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  • Epilogo III

    Serna era stanca, gli occhi arrossati seguivano a fatica le parole che si inseguivano veloci sulla superficie di quel magico quaderno.
    Accarezzò distrattamente il suo pancione quando sentì che suo figlio si agitava dentro di lei.
    Si raddrizzò stiracchiandosi. Anche la gravidanza contribuiva ad un dolore sordo alla schiena. Stava seduta troppo tempo davanti alle sue carte.
    Era oramai vicina al termine, forse anche questo acuiva il senso di disperata urgenza che sentiva.
    Scrollò la testa; inutile illudersi: l’urgenza c’era, era reale e veniva da un altro dei suoi figli. La primogenita aveva da poco compiuto i tredici anni e, oramai, ogni giorno poteva essere quello buono.
    Ancora non erano riusciti a trovare una soluzione accettabile al problema che gli Dei avevano proposto tanti anni prima.

    Lasciò vagare lo sguardo verso nord, verso le distese del Continente proibito.
    Si erano stabiliti su una delle tante isole che costellavano il nord di un enorme lago. Quelle terre erano di una bellezza incredibile, sembrava fossero fatte apposta per ospitare i suoi figli e nipoti.
    Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre la disperazione tornava ad afferrarla.
    Aveva visto, attraverso gli occhi degli Dei, che cosa avevano fatto gli esseri umani a quelle terre, trasformate in deserti aridi e sterili dove esseri scheletrici a due o quattro gambe si aggiravano alla disperata ricerca di cibo e acqua.
    Quel continente, che era stata la culla del genere umano ne aveva subito in pieno l’impatto devastante ben prima degli altri. Era stato il primo a soccombere quando la natura si era ribellata ed aveva presentato il conto di millenni di sfruttamento indiscriminato e di devastazione ambientale.

    Tornò a concentrarsi sul suo lavoro.
    Forse, pensò per la milionesima volta, si poteva trovare un equilibrio, ma no, ancora una volta le simulazioni che gli Dei le mostravano non lasciavano dubbi: l’equilibrio era instabile.
    O le difficoltà erano troppo forti e il gruppo, più o meno lentamente, si estingueva oppure, nel tempo, diventava abbastanza forte da travolgere tutti gli ostacoli e crescere indiscriminatamente fino a distruggere tutto con il peso del proprio numero.

    Cominciò a piangere sommessamente e, probabilmente si assopì anche, visto che non si accorse nemmeno che Sindehajad le si avvicinava finché lui non le passò una mano fra i capelli mormorando:
    Lei si lasciò aiutare ad alzarsi, poi lo afferrò per un braccio con una stretta che sembrava troppo forte per venire da una donna così minuta, lo guardò con occhi vuoti e disse con una voce che veniva da lontano:
    Lui la guardò allarmato senza capire e lei proseguì con voce sempre più forte: “L’intelligenza! L’intelligenza è una trappola! Una volta che si è imboccata quella strada non c’è ritorno. Siamo perduti. Thano ha fatto scattare un’altra delle sue trappole perfette!”

    Sindehajad cercò di calmarla mentre, con un movimento degli occhi indicava ad uno dei bambini, attirato dal tono alieno della voce di sua madre, di correre a chiamare qualcuno.

    Lei lo interruppe annuendo: “Appunto. Nessuno rinuncerebbe all’intelligenza, una volta avuta: sarebbe come rinunciare a ciò che si è. Questa è la bellezza di questa trappola!” Ora lo guardava con occhi spiritati che non erano completamente a fuoco su di lui.
    “L’intelligenza rompe l’equilibrio”, proseguì lei in fretta,
    Jona apparve sulla soglia e si bloccò, facendo cenno al Geco di continuare a farla parlare, cosa della quale non c’era nessun bisogno perché Serna era oramai un torrente in piena: “Non passa molto tempo e noi ci ritroviamo ad essere inadatti al mondo che noi stessi abbiamo creato!”

    “Adesso non c’è più tempo per cambiare i nostri istinti, stiamo già cambiando il mondo. Non c’è più tempo. Una fottutissima trappola!”
    Si piegò improvvisamente in avanti appoggiandosi al marito, poi si raddrizzò e disse con voce perfettamente calma: “Temo di aver affrettato i tempi. Si devono essere rotte le acque”, poi si accasciò fra le sue braccia.

    “Maledizione, abbiamo lasciato che si stancasse troppo. Come sta?” Chiese il Geco mentre la sollevava delicatamente per portarla dentro casa.
    Jona stava manovrando il suo Amuleto e, dopo pochi minuti, trasse un sospiro di sollievo:

    Jona scosse il capo: “No. Sicuramente ha lavorato troppo, ma non credo avesse tutti i torti.”

    Tsk, tsk. Non aveva nessun torto, vorrai dire!
    Ipno era apparso all’improvviso lasciandoli sconcertati, passò una mano sul viso di Serna che si rilassò e parve più tranquilla: “Riposa, cara ragazza, ne hai bisogno.
    Si rivolse quindi agli altri:

    Tsk, tsk. Jona! Mi deludi!
    Jona rimase una attimo immobile: “La presenza di una trappola non implica necessariamente che qualcuno l’abbia preparata scientemente. Capisco.”
    Si tratta di una trappola di cui Thano andrebbe fiero. Scattata milioni di anni fa ha continuato ad agire senza che nessuno se ne rendesse conto finché non ha distrutto l’intera l’umanità. Nessuno l’ha vista se non dopo che tutto era già avvenuto. Nessuno degli Antichi ne ha avuto sentore. Una trappola che ancora non è stata disinnescata.
    “Non abbiamo nessuna speranza, quindi?” Chiese Jona mentre un freddo sudario scendeva su di lui.
    Notò appena Darda che entrava in silenzio e si portava a fianco di sua nipote, vicino a Sindehajad; la sua attenzione era tutta per il Dio che lo guardava con un’espressione indecifrabile.
    A quasi chiunque altro sarebbe bastato sapere che gli effetti di questa trappola non matureranno che tra molte generazioni, per avere tutta la speranza di cui hanno bisogno”, fece una breve pausa e Jona stava per replicare, ma Ipno lo fermò con un gesto della mano: “Tsk, tsk. Non dirmi niente, so bene che a te non basta.

    “Una trappola, dunque. Posso intravvedere il ragionamento di Serna. Quello che non capisco è, se è vero che volete che si trovi una via d’uscita, ammesso che esista, perché non ci avete avvertiti.”

    “Vuoi dire che ci sono altre trappole?”
    Tsk, tsk, certo che ci sono altre trappole! Cosa credi? che si possa risolvere tutti i problemi per sempre? La vita è come i ricordi: implica il suo opposto. Per ricordare bisogna saper dimenticare e per vivere bisogna saper morire.

    “Quindi prima o poi moriremo tutti.”

    Ricordati il Mago di Blanzoon”, concluse con un vago sorriso prima di scomparire.

    La stanza riprese animazione.
    Darda si affaccendava attorno a Serna che stava lentamente risvegliandosi.
    Sindehajad andava a prendere biancheria pulita per il parto imminente e a chiamare i maggiori dei loro figli perché aiutassero.
    L’importante, rappresentato dalle parole di Serna e di Ipno, accantonato temporaneamente per far fronte all’urgenza di un parto che sarebbe presto arrivato, fossero pronti o meno.

    Jona uscì silenziosamente dalla stanza dopo aver dato istruzioni di avvertirlo in caso di verificasse il benché minimo inconveniente. Precauzione forse inutile, visto che in nessuno dei nove parti precedenti Serna aveva avuto problemi, nemmeno al primo, solitamente più complicato.
    Tra poco avrebbe terminato la prova di resistenza a cui Ipno e Opia l’avevano costretta. Poi avrebbe potuto riposarsi.

