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  • La discesa

    I primi chiarori dell’alba lo ridestarono, sempre che avesse dormito.

    A un certo punto le stelle erano scomparse e lui aveva perso la nozione del tempo.

    Adesso era intirizzito e quasi incapace di muoversi.
    Una fitta nebbia lo avvolgeva. Impossibile camminare in quella penombra traditrice. Forse era meglio aspettare che il sole sorgesse.
    Un campanello cominciò a suonare insistente dal fondo del suo cervello. Fastidioso.
    Il campanello si congelò in un pensiero preciso: “Se non mi muovo ora Thano mi prende.”
    Si costrinse ad alzarsi. Muscoli e giunture protestarono sonoramente.

    Doveva essere più tardi di quanto pensasse: il sole, già alto nel cielo, filtrò per un momento attraverso la nebbia come un vago fantasma giallastro.

    Cominciò gli esercizi mattutini per riattivare la circolazione. Era ancora gelato. L’umido della notte aveva risucchiato tutto il calore dal suo corpo. Prese dallo zaino la fiaschetta del cordiale e ne ingollò un gran sorso. Gli bruciò la gola, ma sentì il calore espandersi dallo stomaco. Ne aiutò l’azione costringendo i muscoli induriti dalla fatica e dalla posizione scomoda a muoversi.
    Il sole, dopo la prima fugace apparizione, stava tornando e pareva deciso a rimanere. Jona pregò Zeo di dargli forza; sapeva di averne bisogno.
    Zeo, a quanto pareva, aveva buon orecchio. Il sole riuscì finalmente a bucare la nebbia e fu una calda presenza, non solo un pallido fantasma avvolto nel bianco sudario.
    Si tolse il mantello e lo stese ad asciugare, poi proseguì la sua ginnastica fino a quando non sentì svanire la sensazione di gelo.

    Sotto di lui il panorama era splendido. La nebbia formava un vasto mare bianco da cui spuntavano, come un arcipelago, le cime delle montagne.

    Tentò inutilmente di attivare l’Amuleto.

    La Caccia sembrava finita ancor prima di cominciare.
    Rimase qualche minuto a fissarlo, poi si alzò, si rimise in ordine, si riallacciò lo zaino sulle spalle e cominciò a scendere verso quel mare che stava lentamente evaporando sotto i raggi del sole.

    Camminava lentamente. Sapeva molto bene che la discesa è più faticosa della salita, almeno per un uomo della sua età.
    Cercava di fare piani, ma era difficile. Aveva perso l’unica vera fonte d’informazioni.
    I mercanti gli avevano parlato un po’ della Valle. Sapeva che c’era un grosso villaggio ai piedi delle montagne dove andavano a barattare le loro merci. Più a nord c’era anche una grande città: Mila, ma i mercanti non c’erano mai stati. Lì sicuramente avrebbe trovato un tempio. Quella era la sua prossima meta. Non sapeva cosa fare dopo. Sapeva però che tornare indietro non sarebbe servito a nulla, anche se la tentazione era forte.

  • Il passo

    Verso mezzogiorno arrivarono al punto dove il sentiero si divideva. Il tratturo che doveva prendere saliva ripido sulla costa di un picco roccioso. Jona era tentato di proseguire sulla carrareccia, infinitamente più invitante.
    “Beh, qui le nostre strade si dividono”, disse invece.
    “Buona ricerca, fratello!”
    “Buona fortuna anche a voi.”
    Procedette lentamente, gli occhi sul sentiero, la mente libera, il respiro regolare.
    Dopo pochi minuti la piccola carovana scomparve dietro una curva. Presto anche i rumori delle ruote e degli zoccoli svanirono. Era solo.

    A una svolta del tratturo, molto più in alto, la vista si aprì su un’altra valle e un altro ruscello che scorreva verso nord.
    Rivide anche i mercanti che avevano appena valicato il passo, qualche centinaio di metri sotto di lui, ma c’era qualcosa che non andava.
    Uomini acquattati dietro uno spuntone roccioso. Senza quasi pensare estrasse l’Amuleto e cominciò a dargli istruzioni. L’Amuleto si accese immediatamente, con barbagli rosso sangue.
    Intanto la carovana era arrivata all’altezza delle rocce. Gli uomini nascosti si prepararono a balzare fuori. Anche lui era pronto.
    I briganti si lanciarono all’attacco con le spade sguainate. Jona diede il comando. L’Amuleto disse: “No” e si spense.
    Rimase basito. Non gli era mai successo di essere contraddetto dall’Amuleto.

