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  • Morte

    Reginald era nella sua stanza in preda un’attività febbrile. Tremava leggermente, ma non per il freddo o per il timore della tempesta che si addensava fuori. Era la determinazione che lo spingeva.
    Piegò accuratamente il foglio che aveva davanti e lo depose sul suo cuscino, dove l’indomani non avrebbero potuto fare a meno di trovarlo. Aveva affidato alla carta tutte le parole che non era mai riuscito a dire a suo padre. Sperava che finalmente lo comprendesse. A modo suo era sempre stato un buon padre, anche se non l’aveva mai capito fino in fondo. E come avrebbe potuto? Onore, dovere e fedeltà al Signore erano le uniche cose che suo padre capiva veramente. Anche sua madre l’aveva sposata per dovere, più che per amore.

    Amore, questa chiave potente l’aveva imparata soprattutto da sua madre.
    Un processo di liberazione del cuore dalle catene che lo aveva alla fine portato alla scoperta dell’Amuleto e della Dea.

    Mise fermamente da parte questi pensieri e raccolse la sua sacca e il mantello. Fuori era già buio, di lì a poco avrebbe cominciato a piovere. Era ora di andare. Spense la candela e scivolò fuori dalla sua stanza.

    Fece un lungo giro per evitare di essere visto e finalmente arrivò alla stalla dove aveva lasciato il suo cavallo. Sellarlo fu questione di pochi minuti. Ora veniva la parte più difficile: far uscire Magda.

    Portò silenziosamente il suo cavallo in un punto riparato e gli diede una pacca sul collo pregando che rimanesse fermo. In giro non si vedeva nessuno, normale a quell’ora e con quel tempo, ma ringraziò, grato, la Dea.

    Entrò rapido nel magazzino dove avevano rinchiusa Magda portando con sé il mantello che aveva preso per lei. Il pesante chiavistello era aperto e lui aggrottò le sopracciglia preoccupato, ricordava perfettamente di averlo chiuso poche ore prima. Era stato molto attento, non aveva certo paura che fuggisse, ma non farlo avrebbe sicuramente attirato attenzioni e domande delle quali faceva volentieri a meno.

    Accese la candela che era lì sulla mensola a fianco della porta. Gli apparve il volto di Magda, pallido come un lenzuolo di lino appena lavato, i suoi occhi azzurri dilatati dal terrore.
    “Così questa piccola strega ti ha fatto la sua fattura, eh?” Suo padre fece un passo in avanti e apparve alla luce della candela. Spinse avanti Magda reggendola solidamente per i capelli.
    “Scappa!”
    “Zitta, strega.” Poi, con fredda efficienza, le trapassò il cuore con il pugnale. Il freddo acciaio uscì dalla ruvida tunica che indossava e il fiore rosso del sangue si allargò sotto il suo seno sinistro. Si accasciò come un sacco vuoto.
    “Errore mio. Ti ci ho lasciato divertire per troppo tempo, dovevo farlo prima, ma non tutto il male viene per nuocere: ora sai cosa aspettarti dalle donne”, disse il padre mentre puliva il pugnale sulla tunica di Magda.

    Reginald era rimasto basito. Il suo cervello come congelato. Una lieve pulsazione sul petto, lì dove aveva nascosto l’Amuleto, lo riportò al presente. Lasciò cadere la candela e lanciò il mantello addosso suo padre poi, senza sapere davvero che cosa stesse facendo, corse fuori, balzò in groppa al suo cavallo e fuggì nella notte.
    Mentre grosse gocce di pioggia cominciavano a cadergli addosso confondendosi con le lacrime che salivano, un solo pensiero occupava la sua mente “almeno non ha sofferto”.

    Jason rimase fermo sotto la porta spalancata del piccolo castello. Il bagliore lampo gli mostrò Reginald che fuggiva veloce ad appena qualche centinaio di metri di distanza. Lo stalliere, un ragazzone alto che aveva quasi la stessa età di Reginald arrivò trafelato con il suo cavallo e il mantello.

  • Amore

    “Dove lo trovo questo giovane sacerdote?”
    Obbediente l’Amuleto fece apparire la consueta mappa dal cielo. Un puntino luminoso rosa brillava proprio al centro del maniero di uno degli abitati più grandi del circondario.
    “Come faccio ad arrivare lì? Non c’è speranza di passare inosservati! Anche se sembra un grosso centro, in realtà, non saranno più di due o tremila persone. Devono conoscersi tutte.”

    Quasi a rispondere alle sue parole il punto rosa cominciò a muoversi, girando prima per i corridoi del maniero per poi uscirne.
    Si diresse verso una serie di costruzioni a ridosso delle mura e lì rimase.
    “Puoi entrare in contatto con il suo amuleto?”
    “Si, devo?”
    “No, non ora.”

    Jona cominciò a pianificare il viaggio con l’aiuto dell’Amuleto. La città dove si doveva recare era un pochino più a ovest del cerchietto rosso che indicava il posto dove Thano voleva che andasse. Il terreno era pianeggiante e coperto da boschi intervallati a prati. Con un po’ di fortuna sarebbe stato lì in tre o quattro giorni.

    La sera del terzo giorno si accampò in una radura nei pressi della città. Non osava andare più vicino senza prendere precauzioni.
    “Inutile aspettare oltre. Puoi farmi parlare con il suo amuleto senza che lui lo sappia?”
    “Tecnicamente si, ma è molto probabile che poi l’amuleto glielo dica.”
    “Oh, non importa, non voglio mantenere la cosa segreta; vorrei evitare di spaventare troppo il ragazzo. Collegami con l’amuleto.”
    “Posso spiegare io la situazione all’amuleto? Faremmo molto prima.”
    “Fai pure.”

