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  • Central Park

    Jona rimase ospite di Berlinda e Turon non solo fino alla mattina successiva, come aveva sperato, ma per molto più tempo, quasi una settimana.

    Non rimase mai da solo, tranne che nelle ore di sonno, e nessuno dei suoi “ospiti” si allontanò mai dal piccolo appartamento.

    La comunità dei Nani di Nayokka era stata fondata circa cinquecento anni prima, a quanto pareva direttamente da Festo stesso che aveva costruito personalmente la montagna, la piazza, i ponti, il parco e un piccolo nucleo di case che si affacciavano sulla Larga: la strada, lunga più di sei chilometri, che dalle porte conduceva direttamente al Parco.
    Quasi tutte le diramazioni laterali erano state, invece, scavate dai Nani, mano a mano che ne cresceva il numero e le necessità.
    Come Jona aveva sospettato la roccia era costituita da una schiuma di vetro leggera, ma molto resistente, che i Nani scavavano agevolmente e poi rendevano liscia fondendo la superficie e vetrificandola a fuoco.
    La roccia era attraversata da vene di una sostanza chimica che immagazzinava la luce e rimandava quella fosforescenza verde. Queste vene erano molto più frequenti lì, vicino alle porte, che nelle parti interne, per questo i Nani avevano dovuto sviluppare i globi luminosi arancioni.

    Jona sapeva già che i Nani erano dei meccanici eccellenti, quello che imparò in quella settimana di convivenza forzata fu il loro amore viscerale per i congegni complicati. Qualunque cosa, compresi i fermagli che tenevano uniti i vestiti erano complicati e ognuno un pezzo unico, differente da tutti gli altri. Imparare ad aprire il rubinetto dell’acqua fu quasi come imparare a scassinare una serratura.

    Finalmente, quando già cominciava a chiedersi se il suo isolamento sarebbe durato fino a primavera, gli venne comunicato che il Martello l’avrebbe ricevuto dopo pranzo.

    Scesero tutti e tre con l’ascensore. Jona cercò di capire come funzionava, ma Turon fece in modo da frapporsi fra l’ospite e le leve che azionava. Poi salirono su uno strano carro che camminava su rotaie, trascinato da un complesso sistema di cavi metallici.
    Le pareti della Larga sfrecciavano ai lati come se fosse stato su un cavallo lanciato ad un galoppo sfrenato, ma il carro procedeva quasi senza scosse e con un sonoro ronzio,

    “Attento alla luce; proteggiti gli occhi”, disse Turon mentre si riparava la vista con una mano sugli occhi.
    Jona l’imitò prontamente e le sue palpebre chiuse vennero colpite da una luminosità bianchissima.

    Quando si fu riabituato, dopo giorni di penombra, pensò di essere all’aperto sotto un sole cocente, poi, mano a mano che riusciva a mettere meglio a fuoco, si rese conto di essere ancora nelle viscere della montagna, in una specie di enorme serra, larga circa un chilometro e molto più lunga, con le pareti di roccia vetrosa e un tetto trasparente con archi a sesto acuto che si perdevano nel cielo.
    “Questa è opera di Festo”, gli comunicò Berlinda dopo avergli lasciato il tempo di capire quel che aveva davanti agli occhi.

    Il carro continuò a correre lungo una parete che sembrava un’enorme falesia che racchiudeva una valle fertile.
    Turon azionò dei comandi e il carro cominciò a rallentare lasciando il binario principale per arrivare poi a fermarsi dietro ad altri carri uguali.
    Scesero e Jona si trovò davanti ad uno strano palazzo di pietra e mattoni completamente incastonato nella roccia.
    Era in perfette condizioni, ma sembrava molto più vecchio della falesia che lo inglobava. Non fece a tempo a fare altre osservazioni, perché le sue guide entrarono e lui fu costretto a seguirle.

    Salirono uno scalone di marmo e, dopo una brevissima attesa, furono introdotti alla presenza del Martello.
    Come tutti i Nani anche il Martello era di poche parole e andava dritto alla questione:
    “Che dobbiamo fare di te, Jona di Tigu? I nostri Maghi non sono riusciti a disfare il tuo incantesimo. Burlock e alcuni dei suoi compagni sono stati cambiati per sempre, o almeno così pare.”
    Jona si guardò intorno e vide facce severe. Troppe.
    Mormorò poche parole all’Amuleto, poi si rivolse direttamente al Martello: “Posso cercare di disfare io stesso l’incantesimo, se Burlock vuole.”
    Turon si era fatto attentissimo e stava comunicando con il suo Amuleto: “Sei sicuro di riuscirci?” Chiese.
    “No, ma posso provare. Potete controllare quello che farò e sono disponibile a spiegarvi in anticipo quel che intendo fare. Non avevo mai usato questo tipo di incantesimo prima”, rispose Jona mentre Turon scambiava rapide frasi sia con il Martello che con l’Incudine.
    Turon si ritirò ed il Martello guardò l’Incudine che diede un cenno di assenso quasi impercettibile.
    Il Martello calò con forza il pesante martello che aveva in mano sull’incudine che aveva a fianco; ne uscì una nota metallica che risuonò a lungo nel salone: “Sia fatto.”
    “Saremo nella saletta superiore”, disse Turon all’Incudine mentre usciva con Jona, Berlinda e altri due Maghi.

