetta di questo potenziale, ad un certo punto fosse esplosa provocando danni in tutto il mondo.
A quel punto erano successe due cose più o meno nello stesso periodo: le colonie sulla Luna e sugli altri satelliti erano diventate indipendenti e la violenza era scoppiata ovunque paralizzando quel poco di civiltà che ancora era sopravvissuta.
Jona si ritrovò a pensare alla conigliera della vecchia Berta che, rimasta sola, aveva smesso di macellare regolarmente i suoi animali. Ad un certo punto, pur nutriti, erano impazziti ed avevano cominciato ad ammazzarsi l’un l’altro semplicemente perché erano troppi in uno spazio troppo ristretto. Chissà che cosa dovevano aver pensato quegli antichi stipati come conigli.
L’ultima data che Isto permise loro di vedere fu un triste resoconto ed una disperata lettera di addio lasciata da uno sparuto gruppo di persone che alla mezzanotte del 31 dicembre dell’anno 2200 avevano fatto saltare in aria la casa che li ospitava, l’unica in grado di comunicare ancora con le colonie nello spazio.
Gli antichi erano spariti dalla Terra.
Dopo aver sentito le voci registrate di quei poveretti, Jona si chiuse in un cupo mutismo che Mentore non cercò nemmeno di intaccare.
Draghi
La valle si era allargata e, a quanto diceva la mappa, erano vicini al lago da cui nasceva il fiume che avevano così faticosamente risalito.
“Attenzione, arrivano”, disse Mentore con lo sguardo puntato verso l’alto.
Jona, che non sapeva bene che cosa aspettarsi, vide diversi puntini roteare alti nel cielo, poi si accorse che tre di quei puntini si erano staccati dagli altri e stavano venendo rapidamente verso di loro.
Che i “figli di Zeo” potessero volare sembrava assolutamente consono.
Non fece a tempo a chiedere l’Occhio di Falco che i puntini erano su di loro, rivelandosi per quel che erano: draghi.
Passarono a pochi centimetri sulle loro teste in formazione serrata mentre i due lama, terrorizzati, cercavano di scappare e Jona aveva il suo daffare per calmarli.
Erano delle splendide bestie, due verde smeraldo ed una di un azzurro profondo. Sembravano uno strano incrocio fra un serpente e una lucertola con due grandi ali piumate da falcone.
Si posarono davanti a loro e Mentore si portò in avanti a proteggere Jona e i due animali da soma.
Il drago azzurro allungò il collo verso di loro e sibilò, con una voce gutturale, ma riconoscibilissima: “Che venite a fare nelle nostre terre? Non vogliamo seccatori, da queste parti!”
Il punto esclamativo finale venne reso ancora più evidente da un breve sbuffo di fiamma che uscì dalle fauci del mostro e venne a lambire Mentore, che non parve notare minimamente la cosa.
Inarcò il collo all’indietro e aprì le fauci per scagliare una fiamma che aveva l’aria di essere ben più potente di quella precedente, ma Mentore alzò un braccio e scagliò qualcosa esattamente nella gola cosicché da quella uscì solo un breve lampo seguito da un accesso di tosse del povero drago costretto ad ingoiare la sua saliva incendiaria.
Mentore emanava un’aura rossa, pulsante e si stava muovendo con una velocità incredibile ed era saltato sulla groppa dell’altro drago verde che stava spiegando le ali impastoiandole con una rete nera.
Una attimo dopo era di nuovo, fermo come una statua, davanti al drago azzurro: “Forse è meglio calmarsi, prima che qualcuno si faccia male.”
I tre draghi lo guardarono con occhi malevoli, ma poi l’azzurro si fece di nuovo portavoce degli altri: “Prendete le vostre bestie e andatevene.”
“Va bene”, rispose Mentore. Con lentezza deliberata, andò a liberare le ali che aveva impastoiato e si girò verso Jona dicendo con un tono che non ammetteva repliche: “Andiamo!”
Tornarono lentamente sui loro passi, senza girarsi indietro, anche se, senza dubbio, Mentore stava controllando ciò che avveniva alle loro spalle.
Quando furono fuori portata delle pur fini orecchie dei tre draghi Mentore disse sottovoce: “Hai fatto bene a non cercare di discutere.”
“Ho visto anch’io che gli altri si erano avvicinati; ne ho contati almeno una trentina.”
“Trentasette, per la precisione; con questi tre facevano una bella cifra tonda di quaranta. Decisamente troppi.”
“Non mi pare il caso di insistere ora. Cerchiamoci un posto per la notte.”
“Fammi vedere la mappa di questa zona e cerca di segnare anche dove si trovano i draghi.”
Davanti a Jona apparve una piccola mappa che includeva parecchi puntini colorati ed anche tre piccoli draghi in miniatura che erano ancora sul terreno alle loro spalle. Uno stava sputando fiamme, un altro stava usando il lungo collo per lisciare le penne delle grandi ali ed il terzo guardava con un’espressione vagamente disgustata gli altri due. Poco dopo si levarono in volo e ripresero a librarsi con gli altri. Probabilmente li tenevano d’occhio.
Percorsero quasi dieci chilometri verso sud-ovest prima che i draghi si decidessero a ritornare verso le loro montagne.
Quando furono certi di non essere più osservati si infilarono in una stretta valle boscosa che andava quasi esattamente ad ovest mettendo così un’alta catena di montagne fra loro e la valle dei draghi.
Si accamparono in una valletta verde alla confluenza di due torrentelli.
All’inizio Jona era dubbioso, ma Dana confermò che i draghi erano creature diurne e che odiavano volare di notte. Accendere un fuoco non sarebbe stato un problema. Meglio. La temperatura, fra quei monti, era decisamente fresca.
Jona si addormentò profondamente insoddisfatto: l’approccio con i Figli di Zeo era stato deludente così come inconcludenti erano anche le risposte che avevano trovato per domanda di Dana.
Altri Draghi
Si svegliò, come al solito, all’alba e cominciò a sciogliere le articolazioni irrigidite dalla fredda umidità della notte.
Decisamente quel viaggio stava diventando sempre più faticoso
“Mentore!”
“Sono qui, non c’è bisogno di urlare.”
“Zitto! Ho capito!”
“Bravo, ma che cosa, di grazia, avresti capito di tanto importante?” Lo canzonò lui.
Jona non ci fece nemmeno caso, concentrato com’era a seguire la sua idea: “La questione della macchine. Perché non ce le vogliono far usare.”