    Pochi istanti dopo apparve l’Avatar dell’amuleto di Afro; era un volto incappucciato di un tenue colore rosa.
    “Salve Jona, la Dea sia con te.”
    “Come posso aiutare il tuo padrone?” Chiese Jona senza troppi convenevoli.
    “L’Amore che lo muove lo sta mettendo in guai seri. La Dea ti ha detto che ora conosce anche l’eros. Quello che non ti ha detto è che si è innamorato di una ragazza catturata durante una razzia.”
    “L’ha salvata da morte sicura fingendo di violentarla. Suo padre è stato molto fiero di lui. Tanto da lasciarla ancora in vita perché lui ci si divertisse un po’.”
    “E lui ha accettato?”
    Loro hanno accettato. La ragazza si è sinceramente innamorata del suo salvatore, nonostante questi avesse partecipato alla razzia nella quale erano perite praticamente tutte le persone che lei conosceva.”
    “Non è strano?”
    “No, in realtà è abbastanza normale. Per tua fortuna non hai vissuto in condizioni estreme come quelle che si trovano qui, altrimenti sapresti bene come funzionano le cose. C’è una tendenza naturale a sentirsi attratti dal vincitore, specie se questo mostra un barlume di umanità.”
    “E adesso cosa succederà? La sposerà? La prenderà come concubina?”

    “Immagino che ragazzi sappiano perfettamente qual è la situazione.”

    “Che possiamo fare? Tutto quel che mi viene in mente è aiutarli a fuggire verso la terra dei monasteri, di cui mi parlava la Dea, ma non sembra cosa facile.”
    “Prima che arrivassi tu la situazione era praticamente senza speranza. Ora la Dea ha creato un barlume di speranza, ma è bene che sappiamo tutti quanti che questo è il massimo dell’intervento che gli Dei possono fare qui.”
    “Sì, capisco. La Dea mi ha spiegato.”
    “Quali sono i tuoi rapporti con il ragazzo?”
    “Intendi dire: “quanto sono riuscito a insegnargli finora”, immagino. Non moltissimo, nonostante sia un ragazzo molto dotato, siamo in rapporto da appena due mesi.”
    “No. Volevo sapere se sa esattamente che cosa sei e da dove provieni. Vorrei parlargli direttamente, ma non voglio spaventarlo a morte e ho bisogno del tuo consiglio perché non lo conosco.”
    “Per quello non dovrebbero esserci problemi. Ha una certa idea di che cosa posso fare. Sa che posso mettermi in comunicazione con altre persone. Ha anche parlato diverse volte con la Dea.”
    “E la ragazza?”
    “Lei non sa nulla, per ora.”

    Jona rifletteva. Un bel ginepraio, non c’è che dire, e lui odiava dover agire senza conoscere davvero l’intera situazione.
    Continuò far domande all’amuleto finché il suo cervello non fu completamente vuoto, poi gli chiese di avvertirlo quando il ragazzo fosse stato solo e disponibile un abboccamento. Chiuse quindi il collegamento e cominciò a occuparsi dei suoi bisogni materiali come accendere il fuoco, prepararsi qualche cosa da mangiare e trovare un posto dove ripararsi per la notte; possibilmente un posto sicuro, dato che enormi nuvoloni neri si stavano avvicinando velocemente da ovest e non presagivano nulla di buono.

    Era notte fonda e una pioggia sottile, ma insistente, cadeva sul suo rifugio di fortuna quando l’amuleto di Afro segnalò che poteva parlare con il ragazzo.
    Il colloquio fu corto, anche per il timore di essere scoperti nonostante la sorveglianza dell’amuleto. Alla fine Jona non sapeva nulla di più, ma il ragazzo aveva acconsentito a fuggire, pur combattuto fra l’amore per i suoi cari e il nuovo amore per la ragazza.
    Il Mago aveva anche insistito perché si facesse presto. L’idea di rimanere in quei posti più dello stretto necessario non gli arrideva per nulla.

    L’Amuleto aveva predetto che l’indomani notte ci sarebbe stata tempesta. Era una buona occasione.
    Jona si sarebbe fatto trovare poco fuori della città per aiutarli nella fuga, ma liberare la ragazza e farla uscire era compito del ragazzo.

    La pioggia continuò a cadere per quasi tutta la notte, solo al mattino le nuvole, veloci come erano venute, fuggirono verso est e il cielo tornò azzurro.

    Jona si avvicinò alla città fin dove la prudenza glielo permise, lasciò il cavallo pascolare in una radura ben nascosta e si recò fino al limitare del bosco da dove poteva guardare senza essere visto.
    “La città”, che parola grossa! Quel che gli era sembrato un grande maniero circondato da mura si rivelò una grossa fattoria con un corpo centrale a due piani e una serie di edifici attorno che fungevano sia da magazzini e abitazioni che da fortificazione. Il muro esterno, infatti, non aveva finestre e sul tetto piatto c’erano dei camminamenti da dove era possibile difendere il borgo.
    Un unico varco interrompeva il cerchio di abitazioni, là dove la cinta accennava a diventare una spirale. Dietro di quello si intravedeva il portone dell’edificio centrale.