    Salirono un’altra rampa di scale e si trovarono in un grande salotto con tre alte finestre che si affacciavano sul parco.
    Presero posto attorno al largo tavolo ovale e attesero tranquillamente.
    Poco dopo arrivò Burlock, salutò i presenti e prese posto vicino a Jona.
    Pochi minuti dopo arrivarono anche il Martello e l’Incudine che si sedettero ai due capi del tavolo, fecero girare lo sguardo intorno per assicurarsi che tutti fossero presenti, si scambiarono il solito cenno d’intesa e quindi il Martello chiese guardando Jona dritto negli occhi: “Spero che tu abbia un buon motivo per aver chiesto questa riunione privata. Si tratta di una procedura inconsueta.”

    Inutile tergiversare; speriamo che questi Nani siano davvero pragmatici come sembrano; dopotutto hanno acconsentito ad una riunione ristretta, pensò Jona mentre cercava di rilassarsi sulla poltroncina troppo bassa per lui.
    Strano, gli venne in mente, la stanza e le finestre sembrano troppo grandi per i Nani, forse troppo grandi anche per gli Umani, la mobilia era, invece, evidentemente a taglia di Nano.

    “Non credo di poter far ritornare “normale” Burlock; non senza distruggere una parte della sua mente. Non vorrei essere costretto a provare”, disse con voce ferma.
    Diversi dei presenti aprirono la bocca per parlare, ma Jona li bloccò alzando la mano: “Lasciatemi finire, per favore.”
    “Come ho detto anche a loro, ho scoperto che l’avversione dei Nani per il mare è legata essenzialmente al movimento che genera in voi uno spiacevole senso di disorientamento. Il senso di disorientamento non posso cambiarlo, quello che ho fatto è cercare di renderlo piacevole associandolo alle cure materne. Questo può essere disfatto con un incantesimo di cancellazione della memoria molto mirato. Posso far vedere a Turon o a qualcun altro come fare o farlo io personalmente.”

    Jona fece una breve pausa.
    C’era dell’altro; lo sapevano benissimo tutti e attesero cortesemente che lui proseguisse: “Ci sono due problemi: Burlock e qualcuno dei suoi compagni hanno approfittato di questa condizione per fare delle esperienze di navigazione e hanno imparato molte cose. Oramai trovano piacevole la navigazione. Cancellare tutto quello che hanno imparato non è più possibile. Rendergliela spiacevole sarebbe, a mio avviso, una vera cattiveria.”

    “E il secondo problema?” chiese il Martello quando Jona si interruppe guardandolo fisso.
    “Il secondo problema, non è un vero problema, almeno non per me.”
    “Penso che tutta Nayokka avrebbe un vantaggio ad avere almeno alcuni Nani in grado di viaggiare per mare. Andare al Gran Mercato, per esempio, sarebbe molto più agevole e sicuro.”

    “Capiamo”, disse il Martello alzandosi all’unisono con l’Incudine, “Apprezzo la tua discrezione, Jona di Tigu. Dobbiamo riflettere. Vogliamo che i nostri Maghi siano in grado di fare e disfare quell’incantesimo.”

    Jona chinò il capo e disse due parole all’Amuleto che brillò per un attimo: “Il mio Amuleto ha trasmesso a quello di Turon tutti i particolari.”

    “Bene. Sei il benvenuto a Nayokka. Speriamo che ti trovi bene con noi e che tu ci avverta prima di ripartire.”

  • Le Porte

    L’Incudine, Jona e i due Maghi che lo avevano interrogato si incamminarono verso Nayokka mentre alle loro spalle cominciavano le operazioni di scarico.

    La sabbia scricchiolava stranamente sotto le suole e la stretta scala che portava alla piazza sembrava tagliata in un unico blocco di roccia. La superficie era liscia e traslucida; ricordava qualcosa: “Vetro?” Chiese all’Amuleto.
    “Esatto. Come l’hai riconosciuto?”
    “Assomigliava a quello che ho visto nei Monasteri.”
    “In realtà questo è un po’ diverso; l’intera montagna è fatta di schiuma di vetro.”
    “L’hanno fatta loro?” Jona era sbalordito.
    “No”, rispose pacato l’Amuleto, “ma non è nemmeno naturale, ovviamente.”

    La piazza era oramai deserta e non offriva agganci per comprenderne le reali dimensioni, tanto che le porte, dall’altra parte, sembravano vicine.
    Avanzando, però, le proporzioni cambiavano e le porte diventavano sempre più lontane ed enormi.