Mentore si fece attento.
Mentore non sembrava molto convinto: “I Viknuit percorrono lunghissime distanze tutti gli anni.”
“Vero”, replicò il Mago senza lasciarsi scoraggiare, “ma i viaggi sono sempre molto pericolosi e, comunque, non vengono davvero in contatto con altre popolazioni. Solo il Gran Mercato dove arrivano pochi esterni come i Nani ed i venditori di pelli, gruppi che rimangono comunque essenzialmente separati.”
Scosse la testa: “No. Sono sicuro. Ora ci resta solo da trovare la risposta ad una domandina facile facile: “perché il fatto di viaggiare troppo ha provocato la scomparsa degli antichi?””
Prima che Mentore potesse dare la risposta sarcastica che aveva in mente furono distratti dai due lama che si misero a gridare e a tirare le corde che li legavano, terrorizzati.
Si precipitarono verso di loro per vedere che cosa stesse succedendo quando due ombre passarono sulle loro teste per andare ad infilarsi nella valle poco più a nord. Due draghi dovevano aver trovato una preda, almeno a giudicare dal trapestio e le urla disperate che cessarono quasi subito.
Portarono i due lama in mezzo ad un fitto boschetto di alti larici dover i draghi avrebbero avuto parecchia difficoltà a raggiungerli e, dopo averli calmati, li legarono lì.
“Andiamo a vedere”, disse Jona facendo cenno a Mentore di seguirlo.
Si diressero verso la radura dove avevano visto tuffarsi i due draghi tenendosi bene al riparo degli alberi.
I draghi erano calati su un branco di grosse capre bianche — capre di montagna, lo informò Mentore — che ora si stavano dileguando su per le pareti rocciose con sorprendente agilità, dopo aver lasciato due dei loro simili fra gli artigli dei due draghi che ora stavano ingoiando le loro prede intere, come fanno i serpenti.
Poterono vedere i due grossi bocconi — un centinaio di chili di carne ciascuno — farsi lentamente strada lungo il collo e raggiungere lo stomaco, dove si fermarono.
L’operazione richiese parecchi minuti e loro ebbero tutto l’agio di osservare i due draghi. Erano due animali lunghi una dozzina di metri dalla punta del naso a quella della coda.
L’aspetto era quello di un serpente, coperto da lucide squame di un blu profondo, con quattro corte zampe artigliate che assomigliavano a quelle di un’iguana e due grandi ali coperte di penne quasi dello stesso colore del resto del corpo.
Dove si inserivano le ali, poco sotto le zampe anteriori — più sottili e delicate di quelle posteriori — il corpo si ingrossava parecchio formando un petto a carena che forniva un adeguato sostegno per i muscoli del volo. Subito dopo, ben prima delle zampe posteriori, il corpo ritornava serpentino, anche se attualmente era ingrossato dal peso che avevano nello stomaco.
Dovevano aver fatto un qualche rumore o forse il loro odore era giunto fino ai draghi, perché questi girarono simultaneamente le teste verso di loro guardandoli con quattro occhi curiosi delle grandi pupille a taglio verticale.
Jona e Mentore rimasero fermi e i draghi li osservarono a loro volta con la placida tranquillità di chi è conscio di non avere nemici naturali, poi, vedendo che i due non si muovevano, si alzarono e vennero fino al limitare del bosco nel quale si trovavano infilando le teste fra gli alberi per venire ad annusarli.
“Non vogliamo disturbare”, disse Jona, “i nostri animali si sono spaventati e siamo venuti a indagare.”
Due teste squamose si girarono verso di lui e due lingue biforcute dardeggiarono nell’aria a pochi centimetri dalla sua faccia, senza toccarlo, ma non venne risposta.
Sicuramente un passo avanti rispetto all’aggressività del giorno precedente, pensò Jona mentre avanzava e, quasi senza pensare, appoggiava la mano su quella testa.
Con sua grande sorpresa il drago chiuse gli occhi e cominciò a fare le fusa.
Due ore dopo ritornavano dai loro lama.
Avevano lasciato i due draghi placidamente acciambellati in attesa di digerire il loro pasto. Non avevano dato il minimo segno di poter parlare o di capire quello che loro avevano detto.
Non avevano nemmeno dato segni di ostilità, forse perché sazi o forse perché né uomini né elfi facevano parte delle loro prede abituali.
Si erano comportati come grossi animali curiosi ed estremamente sicuri di sé, almeno fino a quando non era cominciata la digestione e con essa era arrivata la sonnolenza.
Avvicinamento
Ripartirono che il sole era molto alto.
Di battere in ritirata non se ne parlava nemmeno.
Dopo una lunga analisi della mappa decisero di fare un ampio giro dietro una cresta di monti e cercare di arrivare al picco dei draghi da dietro, sparando di passare inosservati.
Proseguirono verso ovest per alcuni altri chilometri ed avvistarono solo pochi draghi che giravano alti nel cielo. Nel primo pomeriggio ad un’altra intersezione fra due strette valli: una che proseguiva verso sudovest ed una che andava dritta verso nord. Presero quella che si inerpicava verso sudovest come se avessero intenzione di passare lo spartiacque e scendere verso il lontano oceano. Poco dopo si fermarono e si apprestarono a passare la notte.
“Cerca di riposare, hai una lunga notte davanti.”
“Lo so, ma ti assicuro che è meglio così.”
Mentore non era molto convinto: “I draghi non mi sono sembrati molto svegli; c’è bisogno di tutto questo?”
Jona non arretrò di un millimetro: “Sì, c’è bisogno, e mi stupisco che tu faccia tutte queste storie. Di che hai paura? Che mi perda nel buio della notte?”
“Di certo ci vedo meglio io, specialmente di notte.”
Discussero ancora un po’, poi Jona si sdraiò fra le coperte che il sole stava appena lambendo le cime delle montagne.
Mentore lo svegliò che era già buio pesto. Il fuoco scoppiettava allegro nel cerchio di pietre.
“Ora è il caso di andare. Guarda cosa ho preparato.”
Quello che vide Jona alla luce dei fari di Mentore era uno strano trabiccolo fatto con pelli bianche di due capre di montagna, dei pali di legno e altre cianfrusaglie.
“Che cosa dovrebbe essere? Chiese sospettoso.”
Mentore si caricò addosso quell’affare e cominciò a camminare lentamente: “Capisco che da qui non sia un granché, ma i draghi, se veramente si daranno la pena di controllare, vedranno due lama e due persone camminare su per le montagne”, disse con un certo compiacimento nella voce.