  • Afro

    Jona si svegliò in una luce rosata. Per un istante pensò fosse l’aurora, poi si inchinò di fronte ad Afro. Era bellissima, come ci si aspetta dalla dea dell’Amore. Nonostante la sua lunga tunica coprisse quasi completamente la sua pelle nera come l’ebano la sua femminilità era più che evidente.
    “Che cosa posso fare per te, Afro?”
    La dea sorrise: “Sempre attento ai particolari. Bravo. Sono qui per chiederti un favore. Sei disposto ad aiutarmi?
    “Sono sempre disposto ad aiutare e sai bene che ho dei debiti di riconoscenza che intendo onorare, ma mi è difficile prendere impegni prima di sapere che cosa vuoi da me in questa terra dove l’amore non sembra esistere, in questa terra dimenticata dagli dei!”
    La vista di quel che succede qui ti ha scosso più di quanto tu non voglia ammettere; forse avresti fatto meglio a seguire il consiglio del tuo Amuleto. In ogni modo hai torto su entrambe le questioni: l’amore c’è pure in questa terra — anche se devo ammettere che delle quattro forme qui ne sopravvive quasi soltanto una — e gli Dei non hanno dimenticato, ma sono stati cacciati.
    “Cacciati?”
    Sì, cacciati.

    Fece una breve pausa per consentire alle sue parole di penetrare lo scetticismo del Mago, poi proseguì: “Anche se voi mortali amate pensare il contrario, noi Dei abbiamo le nostre leggi e siamo tenuti a rispettarle. La prima e principale è quella che ci vincola a non intervenire se il nostro intervento non è gradito alla maggioranza della popolazione. In queste terre, a torto o a ragione, sono quasi tutti convinti che il nostro intervento finisca per limitare la loro libertà. Libertà alla quale loro tengono molto, anche se in molti casi si tratta della libertà di morire sgozzati.

    È successo circa un centinaio di anni fa; queste terre erano molto simili a quelle dei monasteri, che credo visiterai dopo queste, se Thano te lo permetterà. I sacerdoti dispensavano consigli e aiutavano nella conduzione dello Stato, forse troppo. A un certo punto si sparse la voce che in realtà i sacerdoti controllavano tutto, sapevano tutto, e pretendevano che tutti facessero quello che sembrava giusto a loro. La voce si ingigantì rapidamente. In appena qualche mese si arrivò al punto che la grande maggioranza della popolazione guardava i sacerdoti con sospetto, non voleva il loro intervento, non voleva sentire le loro parole, non voleva sentir parlare di noi. La gente non lo sapeva, ma questo, per la legge di cui ti dicevo prima, ha fatto sì che non potessimo più intervenire direttamente in questa terra. Molti sacerdoti, visti i propri Amuleti praticamente inusabili, sono fuggiti e questa loro fuga è stata interpretata come un’ammissione di colpa. Quelli che erano rimasti sono stati trucidati. In questo modo siamo stati cacciati da qui.
    Jona era attonito. Non aveva mai immaginato che gli dei potessero essere piegati alla volontà degli uomini, ma questo era esattamente quello che Afro raccontava. Non alla volontà di un uomo, ma alla volontà della maggioranza della popolazione. La cosa aveva innumerevoli implicazioni e lui rimase a lungo immobile in silenzio mentre la sua mente inseguiva quei rivoli di conoscenza.

    Quando la Dea riprese ebbe un sussulto di sorpresa:
    Uno degli amuleti, appartenuto a una mia sacerdotessa, è stato ritrovato da un bambino, un bambino pieno di amore, e ha reagito a quell’amore. Ora sono entrambi in pericolo mortale. Ti chiedo di salvarli.
    “Un bambino?”
    Ragazzo, per la verità, abbastanza grande da sentire i primi richiami dell’eros. Questo ha fatto sì che potesse provare tutte quattro le varietà dell’Amore e a questo l’amuleto ha reagito.

    Eros e Agape, le categorie classiche. Sono quelle che vengono insegnate da tutti i sacerdoti. In realtà ne esistono altre due: l’amore che nasce dalla morte ed è la varietà che più abbonda da queste parti.
    “L’amore che nasce dalla morte? Intendi dire l’impulso naturale a far l’amore quando si è in presenza di morti, specie se violente?”
    Sì, intendo proprio quello, ma non disprezzarlo troppo questo “impulso naturale”. Anche quella è una forma di Amore e ha una sua dignità; una dignità e una forza che gli permettono di sfidare Thano.
    La dea sorrise: “è buffo come voi mortali siete sempre pronti a pensare che gli “impulsi naturali” siano, per qualche ragione, meno importanti o meno interessanti del resto. Ma, pensaci bene, cos’è l’amore tra un uomo e una donna se non l’effetto di un “impulso naturale”? Gli impulsi naturali formano la base e la materia sulla quale poi noi costruiamo i nostri sentimenti e le nostre azioni.
    “Capisco, almeno credo. E la quarta forma?”
    La quarta forma cercala nel tuo cuore, perché ne sei pieno.

    Jona era confuso, si rendeva conto che la dea gli aveva appena fatto un alto elogio, ma non capiva cosa si riferisse: “perdonami, dea, ma non riesco a seguire le tue parole.”
    Perché hai tirato giù quei due vecchi dalla forca, ieri mattina?
    “Semplicemente perché mi sembrata la cosa giusta da fare,” rispose Jona sempre più perplesso.
    E avevi sicuramente ragione! Ma perché ti è sembrata la cosa giusta?” Insistette la Dea.
    “Mi è sembrata una cosa indegna lasciarli lì. Nessuno vorrebbe essere lasciato appeso in quel modo, anche dopo morto.”
    Appunto, come ti dicevo: un atto di Amore. L’Amore per il quale il nostro benessere, il nostro essere in pace con noi stessi, passa per il benessere della persona o della cosa amata.
    Jona cominciava a capire in modo ancora abbastanza confuso: “Intendi il piacere che si ricava ad aver fatto del bene?”
    Se vuoi puoi anche esprimerlo in quel modo, ma ricorda che per ricavare piacere dall’aver fatto del bene bisogna voler bene. Bisogna amare.
    La quarta forma dell’Amore è quel particolare stato d’animo in cui il “benessere” della persona o dell’oggetto amato diventa importante, essenziale, per il nostro proprio benessere mentale.
    “Non l’avevo mai guardata sotto questo profilo, ma so perfettamente che molto spesso rendere felici le persone mi rende felice. Mi rendo conto adesso che questo vuol dire che in qualche modo io amo quelle persone.”
    Hai il cuore veramente grande Jona”, disse la Dea con un sorriso radioso,