    Arrivarono che il cielo era oramai cosparso di stelle, guidati dalla fioca luminosità che emanava dalla montagna.
    I Nani, che avevano una visione notturna molto migliore degli Umani, sembravano completamente a proprio agio, mentre Jona faticava a distinguere qualcosa; solo il fatto che la piazza era assolutamente piana gli permetteva di camminare spedito dietro i Nani.

    Entrarono da una porta laterale, percorsero un corridoio angusto e tortuoso nel quale Jona avrebbe potuto toccare agevolmente il soffitto, ma che lasciava ampio spazio sopra la testa dei Nani e si trovarono nuovamente nell’ampio vialone all’interno delle porte.

    La luce era fioca e verdastra e sembrava provenire direttamente dalle pareti tagliate nella roccia viva.

    “Questa roccia assorbe la luce del giorno e la accumula facendola penetrare fin nei luoghi più reconditi”, gli spiegò uno dei Maghi, poi, vedendo che Jona stava per usare l’Amuleto, aggiunse: “Ti prego di non farlo. Noi abbiamo una visione notturna molto migliore di voi. Questa luce ci è più che sufficiente, se lanci un incantesimo di illuminazione accecherai tutti.”

    Jona continuò a camminare in quella penombra. Il tunnel che stavano percorrendo era immenso, proporzionato alle porte e sui lati si aprivano corridoi secondari più stretti, ma che avrebbero consentito il passaggio di più carri affiancati.

    Si vedevano dei Nani in giro, ma le proporzioni dei corridoi erano talmente enormi che sembravano quasi deserti.

    Dopo poco imboccarono un passaggio laterale più stretto, ma sempre con il soffitto molte decine di metri sopra le loro teste.
    Vedendo che Jona continuava a guardare in alto e di lato, uno dei due maghi si decise a spiegare: “Questi corridoi, oltre che al passaggio, servono anche a dare aria alle case. Quelle aperture che vedi ai lati sono finestre, mentre quei fori ad intervalli regolari portano l’aria alla superficie.”
    “Ecco, siamo arrivati. Tu sarai mio ospite questa notte. Domani potrai incontrare il Martello.”

    Si erano fermati davanti ad un portone incastrato nella roccia viva.
    Il mago azionò un complicato chiavistello ed entrarono.

    Erano in un ampio ingresso sul quale si aprivano parecchie porte, il Nano le ignorò e si diresse deciso verso un piccolo stanzino dal soffitto basso illuminato da un globo arancione che contrastava con la luminosità verdastra della roccia.
    Non appena Jona fu nello stanzino assieme al Nano questi armeggiò con alcune leve e lo stanzino cominciò bruscamente a muoversi verso l’alto.

    Il Nano era rilassato e anche Jona si costrinse, nonostante la sorpresa, a rimanere fermo mentre lo stanzino, che evidentemente era una specie di scatola artificiale, si infilava in quello che doveva essere un tunnel verticale.

    “Le nostre case sono alte anche parecchie decine di metri. Gli ascensori sono più comodi che fare le scale, non trovi?”
    Jona non sapeva esattamente cosa fossero gli ascensori, anche se cominciava a intuirlo. Stava per far domande quando l’ingresso dell’ascensore arrivò in corrispondenza di un’altra apertura, Il Nano azionò di nuovo le leve e l’ascensore si fermò.

    “Sei tu, caro?” chiese una voce chiaramente femminile.
    “Sì”, rispose il Nano, “ho qui con me l’ospite.” Il tono era formale e Jona si irrigidì lievemente.

    Apparve una Nana di mezz’età che aveva appeso al collo un Amuleto di Palla.
    Lo guardò con occhi curiosi, poi congiunse i pugni nel segno di saluto: “Tu sia benvenuto nella nostra casa; io sono Berlinda e mio marito, che sicuramente ha dimenticato di presentarsi, è Turon.”
    Jona rispose al gesto di saluto: “Io sono Jona di Tigu. Vi ringrazio per la vostra ospitalità.”

  • Nayokka

    La prima parte del viaggio fu molto tranquilla e i Nani si trovarono a loro agio, sembrava avessero completamente dimenticato la loro paura per le onde.
    Poi, dopo aver attraversato uno stretto canale, si trovarono a navigare in pieno oceano, non più protetti dalle grandi isole.
    La nave correva sicura, ma doveva arrampicarsi su alte onde minacciose per poi precipitarsi nella valle successiva.

    Jarril faceva del suo meglio per prendere le onde di tre-quarti, per rendere meno penoso l’andare, ma diversi Nani cominciarono a sentire i morsi del mal di mare e Jona fu costretto a intervenire per sedarli.

    Burlock e qualcun altro, invece, sembravano avere lo stomaco di ferro e continuavano ad interessarsi di tutte le manovre, tanto che Jarril a un certo punto gli mise in mano il timone e si sedette su un rotolo di corda a fumare la sua pipa e fingendo di disinteressarsi completamente delle manovre.