    Rimase fermo come una statua a guardare il sole che scendeva lento, ma inarrestabile, verso l’orizzonte.
    Ora poteva riposarsi.
    A trentacinque anni.
    Quello era l’errore.
    Ipno, come sempre, aveva ragione.
    Non aveva nessuna intenzione di darsi per vinto.
    A Blanzoon il Mago aveva capito che Jona non si sarebbe arreso senza combattere neppure di fronte a Thano.
    Ora era il momento di dimostrare a se stesso che non si trattava di una vuota smargiassata.
    In realtà, ora che Serna aveva capito qual’era il nocciolo del problema, un’ideuzza stava sgomitando per catturare la sua attenzione.

    Quando il sole calò dietro l’orizzonte e la notte piombò su di loro con una rapidità alla quale non era mai riuscito ad abituarsi, girò sui tacchi per andare a sedersi al posto lasciato libero da sua figlia poche ore prima.

  • Epilogo II

    Dana seguiva il lento avanzare della piccola barca di Agio in quello stretto canale che ancora divideva il Continente Proibito dalle terre dell’est. La sabbia lo stava lentamente colmando e presto non sarebbe più stato navigabile, ma il vecchio pescatore era riuscito a portarla attraverso tutto il canale — anche se la chiglia aveva toccato il fondo sabbioso in più di un’occasione — e ora era in vista del mare.
    Più a sud una coppia di cavalli con i loro cavalieri in groppa si stavano faticosamente avvicinando al punto d’incontro.

    Fino a ora si sono comportati molto bene, che ne pensi?
    Ne dubitavi? Io no. Non mi aspettavo certo che facessero sciocchezze proprio ora”, le rispose Ipno.
    La Dea scosse la testa: “No, sappiamo bene che sono persone eccezionalmente dotate, ma sono soli e un incidente fa presto a capitare.
    Tsk, tsk, almeno sono stati abbastanza umili da capire che non potevano fare tutto da soli e abbastanza svegli da chiedere l’aiuto di due delle pochissime persone alle quali avremmo potuto dare il permesso di intervenire.

    Spostò la mano guidando gli occhi di Dana verso un leggero fremito sulla sabbia, un fremito che seguiva da vicino l’avanzata dei due giovani.
    Quattro assistenti con i corpi completamente mimetizzati in quello scenario sassoso avanzavano agili e discreti.
    Li hai aiutati!
    No. Tsk, tsk, non c’è stato alcun bisogno di intervenire, ma mi sembrava un inutile spreco di tempo e di risorse lasciare che tutto finisse in nulla per una qualche sciocchezza imponderabile, magari una vipera cornuta che si trovava nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
    Non era questo che avevamo deciso”, lo accusò Dana accigliata.
    No, ma non ricordo avessimo deciso di lasciarli completamente in balia del caso”, rispose Ipno conciliante, “so bene che sei più interessata all’altra metà dell’esperimento, ma anche questo potrebbe dare frutti inaspettati.
    Hai ragione. Sono i gemelli che, ora che non è rimasto nessuno a istruirli, mi diranno se effettivamente abbiamo un ceppo genetico di persone disposte a pensare più al futuro che al presente. Quel carattere era evidente sia in Jona che in Darda, per questo era necessario allontanarli dai gemelli: per evitare che contaminassero con esempio ed educazione i loro tratti innati.
    Ma è così importante che sia un tratto genetico?” Le chiese Ipno scuotendo la testa, pur sapendo bene quali fossero, al riguardo, le idee della Dea. Lei, come previsto, si lanciò in un’accorata disquisizione sul come e sul perché tutte le società che avevano basato le proprie dottrine su insegnamenti in contrasto con quelli che erano gli istinti geneticamente dominanti nella popolazione non erano durate a lungo. Ipno non era convinto, ma sapeva bene che era perfettamente inutile discutere.

  • Epilogo I

    Jona si svegliò fresco e riposato sul suo letto nella Stazione Suborbitale.
    Il sogno che stava rapidamente svanendo dalla sua memoria era stato grottesco, ancora una volta gli pareva di aver rivissuto non solo tutta la sua vita, ma anche parecchie vite che “avrebbero potuto” essere la sua.

    Si rese conto che Opia era tranquillamente seduta ai piedi del suo letto e lo guardava. Si tirò a sedere e gli balzò alla mente il Consiglio degli Dei del giorno prima.
    Dunque non si era annullato come aveva creduto.

    No”, disse la Dea con un sorriso, “Io ho ottenuto la tua “anima”, ma tu non l’hai persa. Ora sei dentro di me, ma sei anche nel tuo corpo. Guardati allo specchio.

    Si alzò svelto ed entrò nel cubicolo che fungeva da stanza sa bagno.
    Una parete era un grande specchio che gli permetteva di vedersi a figura intera.
    La faccia che lo salutava al di là del vetro era indubitabilmente la sua, ma lui non la vedeva così da almeno una ventina d’anni.

    “Cosa mi avete fatto?”
    Nelle fantasie degli antichi i mortali che vendevano la propria anima lo facevano per ottenere vantaggi immediati in cambio, spesso l’Eterna Giovinezza. A noi è sembrato equo, visto che non ti abbiamo veramente sottratto la tua anima, sdebitarci per il servizio reso regalandoti una trentina d’anni, più o meno.

    Jona si riguardò con occhio critico: sì i conti tornavano. L’aspetto che aveva ora era quello che aveva avuto intorno ai trentacinque o quarant’anni.
    “Ma com’è possibile?”
    La Dea rise:

    Jona rimase alcuni istanti in silenzio, poi disse lentamente: “Molto spesso gli Dei usano, per insegnare, quello che ho appreso essere il “Metodo socratico”, o Maieutica, ho anche imparato che gli antichi avevano sviluppato un metodo simile — che chiamavano “costruttivismo” — che si è dimostrato essere molto efficace, ma no, non sono riuscito a capire perché Socrate sia così importante per voi, né perché — come mi disse Palla — “il suo insegnamento sia rimasto ignorato per tanti secoli”.”

    La Dea sorrise dolcemente al suo turbamento: “Il suo insegnamento più profondo non poteva essere capito ai suoi tempi, e neppure dopo, fino a tempi relativamente recenti, tanto che noi non avremmo saputo nulla di lui, se non fosse stato per un suo allievo che aveva idee così diverse da quelle del Maestro.
    In effetti Socrate non aveva lasciato nulla di scritto e lo si conosceva solo attraverso quel che narrava di lui Platone e qualche altro contemporaneo.
    Socrate non aveva lasciato nulla di scritto. Sembrava importante
    Si sforzò di ricordare. Aveva letto qualcosa a riguardo. Sì, certo, Socrate, come dimostrava ampiamente il suo metodo, era convinto che l’istruzione fosse qualcosa di individuale, viva, che non potesse essere affidato ai libri che erano, per definizione, qualcosa che rimaneva congelato, morto e mummificato nel momento stesso in cui veniva scritto.
    Gli Dei, effettivamente, si dedicavano molto a quelli che sembravano interessati e promettenti ed il modo di insegnare era diverso a seconda dell’allievo.
    Ma che c’entrava questo con il suo ringiovanimento?
    “Credo di capire che ti riferisca all’individualità dell’insegnamento, ma non capisco i collegamenti.”
    Non è solo l’insegnamento che deve essere individuale, ma anche molte altre cose, se vuoi avere dei risultati apprezzabili. L’idea degli antichi che le cose potessero essere fatte “in serie” ed andare bene per tutti si è dimostrata fallimentare, alla lunga. Noi andiamo nella direzione contraria: cerchiamo di rendere più individuale e capillare possibile ogni nostro intervento. Non è possibile ringiovanire una persona come te, ad esempio, mediante magici “filtri”; bisogna fare il lavoro cellula per cellula.
    Jona rimase a bocca aperta: nel suo corpo sapeva bene c’erano un’infinità di cellule
    “Quanto tempo è passato?”
    Parecchio: quasi un mese. Sia la “copia” del tuo sistema nervoso — “dell’anima”, se vuoi — che il ringiovanimento sono due processi delicati che richiedono tempo.
    Asclep ti aveva già fatto un dono giù alla Magione, mentre ti curava la polmonite: aveva impiantato un certo numero di neuroni nuovi, pronti ad essere collegati agli altri che formano il tuo cervello. Non ti sei accorto che ragionavi in modo leggermente diverso?

