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  • Filosofia

    Qualche giorno dopo, in Biblioteca, l’attenzione di Jona fu attratta da un volume dall’aspetto semi-nuovo, a differenza degli altri che sembravano sul punto di disfarsi, tanto erano stati usati. La copertina riportava il titolo: “La Coscienza”. Incuriosito lo prese e cominciò a leggere: — Il cervello è l’organo che ci consente di pensare, ma come un organo che funziona in modo essenzialmente parallelo riesca a produrre il pensiero, che è essenzialmente percepito come un flusso sequenziale di coscienza è rimasto a lungo un mistero. Recenti studi hanno gettato nuova luce sull’argomento

  • Locanda

    Arrivarono alla locanda che era di nuovo buio, tanto che dovettero usare le lanterne nell’ultima ora di viaggio.
    La speranza di arrivare presto era sfumata non appena erano cominciate le prime lievi salite e il peso, sia pure su quel carro ben lubrificato, aveva cominciato a farsi sentire.
    I cavalli erano stanchi. Fortunatamente la locanda fungeva anche da stazione di posta per il cambio dei cavalli, altrimenti non avrebbero potuto ripartire il mattino dopo.

    Dopo cena l’oste attaccò un lungo bottone con Fra Jaques di Palla riguardo a certe sue beghe con un vicino. Jona approfittò dell’insperata libertà per ritirarsi nella cameretta che divideva con il frate e chiedere un collegamento con la moglie.
    Dania lo lasciò parlare a lungo: sapeva per esperienza che era inutile cercare di dire qualcosa quando lui era in quello stato di esaltazione per un nuovo gioco, fisico o intellettuale che fosse. Si limitò quindi a sentire e assentire, godendo del fervore con il quale lui la faceva partecipe delle sue scoperte, anche quando non riusciva a seguirlo in pieno.

    Quando lui, a un certo punto, esclamò: “Come vorrei che Serna potesse vedere queste meraviglie!” colse la palla al balzo: “Forse faresti bene a sentirla; è parecchio che non vi parlate e io sono un po’ preoccupata per quel nuovo progetto per il quale sta rintanata da giorni nel suo studio con Darda e Agio.”
    “Nuovo progetto? Di che si tratta?” Chiese Jona. Era troppo tempo che non sentiva Serna! Da quando aveva ritrovato la possibilità di parlare con la moglie non l’aveva più sentita! Bel padre!

    “Come va la gravidanza?” chiese lui, grato per la diversione.
    “Bene, nonostante io non sia più una giovincella. Comunque pesano. Non credo che aspetterò ancora le sei settimane che mancano al termine.”

    “Uhm, chi parla ora? La puerpera o la Sacerdotessa di Asclep?”
    “In questo caso sono perfettamente d’accordo: la puerpera non ne può più e la sacerdotessa sa che un parto gemellare di questo tipo si conclude, di solito, con un certo anticipo. Diciamo di un paio di settimane.”
    “Un paio di settimane di anticipo non dovrebbero essere un problema, no?”
    “No. Stanno tutti e due benissimo. Non si vedono problemi, per ora, speriamo continui così.”
    “Ora parla la puerpera.”

    “D’accordo. Grazie. Vai a riposare. Un bacio.”
    “Un bacio anche a te, caro.”
    La sua immagine sparì.

    Jona chiamò immediatamente Serna, le raccontò le sue avventure, chiese notizie di Dania e della gravidanza, chiacchierò del più e del meno.
    Serna, dal canto suo, fu spigliata e allegra, stette a sentire con interesse, parlò del suo lavoro, ma non fece parola né di progetti, né di Agio e nemmeno di Darda.

    Quando finalmente interruppero il collegamento Jona chiese a bruciapelo all’Amuleto: “Sai che cosa bolle in pentola?”
    “No. Non so nulla di più di quanto sia stato detto questa sera. Devo fare indagini?”

    Jona ci pensò su, poi decise che se Serna voleva parlare dei suoi progetti o no questo era una decisione che spettava solo a lei: “No. Ricordami invece, nel caso io sia abbastanza rimbambito da dimenticarmene ancora, di chiamare Serna con più regolarità.”