“Non in questa forma. Come Amuleto avrei potuto farla — forse — ma come assistente la mie capacità di proiettare illusioni così grandi sono parecchio limitate.”
“Capisco, andiamo.”
L’assistente si immobilizzò mentre l’Amuleto, che era sempre rimasto in cima al lungo bastone da passeggio, riprese a pulsare di luce rossa.
Jona afferrò le cavezze dei due animali che Mentore aveva già bardati e si avviò verso nord alla luce delle stelle e dell’Amuleto.
Prima che arrivassero le prime luci dell’alba cercò rifugio in un fitto bosco di alti aceri, legò gli animali e si arrotolò nelle coperte.
L’Amuleto si spense e lui rimase solo.
Si annoiò non poco in quella giornata nella quale doveva cercare di non farsi notare dall’alto. Non si era reso conto di quanto dipendesse, oramai, dai servizi che gli forniva Mentore. Anche tralasciando il valore di una conversazione intelligente e mai banale, era lui a fornirgli tutte le indicazioni, le notizie e gli stessi libri da leggere. Senza si sentiva quasi come fosse nudo.
Appena cominciarono a calare le tenebre preparò la sua roba e i lama e si rimise in cammino alla luce delle stelle.
La falce della luna stava per scomparire dietro i monti quando un fruscio lo fece voltare in tempo per vedere Mentore che arrivava a tutta velocità su per la valle.
“Sei arrivato giusto in tempo. Se non vado errato dobbiamo arrampicarci di là per passare nella valle accanto.”
“Hai un ottimo senso dell’orientamento anche al buio. Sì dobbiamo passare di lì. Sbrighiamoci, non è il caso di farsi trovare su terreno scoperto di giorno.”
“Com’è andata?”
“Avevi ragione. Mi hanno seguito dall’alto fino a che non ho passato il valico, poi sono tornati indietro. Non ho visto un drago in tutto il pomeriggio.”
“Meglio così.”
Risalirono l’erta, ripida, ma non irresistibile, seguendo dei tratturi probabilmente usati dalle capre di montagna che sembravano essere molto abbondanti nella zona, nonostante i draghi dovessero pretendere un salato pedaggio.
Discesero nel piccolo altopiano ai piedi delle montagne che chiudevamo la valle dei Figli di Zeo e si nascosero nel boschetto di abeti che si trovava ai bordi di un laghetto alpino.
Un intero gregge di capre di montagna aveva avuto la loro stessa idea. Mentore stava per cacciarli in malo modo, ma, prima che si muovesse, i lama passarono all’azione e cominciarono a sputare succhi acidi con una tale precisione che le capre preferirono non avvicinarsi troppo.
Alle prime luci dell’alba erano sdraiati su un soffice letto di aghi di pino in un punto dove era assolutamente impossibile vederli, sia da terra che dall’alto.
Jona era stanco, ma non riusciva a prender sonno: “Sono stato a rimuginare tutto il giorno, ieri”, disse ad un certo punto.
Mentore si limitò a guardarlo, aspettando che proseguisse.
Cose che, puntualmente, avvenne:
Altra pausa.
“Ieri ero estremamente seccato. Non riuscivo a fare nulla. Non avevo i miei libri e nemmeno un pezzo di carta e una penna su cui prendere appunti. Da quando hai memorizzato la libreria del Monastero di Palla, un paio di anni fa, oramai, ho cominciato ad appoggiarmi sempre più alle tue capacità. Senza ero completamente perso.”
“Vero, ma quello che stavo cercando di dire è qualcosa di diverso. L’Amuleto mi permetteva di lanciare incantesimi, scrutare nelle persone, fare cose che hanno fatto di me un Mago, in un certo qual modo mi ha anche insegnato il mestiere — non ho mai capito chi mi abbia fatto davvero da maestro, se l’Amuleto o Gerba — ma, almeno per quello che erano i miei studi, non ho mai dovuto dipendere completamente dall’Amuleto. Avevo i miei libri, i miei appunti, oltre a tutto quello che mi ha lasciato Gerba e che ora è di Serna.”
“Ti vorrei vedere portarti la tua biblioteca sulle spalle, per non parlar del resto!”
“Non discuto! So perfettamente che non avrei potuto. Ciò non toglie che, senza di te sono completamente perso. Non ho con me neppure le poche cose che avrei potuto portare. Dipendo completamente da qualcuno — o qualcosa — su cui non ho il benché minimo controllo e, cosa ancora peggiore, non me ne sono reso completamente conto finora.”
“Anche sulla tua libreria non hai davvero controllo. Basterebbe un fulmine per mandare tutto a fuoco.”
“Non è la stessa cosa”, insistette Jona, “è vero che gli incidenti possono sempre capitare, ma per la mia biblioteca, per esempio, ho cercato di prendere provvedimenti. Tra le altre cose ho copiato tutte le cose che ritenevo importanti e ora sono in custodia da Marlo. Un incendio non avrebbe distrutto davvero tutto. Nel caso tuo, invece, non ho possibilità di fare niente. Che faccio se, per qualunque motivo, Thano decide di richiamarti e mi lascia con una statua di metallo e un medaglione di legno? Provo a copiarti da qualche parte? Come? Non solo sono alla completa mercé degli Dei, come qualunque mortale, ma non posso neppure fare qualcosa per cercare di non esserne troppo dipendente.”
“Capisco”, disse Mentore,
“Sono contento di sentirlo”, lo interruppe Jona, “ma c’è qualcos’altro, che potrebbe essere anche più importante.”
“E sarebbe?”
“Questo potrebbe essere il motivo per il quale gli Dei non vogliono che si usino i dispositivi meccanici.”
“Scusami, Jona, ma non ti seguo.”
“Effettivamente, verso la fine, si sono accavallate molte crisi dovute alla mancanza di materie prime indispensabili al funzionamento delle macchine, a partire dall’esaurimento dei giacimenti di petrolio.”
“Infatti! Mi ricordavo qualcosa del genere, ma non ricordavo i particolari. Questo vorrebbe dire che quello che ti ho detto l’altro giorno riguardo al bando delle macchine per non rendere troppo facili gli spostamenti era sbagliato.”
Rimase un momento pensoso, poi mugugnò: “Forse sarebbe il caso di chiedere direttamente a Festo.”