    Jona arrossì fino alla radice dei capelli, tanto che l’imbarazzo lo costrinse a cambiare argomento: “Che devo fare con questo tuo nuovo sacerdote, dove lo trovo?”
    Per quanto riguarda il “dove” il tuo Amuleto ti può aiutare. Per quanto riguarda il “cosa” fare dovrai decidere da solo. Ti chiedo solo d’incontrarlo e di consigliarlo per il meglio.
    “Farò quel che posso.”

    Afro gli lanciò uno strano sguardo ammiccante, poi con un sorriso enigmatico disse: “Che cosa si può chiedere di più a una persona, se non di fare quel che può?

  • La fattoria distrutta

    Jona camminò per due settimane tenendosi a debita distanza da ogni insediamento umano, ma adesso doveva attraversare una vallata che ospitava una delle comunità più grandi della zona.
    Fece un largo giro cercando di mantenersi il più possibile nei boschi, poi decise di attraversare la valle nel punto in cui si restringeva, il confine tra due feudi.

    Sulla sinistra del sentiero, in cima a un mammellone verdeggiante c’era una grossa fattoria fortificata dalla quale si alzava un filo di fumo.
    “Occhio di Lince!”
    La fattoria gli balzò incontro nella luce della sera.
    Era completamente distrutta e il fumo non si levava dai camini, ma dalle travi abbrustolite che una volta reggevano i tetti.

    D’impulso Jona incominciò a camminare deciso in quella direzione.
    “Non credo che sia una buona idea.”
    “C’è ancora qualcuno?”
    “No, almeno nessuno vivo, ma non è un bello spettacolo.”
    “Ti credo sulla parola, ma voglio vedere lo stesso.”
    L’Amuleto non replicò.

    Per primi vide cani. Alcuni erano trapassati delle frecce, altri squarciati dalle spade. Tutti erano rimasti lì dove erano morti.
    Poi, vicino ai resti di una palizzata ormai ridotta a una fila di monconi anneriti che spuntavano dalla terra battuta come denti guasti, vide gli uomini che erano caduti cercando di difendere le loro case. Il tanfo di morte appestava l’aria. Jona continuò a camminare registrando i particolari. A giudicare dallo stato di decomposizione la strage doveva essere avvenuta da parecchi giorni, forse una settimana, i cadaveri erano stati spogliati da qualunque cosa di valore, a volte anche degli abiti.
    Passò il portone divelto ed entrò nell’aia. Lo accolse lo spettacolo agghiacciante di due vecchi che pendevano impiccati a una trave. Ai loro piedi una montagna di cadaveri, perlopiù donne e bambini.
    Jona si muoveva come un automa, una parte di lui osservava la scena come se la cosa non lo riguardasse minimamente, ma il resto era semplicemente anestetizzato dall’orrore.

    Senza sapere bene perché lo facesse staccò i due vecchi dalla forca e li distese, uno a fianco all’altro, vicino alla catasta dei morti.
    “Perché gli Dei permettono questo?”
    “Non sono gli Dei, ma gli uomini che hanno fatto questo!”

    Jona stava per replicare, ma un rumore proveniente da quella che doveva essere stata una stalla interruppe i suoi pensieri. Si fece immediatamente attento mentre l’Amuleto lanciava un raggio di luce in quella direzione. Illuminò due enormi occhi tristi.
    “C’è nessun altro?”
    “No. Oltre quel cavallo c’è solo qualche topo ancora vivo.”

    Jona si avvicinò al cavallo, era sporco e aveva ancora addosso la sella.
    Roteava gli occhi spaventati, Jona cercò di calmarlo, poi gli tolse la sella e i finimenti e cominciò pulirlo. Si accorse subito che aveva la bava alla bocca. Riuscì a trovare un po’ d’acqua e un secchio di legno che non era stato distrutto.
    Ebbe il suo bel daffare per impedire che cavallo bevesse troppo rapidamente.

    La sera stava calando e Jona lasciò la fattoria tenendo il cavallo per le briglie. Era troppo debole per essere montato. Doveva essere scappato quando il suo cavaliere era stato ucciso, poi, tornato alla stalla come d’abitudine, aspettava ancora che il suo padrone si prendesse cura di lui.

    Continuò a camminare per tutta la notte e buona parte del giorno successivo. Quando finalmente arrivò in un punto dove pensava di potersi fermare con una relativa sicurezza Jona si sentiva stanco e sporco.
    Si lavò nell’acqua fresca di un torrentello che scorreva in mezzo a prati che sembrava non avessero mai visto il piede di un uomo, ma non riusciva a liberarsi dal tanfo della morte.

  • Come un fantasma

    I primi due giorni trascorsero senza problemi. Jona si alzava presto la mattina, si preparava e incominciava a camminare col suo passo cadenzato. Si guardava attorno, ma non c’era molto da vedere: piccoli boschi, soprattutto di betulle, grandi prati dove spesso si vedevano delle lepri correre.
    Passava il tempo discutendo con l’Amuleto che approfittava dell’occasione per proseguire le sue lezioni di lingua. Jona faceva progressi ma si trattava di una lingua difficile, rigorosa, nella quale ogni concetto doveva essere esaminato prima di poterlo esprimere.
    Si trovarono spesso a discutere di grammatica e di sintassi.