  • Partenza

    Nel cortile illuminato, i cavalli aspettavano tranquilli il segnale per cominciare a tirare il pesante carro, mentre Jona e Fra Jaques salutavano. Finiti i brevi convenevoli di rito il Mago si apprestò a raggiungere il frate che era già a cassetta, ansioso di prendere la via del ritorno. D’improvviso si rese conto di guardare il carro con occhi diversi. Ora sapeva qual era la funzione delle larghe ruote morbide e perché riuscivano a girare senza rumore e senza sforzo: merito di un piccolo apparecchio che Johannes aveva chiamato “cuscinetto a sfere”; una cosa che aveva deliziato Jona con la sua efficiente semplicità. Il frate aveva però messo in guardia riguardo alla differenza fra semplicità e facilità:
    Il corpo del carro era in fibra di vetro: un matrimonio ben riuscito fra due opposti: il vetro rigido e fragile e una resina duttile e tenace. Il risultato era davanti ai suoi occhi: un carro che stava portando senza apparente sforzo due grossi macchinari, ciascuno dei quali avrebbe schiantato il loro vecchio carro in legno solo a caricarcelo sopra.
    “Dai, vieni che è quasi giorno!”
    Jona si riscosse e salì a fianco di Fra Jaques, chiudendosi dietro la porta.

    Quel carro era completamente chiuso e le briglie venivano azionate attraverso delle leve. Il frate mosse le leve come gli era stato insegnato e le briglie schioccarono sul dorso dei due cavalli che presero a tirare; Jona ricordò di allentare il freno ed il carro prese finalmente a muoversi senza rumore, dapprima lentamente, ma rapidamente accelerando.

    Fuori era buio pesto, o almeno così sembrò in un primo momento quando uscirono dal raggio d’azione delle forti luci del monastero. In realtà l’alba stava già schiarendo l’orizzonte a est e i loro occhi non tardarono a distinguere il nastro nero della strada dal bianco della neve che la circondava.

  • Il Monastero di Festo

    Jona si svegliò presto, come d’abitudine, e cercò a tastoni il piccolo interruttore incastrato nel muro vicino al letto.
    La luce elettrica si accese obbediente, ma lui, pur debitamente impressionato, si ritrovò a pensare che i funghi luminosi degli Elfi erano meno complicati e più comodi. Meglio tenere certi pensieri ben nascosti. Di certo Festo non avrebbe gradito, permaloso com’era.

    Mentre Fra Jaques andava a ispezionare il Torchio che dovevano riportare indietro Jona chiese a Fra Johannes se fosse possibile visitare almeno parte del Monastero.
    “Vedo cosa è possibile organizzare”, disse lui, e uscì dal laboratorio lasciandolo libero di esaminare alcune delle meraviglie presenti. Cominciò dal Torchio, che era, in realtà, costituito da due macchine: una “Linotype” e dal Torchio vero e proprio.

    La prima era un apparato che serviva per comporre la matrice, accostando fra loro le lettere in una linea per volta fino a ottenere l’intera pagina. Era una macchina meravigliosa e complicata che, alla pressione di un singolo tasto faceva scendere dall’alto la matrice di una lettera e la allineava alle altre, incastrandola. Jona seguiva il percorso di quei blocchetti bianchi mentre un frate mostrava il funzionamento.

    La pagina fu pronta prima che Fra Johannes tornasse e venne trasferita al Torchio. Il frate assistente spiegò che lo chiamavano così solo per ragioni di tradizione, oramai non c’era nulla del vecchio torchio da stampa.

    Quando il frate lo mise in funzione cominciando a girare una manovella collegata a un grosso volano dapprima lentamente, poi sempre accelerando, Jona rimase impietrito dallo stupore.
    Una serie di ventose prelevava un foglio di carta da una pila ordinata e lo depositava sulla matrice, che era stata appena inchiostrata da un rullo imbevuto.
    Al posto del torchio piano che Jona conosceva, era un pesante rullo di metallo che pressava la pagina sulla matrice, poi, mentre la fila di ventose, collegata a un braccio meccanico andava a prendere un altro foglio un’altra sollevava quello appena stampato e lo girava, dando il tempo all’inchiostro di asciugare prima di sovrapporlo agli altri.
    Tutto con il semplice girare di una manovella. Beh, tanto semplice non doveva essere, visto che il frate assistente stava sbuffando per la fatica di tenere in movimento quella macchina complicata composta da centinaia di ingranaggi e camme, ma era un miracolo di Festo che ci riuscisse