La risposta arrivò rapida: “Festo mi dice che non ha intenzione di spiegare, per ora, ma che: “Le migliori decisioni vengono prese sempre per almeno tre motivi”.”
Jona lo guardò fisso, poi sbuffò: “Maledizione! Pensavo di avere un motivo di troppo e scopro che me ne manca ancora uno.”
Esplorazione
Il cielo era oramai quasi completamente nero e le stelle si mostravano sempre più numerose nell’aria cristallina dell’alta montagna.
Erano ai bordi del lago, pronti a partire per la loro scorribanda notturna.
“Tieni, è meglio che usi questo”, disse Mentore tirando fuori da un recesso del suo torace metallico un oggetto ripiegato su se stesso. Lo aprì e si rivelò essere un paio di grossi occhiali con una specie di cappuccio che si adattava alla testa.
Come Jona adattò gli occhialoni al suo viso si ritrovò in pieno giorno, con un panorama dai colori inquietanti, ma non aveva nessuna difficoltà a vedere dove mettere i piedi.
“Perfetto. Andiamo.”
Avevano già studiato il percorso e sapevano perfettamente cosa dovevano fare.
Jona procedeva spedito con il suo lungo passo da montagna, mentre Mentore lo seguiva da presso, evitando di mettergli fretta.
La falce di luna rischiarava la valle sotto di loro.
Si trattava di un’ampia conca che aveva l’aspetto di un’immensa orma che aveva sgretolato le pendici dei monti che la circondavano.
Loro erano proprio sul crinale, affacciati al balcone naturale, seminascosti fra ampi massi.
Nessuno badava a loro.
I draghi dormivano. Dormivano in recinti ben tenuti che assomigliavano a stalle fornite di tutti i comfort.
Un grande edificio con alte volte era l’unico centro dove si notava una certa attività. Si vedevano degli elfi che andavano per i loro affari.
C’erano anche alcuni elfi più piccoli, bambini?
Jona chiese l’Occhio di Lince, ma Mentore gli fece vedere come regolare i suoi occhialoni per ottenere lo stesso risultato, se non migliore.
Non erano Elfi, ma Assistenti di Zeo.
I “bambini”, invece, sembravano in carne ed ossa. Molti di loro dormivano assieme ai draghi e anche i pochi che ancora si vedevano aggirarsi sui sentieri illuminati presto si andarono a coricare a fianco di quegli esseri metà serpente e metà uccello.
Solo gli assistenti, che non avevano bisogno di dormire, rimasero in attività.
“Quanti saranno?”
“I draghi? Da qui ne riesco a contare settantasei”, rispose Mentore.
“Veramente pensavo a quei piccoli Elfi — strano che non si vedano adulti — ma è la stessa cosa: pare che siano tanti quanti i draghi. Dormono insieme coma bambini con il loro gattino preferito. Per avere una visione migliore bisognerebbe fare il giro ed andare laggiù”, disse Jona indicando un alto picco dalla parte opposta della grande conca, “ma non credo di farcela ad arrivare fin lì e tornare prima che faccia giorno. Vuoi andare tu? Magari poi mi puoi far vedere le immagini.”
“Posso fare di meglio. Guarda.”
Allungò una mano e regolò qualcosa negli occhialoni di Jona.
L’effetto fu sconvolgente: ora vedeva con gli occhi meccanici di Mentore, ma non solo, aveva realmente l’impressione di essere in quel corpo meccanico e di guardarsi da fuori.
“Questo è il comando per far ritornare tutto normale, dovesse essercene il bisogno. Andiamo.”
Fu una corsa incredibile ed esilarante con Mentore che, in alcuni tratti, procedeva galoppando a quattro zampe con una velocità da mozzafiato.
Nonostante la corsa il tragitto fu lungo e, giunti sul picco che Jona aveva indicato, finirono l’ispezione. Contarono un centinaio di coppie bambino-con-drago in altrettante casette separate con annessa la stalla per il Figlio di Zeo.
Non capiva: chi erano quei piccoli elfi?
Dei servitori dei draghi?
Sembrava strano che degli esseri così irascibili e scontrosi si lasciassero avvicinare con tanta facilità.
D’altra parte i draghi che avevano incontrato dopo si erano mostrati curiosi ed affettuosi, molto diversi.
“Forse è meglio che cominci a scendere senza aspettarmi”, gli disse Mentore all’orecchio, “le stelle stanno già cominciando ad impallidire.”
Jona sollevò gli occhialoni. Il buio era sempre fitto, ora che la luna era tramontata, ma aveva ragione: meglio non farsi sorprendere dal giorno.
Regolò di nuovo gli occhialoni in modo da vedere nella notte e cominciò la discesa.
Arrivarono al boschetto dove si erano accampati quasi contemporaneamente alle prime luci dell’alba.
Apparentemente nessuno si era reso conto della loro incursione.
Jona era stanco, più per la tensione che per la notte passata ad arrampicarsi su per dirupi, ma prima di addormentarsi si tirò su appoggiandosi su un gomito e chiese a Mentore: “Quegli occhialoni, li usavano gli antichi per controllare i loro automi da combattimento, vero?”
Fu sufficiente un infinitesimo cenno d’assenso.
Incursione
Lasciarono il loro rifugio che c’era ancora molta luce, dopo che i draghi si erano già ritirati. Ripercorsero la strada che avevano fatto due giorni prima e poi piegarono un po’ più a sinistra, verso il sentiero che avevano individuato e che li avrebbe portati ad un boschetto di pini rossi che arrivava a poche decine di metri dall’edificio quadrato che era il loro obbiettivo.
La luna non era ancora sorta e nessuno fece caso a due ombre furtive che scendevano nella valle.
Gli alberi non erano enormi a quell’altitudine, ma, una volta entrati nel bosco, si poteva camminare agevolmente tra i tronchi, sullo spesso letto di aghi di pino.
Jona ebbe un’improvvisa sensazione di deja-vu, prima ancora di riconoscere il luogo si guardava attorno cercando i grandi lupi della Foresta Oscura che non potevano essere lontani.
Mentore lo guardava senza capire la ragione di quell’improvviso turbamento.
Il Mago lottava per non lasciarsi sopraffare dalla sensazione, che sapeva perfettamente essere falsa, ma non per questo era meno potente.
La testa del lupo spuntò da dietro uno dei tronchi e Jona fu ad un passo dal cedere e fuggire urlando, ma non si trattava di un lupo, bensì della testa di un drago che, con le pupille enormemente dilatate nella semioscurità, tentava di capire ai fiochi raggi della luna che cosa lo avesse disturbato.