    Burlock rimase abbarbicato al timone e non lo lasciò più se non per brevi intervalli di riposo, inizialmente impacciato e preoccupato, ma prendendo via via confidenza.

    La nave si scuoteva sotto le manovre troppo brusche del Nano e un paio di volte grosse ondate superarono la murata inzuppando quanti si trovavano sul ponte.

    Jarril sapeva che non c’era vero pericolo e lasciava fare, pur continuando a controllare, senza darlo a vedere, la situazione.

    Quando si infilarono nuovamente in un ampio canale protetto dalla terraferma Burlock aveva oramai capito le basi della navigazione e Jarril continuò a lasciargli la barra, dispensando consigli con aria distratta, anche quando il canale si fece angusto, fino a restringersi a poche centinaia di metri e furono costretti a bordeggiare stretto a causa del vento contrario.

    Jona sapeva bene che, in quelle condizioni, i Viknuit avrebbero già tirato fuori i remi e ammainato le vele, ma i Nani sembravano ignorare quella possibilità e Jarril si divertiva a dar loro corda.

    Finalmente apparve davanti a loro la città dei Nani.
    Non sembrava una città e, se non fosse stato per i Nani, i Viknuit e Jona sarebbero certamente passati oltre con un pizzico di curiosità per quella montagna bianca e immacolata che sorgeva dal mare senza un filo di vegetazione e che scintillava al sole come un enorme iceberg.
    Si diressero verso l’estremo sud di quella montagna, dove essa degradava bruscamente e si vedevano le prime costruzioni evidentemente artificiali: tre immensi ponti della stessa roccia bianca che passavano i larghi canali che separavano la montagna dalle terre che la circondavano, la grande piazza circolare su cui arrivavano i ponti e su cui si apriva la gigantesca porta nel fianco della montagna.

    Jona faceva fatica a valutare esattamente le proporzioni di quelle strutture.
    Avvicinandosi i particolari, prima nascosti da tutto quel candido fulgore, cominciarono a manifestarsi.
    Per prima cosa i Nani con i loro carri, puntini colorati nel bianco.
    Improvvisamente le dimensioni divennero chiare: i ponti erano tutti più lunghi di un chilometro e larghi diverse decine di metri; campate uniche senza sostegni visibili si stendevano con un arco leggero fra le sponde.
    La piazza era un cerchio spoglio a ridosso dei contrafforti del monte dove si apriva la porta attraverso la quale la più grande nave Viknuit sarebbe potuta passare a vele spiegate senza il minimo rischio di toccare i battenti o l’architrave.

    Burlock attese pazientemente che i suoi compagni di viaggio digerissero la portata di quello che avevano davanti agli occhi, poi disse semplicemente: “Benvenuti a Nayokka.”

    Attorno alla grande piazza sopraelevata si stendeva una spiaggia di sabbia bianchissima, l’unico punto dov’era possibile prender terra.

    Mentre si dirigevano lì notarono una certa animazione nella piazza e Burlock mandò uno dei suoi a prua a urlare qualcosa che l’Amuleto non si curò di tradurre.

    Un drappello di Nani uscì di corsa dalle grandi porte che cominciavano a chiudersi mentre la piazza si svuotava e tutti si affrettavano all’interno.

    Le ante si chiusero proprio mentre la nave, ammainate le vele, andava ad arenarsi sulla spiaggia.

    Il drappello di Nani che aveva nel frattempo raggiunto la spiaggia era armato di tutto punto e aveva formato un doppio cordone tra loro e la piazza.
    Le pesanti balestre, pronte a lanciare i loro micidiali quadrelli, sembravano nient’affatto amichevoli.
    Burlock saltò a terra mentre tutti gli altri, Nani, Viknuit e Jona, rimanevano fermi come statue.

    Confabularono a lungo, poi Burlock si arrampicò nuovamente a bordo: “Rimanete sulla nave, non siamo abituati a vedere navi, da queste parti e la cosa rende nervosi. Io vado a parlare con il Martello. Tornerò presto.”
    Detto questo scese di nuovo con i suoi compagni e si diressero verso le porte.

    La guardia dei Nani sulla spiaggia si rilassò un poco, le balestre non erano più puntate verso la nave, ma rimanevano cariche e pronte.

    “Il Martello?” chiese Jona all’Amuleto mentre seguiva con l’Occhio di Lince il procedere di Burlock e dei suoi.

    Così avvenne, ma per la visita dovettero aspettare molto di più di quanto pensassero; era oramai sera quando il portale si schiuse per lasciar passare una fila di carri e di Nani che si diressero verso la spiaggia.

    La guardia si era già premurata di trasportare dei grossi bracieri di ghisa nei quali avevano acceso fuochi per riscaldarsi e illuminare.