    Nel frattempo, sotto di lui, il dramma ebbe rapidamente termine. I mercanti non fecero nemmeno a tempo di prendere le armi dai carri. Furono trucidati in pochi istanti, buttati sui carri e la piccola carovana ripartì verso il basso, con nuovi padroni che lanciavano urla di giubilo per la facile vittoria. Scomparvero alla vista prima che Jona fosse riuscito a muovere un muscolo. Fortunatamente nessuno dei briganti aveva guardato verso l’alto.

    “Che diavolo ti viene in mente?”, sibilò all’Amuleto, ma quello rimase perfettamente inerte, come fosse davvero un medaglione di lucido legno e nulla più.
    Jona cercò di riattivarlo, ma avrebbe potuto rivolgersi alla roccia su cui era seduto: l’effetto sarebbe stato lo stesso.

    Calava la sera e come il cielo cambiava colore, così cambiarono colore anche i sentimenti del Mago. Alla rabbia per l’insubordinazione si stava sostituendo l’angoscia per la sua situazione. Che significava tutto questo? Aveva forse già fallito la sua missione? Dove aveva sbagliato e perché?
    Il sole scomparve e Jona si riscosse. Con o senza Amuleto doveva trovare un posto per passare la notte.
    Lungo la strada percorsa non c’era riparo.
    Cercò di ricordare la mappa vista la sera prima. Gli sembrava che il piccolo sentiero terminasse poco più avanti del punto dove si trovava. Pregò Ipno di non sbagliarsi e si rimise in moto. Doveva sbrigarsi; stanotte non avrebbe potuto contare nemmeno sull’aiuto della luna.

    Lo zaino diventava più pesante ad ogni passo, ma Jona si costrinse a mantenere un’andatura sostenuta. Le caviglie e le ginocchia protestavano per i contraccolpi della discesa.
    Non si era sbagliato; sotto di lui vide un piccolo spiazzo erboso con dei cespugli che lo proteggevano.
    Si avvicinò quasi di corsa, tenendo una mano sul manico del lungo coltello che portava alla cintura e badando bene a far rumore. Quel posto era ottimo anche come rifugio per animali: serpenti, lupi e, forse anche orsi, tutti comunque ben felici di evitare il contatto con l’uomo.
    La piccola grotta era vuota. Troppo poco profonda per essere una tana comoda.
    Si accorse di tremare e non soltanto per lo sforzo.
    Oramai era quasi completamente buio.
    Appoggiò lo zaino alla parete e cercò di rilassarsi.
    Dopo poco il respiro divenne regolare, ma non poteva certo dirsi tranquillo.
    Si costrinse a mangiare qualche galletta e a bere un po’ d’acqua.
    Tentò di nuovo di attivare l’Amuleto. Niente da fare.
    Si avvolse nel tabarro e usò lo zaino come schienale.
    Dormì seduto con il coltello in mano.

  • Mappa

    Jona estrasse l’Amuleto e chiese la comunicazione.

    Stavolta c’era solo Serna.
    “Problemi?”, chiese Jona un po’ preoccupato.
    “No”, rispose Serna con un sorriso “solo che le nostre puerpere si sono date da fare: quattro parti in un giorno solo.”
    Quattro parti! Nella loro piccola comunità era un evento raro. Qualcuna doveva aver affrettato un po’ i tempi
    “Vado anch’io; c’è il marito di Tania più agitato di sua moglie. Devo tenerlo d’occhio. Ci sentiamo domani!”
    “Amuleto, chiudi”, disse il Mago sottovoce. Serna scomparve, al suo posto apparve la mappa. Jona rimase interdetto. Non solo non l’aveva chiesta, ma vedeva bene che c’erano due sentieri segnati: quello che gli aveva mostrato il giorno prima e un altro, più sottile e luminoso che s’inerpicava in alto, e passava su un crinale che sovrastava di parecchio il passo che aveva intenzione di percorrere con i mercanti.
    Stava per chiedere informazioni, ma sentì un fruscio e la mappa scomparve.
    Jona si riabbottonò i pantaloni e ritornò al fuoco.
    Era sicuro di aver memorizzato il secondo sentiero, ma non capiva perché avrebbe dovuto prenderlo.