    Jona arrivò quasi a dimenticare le guerre perenni che si svolgevano intorno a lui.
    Il terzo giorno doveva passare vicino a un piccolo agglomerato, quindi riposò tutto il pomeriggio e partì al chiarore della luna.
    Era ancora molto lontano, non aveva ancora messo piede sui campi coltivati, quando una torma di cani si avventò su di lui.
    Non latravano. Non ululavano. Venivano verso di lui con l’evidente intenzione di farlo a pezzi.
    L’Amuleto non ebbe nessuna difficoltà a immobilizzarli in un sonno artificiale, ma erano cani ben addestrati, portavano collari di maglia di ferro con grosse punte che dovevano preservarli dagli assalti dei propri simili.

    Jona era scosso da quella dimostrazione pratica che l’Amuleto non aveva affatto esagerato.
    “Cani addestrati a uccidere.”
    “Già.”
    “Meglio sbrigarsi. Potrebbero essercene degli altri. Questi quanto rimarranno a dormire?”
    “Almeno un paio d’ore, ci sono altri gruppi di cani in giro, ma non sembra vengano da questa parte. Se ti mantieni al limitare delle foreste può essere che non fiutino la tua traccia.”

    Jona si aggiustò meglio lo zaino sulle spalle e incominciò a correre con un trotto leggero che sperava di riuscire a tenere per parecchio tempo. Non fece altri incontri fino all’alba quando si addentrò decisamente in un boschetto essendosi lasciato ormai alle spalle l’abitato.
    Continuò a camminare ancora per diverse ore per aver la sicurezza di non essere seguito.

    Proprio dal mezzo del boschetto, sulla cima di un collinotto, si trovò davanti un edificio di pietra quasi completamente distrutto dal fuoco. La vegetazione lo aveva quasi completamente ricoperto; la distruzione non era cosa recente.
    Trovò una stalla il cui tetto ancora reggeva e decise di fermarsi lì.

  • Gli stati in guerra

    Jona si svegliò, come d’abitudine, all’alba.
    “Prima di muoversi forse conviene mi spieghi un po’ meglio la situazione. Occhio del Cielo.”
    “Quello che ti ha detto ieri sera Serna è corretto”, disse l’Amuleto mentre appariva la mappa del cielo. Appena a sud la valle si apriva in un’ampia pianura che degradava dolcemente fino al mare con una serie di colline sempre più basse e arrotondate. L’intera pianura appariva pezzata con boschetti sparsi inframmezzati da praterie dove si vedevano anche campi coltivati. Esplorando più da vicino Jona poté distinguere i nuclei dei villaggi. Erano costruiti intorno ad alture sulla cui sommità si vedevano fortificazioni, probabilmente i castelli di cui parlava Serna. Intorno, spesso addossate alle mura, c’erano delle povere case. Più lontano, in pianura dove il terreno doveva essere migliore, c’erano nei campi coltivati e delle abitazioni dall’aspetto malandato.
    “Non mi pare che se la passino bene. Sembrano pochi e male in arnese.”
    “È anche peggio di quel che sembra. Si sono talmente sfiancati a furia di farsi guerra l’un l’altro che quei villaggi non contano più di un migliaio di persone. Tieni conto che la metà sono soldati al servizio diretto del signorotto locale e vedi bene che ne restano ben pochi per lavorare la terra.”
    “E ancora meno per fare gli artigiani, probabilmente sono costretti a scambiarsi mercanzie. Non c’è abbastanza gente perché ogni villaggio abbia il suo fabbro, il suo vasaio, dei suoi falegnami, eccetera.”
    “Vuoi scherzare? Non si scambiano nemmeno uno spillo! Prima di tutto, se ci provassero, gli sgherri gli taglierebbero le mani e comunque c’è ormai un tale odio tra i vicini che nessuno osa allontanarsi da casa sua.”
    “Non sembra un posto molto allegro.”

    “Dov’è che devo andare?”
    L’amuleto fece apparire sulla mappa del cielo un cerchietto rosso molto lontano, vicino al mare.
    “Cosa c’è lì?”
    “Nulla, che io sappia.”
    “E allora che ci devo andare a fare?”
    “Non ne ho la minima idea. Devi chiederlo a Thano in persona.”
    “Ha tanto l’aria di un’altra prova. Hai qualche idea di come posso raggiungere quel posto?”
    “Per fortuna, come vedi, gli insediamenti sono piuttosto radi. Dovrebbe essere facile aggirarli senza farsi vedere.” Sulla mappa apparve un sentiero giallo che passava ben distante da tutti i villaggi. “Qui e qui, magari, ci toccherà viaggiare di notte per evitare di essere visti. Per il resto non dovrebbero esserci problemi.”

    Jona era scosso. “Sei sicuro di non stare esagerando? Non ho mai visto una situazione del genere. Non mi pare possibile vivere in questo modo.”
    “Sull’ultima parte sono d’accordo. Non credo che riusciranno a sopravvivere ancora per molto. Per il resto potrai vedere la situazione con i tuoi occhi fin troppo presto.”

    Jona studiò accuratamente la mappa per un po’, senza parlare, poi si decise a chiedere: “Non sarebbe meglio costruire un’altra zattera proseguire sul fiume?”
    “No, non si può per due buoni motivi: primo qualunque cosa galleggi diventa un bersaglio; secondo gli Dei hanno posto un bando all’attraversamento del fiume e Zeo è molto rigido nel farlo rispettare.”
    “Un bando? Perché?”
    “Non sta a me spiegartelo, ma chiunque tenti di attraversare il fiume rischia d’incontrare uno dei fulmini di Zeo.”
    Jona ci rimuginò su un po’, poi decise che non aveva abbastanza informazioni per fare domande sensate e accantonò l’argomento.