La sensazione sparì senza lasciare traccia e Jona si avvicinò al drago dicendo con voce perfettamente calma: “Sono venuto su richiesta Divina. Devo parlare con il Sacerdote.”
Il drago inclinò il testone di lato per vedere meglio e allungò il collo verso di lui, dardeggiando con la lingua bifida.
Jona si fermò davanti a lui e quello venne ad appoggiare la testa sulla sua mano. Il Mago, senza pensare, gli fece una carezza sulle morbide squame che coprivano il collo e quello chiuse gli occhi e cominciò a fare le fusa.
Cercò di parlare ancora, ma, per tutta risposta, il drago allungò il collo sporgendo la testa proprio come un gattone che ha deciso che ha bisogno di una bella grattata sotto il mento: qui ed ora!
“Che facciamo, ora?” Chiese a Mentore mentre il Figlio di Zeo ronfava sempre più forte.
Mentore si strinse nelle spalle, poi disse: “Non è solo”, indicando poco lontano.
Jona vide uno di quei piccoli elfi che, visto da vicino, non sembrava un bambino, era minuto e sottile, come un uccello senza piume, ma aveva lineamenti adulti, se non anziani.
L’elfo stava dormendo appoggiato al fianco del drago, semicoperto dalla grande ala, ma ora che questo si era mosso, si rigirò nel sonno, si accorse che qualcosa non andava e aprì gli occhi.
“Chi siete voi? Da dove venite?” chiese con voce acuta, poi si alzò rapido e si nascose impaurito dietro il drago. Sembrò sentirsi male perché si accasciò lentamente al suolo rannicchiato in posizione fetale.
“Chi siete voi? Da dove venite?” Ruggì il drago, che ora aveva smesso di fare le fusa e li guardava con occhi cattivi.
“Te lo abbiamo già detto: siamo qui per vedere il Sacerdote.”
“Non vedrete proprio nessuno!” Urlò inarcando il collo possente.
Prima che potesse lanciare il suo getto di fiamma, Jona gli infilò il suo lungo bastone in gola e lo ritrasse intriso di un liquido nero che, a contatto con l’aria, prese immediatamente fuoco.
Il Mago roteò il bastone fiammeggiante tenendo a bada il drago mentre faceva attenzione a non appiccare fuoco all’intera foresta.
“Ne arrivano altri”, lo informò Mentore mentre cercavano di ritirarsi verso il centro del boschetto.
Se ne era accorto anche il drago che emise una buona imitazione di una risata e chiese beffardo: “Quanto pensi di poter resistere? Penso proprio che ci divertiremo.”
Jona, che stava continuando ad roteare il suo bastone infuocato fra se e il Figlio di Zeo, scattò improvvisamente in avanti e colpì la testa di quel mostro con un colpo talmente forte da farlo ondeggiare e da spegnere le fiamme.
Mentre Mentore si spostava per tagliare la strada ai draghi che stavano arrivando agitando le ali per correre più veloci su per il pendio, Jona aggirò il drago momentaneamente intontito e, schivando con un salto la coda che sferzò l’aria sotto di lui nel tentativo di farlo inciampare, si portò vicino all’elfo che era sempre rannicchiato e non dava cenni di vita.
“Che vuoi fare, maledetto?” ruggì il drago che era riuscito a girarsi, pur impacciato dagli alberi.
“Io non voglio fare assolutamente nulla. Ma è meglio che ti calmi o qualcuno potrebbe farsi male”, disse sollevando l’elfo e tenendolo delicatamente davanti a se — era incredibile quanto fosse leggero — “dopotutto non vorrai mica bruciarti da solo, vero?”
Il drago parve sgonfiarsi e rimase immobile. Anche gli altri, che erano oramai arrivati al limitare del bosco, resisi conto della situazione, si fermarono.
“Lascia in pace quel povero animale e ritorna nel tuo corpo. Non ho nessuna intenzione di farti del male, o l’avrei già fatto. Sono qui per parlare con il vostro Sacerdote e lo farò. Preferirei farlo senza che nessuno ne soffra.”
Sentendo che l’elfo si muoveva lo appoggiò delicatamente al suolo e disse, rivolgendosi a lui e non al drago, stavolta: “Mi faresti l’onore di accompagnarmi al Tempio, per favore?”
L’elfo lo studiò, forse chiedendosi se poteva attaccarlo direttamente, ma Mentore si portò come un lampo al suo fianco e l’idea, se veramente c’era stata, svanì.
Zeo
Mentre passavano fra i draghi che circondavano il bosco l’Elfo tentò di divincolarsi, ma Jona, che si aspettava una mossa simile, non si lasciò sfuggire la mano che teneva, pur cercando di non rompere quelle ossa sottili.
Arrivarono fino all’edificio centrale senza altre sorprese.
Sulla porta una doppia fila di assistenti con il simbolo azzurro di Zeo lo stava aspettando.
Giunto sulla soglia, vedendo l’interno azzurro del Tempio, Jona lasciò la mano dell’Elfo dicendogli gentilmente: “Grazie, da qui credo di poter proseguire da solo”, dopo di che si girò e, senza guardarsi indietro, entrò con Mentore al suo fianco.
Si diresse con passo sicuro verso la camera interna da cui proveniva la luminosità azzurra che rischiarava tutta la sala.
“Cosa cerchi, straniero?” Chiese il Sacerdote — un assistente, che, pur essendo assolutamente identico a tutti gli altri, dava l’impressione di essere molto vecchio e saggio.
“Chiedo di librarmi alto nel cielo”, rispose Jona con il saluto formale, ricevendo la risposta canonica: “E allora liberati dal peso che ti tiene schiacciato sulla terra!”
“Il mio cuore è leggero, ma sento che un peso grava su questa valle. Posso essere di un qualche aiuto?”
Il Sacerdote scosse il capo: “Non credo tu possa far nulla.”
“Gli Dei, almeno alcuni degli Dei, mi hanno inviato qui in cerca di saggezza. Molte cose ho capito, almeno credo, ma molte domande ancora attendono risposta. Puoi aiutarmi?”
“Una mia collega direbbe che: “devi cercare la saggezza in fondo al tuo cuore””
Tutti gli assistenti, incluso il Sacerdote e Mentore, erano immobili come statue. Anche i simboli sulla loro spalla sinistra erano scomparsi.