    Rientrò Fra Johannes che, con un largo sorriso disse: “il Sacerdote non ti può ricevere perché deve partire a minuti, ma mi ha permesso di farti da guida per tutta la giornata, se vuoi.”
    “Certo che voglio, e lo sai bene. Il problema è che il Monastero mi sembra enorme e anche correndo non credo riuscirei a vedere tutto. Domani dobbiamo ripartire e il tempo è poco: che cosa mi consigli di visitare?”
    “Qui al Monastero abbiamo quattro lavorazioni di base: vetro, ceramica, metalli e resine.”
    “Beh, vetro e ceramica li conosco abbastanza, forse è meglio concentrarci su metalli e resine.”
    Fra Johannes fece una faccia strana, si avvicinò a un ordinato banco da lavoro facendo a Jona cenno di seguirlo.
    Senza dire una parola prese un grosso tronchese e lo usò per tagliare una catena d’acciaio, poi afferrò un martello e calò un colpo poderoso sul tronchese, finalmente consegnò tronchese e martello allo stupefatto Jona dicendo: “Il martello è di vetro e il tronchese di ceramica.”

    Il martello era pesante e la testa semitrasparente abbastanza riconoscibilmente di vetro; il manico, molto leggero, probabilmente di una schiuma come quella dei sostegni delle serre.
    Il tronchese, invece era sensibilmente più leggero di quello che avrebbe dovuto essere se fosse stato di buon acciaio, di un materiale grigio e privo di lucentezza che Jona non avrebbe saputo identificare.

    “Come non detto: questo vetro e questa ceramica non li ho mai visti. Mi affido alle tue scelte”.

    Fra Johannes annuì mentre riprendeva i due attrezzi e li riponeva al loro posto: “Andiamo, allora, perché hai perfettamente ragione: il Monastero è molto grande, vieni.”

    Quando si ritirò, a notte fonda, nella cella che gli era stata assegnata in foresteria, a Jona dolevano le estremità: i piedi per le lunghe camminate e la testa per la massa d’informazioni nuove che aveva cercato di stiparci.

  • La Festa della Luce

    Scesero al Borgo a bordo di una carrozza completamente chiusa. Era di un materiale strano che sembrava cartapesta, ma molto più duro. I finestrini erano di buon vetro e la temperatura era più che accettabile. Jona, Jaques e Johannes si dividevano un ampio sedile imbottito; insieme a loro c’erano parecchi altri frati che riempivano completamente la carrozza, anzi l’omnibus, come lo aveva chiamato Fra Johannes.

    L’omnibus procedeva veloce e senza rumore nonostante le notevoli dimensioni e il carico; Jona aveva contato almeno trenta teste.

    Jona avrebbe voluto chiedergli spiegazioni, ma l’omnibus si stava fermando all’inizio della via, vicino alle prime abitazioni.
    Il borgo si snodava in due file di case ai lati della strada, malamente illuminata da sparse lanterne, che si faceva più ampia e, verso il centro, si allargava in una piazza circolare che arrivava fino alla riva del fiume.

    L’omnibus arrivò alla piazza al cui centro era stato eretto un palco anch’esso circolare e, al momento, vuoto.
    “Siamo arrivati appena in tempo”, disse Fra Johannes indicando l’alta figura paludata di bianco che stava salendo sul palco. L’Amuleto che sfavillava di luce argentea non lasciava dubbi: era Il Sacerdote di Festo.

    Si affrettarono a scendere e a Jona mancò il fiato: il freddo, dopo il tepore dell’omnibus lo fece rabbrividire; altro che calore!
    La piazza era piena di persone che sembravano sopportare il gelo meglio di lui, probabilmente perché più abituati, pensò lui guardando con rimpianto l’omnibus che si allontanava.

    L’Amuleto del Sacerdote si accese illuminandolo di luce argentea e attirando l’attenzione di tutti. Lui si schiarì la voce.
    “Oggi è un giorno importante perché l’elettricità entra nella vita di tutti i giorni. Avremo tempo di ringraziare Festo per questo dono, ma adesso cominciamo a godercelo subito, perché non ha senso rimanere tutti al buio e al freddo! Accendete!”
    A quel comando si sentì un forte ronzio e la piazza si illuminò a giorno. Montati su dei pali che Jona non aveva notato nella semioscurità c’erano una serie di lampade elettriche simili a quelle che davano luce alle serre, ma dalla luce più calda, quasi gialla, e meno accecante. Vicino a queste c’erano altri pannelli che si stavano anche loro accendendo, ma avevano un colore rossiccio. Jona percepì immediatamente il calore che irraggiavano.
    Il ronzio si spense lentamente, forse sommerso dal vociare, ma la luce rimase e il calore stava decisamente aumentando.