    Jona aveva avuto l’impressione di arrivare alle conclusioni più rapidamente, quasi con la stessa prontezza di Serna. Non era stata, dunque, solo un’impressione.

    Nel processo di ringiovanimento spesso vengono sostituite la maggior parte delle cellule del corpo. Eccezione importante sono le cellule cerebrali che, naturalmente, non si rimpiazzano quasi mai. Farlo significherebbe distruggere la personalità dell’individuo, in gran parte determinata proprio dal modo con cui i neuroni hanno sviluppato le loro connessioni. L’unica cosa che possiamo fare è fornire una certa quantità di neuroni immaturi e lasciare che trovino da soli il modo di collegarsi agli altri.

    “Le anime staccate dai corpi non possono più cambiare perché non possono fare nuove connessioni!”

    “Per questo avete bisogno di “copiare”, come hai detto prima, i cervelli di individui vivi e reali, come me.”
    La Dea annuì con un largo sorriso.
    “Ma, visto che sapevi già di volere la mia anima — e credo che tutti gli altri Dei fossero già d’accordo — perché mettere in scena il Consiglio?”

    “Cosa sarà di me, ora?”
    Questo dipende da te, Jona. Puoi rimanere qui con noi o tornare sulla Terra. Comunque ed ovunque tu vada sei ora un Eletto. Questo comporta molti benefici, come imparerai, ma anche un certo numero di responsabilità. Benvenuto.

    La Dea scomparve e Jona rimase a lungo a guardarsi allo specchio prima di riscuotersi ed andare incontro alla sua seconda vita.
    C’erano molte cose che voleva fare e vedere, ma in cima alla sua lista di priorità c’era conoscere quell’uomo che sua figlia aveva scelto come marito.

  • Scelta

    Ognuno a suo modo. Quella era la chiave.
    Girò gli occhi intorno al grande tavolo vedendo gli Dei sotto una luce nuova.
    Ognuno spingeva in una direzione precisa e non entrava mai, anche se ne comprendeva i motivi, nella sfera d’azione di un altro Dio.

    Thano. Thano cercava di tenere l’umanità nel solco dell’evoluzione naturale, dalla quale gli antichi erano riusciti ad uscire quasi completamente. Le caratteristiche che portavano ad una più numerosa discendenza erano arrivate ad essere l’esatto opposto di quel che si potrebbe chiamare “progresso”: povertà, stupidità, ignoranza. Poteva capire le sue ragioni, ma erano sicuramente lontane dalla sua sensibilità.
    Certo! L’ho detto anche prima, no?” Ghignò Thano, “Pensare che ho fatto tutta questa fatica per portarti qui. Inutile che tu mi faccia perdere altro tempo. A me non servi a nulla, almeno per ora, ma ci vedremo più tardi, non ti preoccupare.
    Detto questo scomparve.

    Jona continuò la sua disamina.
    Posse si era prefisso il compito di preservare il pianeta dall’inquinamento che era stato uno dei fattori scatenanti della caduta degli antichi. Anche in questo caso comprendeva la necessità, ma non era qualcosa che lo muovesse veramente.
    Sono d’accordo”, disse lui e scomparve a sua volta.

    Dunque questo era il gioco: eliminare gli Dei uno ad uno

    Jona fece un cenno d’assenso con il capo, ricordandosi troppo tardi che era davvero inutile.

    Proseguì rapido il giro.

    Zeo: era stato utilissimo nel suo lavoro, ma tutto quel guardare le cose dall’alto, da lontano, senza interagire; nemmeno questa era la sua strada, ne era sicuro, anche se non era mai riuscito a capire veramente quali fossero i fini del Dio.
    Ora, forse, puoi cominciare a sospettarlo”, disse aprendo le mani in verticale, in quel tipico gesto che faceva apparire immagini lontane. Vide sprazzi di strane forme nel nero dello spazio, paesaggi mai visti cosparsi di cupole argentee, la torre stessa

    Asclep: da giovane lo aveva conosciuto essenzialmente come il Dio della Medicina, anche attraverso sua moglie, ma ora capiva in che direzione cercava di spingere l’umanità. Il suo incontro con gli Elfi era stato illuminante, anche se ne aveva capito le implicazioni solo molto tempo dopo: voleva che si arrivasse ad una simbiosi con gli elementi naturali, invece di cercare di dominarli. Anche in questo caso capiva e condivideva gli scopi del Dio, ma non pensava di poter contribuire qualcosa di utile.
    Asclep approvò con un cenno del capo e, senza dire nulla, scomparve.

    Gli occhi di Jona corsero verso l’esatto opposto: Festo.
    Aveva conosciuto abbastanza i Nani da capire dove la loro tecnologia si discostava da quella degli antichi: la tecnologia che Festo cercava di insegnare era una tecnologia matura che aveva uno scarso impatto ambientale — almeno comparata con quella degli antichi

    Un attimo dopo la sua sedia era vuota.

    Furono rapidamente eliminate anche Dana e Dionne.

    La prima fautrice della diversità biologica, al punto da essere costantemente attiva nel creare nuove specie, intelligenti e non. Jona comprendeva bene l’importanza della cosa; in fondo la causa ultima della scomparsa degli antichi era stata proprio una scarsa diversità biologica nelle colonie spaziali, ma anche questo lo lasciava, in fondo, freddo.

    Anche con Dionne, che tendeva ad accettare tutti gli istinti per poi sublimarli in forme artistiche, la sua empatia era limitata, capiva perfettamente l’importanza di quel che cercava di fare, ma era caratterialmente troppo cerebrale per abbandonarsi veramente alle pratiche dionisiache.

    Ipno era un caso a sé. Non aveva mai capito molto quel Dio — con il quale invece Serna sembrava completamente a suo agio — ma durante il suo viaggio aveva imparato ad apprezzarne la visione del mondo, molto meno unilaterale di quella degli altri Dei, spesso troppo focalizzati nelle proprie mansioni. Ancora lo capiva molto meno di quanto capisse gli altri
    Tsk, tsk, puoi nuotare bardato a festa e con il cappello in testa?” chiese mentre già era più diafano.

    Rimanevano quattro Dei nella grande sala, che però non sembrava affatto più vuota, Afro, Dea dell’amore in tutte le sue accezioni — che lo aveva più volte lodato per la sua capacità di amare — Isto, Dio della conoscenza e della cultura — era stato il primo amore del giovane Jona, un amore che ancora durava — Palla, Dea dell’Etica, della Giustizia e della Politica — la spinta che dava a cooperare per raggiungere uno scopo superiore era condiviso senza riserve da Jona — Opia, Dea della fertilità — si occupava personalmente di concedere nascite ed era stata generosa con lui, concedendogli ben sei figli, ma

    Sulla grande tavola apparvero tante piccole immagini. Erano tutte donne che tenevano in braccio dei bambinetti che avevano al massimo un paio d’anni.
    Jona rimase impietrito: erano tutte donne che lui conosceva bene, tutte donne con cui aveva avuto rapporti, a cominciar da Tyla, la Sacerdotessa di Dionne che stava mettendo a letto una bimbetta bionda che sembrava proprio essere la più grande di tutte.
    “Tutte le donne con cui ho fatto l’amore?” Chiese sbigottito.
    No, non tutte, solo le migliori”, rispose la Dea strizzandogli l’occhio.