Mentore era tornato ad occupare l’Amuleto che ora brillava di luce rossa.
Zeo lo guardava dall’alto con quel suo naso adunco e quegli occhi grifagni che lo facevano somigliare ad un’aquila.
Jona tacque e il Dio proseguì: “Dici di aver capito molte cose; dimmi che cosa hai capito e, se sarò soddisfatto, ti farò altre domande.”
Jona pensò: “Anche lui!”, ma rimase impassibile e cominciò a elencare:
“Questi piccoli Elfi, che io avevo pensato fossero bambini, sono un popolo che Tu hai creato, probabilmente con l’aiuto di Dana.”
“Gli animali che chiamerò “draghi”, in mancanza di un nome migliore, sono un’altra delle Tue creature.”
“Tra i draghi e gli elfi c’è un legame, credo un legame molto stretto e permanente.”
“I draghi, da soli, sono solo degli animali, hanno un buon carattere e sono socievoli, pur essendo dei cacciatori di prim’ordine. Immagino che abbiano molto dei gatti, non ostante le apparenze.”
“Gli Elfi possono prendere il controllo completo dei draghi, o, più probabilmente, del loro drago, quando vogliono, ma perdono il controllo del proprio corpo quando lo fanno. Qualcosa di simile a quel che fanno gli Sciamani.”
Jona si fece più insicuro e titubante, ma proseguì:
“Il legame, però, sembra più esclusivo e potente. Gli Elfi passano più tempo come draghi che come Elfi!”
“C’è qualcosa di sbagliato, ma non so cosa di preciso. L’unica cosa che mi viene in mente sono le storie degli sciamani che non sono riusciti a troncare il rapporto con il loro animale ed hanno finito per morirne!”
Jona tacque e Zeo rispose con la voce venata di ammirazione: “Hai veramente capito molte cose Mago. Ti dice nulla l’espressione “I Cavalieri dei Draghi”?”
I Cavalieri dei Draghi? Quei Cavalieri dei Draghi? Possibile che gli Dei si divertissero a realizzare tutte le fantasie degli antichi? Certo, c’erano delle differenze, ma
“Sì.”
Jona raccolse le idee, scacciò la tentazione di affrontare immediatamente Mentore e ricominciò ad elencare contando sulle dita: “Le implicazioni della Tua domanda sono tante e non sono sicuro di non perdermi per i rami; Ti imploro di fermarmi se prendo delle strade errate.”
Zeo si limitò a guardarlo con i suoi occhi penetranti.
“I Piccoli Elfi, secondo le Tue intenzioni, dovevano essere dei Cavalieri dei Draghi.”
“Questo spiega la loro piccola statura e il fatto che siano così leggeri. Probabilmente hanno le ossa cave come gli uccelli.”
“Anche quella strana gibbosità che che hanno i draghi alla base del collo si spiega: è una specie di sella naturale.”
“C’è anche un legame a distanza fra Cavaliere e Drago — anche questo è frequente nei racconti di cui si parlava — che si forma molto presto nella vita del Cavaliere e non si spezza fino alla morte.”
Vedendo che Zeo continuava a tacere proseguì cauto:
“I draghi devono avere, nel loro cervello, un organo molto simile a quello che hanno quegli animali che gli Sciamani riescono a controllare.”
“Non ho visto, presso i Piccoli Elfi, strumenti simili al bastone di Airone Infelice che facciano da tramite; devo presumere che anche gli Elfi abbiano un organo specializzato nel loro cervello.”
“Questo, però”, Jona stava oramai parlando a ruota libera, stupito egli stesso di dove lo stava portando il suo ragionamento ad alta voce, “ha, in qualche modo, reso il legame ancora più forte.”
“Probabilmente, nelle intenzioni, doveva essere più debole, sufficiente a guidare i draghi, ma non a provocare una completa identificazione.”
“Una volta “diventato” il Drago l’Elfo non ha più bisogno di portarsi appresso il peso morto del suo corpo.”
Vide un lampo negli occhi del Dio. Non era così semplice.
“Il processo di identificazione, probabilmente, richiede tempo. Da giovani gli Elfi cavalcano veramente i Draghi. Il legame doveva essere più debole, altrimenti il Cavaliere non sarebbe riuscito a rimanere in sella!”
“Il giovane Drago fa molta fatica a portare l’Elfo, ma la fa volentieri perché ha un indole socievole.”
“Gli Elfi sono invece molto irascibili e territoriali. Forse perché sono più simili ai rapaci. Avrebbe anche senso: se devono essere in grado di guidare i Draghi nel cielo devono avere anche molti degli istinti dei volatori. Ho osservato i Draghi, volano come grandi rapaci.”
Zeo aveva uno sguardo velato, triste, mentre rispondeva:
Jona rimase inebetito mentre contemplava le implicazioni di quello che il Dio aveva appena detto.
Lo riscosse un lampo verde: Asclep era apparso a fianco di Zeo; vederli così, uno accanto all’altro sembravano due fratelli.
“Capisci ora quello che ti volevo dire?”
Quel che voleva dire? Quando? A cosa si riferiva Asclep?
Il Dio sorrise con quel sorriso infinitamente più dolce di quello di Zeo, congiunse le mani una sull’altra e poi le allontanò in verticale. Nello spazio fra di esse si formò una piccola immagine nella quale si vedevano Jona ed Asclep.
Erano in una stanzetta del Tempio di Asclep ad Innerwald e Jona stava dicendo:“Adesso capisco perché Gornor è così cauto: Solo gli Dei possono prevedere davvero i risultati di manipolazioni genetiche.”
Asclep gli rispondeva: “Non è del tutto corretto, ma va abbastanza bene.”
Asclep richiuse le mani e l’immagine scomparve.
Jona era basito e riuscì solo a balbettare:
Spiegazioni
Il Sacerdote riprese a muoversi, e così tutti gli altri assistenti.
Jona, ancora molto scosso e notò appena che anche Mentore si stava allontanando con gli altri assistenti. Restò solo con il Sacerdote-assistente che gli fece cenno di venire a sedersi accanto a lui su un rigido divanetto che si trovava di lato all’ara centrale.
“Zeo mi dice che posso rispondere a tutte le vostre domande e che devo aiutarvi a ripartire verso sud.”
Jona guardò l’Amuleto stupito del fatto che Mentore non fosse tornato nel suo corpo di assistente. Chi l’aveva preso? Tutto quel saltare delle anime da un corpo all’altro cominciava ad infastidirlo.