  • Fra Johannes

    Il Monastero di Festo era enorme, composto da un insieme apparentemente infinito di edifici per lo più rettangolari, ma anche con le forme più bizzarre. Erano tutti uniti fra loro con camminamenti aerei mentre in basso, fra l’uno e l’altro i vetri delle serre mandavano svogliati riflessi nella luce ancora incerta nonostante fosse il primo pomeriggio.

    Il vento gelido gli tagliava la faccia aggirando senza sforzo la protezione in vetro sul davanti del carro che stava portando lui e Fra Jaques.
    I due imponenti cavalli dal lungo pelo biondo sembravano invece completamente a loro agio e la neve compatta scricchiolava allegramente sotto i loro zoccoli.

    Non c’era molta gente in giro, ma anche da quella distanza si vedeva che al monastero l’attività ferveva.
    Il borgo, al confronto, sembrava molto più piccolo, un gruppo di casette a due piani addossate l’una all’altra sulla riva del fiume.

    Quello che attirò veramente l’attenzione di Jona fu una lunga teoria di smilze girandole allineate sul crinale delle basse colline che nascondevano il mare. Le pale giravano lente e maestose.
    “Quegli affari devono essere giganteschi, per vedersi così bene a questa distanza, sai che cosa servono?”
    Fra Jaques scrollò le spalle: “L’ultima volta che sono venuto da queste parti, l’anno scorso, non c’erano. Non saprei proprio.”
    “Amuleto?”
    “Sono generatori eolici.”
    “Ossia?”
    “Hai presente i generatori di elettricità al monastero?”
    “Certo.”
    “Questi sono circa la stessa cosa, solo che usano la forza del vento invece di quella dell’acqua”
    “Ma sono enormi!”
    “Vero. Il palo di sostegno è lungo più di cento metri. Le pale sono lunghe circa 30 metri ciascuna.”

    Jona masticò quei numeri e gli venne un leggero capogiro. Quei cosi erano anche più grandi di quanto pensasse. Sembravano girare lenti e maestosi, ma dovevano andare a velocità spaventose.
    Dunque, facciamo un conto.
    Fanno un giro ogni sei secondi circa.
    L’amuleto ha detto che le pale sono circa trenta metri, quindi la circonferenza è di 30×6.28 188.4
    Fa dieci giri al minuto, ovvero due chilometri.
    Centoventi chilometri all’ora. Un numero da capogiro. Altro che “lenti e maestosi”!
    “Devono produrre un sacco di elettricità”, disse all’Amuleto, “Che cosa diavolo pensano d’illuminare?”.
    “L’elettricità non serve solo a illuminare, ma anche a riscaldare e per certe lavorazioni. In realtà le applicazioni sono quasi infinite, ma non so cosa abbia insegnato Festo qui e ora. Devo chiedere?”
    “No. Siamo quasi arrivati e non mi pare il caso di scomodare Festo per una curiosità del genere.”

    I cavalli procedevano spediti su una strada pulita dalla neve e composta da larghi blocchi neri che si incastravano fra loro.
    Il complesso principale del Monastero, una struttura massiccia non dissimile da quella degli altri, gli venne rapidamente incontro.

    Fra Jaques diresse il carro verso un ingresso laterale e si fece riconoscere da uno stalliere. Staccarono personalmente i cavalli e li strigliarono a dovere, prima di lasciarli in consegna al ragazzo per andare a cercare Fra Johannes.

    Lo trovarono nella sua officina, un enorme stanzone pieno di strani macchinari sferraglianti. Tutto era ordinato e pulito in modo maniacale. Un grande tavolo al centro dell’officina era coperto da alcuni grandi disegni.

    Fra Johannes aveva in mano un pezzo dall’aspetto complicato e ne stava confrontando le misure con quelle del disegno.
    “Perfetto. Ne servono altri undici uguali. Fanne tredici così abbiamo delle parti di ricambio”, disse al frate che stava assistendo all’operazione con aria preoccupata. Il sorriso di sollievo che gli si dipinse in viso mentre si allontanava raccontarono volumi circa la pignoleria di Fra Johannes.