    “Ci scusiamo per il ritardo,” disse l’Incudine rivolgendosi direttamente a Jona, “ma le tracce dei tuoi incantesimi erano forti e i nostri maghi hanno voluto essere sicuri di quel che avevi fatto ai nostri fratelli. Nulla di tutto questo è mai successo prima.”
    “Capisco perfettamente”, rispose Jona, poi, rivolgendosi direttamente ai due Nani coperti da una lunga tunica gialla che lo seguivano, aggiunse: “Sono pronto a rispondere alle vostre domande.”
    “Più tardi, fratello”, rispose uno di loro, “per ora ci basta vedere che non hai intenzione di nuocere.”

  • Il patto

    Burlock si presentò da Troomsin la mattina presto, accompagnato dai suoi due luogotenenti.
    “Il Mago mi dice che hai un’offerta da farmi per il viaggio di ritorno”, disse senza alcun preambolo.

    La trattativa fu breve.
    Burlock sapeva che quella era l’unica possibilità seria di tornare a casa in tempo con la pelle intatta e Troomsin sapeva che approfittare troppo della situazione avrebbe significato inimicarsi i Nani che si diceva avessero la memoria lunga per i torti subiti.

    La stima di Jona per quella razza crebbe di parecchi punti; non si era aspettato che riuscissero a superare la loro fobia per l’acqua così in fretta e si era disposto ad una lunga opera di convincimento.

    Oltre ai carri i Nani versarono nelle casse di Troomsin un certo numero di monete d’oro, e ricevettero tutto lo stock di pesce conservato ancora invenduto. La nave con le ali sarebbe salpata al più presto per evitare le tempeste che presto si sarebbero abbattute sulla costa.

  • La proposta

    Burlock piazzò il boccale di birra scura sul tavolo e si arrampicò sullo sgabello di fronte a Jona.
    “Beh, che cosa hai deciso, Mago? Vieni con noi o no?”
    “Quando partite?”

    Jona diede un’occhiata al suo Amuleto e vide che la Bussola sembrava sempre più netta e luminosa; non era il caso di rimandare oltre la partenza.

    “Solo?”
    “Burlock, sei sicuro che sia una buona idea tornare per la stessa via dell’andata? Sei sicuro che i tuoi “amici” se ne siano tornati alle loro pianure?”
    “Non ci sono altre strade, Mago. Lo sai anche tu. Ti ho visto studiare quella mappa per ore.”
    “Io potrei anche riuscire a passare, ma voi, con i carri, siete troppo lenti e visibili. Non potreste rimanere qui fino al disgelo? Non credo che siano attrezzati per passare un inverno da queste parti.”
    Burlock scosse il capo facendo ondeggiare le treccine rosse: “No, i nostri fratelli a Nayokka aspettano queste provviste. Oramai sono tanti anni che portiamo il pesce dei Viknuit. Se mancasse e l’inverno fosse un po’ più lungo del normale potrebbero esserci dei problemi seri. Noi siamo una piccola comunità e le scorte sono quello che sono.”
    Jona rimuginò l’informazione: “Comincio a capire la strategia dei vostri nemici.”
    Il Nano ingollò un gran sorso di birra, liberò lo stomaco dal gas in eccesso, e poi, con un tono che sembrava dovesse spiegare ogni cosa, disse: “Mia moglie aspetta il suo primo figlio.”
    Jona annuì pensoso e, mentre si portava il boccale alle labbra, sibilò all’Amuleto: “Che ha di strano la gravidanza dei Nani?”
    “Pensavo che ti sfuggisse. Bravo. I Nani sono poco prolifici, passano parecchi anni prima che una Nana ritorni fertile dopo una gravidanza. Inoltre le Nane, solitamente robuste quasi quanto i loro mariti, sono estremamente cagionevoli nell’attesa. Denutrizione significa quasi certamente un aborto, o peggio.”

    Jona si asciugò la schiuma densa che era rimasta sui baffi.
    “Non credo che la aiuteresti molto facendoti ammazzare in questi boschi, Burlock.”
    Uno scintillio minaccioso begli occhi del Nano indusse il mago a terminare precipitosamente la frase:
    Burlock si fece attento, il boccale dimenticato: “Dove?”
    Sul tavolo apparve la cartina, sbiadita e piatta per non attirare troppo l’attenzione degli altri, che però sembravano più interessati alle birre che a loro. Una sottile linea rossa congiungeva quasi in linea retta il Gran Mercato e Nayokka.
    “Ma lì c’è solo acqua!”
    “Appunto.”
    “Sei impazzito?”
    “No. La nave che abbiamo usato per salvarvi può fare quel tragitto in una settimana, anche con il mare grosso. Ho controllato: il tempo dovrebbe essere favorevole ancora per un po’”
    “Sei impazzito.” Il tono era piatto, come se stesse enunciando una verità lapalissiana.
    “Non mi sembra che siate stati poi così male, durante il ritorno.”
    “Non se ne parla nemmeno!”
    Jona lo guardò dritto negli occhi e poi scandì lentamente: “Non credi che tua moglie preferirebbe averti accanto bagnato, ma vivo? Sempre senza parlare delle provviste che farebbero più comodo a Nayokka che nelle Grandi pianure.”
    Il Nano si prese la testa tra le mani; era evidente che l’idea di tornare sul mare non gli piaceva per niente, ma era troppo intelligente per non capire che Jona aveva ragione.
    “Veramente Troomsin lo farebbe?” Chiese alla fine.
    “Penso di sì. Magari in cambio dei carri, o qualche altra cosa. Sono sicuro che un accordo lo troverete, se volete. Inoltre Troomsin mi deve qualche favore.”
    “Ci devo pensare. Ora parliamo d’altro”, disse sollevando il boccale.
    “Bene”, rispose Jona sollevando il suo, “ma ricordati che più aspettiamo e più rischiamo di trovare cattivo tempo.”
    “Salute!”