“Non c’è fretta”, lo interruppe il Sacerdote con un sorriso incredibilmente caldo, nonostante le limitate capacità mimiche di quel viso d’acciaio, “possiamo parlarne dopo colazione. Credo che tu preferisca cose dolci, la mattina, vero?”
Non ci fu alcun segnale visibile, ma arrivarono due assistenti con un ampio vassoio circolare ed un treppiede che sistemarono davanti a lui.
Il vassoio si trasformò in un comodo tavolinetto dal quale saliva una splendida fragranza di dolci appena sfornati e l’aroma di un forte caffè nero. Dopo un anno di “succedanei” quel tocco di gentilezza e attenzione da parte del Sacerdote lo commosse.
Quando Jona si riappoggiò allo schienale del divano era decisamente più rilassato ed aveva anche avuto il tempo di metabolizzare, almeno parzialmente, le novità.
“Bene”, disse finalmente al Sacerdote, “Mi pare di capire che i Cavalieri non siano stati un successo. Potranno sopravvivere?”
Il vecchio assistente — vecchio? Perché? Certamente non aveva rughe, sulla sua pelle lucida, eppure la sensazione persisteva prepotente — scosse il capo:
“Ma, i Draghi sono in grado di sopravvivere anche senza i loro simbionti elfici?”
Il Sacerdote lo guardò inclinando la testa di lato: “Veramente non lo sai?”
Jona sentì di aver fatto una domanda stupida: “Ho incontrato una coppia di Draghi che credo fossero selvatici e non mi pareva avessero il minimo problema, ma non sono certo un esperto in materia.”
“La tua impressione è giusta. Se la caverebbero molto meglio senza i loro Cavalieri. Cosa che avverrà fra non molti anni. Zeo ha già interrotto da qualche tempo le nascite degli elfi tramite le piante-utero. Credo proprio che quelli che vedi siano gli ultimi della loro stirpe. Una stirpe che non lascerà tracce: non uno di loro ha ottenuto l’immortalità dell’anima, almeno finora.”
Una profonda tristezza aleggiava nel Tempio, tanto che Jona si affrettò a cambiare argomento: “Mi dite che devo riprendere il viaggio. Da che parte devo andare? Come posso raggiungere la Torre? L’estate sta volgendo al termine e non vorrei rimanere intrappolato in queste montagne.”
Mentore rimase in silenzio ed il Sacerdote proseguì: “Normalmente avresti potuto partire direttamente dal laghetto dove ti sei accampato, ma, in questa stagione, c’è poca acqua. Dovremo accompagnarti più lontano, quando sarai pronto a partire. Per ora ti consiglio di riposarti. Parleremo ancora più tardi.”
Due assistenti si materializzarono al suo fianco per accompagnarlo in una piccola cella che ricordava quelle dei Monasteri.
Il Mago si accorse allora di essere molto, molto, stanco.
Di nuovo solo
Dormì quasi ventiquattr’ore di fila
Qualcuno lo aveva spogliato e aveva anche recuperato i suoi averi che ora erano in bell’ordine su uno scaffale, accanto ai vestiti che aveva usato, lavati di fresco.
Erano ancora le prime luci dell’alba e lui si concesse il lusso di un lungo bagno caldo.
Quando uscì dalla sua cella si sentiva in grado di affrontare tutti draghi dell’universo.
Rimase alla Valle dei Draghi ancora pochi giorni, nei quali cercò di portare la conversazione con il Sacerdote sugli antichi e sulla loro scomparsa, ma senza successo; non ammise nemmeno di sapere chi fossero gli antichi, anche se Jona era convinto del contrario.
Molto più specifico fu, invece, nei consigli per il successivo viaggio che l’avrebbe portato fino alla Torre. La prima parte sarebbe stata la discesa del fiume Colorado fino al mare, poi avrebbe proseguito lungo la costa e quindi avrebbe dovuto procedere a piedi nell’entroterra. Per tutto il viaggio non avrebbe incontrato né esseri umani né altre specie intelligenti. Gli Dei non avevano ancora ritenuto di popolare quelle zone.
Lo accompagnarono per un’intera giornata di cammino fino alle sponde di un altro laghetto da cui usciva un piccolo fiume che si incuneava fra le alte vette delle montagne. Intorno al lago crescevano delle piante che producevano delle zucche-zattera simili a quelle che conosceva bene.
Queste sembravano più piccole, ma più resistenti ed avevano una specie di rigonfiamento a prua che nascondeva un’ampia tasca che poteva contenere i suoi averi senza pericolo che si bagnassero.
La sera rimase a lungo a conversare con il Sacerdote, che lo aveva accompagnato, mentre gli altri assistenti preparavano il campo ed il cibo per lui solo.
Era l’unico essere in carne ed ossa nei paraggi.
La mattina dopo si svegliò che era l’alba. Erano rimasti solo due assistenti che lo aiutarono a mettere la zattera, oramai pronta, in acqua e, senza aspettare che questa imboccasse il fiume, cominciarono a raccogliere quanto era rimasto del campo.
Jona li vide scomparire dietro la prima curva della stretta gola che aveva preso a percorrere, poi dovette dedicare tutta la sua attenzione alla navigazione.
Il fiume era stretto, solo pochi metri più largo della sua zattera che veniva sballottata dalle acque bianche che spesso lo spingevano contro le pareti di roccia levigata dove la sua imbarcazione rimbalzava rumorosamente.
Si era chiesto perché questa zattera avesse il fondo formato da una fitta rete di tubi rigonfi che lasciavano passare l’acqua. Ebbe la sua risposta alle prime vere rapide, quando si trovò a cavalcare sulla criniera di un cavallo selvaggio e la sua imbarcazione fu sommersa dalle onde dei gorghi che defluirono veloci fra le maglie della rete.
Doveva fermarsi spesso, in pratica ogni volta che ne aveva la possibilità, per recuperare le forze. Manovrare il lungo remo per mantenere la sua imbarcazione lontana dai buchi più pericolosi era un lavoro faticoso e, almeno per ora, i tratti in cui il fiume scorreva tranquillo erano rari.
Con il passare dei giorni il fiume riceveva affluenti che ne aumentavano notevolmente la portata.
Dopo un breve tratto in una regione relativamente piana in cui Jona riuscì a rilassarsi un po’, il fiume si incuneò in una valle che si era scavato nella roccia nel corso dei millenni, valle che divenne sempre più profonda e spettacolare.