  • Il bivacco

    Il bivacco non era molto lontano, ma lo raggiunsero che il sole era già calato.
    Si trattava di un ampio spiazzo proprio sotto la cima arrotondata della montagna, protetto dal vento dall’ultimo costone e da parecchi bassi cespugli di pini montani. Al centro c’era un ampio braciere costruito con pietre levigate.
    I quattro viandanti sistemarono i carri su tre lati di un quadrato e poi staccarono i muli.
    Uno dei suoi compagni di viaggio cominciò a scaricare da un carro gli attrezzi da cucina e a quella vista Jona si dispose a cercare un po’ di legna da ardere.

    “Venite spesso quassù?”, chiese Jona piuttosto stupito.
    “Due volte il mese, tempo permettendo. I commerci vanno bene.” Cominciarono a scaricare un po’ di legna secca e delle provviste, intanto il mercante spiegava: “Nella Valle non hanno ulivi e l’olio lo pagano bene. Pensa, che prima che arrivassimo noi, usavano soltanto l’olio fatto con le noci! In compenso hanno buon grano a basso prezzo e delle stoffe! Colori che noi in Ligu nemmeno ci sogniamo!”
    Jona preparò il focolare e lo accese usando l’acciarino. La fiamma prese rapidamente, forse troppo, chissà se l’Amuleto gli aveva dato una mano?

    Era ormai buio pesto quando la cena fu pronta e i cinque uomini si sedettero attorno al fuoco.
    Come si era aspettato arrivò puntuale la domanda: “Ma tu che ci fai quassù?” Era stata fatta senza la minima malizia, ma esigeva una risposta credibile; era chiaro che i quattro non incontravano molti viandanti da quelle parti. Jona aveva preparato la risposta con largo anticipo: “Sono lo speziale della sacerdotessa di Asclep. Devo andare a fare raccolta di certe radici che crescono solo da queste parti.”
    “Chi, la vecchia Dania?”, il cuore di Jona perse un battito: non ci teneva proprio a essere riconosciuto, “Ecco dove avevo visto la tua faccia, era un po’ che mi chiedevo dove ti avevo incontrato!”
    “Sì, lei, ma non ricordo d’averti mai visto. Sei venuto al tempio di recente?”.
    “Sì, ero venuto a portare mia figlia, è normale che non ti ricordi”.

  • Insidie di montagna

    Le ombre si stavano allungando e Jona cominciò a guardarsi attorno per cercare un bivacco.

    I quattro viandanti, d’altra parte, sembravano assolutamente tranquilli e Jona sperò in cuor suo che conoscessero la strada. Era tentato di chiedere informazioni, ma non voleva far vedere che era la prima volta che passava da lì.

    Un’imprecazione lo riscosse. Alzò gli occhi e vide il carro davanti al suo inclinarsi verso il burrone, aveva una ruota fuori dalla stradella, pericolosamente sospesa nel vuoto. Le pareti, in quel punto dove il sentiero girava attorno ad uno sperone roccioso, erano particolarmente scoscese. Non c’era spazio per muoversi.
    Prima che si avesse il tempo di reagire il mulo, spaventato, prese a scalciare e quella fu la sua fine. Il carretto sfuggì alla presa dei due uomini e lo trascinò giù, ribaltandosi più volte prima di arrivare in fondo sul greto del torrente che si tinse di rosso.
    Il tutto era durato pochi secondi.
    I viandanti avevano ancora il loro daffare per calmare i muli rimasti.
    Con molte difficoltà finirono di girare attorno allo sperone e arrivarono in un punto dove la carrareccia si allargava abbastanza da garantire una relativa sicurezza.
    “Maledetto mulo testone!”
    “Ma che diavolo è successo?”

    “Ho visto io quello che è successo. La ruota è passata su un pietrone che la ha spostata di un palmo. Un palmo più in là c’era il vuoto. Non ho fatto a tempo nemmeno a dirti “attento!””
    “Andiamo a vedere?”
    “Sei matto? Per scendere laggiù ci vorrebbe un’ora e più”, guardò il cielo, “e noi non l’abbiamo. E poi, che cosa pensi di trovare? Solo cocci unti. Peccato. Era un buon olio d’oliva”
    “Adesso rimettiamoci in cammino, il bivacco è vicino, ma non ci arriveremo se stiamo qui a chiacchierare come vecchie comari”.
    I muli si erano un po’ calmati e si rimisero in cammino.