    La Dea si limitò a sorridere ed Isto prese la parola:
    Di che motivo parlava? Jona era completamente frastornato, gli pareva di guardare da fuori una scena che non lo riguardava.

    Palla gli mise un bicchiere in mano: “Bevi, ti sentirai meglio.

    Le madri dei suoi figli erano scomparse dal tavolo, sostituite da altre immagini molto diverse l’una dall’altra.
    Opia riprese a parlare: “I figli del tuo corpo sono, però, forse meno importanti di altre cose che hai generato. Ovunque tu sia andato hai portato una scintilla che, molte volte, altri hanno saputo coltivare in un caldo fuoco.
    Le immagini di Michele e Linda che avevano costruito una grande officina poco lontana dalla locanda che lei gestiva ed erano diventati agiati con i proventi della produzione del carbone di legna vennero sostituite da quelle di Arianna che era entrata come interna al Tempio di Dionne, Ivan a colloquio con Re Falanor, quindi fu la volta di Burlock che navigava verso il Gran Mercato su una grande barca composta da tre scafi uniti fra di loro e che non oscillava troppo sulle acque del mare. Altre immagini si susseguivano a ritmo sempre più incalzante:
    I cantastorie della Foresta Oscura.
    Una locanda fortificata dove tutti erano bene accetti, ma non si tolleravano aggressioni, laggiù nella Terra degli Stati Guerrieri.
    Scene della sua vita e del suo lavoro a Tigu.
    Altre ancora che Jona non riconobbe.

    Il mio compito è quello di decidere chi abbia il privilegio di avere una discendenza ed, eventualmente, quanto. Ora che hai visto i danni provocati dalla sovrappopolazione nel mondo degli antichi puoi capire quanto sia importante questo compito, ma non è il solo. Come tutte le cose anche i pensieri e le idee devono essere fecondate per dare frutti.

    L’amore fornisce il motivo”, disse indicando Afro.
    La conoscenza il mezzo”, Isto annuì.
    Etica e giustizia sono la cornice”, Palla sorrise.
    Ma la tua vera vocazione è sempre stata quella di saltare da un fiore all’altro portando il polline della vita a chi ne aveva bisogno.
    Vieni ad unirti a me, figlio mio!
    Jona capì che aveva ragione e, in quello stesso momento, gli altri Dei sparirono lentamente con un lieve cenno di saluto.

  • Il Consiglio degli Dei

    Una mattina, quando aprì la cartellina, vide un messaggio vergato con una mano sicura che non era la sua: “Oggi è il giorno”, recitava laconicamente.

    Ebbe appena il tempo di chiedersi se doveva prepararsi in qualche modo e di guardarsi allo specchio che una luminosa linea rossa apparve sul pavimento.

    Scrollò le spalle: non aveva altri preparativi da fare. Era pulito, sbarbato e genericamente presentabile. Avrebbe avuto ancora molto da leggere e studiare, ma quello non era qualcosa che avrebbe mai finito di fare.

    Afferrò la cartellina, si mise l’Amuleto, oramai inutile e morto, in una delle tante tasche del suo gilè e uscì senza guardarsi indietro.

    Seguendo la striscia luminosa arrivò in una parte della Stazione Suborbitale che non aveva mai visitato; sembrava essere una sala simile all’osservatorio, solo che questa era completamente bianca e dominata da un grande tavolo circolare.
    C’era un’unica poltroncina e la riga che lo aveva guidato fin lì terminava proprio davanti ad essa. L’invito era più che chiaro. Jona si accomodò.

    Appena si fu seduto le luci si abbassarono lievemente e i dodici Dei apparvero attorno al tavolo.

    Al centro, proprio di fronte a lui, sedevano Thano e Opia ai loro lati si trovavano Ipno, Palla, Festo, Dionne e Zeo da una parte, mentre Dana, Asclep, Afro, Isto e Posse erano dall’altra.
    Jona non li aveva mai visti tutti assieme; era già raro che se ne manifestasse più d’uno nello stesso momento.

    Thano prese la parola per primo: “Bene. Il nostro Cercatore è giunto fin qui. Vedremo se sarà in grado di uscire con le sue gambe.

    Tsk, tsk”, lo rimbeccò Ipno, “sai benissimo che nessuno esce mai da questa stanza con le sua gambe!” Ammiccò a Jona e aggiunse: “Ma questo è molto meno pericoloso di quel che suona.

    Jona rimase impassibile. Non riusciva a credere che l’avessero fatto arrivare fin lì solo per farlo fuori e, se quella era la loro intenzione, sapeva bene di non poter fare proprio nulla per evitarlo. Meglio aspettare e capire cosa volevano davvero da lui.

    Non mi pare che siate riusciti a spaventarlo. Vogliamo procedere?” Disse Palla con una vena di fastidio nella voce. Nessuno le rispose e lei proseguì: “Hai idea di perché sei qui, Jona?

    Era una domanda diretta ed esigeva una risposta: “Penso dobbiate decidere in che modo posso servirvi.”
    Corretto, ma non solo. Tra le altre cose dobbiamo anche stabilire a chi potrai essere d’aiuto.

    Bah, non certo a me. Non ucciderebbe neppure Belzebù in persona!” disse Thano con aria disgustata.
    Palla lo fulminò con un’occhiata che, però, scivolò su di lui senza lasciare traccia:

    Jona, una volta avuta la conferma che la sua intuizione era corretta, aveva studiato bene l’argomento e rispose senza esitare: “Il mondo degli antichi era cambiato in modo enorme negli ultimi tempi della loro presenza su questa Terra. Erano loro stessi che avevano contribuito a cambiarlo. Ho trovato molti riferimenti ai danni diretti che, specie negli ultimi tempi, avevano arrecato al pianeta, ma non è questo a cui mi riferivo — immagino tu non volessi spiegazioni circa il fatto che erano diventati troppi — il vero problema è stato che l’intera evoluzione, inclusa quelle umana, ma non solo, si basava su un presupposto che era, per la prima volta in milioni di anni, diventato falso.”

    “In realtà sarebbero almeno due”, rispose lui, “interazioni locali — o segregazione spaziale, se vuoi — e feedback diretto — altrimenti detta segregazione temporale.”

    Gli Dei non diedero alcun cenno, fatto che Jona interpretò come un implicito assenso, ragionando che, se avesse imboccato una strada palesemente errata, la bocciatura sarebbe arrivata rapida e definitiva.
    “Negli ultimi duecento anni della loro storia l’intero pianeta era diventato un ambiente unico che sarebbe sopravvissuto o perito come un’unità. Non c’era più spazio per fallimenti parziali che lasciassero campo libero ad altre civiltà.”

    “Da tempi ancora maggiori le azioni dei singoli individui avevano conseguenze che arrivavano a maturazione solo dopo molte generazioni. Ciò che era positivo nell’immediato per l’individuo e la sua progenie poteva rivelarsi pernicioso decine o centinaia d’anni più tardi. Comportamenti “virtuosi” nel medio o lungo termine erano talmente penalizzanti nell’immediato da non essere, praticamente, realizzabili.”

    “No”, rispose Jona, “quello che era nuovo era la velocità con cui variavano le condizioni! Quando arrivava l’inevitabile conto per un comportamento “errato” — qualunque cosa questo significasse — non era possibile far tesoro dell’informazione, semplicemente perché le condizioni erano già diverse!”

    Bene. Hai fatto i tuoi compitini con profitto”, disse Thano con aria annoiata, “Adesso restano solo due domande, prima del gran finale: perché abbiamo bisogno di te e che cosa tu puoi fare per noi.
    “Non è la stessa cosa?”
    Tsk, Tsk. No. Il mio esimio collega ha ragione. Ti prego di considerare le cose dal suo punto di vista. Potrebbe essere illuminante.