  • Ritorno sul mare

    La mattina li trovò che viaggiavano spinti da un vento fresco che faceva scricchiolare l’albero e gemere il sartiame.

    “Se continua così saremo al Gran Mercato prima di sera”, disse Troomsin vedendo Jona riemergere dalla cabina, “com’è andata?”
    “Lo sapremo tra poco”, rispose lui stropicciandosi gli occhi gonfi.

    Troomsin gli mise in mano una tazza fumante e un pezzo di focaccia che alla loro partenza doveva essere stata una prelibatezza, ma ora opponeva una fiera resistenza ai denti.

    Burlock si affacciò dalla botola che portava sottocoperta, si guardò attorno, individuò Jona e si diresse verso di lui con passo deciso.
    Jona e Troomsin si trovavano a poppa, al timone, in quello che era uno dei punti più alti della coperta.
    Burlock di fermò a guardare la costa, lontana un miglio abbondante, che stavano seguendo e le onde di quel mare grigio e freddo nella giornata coperta di nuvole che correvano veloci, ascoltò la voce della nave che cantava la sua canzone al vento e infine si rivolse a Jona guardandolo con due occhi freddi e accusatori: “Che ci hai fatto, Mago?”

    Jona sospirò, poi rispose in modo altrettanto diretto: “Quello che era necessario, Burlock. Ho cercato di capire le ragioni della vostra avversione per il mare e di lenirla. Non sei contento di aver perso le tue paure?”
    “Prima di dire se sono contento o no vorrei sapere che cosa altro ho perso”, disse asciutto.
    “Nulla, che io sappia. Ho scoperto che la vostra avversione per l’acqua è legata soprattutto all’instabilità delle cose che galleggiano, al movimento ondeggiante e incontrollato e ho suggerito un’associazione con l’abbraccio della mamma. Pare che abbia funzionato. Non so quanto durerà, probabilmente dipenderà da come e quanto lo accetterete, ma per ora vi sentirete come bambini cullati dalla mamma, almeno fino a quando non arriveremo al Gran Mercato. Ti consiglio di goderti la sensazione.”

    Burlock lo guardava con sospetto, ma sapeva bene di non aver modo di accertare se il Mago mentisse e, anche se non mentiva, se aveva detto tutto quel che c’era da dire.
    Avrebbe dovuto vedere un mago della sua razza al più presto.

    Gli altri Nani, nel frattempo, erano usciti a loro volta e stavano osservando con curiosità la nave, parlottando fra loro e indicando varie parti dell’attrezzatura. Le due ali, ora immerse nell’acqua, attirarono la loro attenzione.

    Poco dopo, quando virarono cambiando bordo per avvicinarsi alla costa si sporsero addirittura dalla murata per osservare come l’ala sopravvento nuotasse libera mentre quella sottovento rimaneva schiacciata contro la fiancata.

    Jona e Troomsin furono inondati da un flusso ininterrotto di domande fino a quando non arrivarono in vista del Gran Mercato, nel primo pomeriggio.
    Il Mago si stava chiedendo seriamente se non avesse esagerato nella “cura”.

  • Imbarco

    Era circa mezzanotte quando la luce dell’Amuleto squarciò le tenebre illuminando la via alla nave che stava arrivando veloce verso la spiaggia.
    I carri stavano già scendendo verso il mare mentre i fuochi ardevano ancora indisturbati.
    I carri vennero issati a bordo con gli argani mentre le prime frecce cominciavano a cadere attorno a loro, ma erano solo una decina di assalitori, non avevano nessuna speranza di fermarli.

    Jona fece un gesto e le varie cataste di legna secca e resinosa che avevano predisposto nella notte presero fuoco illuminando gli arcieri che divennero facili bersagli per le pesanti balestre dei Nani che avevano una portata molto superiore a quella degli archi.
    Il lancio di frecce cessò.