  • Risalita dei Penn

    Jona tornò improvvisamente a molti anni prima, quando ancora Gerba era il mago di Tigu e lui veniva mandato a sbrigare commissioni ed ambasciate in tutta Ligu, a volte a centinaia di chilometri di distanza.
    In quei viaggi fatti da solo aveva imparato a chiudersi in un suo mondo personale ritmico, di passi e di pietre, di respiro e di erba. I suoi pensieri erano come disconnessi e vagavano altrove, ma i suoi sensi rimanevano allerta e assorbivano i particolari attorno a lui.

    Ora il suo inconscio attirò la sua attenzione: il sentiero si era unito a una stradicciola più larga; larga abbastanza da permettere il transito di carri, che erano passati da lì poco prima, a giudicare dalle tracce fresche rimaste sull’erba.

    Alzando gli occhi vide che davanti a lui, a poca distanza, arrancava una piccola carovana, quattro carretti trainati da muli; altrettanti uomini a piedi li guidavano tenendoli per la cavezza.
    Jona guadagnò lentamente terreno fino a raggiungerli.
    “Salve, posso fare la strada con voi?”, chiese quando era ormai a pochi metri.

  • La sera

    La radura era esattamente come l’aveva vista sulla mappa: uno spiazzo erboso ai piedi di una parete rocciosa che la chiudeva su due lati. C’era anche una piccola rientranza nella parete, non proprio una caverna, ma comunque un riparo. Il sole stava tramontando. Meglio sbrigarsi.

    Jona depose il suo zaino in fondo alla rientranza e, per prima cosa, cominciò a raccogliere legna per accendere il fuoco. Qualche pastore doveva aver già bivaccato da quelle parti: un focolare di pietre lo attendeva bell’e pronto proprio davanti alla rientranza della roccia. In pochi minuti aveva raccolto rami secchi a sufficienza per tutta la notte. Tirò fuori la pietra focaia e il suo coltello d’acciaio e fece cadere una pioggia di scintille sull’esca, che non sembrò accorgersene. Jona la esaminò un attimo e imprecò fra i denti: era lievemente umida; accendere il fuoco sarebbe stato un affare nient’affatto divertente.
    “Posso?”, interloquì l’Amuleto.
    Jona lo tirò fuori, “”Posso” cosa?”
    “Darti una mano, ovviamente”, disse l’Amuleto.
    Jona stava per rispondere, poi notò la sottile spira di fumo che saliva dagli aghi secchi che aveva messo sotto la legna. In pochi secondi il rosso fiore del fuoco sbocciò e lui si affrettò ad alimentarlo. La legna non era molto secca ma resinosa; dopo poco tempo il fuoco scoppiettava allegramente e Jona poté smettere di soffiare per dargli forza.
    Si sistemò davanti al fuoco e cominciò a sbocconcellare un pezzo di torta salata fatta da Dania.
    “Tutti gli Amuleti sanno accendere il fuoco?”
    “Certo! Non siamo uguali, ma parecchie cose le sappiamo fare tutti.”
    “Uhm, e allora perché ho sempre dovuto farlo io?” Il vecchio Amuleto non si era mai offerto di “dargli una mano”; è vero che Jona non aveva mai chiesto esplicitamente aiuto, ma non l’aveva fatto neppure questa volta!

  • Solo

    Jona camminava con i lunghi passi lenti di chi sa di avere molta strada davanti a sé. Ora che il viaggio era ufficialmente iniziato — il vero momento della partenza, nella sua mente, era stato quando aveva salutato la figlia — il suo umore era cambiato, come sempre gli succedeva all’inizio di un nuovo compito.
    Prima era il tempo delle preoccupazioni, delle paure, delle incertezze.
    Ora era il momento del fare; Jona si muoveva in scioltezza, raramente voleva vedere un lavoro finire in fretta. Di solito voleva vederlo finito bene. Nella sua mente aver “fretta” era quasi sinonimo di abborracciare, tirar via, fare male. Oh, certo, a volte le cose dovevano essere fatte velocemente, ma mai “in fretta”.