    Gli Dei potevano aver bisogno di lui
    Rimase ad assaporare la domanda, immobile come una statua, mentre il suo cervello balzava da una conclusione all’altra.
    La risposta si cristallizzò nella sua mente come l’incrostazione di ghiaccio si forma su un vetro: partita da un singolo punto si era ramificata fino a diventare uno scintillante arabesco che aveva perso nozione delle proprie origini.
    Jona seguì con sicurezza il tronco principale, ignorando volutamente le ramificazioni che rischiavano di distrarlo: “Voi siete composti dalle anime degli antichi, almeno da alcune delle anime degli antichi, ma mi è stato detto che le anime, separate dal corpo, non possono crescere più. Se questo è vero voi, per progredire, avete bisogno di nuove anime. Voi volete la mia anima!”

    Ovvio! Altrimenti non saresti qui.

    Si interruppe per guardarlo fisso, si sporse in avanti e scandì lentamente:

    Entrambe queste caratteristiche necessitano anche di una naturale predisposizione all’amore”, disse Afro nel silenzio che aveva seguito il breve discorso di Isto, “ti ricorda nulla questo, Jona?
    Jona ricordava bene le lezioni della Dea e stava per rispondere, ma lei proseguì: “Come hai scoperto i nostri poteri sono limitati. Sono limitati da regole precise, che non possiamo travalicare nemmeno se lo volessimo, sono limitati dalle nostre conoscenze che sono imperfette ed infine sono, naturalmente, limitati da quello che è oggettivamente possibile. Noi non siamo, come gli dei degli antichi, esentati dall’obbedire alle leggi di Natura.

    So che hai studiato molti dei loro testi sacri e molti testi che sacri non erano davvero. Qual è la tua opinione?

    Jona esitò, evidentemente a disagio, ma nessuno degli Dei venne in suo aiuto; tutti rimasero a guardarlo senza muoversi. Scrollò le spalle e, facendosi forza del fatto che la maggior parte sorrideva, rispose: “Non so se i loro Dei esistessero — o fossero esistiti in un passato — quello che mi pare di poter dire è che i loro Sacerdoti e le loro Chiese sembravano occuparsi più di ottenere benefici che di servire i loro Dei. Dei che, almeno nell’ultimo periodo, quello meglio documentato, non sembravano molto interessati agli affari del Mondo.”

    Tsk, tsk, mi pare che il buon Mago abbia riassunto in modo ammirevole la situazione”, disse Ipno battendo le mani,
    Era rivolto ad Isto che non si curò di rispondere alla domanda chiaramente retorica.
    “Ma allora perché ci credevano?” Sbottò Jona, “Se devo prestar fede ai documenti quasi tutti credevano nell’esistenza di un qualche Dio!”
    Ipno lo guardò con un sorriso comprensivo: “Potrei risponderti che anche tu, dopotutto, hai creduto nell’esistenza degli Dei ed abbiamo dovuto fare una notevole fatica per farti capire che, in fondo, non siamo così onnipotenti come ti eravamo sembrati.
    Aprì la bocca per protestare, ma Ipno alzò la mano per fermarlo e proseguì:

    Quello che non puoi capire — proprio perché non ti sei mai trovato nella condizione — e che ti chiedo di accettare, per ora, in virtù del fatto che nessuno di noi ha mai mentito, è il fatto che, anche se noi non esistessimo e non fossimo mai esistiti, gli uomini ci avrebbero inventati. Inevitabilmente a loro immagine e somiglianza.
    “Ma perché avremmo dovuto fare una cosa simile?”
    Perché è insito nel modo in cui il vostro cervello funziona. Gli Dei, tutti gli Dei, sono il prodotto quasi inevitabile di altri adattamenti evolutivi stabilitisi nel corso di milioni di anni. Per ora ti dirò solo tre delle componenti principali.

    Le grammatiche: il cervello organizza le percezioni secondo composizioni grammaticali più o meno complesse — questo ha portato allo sviluppo del linguaggio — è un meccanismo estremamente potente, ma ha il suo lato oscuro: una volta che la struttura grammaticale si è formata si tende sempre a forzare qualunque evento in una struttura nota. Risulta innaturale pensare “fuori dagli schemi”.

    La proiezione: Il nostro cervello riesce a prevedere quello che succederà attribuendo una “volontà” agli oggetti, oltre che agli animali ed alle persone. La visione animistica è un portato di questo meccanismo.

    L’imprinting: per milioni di anni il mondo è stato un posto molto pericoloso. Un errore poteva avere — e spesso aveva — conseguenze fatali. I giovani hanno sviluppato una naturale tendenza a “credere” a quello che gli veniva detto — o mostrato — da individui adulti che avessero una certa “autorità”; di solito si trattava dei genitori, ma anche sacerdoti o altri dotati di “carisma” hanno sfruttato questa tendenza innata.

    Nella grande sala regnò un silenzio completo mentre gli Dei aspettavano che Jona assorbisse il significato del discorso di Ipno.
    Discorso che era veramente strano. Per la prima volta da che l’aveva conosciuto, tanti anni prima, Ipno aveva parlato in maniera chiara, senza ricorrere a doppi sensi e velate allusioni. Pareva quasi fosse stato Isto a parlare.

    Fu proprio Isto a rompere il silenzio, qualche minuto dopo:

    “Ma la selezione non avrebbe dovuto favorire quelli ancora in grado di riprodursi?” Chiese Jona stupito. Fu Asclep a rispondergli asciutto: “In un ambiente naturale, con diverse popolazioni in competizione fra loro sarebbe stato così, ma quello non era esattamente un “ambiente naturale” e non c’erano molti “competitori” in giro.

    Isto riprese la sua narrazione:

  • La fine degli antichi

    Lo lasciarono libero di studiare e meditare da solo per più di due settimane. Non si annoiò, anche perché scoprì molto presto che la cartellina con il foglio “magico” non aveva molte delle limitazioni a cui era stato soggetto il Mentore, ovvero Gaius.
    Non era intelligente, non poteva parlare — anche se poteva leggere ad alta voce i vari documenti — ma aveva l’intera storia fino alla scomparsa degli antichi.

    Era una storia triste, che lui si sforzò di comprendere al meglio delle sue possibilità.
    Gli antichi, dopo essere arrivati all’apice della loro potenza, erano diventati sempre più dipendenti dalla loro tecnologia e quando questa era crollata per varie ragioni, prima tra tutte la mancanza di materie prime sufficienti, si erano rifugiati nello spazio.

    All’epoca era una scelta coraggiosa e pericolosa, dato che ancora le Torri non esistevano, che aveva consentito loro di resistere all’ira del loro pianeta devastato da inquinamento e sconvolgimenti climatici che avevano ridotto la capacità produttiva agricola almeno di un’ordine di grandezza.
    Anche nello spazio, però, le cose erano volte al peggio. Per cause che loro non riuscirono mai ad accertare, la natalità diminuì in modo graduale, ma continuo, fino a portare alla completa estinzione del genere umano.

    In tutta la storia non v’era traccia degli Dei anche se, come notò Jona con stupore, la scomparsa degli ultimi antichi, se si doveva prestar fede ai documenti, era avvenuta parecchi anni dopo quella della Nascita degli Dei, sempre che non avesse fatto qualche errore.

  • Sogno

    Jona si svegliò confuso. Rimase a guardare quel cubicolo senza finestre per parecchi minuti, prima di ricordare dov’era.
    Non aveva mai fatto un sogno tanto sconclusionato in vita sua.
    Non era stato un vero incubo perché era mancata quasi completamente la componente angosciosa, ma era saltato da un posto all’altro, da una situazione all’altra e da un periodo ad un altro in maniera continua e vorticosa. Nel sogno tutto era sembrato logico e consequenziale, naturalmente, ma era stato decisamente strano, tanto da lasciarlo ancora confuso ora, dopo il risveglio.