    Si dimostrò molto stupito nel vedere Jona invece di Sorella Mirelle e non nascose la sua delusione. Stasera ci sarebbe stata una grande festa al Borgo: l’inaugurazione dell’illuminazione stradale.
    “Stanno preparando tutto. La festa inizia al tramonto e si ballerà in strada per tutta la notte. Pensa che arriva anche una compagnia di danzatori dal Monastero di Dionne”
    “Leppe?” chiese Jona sperando di rivedere qualcuna delle persone che aveva conosciuto.
    “No, Rott. Sono famosi per la danza.” Poi proseguì: “Sarei andato a dare una mano anch’io, ma sapevo che dovevate arrivare e vi ho aspettati. Andate a rinfrescarvi che io approfitto per mettere ordine, poi vi vengo a prendere in foresteria.”

    La parola “rinfrescarsi” fece rabbrividire Jona che stava appena cominciando a disgelare: “Ma non farà freddo in strada?” si azzardò a chiedere.
    Un sorriso enigmatico si allargò sul viso di Fra Johannes: “Non questa notte, non in quella strada. Fidatevi.”

  • Arrivo al monastero di Festo

    Mesi che passavano in un’oscurità quasi perenne. Il sole si alzava sopra l’orizzonte per poche ore al giorno e, anche quando era in cielo, raramente si faceva vedere, avvolto da nuvole nere che correvano veloci. Quanto poi al donare un po’ di calore non se ne parlava proprio.
    Per fortuna il monastero era ben riscaldato.

    Jona si teneva impegnato su tre fronti: I suoi studi sugli Dei, un lavoro come giudice conciliatore — che la Sacerdotessa gli aveva affidato volentieri appena si era resa conto di cosa significasse aver fatto il non facile mestiere di mago per più di quarant’anni — e la compagnia di Sorella Mirelle che aveva continuato ad aiutarlo ben oltre i suoi doveri professionali.

    Oramai le notti più lunghe erano passate e i giorni stavano, ancora impercettibilmente, ricominciando ad allungarsi. Il freddo, invece, si faceva sempre più intenso e le basse colline che circondavano il monastero erano coperte da una spessa coltre di neve.


    “Jona! Jona! Mi senti quando ti parlo?”
    Jona alzo lo sguardo dal libro che stava leggendo e si trovò davanti Mirelle con gli occhi sfavillanti e il volto arrossato.

    “No. Meglio ancora. Ha chiamato Fra Johannes dal Monastero di Festo in Twerp!”
    Jona ricordava di aver già sentito nominare Fra Johannes, ma, sul momento, non riusciva a ricollegarlo a nulla che potesse provocare una tale eccitazione in Mirelle. Non si poteva certo dire fosse una donna imperturbabile, anzi, ma qui doveva esserci qualcosa di grosso. Cosa stava aspettando? Ah, certo!
    “Il Torchio è pronto?”
    Lei annuì con gli occhi sgranati e luccicanti.
    “Quando lo vai a prendere?”
    Sembrò che le avessero spento la luce dentro:

  • La Grande Biblioteca

    Il Refettorio del Monastero di Palla era molto diverso da quello di Dionne. Qui tutto era molto più efficiente, quasi essenziale. Jona si mise in fila all’ingresso con gli altri e gli venne dato un vassoio con sopra tre piatti coperti da larghi coni di carta bianca. Non sembrava esserci una disposizione precisa per i posti, quindi lui andò a sedersi in un angolo, posizione privilegiata da cui poteva osservare la sala che si stava rapidamente riempiendo.

    Nessuno toccò i piatti che aveva davanti e quindi anche Jona si guardò bene dal fare qualcosa di diverso.

    Non dovette attendere molto, comunque, visto che pochi minuti dopo fece il suo ingresso la Sacerdotessa alla quale fu dato un vassoio del tutto simile agli altri. Si sedette in uno dei posti liberi e disse, con il tono di chi recita una formula sentita migliaia di volte: “Ringrazio tutti per l’impegno profuso anche oggi. Nutriamo il nostro corpo come abbiamo nutrito la nostra mente”, e scoperchiò i suoi piatti. Un istante dopo si cominciarono a sentire rumori di posate fra il brusio delle chiacchiere.