    Fece un rapido inventario delle sue provviste. Aveva da mangiare per parecchi giorni, ma non gli sarebbe sicuramente bastato per arrivare fino al mare. Era necessario trovare qualcosa lungo la strada, ma, se si doveva credere all’Amuleto, non sarebbe stato facile. I vestiti che aveva steso ad asciugare la sera prima erano ancora completamente bagnati.
    “Non ci sono insediamenti vicini e io ho parecchia strada da fare a piedi. Penso sia meglio se ci fermiamo qui oggi e mi metto in marcia domani mattina presto, che ne dici?”

  • L’Approdo

    Jona si svegliò con tutti i sensi all’erta, come del resto era sua abitudine, e si rese subito conto di diverse cose: il sole stava tramontando, la botte galleggiava più bassa sull’acqua e i suoi piedi erano bagnati.
    “Che cosa è successo?”
    “Quando abbiamo toccato il fondo, dopo il volo, le doghe si sono sconnesse e ora entra l’acqua, meglio se ti prepari a uscire di qui.”
    Jona non si fece ripetere l’invito. Non vedeva l’ora di respirare aria pura.

    Quando, dopo essersi liberato dalle cinghie e aver preparato le sue cose, allentò la chiavarda che teneva in posizione il coperchio della botte l’acqua si precipitò dentro e la sua imbarcazione affondò rapidamente.
    Jona guadagnò la superficie aggrappandosi al suo zaino che, avvolto in una cerata impermeabile, galleggiava bene.

    Il fiume stava ancora correndo veloce in un canalone scosceso.
    “Tra poco il canalone finisce e c’è possibilità di approdo. Dirigiti verso alla riva destra.”
    Jona non sprecò fiato a rispondere e prese a nuotare lentamente, tagliando la corrente in diagonale.
    La riva sembrava lontanissima, ma quando il canalone finì il fiume si allargò notevolmente e Jona si trovò d’improvviso in acque calme dalle quali poté guadagnare la sponda sassosa senza difficoltà.

    Trovò Serna che lo aspettava sulla riva saltellando e battendo le mani: “Bravo papà, sapevo che ce l’avresti fatta!”

    “Ma se te la sei fatta tutta dormendo!” Lo canzonò la figlia.
    “Amuleto?”
    “Temo di essermi preso la libertà di trasmettere al tuo vecchio amuleto le immagini di quel che succedeva qui. Ho fatto male?”
    “Hai fatto male a non dirmelo, per il resto non c’è problema.”

    Jona intanto stava raccogliendo legna portata dal fiume e l’accumulava in un focolare di pietre. L’Amuleto accese il fuoco che presto cominciò a scoppiettare vivace.
    Solo allora Jona si tolse i vestiti fradici, liberò lo zaino dall’incerata e, dopo essersi asciugato il calore del fuoco, si mise degli abiti asciutti.
    “Siamo in piena estate ma l’acqua è sempre fredda gelida.”
    “”Piena estate” non direi proprio,” disse l’Amuleto, “sta quasi per finire.”
    “Ma se siamo a metà Agosto!”
    “Appunto. Qui al Nord l’estate finisce presto. Una o due settimane al massimo incominceranno piogge e cattivo tempo.”
    “Di già?”
    “Da queste parti fa molto più freddo che in Ligu. Non credo sarebbe una buona idea continuare a viaggiare anche d’inverno.”
    “E allora? Non posso certo fermarmi qui.”
    “Qui no di certo, ma meglio che incominciamo a pensare a trovare un posto dove svernare. Abbiamo ancora parecchia strada da fare. Questo non è proprio quello che si dice “territorio amico””
    “Che intendi dire?”
    “Lo vedrai domani, per ora siamo tranquilli, in un punto molto riparato e il fumo non si vedrà fino a domattina.”
    “Ti posso spiegare io,” intervenne Serna, “visto che l’Amuleto sembra reticente. Tutta la zona a nord delle cascate è popolata da gente che pare non abbia di meglio da fare che combattersi a vicenda. Gli unici posti sicuri, fino a un certo punto, sono i castelli dei signorotti locali dai quali partono poi per saccheggi e razzie in tutti territori circostanti. La vita dei contadini non è allegra da queste parti. Il barone locale li affama in cambio di una “protezione” che spesso è inesistente.”
    “Effettivamente non sembra un posto allegro, ma tu come lo sai, Serna?”

  • Nella Botte

    La botte lo attendeva già in acqua. Una cima lunga pochi metri la collegava alla barca a remi del mastro. Appoggiata al piccolo pontile di assi la sua botte galleggiava bene e sembrava stabile, anche se era sommersa per metà .
    Jona non disse quasi parola. Ringraziò il mastro bottaio, come sempre impegnato a tormentarsi la nuca, poi si infilò dentro senza concedersi il tempo di ripensarci. Chiuse lo sportello e calò il buio più totale.
    “Amuleto, Luce!”

    Una sezione della botte, proprio davanti ai suoi occhi, sembrò diventare trasparente e lui poté vedere il cielo. L’immagine luminosa ruotò e Jona vide il fiume davanti a lui. La corrente era vigorosa, anche lì presso la riva e la botte oscillava pigramente.
    Uno scossone più forte e la sponda prese ad allontanarsi; il mastro lo stava trainando verso il centro del fiume.
    Pochi minuti dopo sentì un altro scossone e la botte prese a ruotare su se stessa; era libero.
    Per un momento vide la barchetta del mastro bottaio che, in piedi, lo salutava con una mano, per poi riafferrare i remi e tagliare la corrente verso casa.
    La botte si stabilizzò rapidamente, il peso della malta contribuiva a farla navigare senza scosse.