    Stava già cominciando a chiedersi cosa fare quando un leggero colpetto all’uscio interruppe il flusso dei suoi pensieri.
    “Avanti!”
    La porta scivolò di lato e entrò un ometto basso e tarchiato, con i capelli radi di uno sbiadito biondo che non permetteva di capire facilmente quanti fossero già bianchi.
    “Sono venuto a salutare”, disse il nuovo venuto mentre la porta si chiudeva alle sue spalle, “non credo che tu abbia più bisogno di me, almeno per il momento.”

    Jona rimase un attimo perplesso, poi i suoi occhi corsero all’Amuleto, che era muto e senza vita.
    “Mentore!”
    Si alzò per andare ad abbracciarlo, ma quello lo fermò con un gesto ed un sorriso: “Non sono qui veramente, sai?”
    Jona si fermò di botto, sentendosi molto sciocco.
    Doveva avere un’espressione molto buffa perché Mentore rise di cuore: “Vedrai che tra non molto ti abituerai a trattare con le anime incorporee. Quello a cui non ci si abitua mai veramente è essere un’anima incorporea.”
    “Ho pensato di venirti a salutare usando il mio vero aspetto, quello che è stato il mio vero aspetto quando mi sono trovato, più o meno, nella stessa posizione in cui ti trovi tu ora.”
    “Puoi dirmi anche qual è il tuo vero nome? Mi sembra stupido continuare a chiamarti “Mentore” ora che quello non è più il tuo ruolo.”
    “Gaius Licinus di Bath, Albon.”

    Rimasero a guardarsi un momento, poi Jona chiese: “Prima di andare, puoi dirmi qualcosa di quel che mi aspetta?”
    Mentore sorrise: “Quella è una domanda alla quale non posso veramente rispondere, e lo sai, ma qualcosa ti posso dire.”
    “Tu ora hai tutte le informazioni che ti servono, ma non le hai ancora elaborate completamente. Ci sono delle domande alle quali dovrai rispondere prima di poter trovare la tua strada. Gli Dei ti aiuteranno, ma tu dovrai arrivare a capire da solo.”
    “La prima cosa sarà capire perché, esattamente, siamo tutti così reticenti e, apparentemente, rifiutiamo di aiutarti proprio lì dove pensi di averne più bisogno.”
    “Qual è l’insegnamento di Socrate che è stato ignorato per così tanti secoli?”
    “Che ha a che fare tutto questo con la scomparsa degli antichi?”
    “Che cosa stanno veramente cercando di fare gli Dei? Perché?”
    “Quando avrai risposto a queste domande potrai scegliere la tua via, agli Dei piacendo.”
    Jona rimase in silenzio. Mentore gli aveva dato dei consigli preziosi indicandogli, sotto forma di domande, associazioni interessanti fra cose apparentemente separate. Anche la scelta delle parole era interessante, come quel “cercando di fare”. Ancora Socrate.

    “Adesso devo proprio andare, Jona. Ti auguro buona fortuna.”
    “Grazie. E grazie anche per tutti i buoni consigli che mi hai dato, oggi e prima.”
    Mentore sorrise: “Ricorda che i consigli, buoni o meno, valgono quanto li paghi, né più né meno.”
    “Ma io non ho mai pagato per i tuoi consigli!”

    Jona, ancora una volta, si prese qualche secondo per assorbire il significato delle parole, poi, con un breve inchino, disse semplicemente: “Grazie, Gaius.”

  • La Stazione Suborbitale

    Il corridoio era abbastanza anonimo, dipinto di un bel colore azzurro chiaro e illuminato dal soffitto. Non c’era nessuno in vista. Quando le porte si furono chiuse alle sue spalle non ci fu più nessun movimento. Anche l’aria sembrava stranamente priva di odori.

    Non sono molti i visitatori, da queste parti, almeno per ora”, disse una voce al suo fianco facendolo sobbalzare; Zeo era apparso all’altro estremo del corridoio e gli faceva cenno di avvicinarsi, “da questa parte. Immagino tu voglia vedere l’osservatorio, per prima cosa.
    Jona lo seguì oltre una porta che si aprì scivolando senza rumore davanti a loro e si richiuse alle loro spalle. Percorsero un altro corridoio e, dopo una ventina di metri un’altra porta si aprì. Il Mago sapeva cosa aspettarsi, visto che aveva studiato i dati della Stazione, ma rimase ugualmente a bocca aperta.
    L’Osservatorio era una grande sfera trasparente con un pavimento ugualmente trasparente che la tagliava in due poco sotto la linea mediana. Sporgeva da un lato della Stazione per tutta la lunghezza del corridoio che avevano appena percorso e permetteva una splendida vista sia della Stazione stessa che della Terra sotto di loro.

    La Terra era enorme, ma già si vedeva che era una sfera. Occupava buona parte del pavimento e sfumava in un azzurro intenso che diventava sempre più scuro fino a diventare completamente nero ai lati. In alto, nonostante il sole, erano visibili molte stelle contro il nero del cielo.

    Al suo fianco, al di là del corridoio, poteva vedere la struttura della Stazione: una specie di scatola piatta attraversata dalle due immense ruote che giravano a velocità diverse. La più lenta era ancorata ai cavi che l’avevano portato su dalla base della Torre, la più veloce collegava con la prossima stazione: la Stazione Intermedia lontana diecimila chilometri, poi, dopo altri ventitremila chilometri, c’era la Stazione Sincrona, seguita dalla Stazione Esterna. Altri cavi fissi, oltre quelli mobili, sostenevano la Stazione tenendola “appesa al cielo”. Erano appena visibili, neri contro il nero del cielo. Ben visibile, nonostante la distanza, era il puntino luminoso della Stazione Intermedia.

    Zeo fece un gesto e la Stazione Intermedia parve balzare loro incontro. Era assai meno regolare della Stazione Suborbitale ed era un caos di sfere, condotti, pannelli ed altre strutture che Jona non riconobbe. Sembrava anche molto più grande.

    Può essere che tu arrivi fin là, e forse oltre, ma prima devi completare il tuo addestramento e scegliere la tua via. Potrai tornare in questo posto ogni volta che vorrai. Temo che il resto della Stazione Suborbitale non sia costruita per essere adatta ad un uomo abituato a girare in ampi spazi aperti. Ti troverai un po’ spaesato e solo. Considerala come un’altra prova e pensa che durerà poco.

    Jona non vedeva persone da quando aveva lasciato la valle dei Draghi e aveva avuto come compagnia soltanto Mentore per mesi, oramai. Scrollò le spalle. Un altro po’ di solitudine non lo spaventava, anche se non ne era certo contento.

    Zeo lo condusse di nuovo attraverso il corridoio e poi in un piccolo appartamento, completamente senza finestre di alcun tipo, ma dotato di servizi e di uno speciale armadietto nel quale, a richiesta, poteva trovare quasi qualunque cosa desiderasse.
    Adesso riposa”, gli disse infine Zeo prima di svanire, “i prossimi giorni saranno faticosi.
    Jona si sedette sulla sedia che risultò incredibilmente comoda, nonostante sembrasse dura e rigida e chiese rivolto all’armadietto magico: “Un boccale di birra!” Poi, sentendosi vagamente ridicolo, aggiunse: “Per favore.”

  • La base della Torre

    La base della Torre affondava nel ghiaccio che la circondava completamente coprendo il punto dove si ancorava sulla roccia. Ora che era più vicino giudicò avesse un diametro che sfiorava i duecento metri.
    Il tappeto rosso entrava in una galleria scavata nel ghiaccio e, dopo una breve salita, arrivava ad una porta liscia e bianca che si aprì davanti a lui scivolando di lato senza il minimo rumore.