    Una bella voce femminile fendette il brusio: “Il racconto di oggi si intitola “Il vecchio pescatore”.” Jona si girò e vide una giovane donna in piedi a una specie di podio. Il vocio si attenuò sensibilmente mentre lei cominciava a leggere con voce educata, professionale. I rumori delle stoviglie ripresero, anche se più attutiti. L’attenzione di Jona era al racconto: la storia dell’ultima, solitaria pesca di un vecchio che aveva dedicato al mare tutta la sua vita e ora dal mare rischiava di venir risucchiato per sempre.

    Nessuno si mosse dal suo posto fino a che lei non ebbe terminato la lettura. Quando terminò, ringraziando i presenti e lasciando il podio la gente cominciò, senza fretta a defluire dalla sala, riportando i vassoi vuoti verso il bancone da cui li avevano presi pieni.

    Jona tornò verso la sua cella meditando sulle differenze e le similitudini fra i due monasteri che aveva visitato.

    La sera raccontò quel che ricordava di quella lettura a Dania che, alla fine, commentò: “Strano, è la prima storia di mare che sento in cui Posse non viene citato neppure una volta.”
    Jona rimase colpito: la storia si era sviluppata in modo estremamente convincente e il mare ne era protagonista assieme al vecchio, ma né Posse né nessuno della sua corte ne facevano parte

    La mattina seguente, subito dopo la colazione, durante la quale un anziano funzionario con un gran vocione baritonale lesse una serie di notizie locali alle quali Jona non riuscì ad appassionarsi, si recò alla Grande Biblioteca.

    Lo accolse la ragazza che aveva letto la sera prima “Cosa posso fare per te, Cercatore?”
    Jona aveva avuto tutt’altro in testa fino a un momento fa, ma disse d’istinto:
    “Ernesto. Troppo tardi! Tutti i suoi libri sono stati già presi. Per trovare qualcosa degli autori letti la sera, bisogna venire prima di colazione, e poi di Ernesto avevo solo poche cose, non è uno scrittore molto noto.”
    “Eppure scrive molto bene. Non credo sia stata solo la tua interpretazione a colpirmi tanto”, aggiunse con un pizzico di gigioneria che fece arrossire la ragazza.
    “E che cosa ti “ha colpito tanto”, se non la mia splendida dizione?”, ritorse lei.

    Jona le disse della strana assenza di Posse, cercando di ritornare a essere più distaccato. Lei ci pensò un po’ su, poi: “Hai ragione, Ernesto è strano, molti dei suoi racconti parlano del mare, un mare caldo, non come il nostro, ma Posse non viene citato nemmeno una volta. Eppure è sempre presente, come rimanesse appena sotto il pelo dell’acqua.”

    Cambiò improvvisamente tono: “Comunque non c’è più nulla, per ora. Posso aiutarti in qualche altro modo?”
    Jona tornò a malincuore al vero motivo e della sua visita: “Non so di preciso. La Sacerdotessa mi ha detto che sono arrivati diversi Cercatori negli ultimi anni. C’è modo di sapere che cosa hanno letto?”
    “Certo. Annotiamo negli schedari ogni volta che qualcuno prende un libro, quanto lo tiene e, soprattutto, quando lo riporta. Vieni, ti faccio vedere come si usano.”
    “Ti posso dire che, per la maggior parte, si sono interessati di filosofia e medicina.”
    “Te li ricordi?”

    Il viso di Jona dovette tradire il suo stupore perché lei rise facendosi venire le fossette sulle gote: “No, non sono la ragazzina che sembro. Sono giovane, ma non tanto.”
    Poi, con fare improvvisamente serio: “Avrei dovuto presentarmi prima. Io sono Sorella Mirelle, responsabile della biblioteca e delle edizioni”. Gli porse la mano che lui strinse con fermezza: “Jona di Tigu, fino a pochi mesi fa Mago delle mie terre, ora Thano ha fatto di me un Cercatore.”

    Sorella Mirelle girò attorno alla scrivania e lo prese per mano trascinandoselo dietro: “Vieni Jona di Tigu, ti faccio vedere come funzionano gli schedari. Sono un dono della Dea!”. Era ritornata a essere una ragazzina. Chissà se l’entusiasmo che metteva nel suo lavoro era quello che la faceva sembrare così giovane? Jona sospettava fosse proprio così.