    Jona si rese conto che l’immagine era strana e ne chiese la ragione all’Amuleto.
    “Ti sembra un po’ strana perché non si tratta di un’immagine che io posso vedere direttamente, ricostruisco da questo punto di vista dalle immagini che posso riprendere dal cielo. Non tutti particolari sono veri.”

    La botte, intanto, era entrata nella gola e la corrente si faceva sempre più veloce. Jona aveva perso molta della sua sicurezza, ammesso che ne avesse mai avuta, per un po’ si continuò a sentire solo il lieve sciabordio dell’acqua intorno alla botte, ma presto arrivò anche il rombo lontano dalla cascata.
    L’Amuleto faceva del suo meglio per interessarlo ai dettagli tecnici e di come riusciva a generare l’immagine dal loro punto di vista utilizzando la sua conoscenza del luogo, ma, a mano a mano che il rombo cresceva, Jona riusciva sempre meno ad interessarsi alla faccenda.

    Aveva vissuto molte situazioni pericolose, la vera differenza — lo informò quella parte di lui che analizzava sempre le situazioni, quasi fosse un osservatore esterno — consisteva nel fatto che ora non poteva più far nulla, era del tutto impotente e doveva solo aspettare.
    Sapeva di essere in buone mani visto che i progetti di Festo si erano sempre rivelati ineccepibili, ma l’aver perso il controllo della situazione stava erodendo rapidamente il suo autocontrollo.

    Il rombo era assordante e quando, d’improvviso, la botte mancò sotto di lui e presero cadere Jona non riuscì a reprimere un urlo di terrore.
    Il volo durò in tutto due secondi, due interminabili secondi nei quali Jona si chiese più volte che cosa, davvero, lo avesse condotto fin lì.
    L’impatto con l’acqua sottostante lo schiacciò contro la rozza imbottitura, poi ci fu un’altra piccola scossa.
    “Abbiamo toccato il fondale”, lo informò l’Amuleto mentre la botte risaliva lentamente verso la superficie.

    La botte sobbalzava e girava su se stessa mentre cavalcava le acque bianche ai piedi della cascata. Rimase a rimbalzare tra i flutti senza guadagnare molto spazio per un tempo che a Jona parve interminabile. Poi, quando agli Dei parve di averlo fatto soffrire abbastanza, riprese il filo della corrente e si allontanò da quelle acque così agitate.

    Jona allentò la presa sulle cinghie lo tenevano fermo e solo allora si rese conto di quanto spasmodicamente le avesse strette. Le mani gli dolevano per lo sforzo e il ruvido cuoio aveva segnato profondamente la sua pelle.
    “Siamo fuori?” Chiese all’Amuleto prima di rilassarsi completamente.
    “Sì, adesso il fiume corre fra pareti rocciose per qualche chilometro. Puoi rilassarti e riposarti, non ci sono pericoli e nulla da fare fino a che il fiume si allargherà.”

  • Il Mastro bottaio

    La bottega del mastro bottaio era pulita e ordinata, le doghe erano appoggiate al muro in attesa di essere montate mentre sul retro erano impilate per la stagionatura le assi di quercia ancora da tagliare.

    Il mastro era solo con Jona, i suoi assistenti erano fuori per il pranzo. In quel momento si stava grattando la testa perplesso, mentre esaminava il rozzo disegno che Jona aveva preparato nella mattinata.
    “Che cosa hai detto che vuoi farci?”
    Jona sospirò: “Devo assolutamente passare le cascate e questo sembra essere l’unico modo.”
    “Ci sono modi meno complicati di suicidarsi,” rispose il mastro bottaio scuotendo la testa,

    Jona tirò fuori la borsa di denaro avuta da Ivan e lasciò che il mastro bottaio ne valutasse il contenuto: “Sono disposto a pagare.”
    “Ma perché vuoi buttare via i tuoi soldi e la tua vita?”
    Jona esitò ancora un attimo, poi tirò fuori il suo Amuleto e lo mostrò allo sconcertato mastro. “Quello che vedrai deve rimanere fra noi. Penso che sia chiaro. Thano mi dice di andare”, l’Amuleto brillava di un rosso minaccioso e il mastro cadde in ginocchio, “e Festo mi dice che questa cosa può funzionare”, apparve il modellino della botte e il colore virò verso l’argento di Festo,

    Jona tagliò corto alle proteste del mastro bottaio, gli fece cenno di alzarsi e disse sorridendo: “Non hai mancato di rispetto a nessuno. Hai detto quello che pareva giusto e di questo che ringrazio. Ma, come vedi, ho dei buoni motivi per insistere.”

    Il mastro, intanto, osservava affascinato il modellino semitrasparente che stava completando il suo tuffo nella cascata. Poi l’acqua del fiume scomparve e il modellino diventò molto più grande, quasi a dimensioni naturali, per permettergli di esaminarlo per bene. Il mastro continuava a grattarsi furiosamente la nuca mentre girava intorno al progetto, Jona pensò oziosamente che prima o poi avrebbe finito per scavarci un solco e la testa sarebbe rotolata per terra. Quando si raddrizzò Jona fece sparire il modello e chiese: “Allora, che ne dici?”