    Dentro si trovò in un ampio vestibolo con il pavimento di roccia vulcanica levigata fino a renderla lucida. L’arredamento era composto da due divani semicircolari, un tavolo con quattro sedie ed una serie di armadi che coprivano quasi interamente due delle quattro pareti.

    “In quegli armadi ci sono vestiti che ti dovrebbero andare bene”, gli disse Mentore, “non è il caso di rimanere con la roba che hai addosso. La puoi lasciare tutta nella cesta che troverai nel bagno. Ti verrà restituita pulita quando ne avrai bisogno.”
    Ora che le porte si erano chiuse alle sue spalle la temperatura si era alzata sensibilmente e Jona si tolse rapidamente il mantello che era diventato improvvisamente soffocante. Si rese conto di respirare meglio.
    “Nella Torre l’aria è arricchita di ossigeno”, gli confermò Mentore, “è meglio che ti sbrighi a cambiarti, prima di sentire la stanchezza.”

    Jona sapeva che aveva ragione. Già sentiva la testa leggera per il calo della tensione nervosa dopo l’incontro con Thano. Fece un rapido giro per gli armadi e scelse un completo formato da un’ampia camicia bianca, un paio di pantaloni ed un gilè verde scuro pieni di tasche e un paio di solidi sandali.

    Dopo la doccia, rivestito di tutto punto e con l’aria tiepida e ricca di ossigeno si sentì molto meglio.
    Varcò la soglia sulla parete opposta a quella da cui era entrato portando con sé solo il suo lungo bastone con l’Amuleto in cima.

    Seguendo le indicazioni di Mentore si recò prima in un piccolo refettorio dove ritirò, da un armadietto incassato nel muro, un vassoio con dei piatti fumanti che contenevano pietanze sconosciute, ma gustose.
    Terminato il pasto seguì un altro corridoio fino ad un piccolo cubicolo senza finestre che conteneva un tavolino e un letto.

    Era stanco, ma non voleva ancora addormentarsi. Sul tavolino c’era una cartellina che conteneva un unico foglio di carta bianca ed una penna. Cominciò a prendere appunti su quello che era successo nella giornata, come era la sua vecchia abitudine, prima che il viaggio lo costringesse ad affidare i suoi ricordi all’Amuleto invece che alla carta.
    Riempì quattro facciate della sua scrittura fine ed ordinata prima di accorgersi che aveva girato pagina troppe volte per un foglio solo.
    “Che foglio è questo, Mentore?”
    “Mi stavo chiedendo quando te ne saresti accorto. Forse è meglio che tu vada a dormire, ora.”
    “Hai ragione. Sono stanco, ma prima spiegami.”

    “Mi può anche far parlare con Serna?”
    “In teoria sì, ma non ora.”
    “Me la puoi chiamare tu, allora?”
    “No.”
    “Sono isolato?”
    “Fino a quando non avrai incontrato tutti gli Dei.”
    “Devo incontrare tutti gli Dei?”
    “Jona, vai a dormire. Non sei più in grado di ragionare. Certo che devi incontrare tutti gli Dei!”
    Jona stava per rispondere male, ma si trattenne. Gli occhi gli bruciavano e faceva fatica a mettere a fuoco. Mentore aveva ragione e negarlo non sarebbe servito a nulla.

    Sognò suo padre quando, la sera in cui Gerba era arrivato a casa loro riportando il giovane Jona che giocava con l’Amuleto, gli aveva messo un mano sulla spalla e, guardandolo dritto negli occhi, come faceva sempre quando la cosa era veramente importante, gli aveva detto:
    Erano rimasti a lungo a guardarsi. Alla fine Jona aveva detto con un filo di voce, ma senza abbassare gli occhi: “Capisco, almeno credo. Grazie papà.”
    Anche nel sogno sapeva che, di lì a poco, sarebbe ritornato nella grande cucina, dove Gerba attendeva pazientemente chiacchierando futilmente con i suoi genitori, per annunciare che sì, voleva provare a diventare un Mago, ma il sogno prese altre strade.

    Si svegliò perfettamente riposato. E si alzò di scatto, pronto a correre incontro alle novità ed al destino, quasi avesse ancora undici anni e non sessantacinque.

    Seguendo le indicazioni di Mentore si preparò e varcò un’altra porta.
    Non sapeva bene cosa aspettarsi, ma sicuramente la vista lo stupì. Era in un cortile circolare che occupava tutta la base della Torre. Al centro, per metà incassata nel pavimento di roccia nera troneggiava un’enorme ruota che girava lenta.
    Cavi neri scendevano giù dal cielo e lassù tornavano, dopo aver girato attorno alla ruota.
    Guardò in alto e vide che la Torre non era conica come gli era sembrato, ma, da circolare che era, diventava un’ellisse molto allungata in alto in modo da lasciar spazio ai cavi che sembravano vibrare su una frequenza troppo bassa per essere percepita. Nulla si muoveva oltre la grande ruota.

    “Sei pronto per il viaggio?”
    “Dove andiamo, stavolta?” Chiese Jona, ma già indovinava la risposta.
    “In cielo, ovviamente!”
    “Fai strada.”

    Una rampa portava ad un’alta struttura sopra la ruota, in mezzo ai cavi.
    Lassù c’era una fila di cabine vetrate e cassoni di tutte le dimensioni da una cassetta di circa un metro cubo ad un enorme scatolone che doveva misurare almeno dieci metri per dieci ed essere alto almeno venti.

    Mentore lo guidò verso una cabina di due metri per due, con un alto soffitto a cupola; l’intera struttura era in vetro trasparente, anche il pavimento.
    Dentro c’era una comoda poltrona fornita di un tavolinetto e di un poggiapiedi.
    Dall’altro lato c’era un armadietto.

    La porta si chiuse con un sibilo tagliando fuori qualsiasi rumore. Il silenzio era inquietante. Quel vetro doveva essere molto più spesso di quanto sembrasse.

    Jona obbedì senza fare commenti.

    Appena si fu accomodato la cabina cominciò a muoversi senza scosse su binari incassati nel pavimento e presto venne a trovarsi proprio sopra la ruota, vicino ai cavi che erano alle spalle di Jona.
    “Puoi girare la poltrona per vedere meglio, se vuoi”, lo informò Mentore.

    Dopo aver girato la poltrona si trovò a guardare direttamente i cavi che erano sei e molto spaziati fra loro, tanto che la cabina riusciva a prendere solo i due centrali. Quella che, vista di lato, gli era sembrata una singola larga ruota, si rivelò essere un insieme di sei ruote che giravano in sincronia. Su ognuna passava un cavo nero che arrivava giù dal cielo e verso il cielo ritornava.

    Sul retro della cabina c’erano due serie di ruote grige, forse di ceramica, destinate a impegnare i cavi; una serie direttamente attaccata alla parete della cabina, mentre l’altra si allungava all’esterno sorretta da un supporto e fungeva da controspinta. Le due serie di ruote di ruote, avvicinandosi, imprigionavano il cavo ancorando ad essa la cabina.
    Ora le ruote giravano vorticosamente mentre i cavi correvano via veloci.
    Una nota metallica ruppe il silenzio.
    “Stiamo per partire. Rilassati.”
    Altra nota, leggermente più acuta. Poi una terza. Le ruote cominciarono a rallentare e Jona si sentì diventare più pesante e affondare nella poltrona mentre la cabina schizzava verso l’alto.
    Quando uscì dalla cima della torre sentì una leggera vibrazione mentre la cabina veniva investita dal vento.
    Le ruote che la legavano ai cavi erano oramai ferme e ancoravano solidamente la cabina ai cavi; era in viaggio.

    Anche il suo peso era ritornato normale.
    Fece per alzarsi, ma Mentore gli disse che gli conveniva rimanere seduto ancora per un po’, tra poco sarebbero stati fuori dall’area delle turbolenze.