    Gli schedari erano effettivamente una piccola meraviglia. Assomigliavano un po’ alle scrivanie-amuleto di Gornor. Facevano apparire lunghi elenchi di libri con molte informazioni, inclusa la posizione attuale, chi li aveva letti e, se del caso, i commenti lasciati dai vari lettori.

    Mirelle rimase con lui fino a quando non arrivò un altro studente.
    Jona rimase a giocare con gli schedari per parecchio tempo, fino a quando Sorella Mirelle non fece capolino dicendo: “Ancora lì? Io vado a mangiare qualcosa: o vieni anche tu o salti il pranzo: tra poco la mensa chiude”.
    Jona si affrettò a seguirla; ora che aveva la sua attenzione lo stomaco stava protestando con una certa veemenza.
    “Non hai ancora deciso cose prendere?”. Gli chiese Mirelle mentre si sedevano a un tavolo vuoto.
    Jona scosse la testa con aria colpevole: “In realtà sono stato a giocare con gli archivi. Avete una quantità incredibile di libri su argomenti che non sapevo nemmeno esistessero.”
    Lei sorrise mostrando di nuovo le fossette: “Normale. Succede a tutti almeno la prima volta”.
    “Comunque credo di essere arrivato a una decisione: devo studiare a fondo le Vite degli Dei, cominciando da Thano. Forse in questo potresti aiutarmi: quali sono, secondo te, i volumi più interessanti?”.
    “Non credo che quella sia la domanda giusta. Chiediti piuttosto quali sono i più attendibili.”
    Jona la guardò stupito: “Credevo che gli Dei fossero sempre attendibili. Mi sono perso qualcosa?”. La sola idea era blasfema e Jona non si aspettava bestemmie in un monastero, specie da una ragazza che sembrava sapere il fatto suo.
    Lei scosse la testa: “Gli Dei sono sempre attendibili, anche quando ci prendono in giro, ma tutti quei libri li hanno scritti degli uomini, mica gli Dei!”.
    Messa in quel modo la questione prendeva un aspetto completamente differente. La ricerca sarebbe stata ancora lunga e faticosa, ma anche interessante.

  • Palla

    Jona era nella sua cella e guardava il paesaggio lontano fuori dalla sua finestrella senza vederlo veramente. La sua mente vagava ancora più lontano.

    Che cosa ti disturba tanto, Jona?
    La voce della Dea era asciutta , come al solito, ma pareva anche sinceramente interessata e aveva un sovrattono amichevole, comprensivo. Il Mago abbassò la testa ed esitò un lungo istante prima di rispondere lentamente: “Non riesco a credere che tu ti occupi effettivamente del governo di queste terre.”

    La risata argentina della Dea lo colse di sorpresa. Alzo gli occhi e la vide con un sorriso ampio e divertito.
    E hai perfettamente ragione. Io non governo queste terre, anche se la Sacerdotessa è sinceramente convinta del contrario, ma, dimmi, perché la cosa ti sembrava tanto inverosimile?
    “Ci sarebbero diverse ragioni, ma, per la maggior parte, sono basate su una presunzione di fondo che potrebbe benissimo essere falsa, se non addirittura blasfema”, rispose lui in evidente disagio.
    E sarebbe?” Il sorriso della Dea non era cambiato. Jona sentì il sangue fluire nelle vene e pulsare nelle tempie mentre rispondeva a capo chino: “Che io possa davvero comprendere le motivazioni e i fini di un Dio.”
    E allora?” lo incitò la Dea.
    Jona alzo gli occhi e li puntò dritto in quelli della Dea: “Il Saluto: se tu vuoi veramente che troviamo la saggezza nei nostri cuori non puoi prendere nelle tue mani i nostri destini.”

    La Dea era evidentemente compiaciuta, accennò perfino un breve applauso: “Bravo. Vedo che Thano ha scelto bene questo suo Cercatore.
    Il Mago era ovviamente lusingato dall’apprezzamento di Palla, uno degli Dei più arcigni e inflessibili, ma era almeno altrettanto confuso:

    Più alto il grado meno sono tollerati interessi personali.