    “Quei maledetti carri sono troppo pesanti!”
    Jona si girò verso la nave e vide i Viknuit che cercavano di spingere la nave verso il mare, ma quella sembrava incollata alla ghiaia.

    Qualcuno degli osservatori doveva essere andato ad avvertire il grosso della truppa perché Jona la vedeva avvicinarsi con una velocità impressionante. Ora, più che un esercito di formiche, sembravano uno sciame d’api inferocite.
    Avevano ancora una mezz’ora di tempo.
    La marea stava continuando a salire, sarebbe bastato?

    “Tutti a terra, tranne i Nani e Jarril il timoniere!” Ruggì Troomsin, “Portate le cime di alaggio!”

    Jona rimase interdetto. Le cime di alaggio? Quelle venivano usate per tirare in secca le navi, non per metterle a mare. Si guardò attorno cercando di capire se c’era un qualche ancoraggio a mare per poterle usare, ma i Viknuit non conoscevano le ancore in ferro che si usavano nella sua Ligu. Jona ne aveva parlato con il timoniere, ma quello non era sembrato molto interessato. Ora avrebbe fatto comodo.

    Una mano gli si posò sulla spalla facendolo sussultare.
    Era Troomsin: “Quanto tempo abbiamo?”
    Jona guardò ancora la sua mappa: “Non molto. Venti minuti, massimo mezz’ora.”
    Troomsin diede un’occhiata al mare che avanzava: “Abbiamo tutto il tempo. Vai a bordo anche tu. Non sei abituato a queste acque e puoi aiutare Jarril.”

    Jarril stava issando la grande vela e Jona si accorse allora che una sottile bava di vento soffiava verso il largo; si precipitò ad aiutarlo.

    La grande vela si gonfiò pigramente e, quando arrivò alla fine della corsa consentita dai bracci ai pennoni diede un sonoro schiocco e la nave ondeggiò come infastidita.

    In quel preciso istante tutti i Viknuit si gettarono come un sol uomo contro le murate spingendo come invasati.

    Jona non ebbe il tempo di rallegrarsi per il lento, ma deciso, movimento della nave che si accorse che qualcosa non andava per il verso giusto: i Nani erano in preda al panico e si guardavano attorno terrorizzati. Solo Burlock conservava un’apparente calma, ma, nonostante la scarsa luce, si vedeva che era pallido come uno spettro.

    “Che succede?” Chiese Jona più all’Amuleto che ai Nani mentre si lanciava a trattenerne uno che sembrava volesse balzare a terra.

    “I Nani hanno il terrore dell’acqua”, lo informò l’Amuleto.
    “E me lo dici adesso?” Sibilò il Mago mentre afferrava il Nano per una spalla. Quello si girò e, con tutta la dignità che riuscì a racimolare, disse: “Ho il diritto di morire sulla terra ed essere seppellito sotto terra.”

    “Ipni pax super vos descendat!” Riuscì a mormorare prima che il Nano, girandosi lo spedisse a gambe levate sul tavolato del ponte.

    L’aura grigia di Ipno circondava i Nani che rimasero immobili, frastornati.

    “Nessuno morirà stanotte”, disse Jona con più sicurezza di quanta ne sentisse, “guardate: la nave è solida e il mare calmo. Posse è con noi!”

    La nave oramai aveva preso a scivolare più agevolmente mentre da sotto si sentivano i grugniti dello sforzo degli uomini di Troomsin. Doveva tenere i Nani impegnati. L’aiuto venne proprio dai loro nemici che apparvero in cima alla spianata che portava alla spiaggia, illuminati dai fuochi che ardevano alti.

    “Presto usate le vostre balestre!”
    I Nani si riscossero e misero mano alle loro armi, mentre Jona cercava di modulare gli effetti dell’incantesimo per calmarli senza obnubilarne completamente i sensi.

    La nave era oramai sull’acqua e la vela la stava spingendo pigramente verso il largo
    “Via!” Urlò Troomsin e una ventina di uomini si lanciarono a nuoto verso la nave mentre gli altri si voltavano, incoccavano le frecce sui loro archi e cominciavano a far cadere una pioggia di mortale verso gli assalitori che si fermarono sbandando per rispondere.

    Jona e Jarril aiutarono i Viknuit che arrivavano a nuoto a salire a bordo e quelli, senza dire una parola si precipitarono ai remi.
    La nave prese rapidamente velocità.
    “Non possiamo lasciare Troomsin e gli altri a terra! Li faranno a pezzi!”
    “Calma”, disse Jarril tranquillo, “non hanno nessuna intenzione di crepare lontano da casa.”
    Jona chiuse la bocca e tornò dai Nani, lanciando incantesimi verso gli assalitori e chiedendosi che avesse in mente Troomsin.

    Non dovette aspettare molto per capirlo: la nave era appena ad un tiro di freccia dalla spiaggia quando, una dopo l’altra, le cime di alaggio si tesero trascinando in mare i Viknuit che erano già con le gambe in acqua.