    Sotto di lui la Terra fuggiva via veloce e poteva abbracciare con lo sguardo l’intero altopiano. Si sforzò di capire da dove era passato, ma non ci riuscì. Quella vista era simile all’Occhio dal Cielo, ma anche diversa. Troppi particolari confondevano e distraevano.

    “Quanto stiamo andando veloci?” Chiese.
    “Circa quattrocento chilometri orari. Tra cinque ore saremo arrivati.”
    “Duemila chilometri di altezza? Così tanto?”
    “Saremo appena al di fuori dell’atmosfera terrestre. E solo il primo gradino della scala che porta in cielo. Chiedi a Zeo”, gli rispose Mentore con una certa aria di sufficienza.

    Jona invece prese la cartellina con il foglio di carta magico e cercò l’indice dell’enciclopedia. Dopo alcuni tentativi a vuoto trovò quello che cercava: “Ascensore Spaziale del Chimborazo” e cominciò a leggere avidamente.

    Quella costruzione era recente, realizzata in vista dei progetti di ristrutturazione del continente sudamericano che sarebbero cominciati di lì a poco.
    Le cinque ore che lo separavano dalla “Stazione Suborbitale” passarono senza che lui se ne rendesse nemmeno conto. Solo di tanto in tanto distoglieva gli occhi dal foglio per spaziare sul panorama che si allargava sempre più mentre il cielo diventava sempre più nero.

    Le note che indicavano l’inizio della decelerazione lo colsero di sorpresa. Alzò gli occhi e vide l’enorme struttura metallica che gli correva incontro.

  • Thano

    La traccia azzurra che segnava il crepaccio si era trasformata in un’enorme bocca spalancata e irta di denti aguzzi. Il Mago poteva ancora sentire il ghiaccio scricchiolare sotto la suola dei suoi scarponi, ma gli occhi gli dicevano che era sospeso a mezz’aria, pronto a precipitare in fauci fameliche.
    Riportò la sua attenzione sul Dio che lo guardava beffardo dal ciglio di quel burrone e bandì la bocca, evidentemente lì solo per distrarlo, dalla sua mente. Sapeva di non aver nulla da temere da quella parte

    Così saresti pronto?
    “Nessuno è mai pronto davvero, ma presto sapremo se sono pronto abbastanza, credo.”
    La bocca sembrò diventare un po’ più piccola. Jona sorrise. Se usata correttamente quella cosa spaventosa poteva essergli d’aiuto. Doveva solo farla chiudere completamente.
    Inaspettatamente la bocca si restrinse ancora un po’.
    Il Mago guardò di nuovo Thano che sogghignò e chiese: “Già, perché?
    “Perché ho capito come usare la bocca.”
    Nuovamente la bocca si restrinse e, stavolta, Jona la stava guardando attentamente.
    Se continuava così gli sarebbe bastato rispondere correttamente a una decina di domande.

    Veniamo a cose più interessanti: Chi siamo noi?
    Jona ci aveva pensato, naturalmente, e rispose con una certa prontezza, ma anche con molta circospezione: “Credo che siate i discendenti degli antichi, di quegli antichi che si sono trasferiti nello spazio.”
    L’enorme bocca da pescecane si spalancò e fece per inghiottirlo, ma, come fosse stata frenata da un invisibile guinzaglio ritornò al suo posto; non si era mossa di un millimetro.

    Non pare proprio la risposta esatta”, ghignò il Dio che sembrava godesse nel vedere come Jona si dibatteva nella sua rete, “che cosa è successo?
    “Posso pensare a due cose: la meno probabile è che, dopo tutta la fatica che avete fatto per farmi arrivare fin qui — tralasciando la fatica che ho dovuto fare io — non vogliate mandare tutto all’aria per una singola risposta sbagliata.”
    Thano rise di quel suo riso beffardo e, in questo caso, particolarmente cattivo:
    La bocca si era aperta un po’ di più, poco, ma era più aperta.

    Jona fece un gran respiro che non portò molto ossigeno ai suoi polmoni, ma contribuì ugualmente a calmarlo:
    La bocca si chiuse un altro po’.
    “La prima risposta era sbagliata perché, evidentemente, non sei assolutamente disposto a fare compromessi su quello che Ti serve da me. Meglio ricominciare tutto daccapo con qualcun altro che accontentarsi di qualcosa di “seconda scelta”. Ti faccio notare che questa è un’informazione nuova che mi dai; prima potevo supporlo, ma non esserne sicuro.”

    Vero, ma torniamo alla domanda originale: Chi siamo noi? Ma prima spiegami: come ti è venuta l’idea che fossimo degli antichi?” La voce era più amichevole, anche se con una punta di miele di troppo. La bocca era un pochino meno minacciosa.
    “Ci sono parecchie cose che mi hanno spinto in quella direzione”, rispose il Mago contando sulla punta delle dita,

    Capisco, ma ti posso assicurare”, disse Thano senza il suo naturale tono beffardo, ma con una vena di tristezza nella voce, “che quando abbiamo cominciato a ripopolare la Terra, usando le piante utero, la specie Homo Sapiens, con tutto il genere Homo, si era veramente estinta, sia sulla Terra che altrove. Abbiamo veramente dovuto ricostruire il vostro DNA quasi da zero, risintetizzandolo ex-novo.

    E allora? Lo chiedo io a te!” Ritorse il Dio tornando al suo sorriso beffardo.

    “Hai confermato tu stesso che la mia prima risposta conteneva una dose di verità”, cominciò Jona lentamente, “quindi, se mi dici che l’umanità si era estinta, non posso che pensare che siate le anime di antichi.”
    La bocca si restrinse ancora di più; ora era larga solo una decina di metri.

    Passiamo alla domanda successiva: Che cosa vogliamo da te, Jona?
    Il Mago inghiottì a vuoto. Si era aspettato la domanda, naturalmente, e aveva delle risposte pronte, ma se aveva sbagliato là dove si sentiva così sicuro

    Sotto di lui il ghiaccio tornò ad essere ghiaccio, lucido e compatto. Accanto al Dio una immensa pantera nera come la notte lo guardava con due occhi gialli mentre si leccava ostentatamente i baffi.
    Hai qualche idea?” Lo canzonò Thano.

    “Sì, più di una, ma non so davvero quale scegliere.”
    E chi dice che debba essere tu a scegliere?

    Un lampo improvviso rischiarò la mente di Jona che disse lentamente:
    Vero, ma non pensare di cavartela così. Devi dirmi almeno una delle cose che potremmo volere da te.
    La pantera, nel frattempo, si era ridotta fino ad essere delle dimensioni di una vera pantera nera e continuava a fissarlo sferzando con la coda la superficie ghiacciata.
    “Ce n’è una della quale sono piuttosto sicuro”, rispose guardando il Dio dritto negli occhi, “anche se credo ci sia ben di più in gioco.”
    “Potreste aver bisogno di un altro Mentore che guidi altri Cercatori come me.”

    Bene. La risposta è valida. Veniamo all’ultima domanda”, la pantera non era cambiata; la risposta era valida, ma fin troppo ovvia, “perché si sono estinti gli antichi, secondo te?

    Jona stava sudando, nonostante il freddo del tardo pomeriggio e il vento che aveva cominciato a spirare gelido. Si era posto anche questa domanda, naturalmente, ma le risposte che aveva trovato lo aveva lasciato sempre molto insoddisfatto.

    Sintetizza!” Lo interruppe Thano, “Venti parole!
    La voce lo colpì come una sferzata. Rimase un minuto in silenzio con gli occhi chiusi, poi rispose scandendo le parole e contandole sulla punta delle dita: “Due motivi: erano diventati troppi per il pianeta; avevano cambiato l’ambiente tanto che non erano più adatti ad esso.”

    Thano era scomparso, al suo posto un lungo tappeto rosso si srotolava rapidamente fino a raggiungere la base della torre.