    Jona ci pensò su, poi chiese:
    La Dea annuì: “Vero.
    “Ma tu stai dicendo che consideri negativi gli interessi personali, che sono la base della competizione!”
    Vero anche questo, ma non tutto è competizione.
    Qui si fronteggiano il principio di competizione e il principio di cooperazione: il maschile e il femminile. Sono necessari entrambi.
    “Maschile e femminile. Tu sei il femminile e Thano il maschile. Quasi tutti i funzionari di grado elevato qui al monastero sono donne. C’è una correlazione?”
    Una correlazione? Certo, ma non una corrispondenza. Non sto parlando di cromosomi X o Y, ma di principi generali, di archetipi. Tutti abbiamo sia caratteri “maschili” che “femminili”; la questione è la proporzione e, soprattutto quando privilegiare una cosa e quando privilegiare l’altra. Spero ti sia chiaro.
    Jona annuì: “Mi stai dicendo, se non sbaglio, che per l’arte del governo la cooperazione è più importante della competizione e che è più facile trovare donne disposte a cooperare che uomini.”

  • Teocrazia

    “Da questa parte, prego.” Jona seguì la sua guida per un’altra serie di corridoi. Il suo senso dell’orientamento, del quale era sempre andato fiero, gli diceva che avevano fatto un ampio giro per tornare al punto di partenza o quasi. Stava per chiederne il motivo quando si fermarono davanti a una porta. Dentro c’era un piccolo ufficio con l’immancabile scrivania alla quale stava una giovane donna. Ci fu un breve colloquio, un passare di mano di fogli di carta, poi la sua guida si ritirò salutando Jona con un cenno del capo.
    “Si accomodi, prego. La Sacerdotessa la riceverà a breve”, disse la donna indicando le sedie dall’aspetto scomodo mentre si alzava per andare a bussare a un’altra porta, poi entrò apparentemente senza aspettare risposta.
    Riapparve pochi istanti dopo invitandolo a entrare mentre annunciava formalmente: “Jona di Tigu, Cercatore di Thano”.

    La stanza era una versione più grande ed elaborata dello studio della segretaria, ma non meno austero. La Sacerdotessa si alzò da dietro la scrivania per venire ad accogliere Jona che notò come si fosse cambiata d’abito e avesse raccolto i capelli in una coda di cavallo. Sorrise dentro di sé: ecco a cos’era servito perder tempo con quel lungo giro.
    “Benvenuto Jona di Tigu, cosa ti porta a noi?”
    “Cerco saggezza”.

    “Sei il quarto Cercatore di Thano che arriva al nostro Monastero in altrettanti anni”, gli disse mentre gli faceva cenno di accomodarsi su uno dei due divanetti affacciati che erano sotto la grande finestra. “Precedentemente i nostri registri annotano solo apparizioni sporadiche, decenni l’una dall’altra. Pare che Thano trovi questo gioco particolarmente interessante, ultimamente.”
    “Oppure prima ci faceva passare da qualche altra parte”,
    azzardò Jona.
    Dopo un breve pausa: “Quello che non capisco è perché Thano consideri “istruttiva” per noi Cercatori una visita a un’Alta Corte di Giustizia”.
    “Oh, se è per questo, il nostro Monastero è molto più di un semplice tribunale”, rispose lei con evidente orgoglio, “Come hai sicuramente visto ha quattro porte. Ciascuna corrisponde a una ben precisa funzione: la Porta della Giustizia conduce, in ultima istanza, alla Sala delle Udienze che hai già visto”.
    “La Porta del Governo conduce, per vie più o meno tortuose, a quest’ufficio dal quale Palla, attraverso me e una schiera di funzionari, governa tutte queste terre”.
    “La Porta della Seta è quella da cui sei entrato e conduce alle filande del monastero”.
    “La Porta della Sapienza, infine, conduce alla più grande biblioteca che si conosca e, se sei anche lontanamente simile ai tuoi predecessori, è lì che passerai la maggior parte del tuo tempo.”

    Jona soppesò le informazioni. “Quindi anche qui avete le funzioni di produzione, insegnamento e servizi.”
    “Certo. Questo è vero per tutti i Monasteri. Tutti gli ordini monastici si basano sui tre cardini del servizio alla comunità, dell’istruzione sia dei monaci che dei laici e della produzione di beni, ognuno rispettando le proprie specificità. Qui il servizio reso alla comunità è duplice: Giustizia e Governo, l’istruzione si concentra sulle scienze giuridiche e la filosofia e la produzione riguarda i tessuti in generale e le sete in particolare”.