    Gli assalitori arrivarono urlando verso la spiaggia e, dopo aver spedito qualche inutile freccia verso la nave che si allontanava, cominciarono a prendere di mira i Viknuit a rimorchio, ma quelli si immersero lasciandosi trascinare verso il fondo e riemersero più di un minuto dopo, oramai protetti dalla distanza e dall’oscurità.

    Troomsin fu l’ultimo a salire a bordo, come era stato l’ultimo ad abbandonare la spiaggia.

  • Partenza

    La notte trascorse con una relativa tranquillità. Dei “trappers” non c’era neppure l’ombra, anche se il Mago sapeva bene che erano sparpagliati tutt’intorno. L’Amuleto non riusciva ad avere delle immagini precise, ma le tracce di calore si intravedevano anche tra il fitto fogliame e la bruma notturna.

    All’alba il campo era stato completamente tolto e i carri erano in ordine di marcia, con Viknuit e Nani al posto dei somari che erano state le prime vittime dell’attacco.

    Il piccolo convoglio si mosse faticosamente in direzione del Gran Mercato.
    I carri erano piccoli, ma pesanti. Non sarebbero mai riusciti ad arrivare al Mercato in tempo per l’apertura, inoltre non molto più avanti, ad un giorno di marcia, si doveva passare per una stretta gola, posto ideale per un’imboscata.

    Jona cercava di tracciare come meglio poteva i movimenti degli assalitori che si tenevano a rispettosa distanza cercando il posto giusto per un altro attacco.

    La strada era malagevole, ma netta. Non ci si poteva certo sbagliare.

    A metà pomeriggio l’Amuleto lo avvertì: “Stanno tornando quelli che erano andati ad esplorare avanti. Speriamo bene.”
    “C’è qualcuno che ci tiene d’occhio?”
    “Certo! Vogliono farci credere di aver rinunciato e si tengono a distanza, ma c’è sempre qualcuno che ci tiene d’occhio dalle colline. Guarda.”
    L’Occhio di Lince gli permise di scorgere una figura appollaiata su un alto albero che li scrutava. Poco dopo scese e corse avanti a cercarsi un altro posto d’osservazione, mentre altri suoi compagni continuavano a controllare l’incedere lento del piccolo convoglio. La tecnica era ammirevole: uno solo si muoveva mentre gli altri — ne contò quattro — rimanevano fermi ai loro posti, poi, ad un segnale che non era dato capire, il più arretrato partiva e si portava, a sua volta, in testa per poi rimanere immobile ad osservare e riposarsi.

    L’attenzione di Jona era concentrata sul grosso della truppa che viaggiava molto più lontano, in mezzo ai boschi. Sulla mappa dell’Amuleto erano tanti puntini rossi che si muovevano sotto la copertura della foresta. Sembravano un esercito di formiche.
    “Puoi farmi sentire quello che dicono?”
    “A questa distanza, dall’altro lato della collina e con questa foresta in mezzo?”
    “Va bene, ho capito”

    Lo sciame si rimise in moto, molto più veloce di prima.
    Jona rimase impassibile e si forzò ad aspettare un’altra ora prima di avvicinarsi a Troomsin.
    “Sembra che abbiano abboccato”, gli disse a bassa voce cercando di evitare qualsiasi gesto che potesse mettere in allarme gli osservatori.
    “Hanno preso posizione alla gola?”
    “Non ancora, ma ci stanno andando.”

  • Capire i Nani

    “Hai idea di che cosa volesse dire?”
    L’Amuleto emise una buona imitazione di uno sbuffo spazientito: “Jona, lo sai che a questo genere di domande non posso rispondere!”
    “Va bene. Cercherò di essere più specifico: Dove sono le Grandi Pianure?”
    Per tutta risposta apparve la grossolana mappa di un gran continente rozzamente triangolare con il vertice in basso e due catene montuose parallele ai lati. Tutta la parte centrale era un’immensa pianura. Non era difficile immaginare di cosa parlasse Burlock.
    “E noi ora dovremmo essere da queste parti, vero?” Chiese Jona indicando l’angolo superiore sinistro del continente.
    Un puntino rosso apparve molto più a sud del suo dito.
    “Nayokka?”
    Un secondo puntino apparve poco più in basso del primo.
    Jona guardò la mappa perplesso. Così vicino? Quel continente doveva essere immenso.
    “Il Muro dovrebbe essere da queste parti, vero?” Jona stava indicando la catena montuosa che divideva la costa est e Nayokka dalle pianure centrali.
    “Immagino di sì, ma non ho informazioni precise. Questo è il massimo che posso avere a queste distanze e non c’è nulla a proposito di “Muri”.”
    “Puoi ingrandire la costa tra qui e Nayokka?”
    L’immagine gli balzò incontro e i dettagli cominciarono a farsi evidenti.