    Era evidente che continuava ad avere parecchi dubbi e che il fatto stesso di dubitare della parola di un Dio lo spaventava a morte. “Ho qua fuori una vecchia botte che dovrebbe essere delle dimensioni giuste. Il legno ha fatto un po’ di muffa e ora non lo si può più usare per il vino; abbiamo provato a pulirla in tutti i modi, ma niente da fare. Posso darti quella”.
    “Mi vuoi mandare a fare il tuffo delle cascate in una botte marcia?”

    Jona non era molto convinto, ma l’Amuleto confermava che il mastro bottaio non stava mentendo. Contrattarono un po’ sul prezzo, più perché il mastro si aspettava che Jona lo facesse che per vera necessità; aveva in tasca più denaro di Minz di quanto potesse spenderne e che, passate le cascate, sarebbe diventato inutile zavorra.
    Poi il mastro volle rivedere il progetto di Festo e riprese a grattarsi la nuca. Alla fine si decise a dire che sì, lo poteva fare e che ci sarebbero voluti alcuni giorni. Jona sarebbe tornato a controllare lo stato di avanzamento dei lavori tutte le sere.

    Di giorni ce ne vollero sette. Il secondo Jona dovette sdraiarsi sulla colata di malta ancora fresca e ricoperta da una rozza tela per lasciare l’impronta del suo corpo. Quando tutto fu finito Jona aveva più dubbi che all’inizio, anche se doveva ammettere che il mastro si era attenuto al progetto in tutte le sue parti, dimostrando di essere all’altezza della sua reputazione.

  • Rudesh

    La mattina era fresca limpida, Quando Jona si affacciò dal finestrone del suo attico si poté godere uno splendido panorama che andava dai tetti di Ruudesh, proprio sotto di lui, al fiume e, in lontananza, poteva intravedere anche Minz, avvolta nella foschia che aleggiava sul Rin.
    Alla luce del giorno era del tutto chiaro che si trovava dentro un palazzo. Tutto era assolutamente squadrato. Si trovava all’ultimo piano di una specie di scatola incastrata nel fianco della montagna, con il tetto, oramai coperto di erba, che formava un’ampia terrazza.

    L’accesso ai piani inferiori era bloccato da cumuli di detriti. Per un attimo il Mago fu tentato d’indagare, ma si forzò a mettere in un angolo la sua curiosità per affrontare problemi più urgenti.
    “Amuleto, ci sono Troll nei dintorni?”
    “Sì, ma non sono vicinissimi e tutti verso monte, se aspetti ancora qualche minuto per essere sicuro che siano addormentati al sole puoi scendere fino a Ruudesh senza pericoli.”
    “Nessuna speranza di superarli e andare a nord?”
    “Nessuna.”
    “E allora torniamo indietro.”

    La prima parte della discesa fu abbastanza laboriosa, c’era parecchia vegetazione e la montagna scendeva a balze.
    Poi cominciarono i campi coltivati e il cammino si fece più facile.
    Jona evitò la parte di Ruudesh già visitata assieme a Ivan, si spostò invece là dove era concentrata la produzione del vino, grandi cantine raccoglievano le uve dei dintorni e producevano quel buon bianco che aveva imparato ad apprezzare.

    Non aveva nessun interesse a farsi riconoscere, trovò alloggio in una cascina poco fuori dalla cittadina. Per poche monete gli permisero dormire nel fienile e di usare la fontana per lavarsi.
    Jona raccontò la solita storiella del cercatore di erbe, aggiungendovi di aver saputo, da certi suoi conoscenti, che più a valle delle cascate si trovavano delle erbe miracolose. Tutti quelli con cui parlò gli dissero la stessa cosa: non c’era nessun modo di passare le cascate.

    Non fidandosi del parere altrui Jona volle vedere di persona. Spese un intero giorno esplorando le rive del Rin. Alla fine dovette arrendersi all’evidenza: le rive vicino al fiume erano assolutamente impraticabili visto che avvicinandosi alle cascate diventavano sempre più verticali e scivolose. Più in alto, dove era possibile svalicare, tutta la zona era presidiata da gruppi di Troll particolarmente numerosi.

    La sera, ben nascosto nel suo fienile, Jona chiamò sua figlia.
    “Puoi farmi vedere quella botte di cui si parlava l’altro giorno?”
    “Ci provo, Festo è stato piuttosto preciso, anche più del solito.”
    Davanti a Jona comparve modellino semitrasparente di nuovo tipo d’imbarcazione. Si trattava di una grossa botte alta circa un metro e mezzo e larga la metà nella quale era stato costruito un rozzo sedile con malta e sassi, completato da un’imbottitura e delle cinghie che dovevano servire a tener fermo che ci si trovasse sopra.
    “Festo dice che il peso della zavorra farà galleggiare la botte inclinata e, nel volo, la manterrà con il giusto angolo d’impatto con l’acqua.”

    Come a sottolineare le sue parole il modellino prese a muoversi sul fiume, arrivò alle cascate, percorse un bell’arco e infine si tuffò nella pozza sottostante esattamente con uno spigolo. Le acque subito sotto la cascata erano molto agitate, ma, dopo essere stata sballottata un po’, riprese la navigazione in un tratto dove la corrente era più tranquilla.
    “A vederla così l’impresa sembra facile, ma sono sicuro che potrebbero verificarsi decine d’incidenti. Purtroppo non vedo altre soluzioni.”
    “Hai controllato se ci sono strade alternative?”
    “Certo! Aggirare i Troll significherebbe fare un lungo giro e finire dritti dritti nel territorio degli orchi. Temo proprio che dovrò affidare la mia vita a Festo un’altra volta.”
    “L’intero progetto, così come me lo ha dato Festo, dovrebbe essere sul tuo amuleto. Pensi di riuscire a farti costruire una cosa del genere?”