Motivi e meccanismi
Serna accarezzò con la punta delle dita la piccola colonnina color lavanda che aveva tirato fuori dalla grande cesta di cianfrusaglie che usavano per i loro numeri da giocolieri.
“Non farmi il solletico!” Protestò la miniatura del Djinn di Isto mentre usciva dalla cima della colonna e si sedeva, con le gambe a penzoloni, sul capitello.
“Ho bisogno del tuo aiuto.”
“Hai provato con Sindehajad?”
“Sì, ma anche lui è troppo immerso nella situazione. Ho bisogno di qualcuno che posa vedere le cose dall’esterno.”
“Capisco”, disse il Djinn piegando la testa di lato, “ma perché non chiedi direttamente ad Isto?”
Serna scosse il capo: “Ho provato, ma gli Dei dicono che non devo cercare scorciatoie!”
Il Djinn allargò le braccia: “E cosa ti fa pensare che ti possa aiutare io, allora?”
“Oh, parecchie cose”, rispose lei con un sorriso malizioso e contando sulle dita,
Esitò abbastanza a lungo perché il Djinn chiedesse: “E poi?”
“E poi sia Isto che Ipno mi hanno detto di chiedere a te”, terminò lei con uno sberleffo.
Il Djinn ignorò completamente la linguaccia di Serna e chiese con aria sorniona:
“Davvero!” Confermò Serna annuendo vigorosamente,
“Bah, hai una pessima memoria. Ipno non avrebbe mai parlato in quel modo”, ribatté il Djinn con aria disgustata.
Serna, che fino a poco tempo prima avrebbe reagito recitando parola per parola quanto aveva detto il Dio, si limitò a sorridere: “Comunque il senso era quello.”
“Faccio finta di crederti”, sbuffò il Djinn, “ti sei chiesta perché ti ha detto esplicitamente di farmi sapere che è stato lui a consigliarti?”
“Certo”, annuì lei, “immagino che questo sia un messaggio per te; per farti sapere cosa puoi o non puoi dire.”
“Perché non cominci dall’inizio e mi racconti di che si tratta?”
Serna si era preparata il discorso, ma ora che aveva il Djinn — o il suo Avatar — lì davanti esitava: “Ho cercato di capire, ma non ci sono riuscita. Volevo capire cosa ha portato a tutto questo”, allargò le braccia girando su se stessa come per abbracciare tutta la città,
“Pensavo di trovare un motivo che giustificasse, sia pure con una qualche logica perversa, tutto questo, ma non ho trovato niente.”
Rimase ancora un momento esitante, poi sbottò: “Anche se ci fossero dei motivi non riuscirei comunque a trovarli, in mezzo a tutte le menzogne di cui si circondano e a cui credono ciecamente!”
Il Djinn incrociò le gambe e distese le braccia lungo i fianchi, chiuse gli occhi e rimase lì immobile. Dopo alcuni istanti si sollevò dalla colonna e cominciò a levitare a pochi centimetri dal capitello.
Faceva sempre così quando Serna si lasciava prendere dall’ansia. Lei capì immediatamente l’antifona e prese anche lei la posizione del loto.
Non riuscì a levitare, naturalmente, ma il respiro era calmo e la mente pure.
Il Djinn non aprì gli occhi, mentre chiedeva con voce che sembrava venire da lontano: “Perché si impara meglio e più rapidamente quando si è giovani?”
Serna rispose da una specie di trance indotto dalla meditazione: “Perché il cervello non ha canali già formati.”
“Qual è la cosa più difficile da fare, quando si vuole perfezionare le proprie abilità in una qualsiasi attività?”
“Correggere le cattive abitudini apprese.”
“Perché è così difficile?”
“Perché i canali cerebrali che si sono formati non possono essere distrutti, quindi bisogna costruire altre strutture che li rendano inattivi.”
“Cosa ti diceva tuo padre riguardo alla realtà ed ai sogni?”
“Che quello che crediamo di vedere come realtà oggettiva è solo un modello che noi ci costruiamo nel cervello. I nostri sensi servono per far sì che il modello non si discosti troppo dalla realtà.”
“Quindi il modello — il sogno — può essere differente dalla realtà, specie se non presti attenzione a qualche particolare.”
“Certo.”
“E che succede se il modello riguarda cose che non possono essere controllate direttamente tramite i nostri sensi?”
“Che vuoi dire? Posso sempre rivolgere la mia attenzione e i miei sensi su un particolare.”
“Davvero? Cosa sta pensando, in questo momento, Duliana? E il Califfo?”
Serna rimase immobile per alcuni lunghi minuti, poi spalancò gli occhi.
“Sì, credo che tu abbia ragione. Quello che non capisco è perché gli Dei abbiano permesso che la situazione finisse fuori controllo fino a questo punto.”
“Tsk, tsk. Gli Dei non intervengono se non sono interpellati, di solito.”
Serna si girò a guardare il piccolo Djinn aspettandosi di trovare Ipno al suo posto, ma fu delusa. Continuava ad essere il Djinn di Isto con la sua aura viola che la guardava di rimando. Aveva abbandonato la posizione del loto e si era sdraiato sulla pancia, sostenendo la testa con le mani, i gomiti appoggiati sulla pietra della colonna e le gambe piegate all’insù. Sembrava un bambino senza la minima preoccupazione.
Serna scoppiò in una leggera risata: “Così si tratta solo di favole per terrorizzare i bambini?”
Il Djinn la guardò con occhi seri che contrastavano con il suo atteggiamento: “Quasi tutte le favole sono nate da qualche cosa di reale, ingigantito e trasfigurato nelle narrazioni successive. Spesso il cantastorie finisce per credere alle sue stesse parole.”
La maga guardò il piccolo Avatar con gli occhi ridotti a due fessure: “Mi stai riportando al punto di partenza? Ti ho chiamato proprio perché non riuscivo a capire da dove fosse nata questa situazione. Sei stato tu a dire che si trattava di favole senza attinenza con la realtà.”
Il Djinn era sempre disteso sulla pancia e la guardava con un’aria angelica: “Veramente non ricordo di aver detto niente di simile. Forse mi sono espresso male?”
Serna riprese la posizione del loto, chiuse gli occhi e si concentrò sulla respirazione. Molto tempo dopo riaprì gli occhi e chiese: “Tutte le storie che ho sentito raccontano di rapimenti — di solito di bambini, ma non solo — e di povertà e fame. Che cosa succedeva davvero, da queste parti?”