    Lasciò la mente vagare mentre le gambe facevano il loro mestiere.
    Aveva una ragionevole speranza di arrivare alla fine del viaggio. Thano non avrebbe inscenato una commedia così complicata solo per farlo precipitare in un burrone, ma, comunque, meglio guardare bene dove si mettono i piedi, tanto per stare sul sicuro.
    Continuò a camminare per un paio d’ore prima di arrivare al Fontanile Alto.
    Il Fontanile Alto era al centro di un vasto pascolo verde che sorgeva a mezza costa, sulla cima di una collina, proprio ai piedi delle montagne. Anche lì non c’era nessuno. Le greggi, nella bella stagione, erano tutte nei pascoli d’alta quota. Lì si era ancora relativamente in basso, a poche centinaia di metri sopra il mare.
    La vista era splendida. Jona indugiò a lungo. Sotto di lui il golfo di Tigu si apriva verso il mare aperto. Da qui era facile capire la vocazione marinara delle genti di Ligu. Le montagne schiacciavano i paesi verso il mare e, nonostante gli eroici tentativi di colonizzarle con terrazzamenti, era verso il mare che si andava per cercare cibo e commerci. Un mare generoso, ma che esigeva anche un alto prezzo. Tante, troppe navi non erano tornate in porto. Jona si vide, per un momento, come una nave appena fuori dal porto.
    “Beh, se stiamo lasciando il porto, è bene pensare alla rotta”, disse rivolgendosi all’Amuleto che era rimasto al suo posto, incastonato nel bastone. L’Amuleto si accese, ma rimase silenzioso. Jona lo tolse dalla sua sede e lo tenne in mano soppesandolo per qualche momento, mentre osservava la bussola che continuava a puntare dritta a nord.
    “In mare potrei cercare di seguire la rotta più breve, ma qui non siamo in mare. Non potresti essere un po’ più preciso nell’indicarmi la strada? Qui finisce anche il sentiero principale e ne cominciano parecchi altri che, per la maggior parte, non conosco.”
    “Ogni Vostro desiderio è un ordine!”, Jona rimase allibito. L’Amuleto lo stava prendendo in giro? Il suo — l’Amuleto di Serna, ora, si corresse mentalmente — non gli aveva mai parlato così. Un istante dopo il pensiero fu dimenticato.
    Sopra l’Amuleto si era formata un’immagine di cui Jona non aveva mai visto nulla di simile. Era indubitabilmente una mappa delle montagne, ma non era una mappa. Sembrava che le montagne stesse fossero state rimpicciolite e Jona le guardasse dall’alto.
    “Noi siamo qui”, disse l’Amuleto facendo apparire un cerchietto rosso in mezzo ad un minuscolo prato verde, “e il passo sta lì”, un cerchietto verde apparve fra due cime verso nord-nord-est. Una sottile linea gialla serpeggiava fra i due cerchietti.
    Jona si guardò attorno cercando di orientarsi. Ai suoi piedi apparve una striscia gialla, o meglio, una stretta stradina formata da piccoli mattoni gialli. La stradina proseguiva per pochi passi verso nord e poi diventava diafana e spariva.
    Jona fece qualche passo sulla stradina e non si stupì certo di sentire l’erba sotto i piedi. Sapeva che si trattava di un’immagine senza corpo prodotta dall’Amuleto. La stradina spariva alle sue spalle e, davanti a lui, si allungava man mano che procedeva.
    Dopo pochi passi Jona deviò verso il fontanile. Depose lo zaino e bevve un po’ d’acqua. Guardò il sole. Aveva ancora almeno quattro ore di luce buona.
    “Mi fai rivedere la mappa, per favore?”
    La mappa ricomparve mentre la stradina spariva.

  • Serna

    Il cuore di Serna stava cantando.

    Suo padre conosceva bene la strada su cui stava camminando
    Sarebbe tornato, non ne aveva il minimo dubbio.

    Sentiva che questo momento era l’inizio di una nuova vita e non vedeva l’ora di cominciare.
    Tutto era perfetto.
    Era pronta ad affrontare l’impegno della sua nuova professione di Maga.
    L’Amuleto rispondeva al tocco come mai prima d’ora, anzi, forse con più prontezza di quanto avesse fatto con suo padre.

    Una nuvola passò nei suoi pensieri: sarebbe riuscita a farcela?
    Suo padre avrebbe sicuramente saputo cosa fare.
    Ovunque sia, in questo o un altro mondo, Jona il Mago sarà sempre al mio fianco. Io sono la reggente. La sua ombra mi guiderà.
    La decisione era stata presa. Si rendeva conto anche lei che si trattava di un trucco, ma era di trucchi che vivevano i Maghi.

  • Sui Monti

    Si diressero verso nord, seguendo le indicazioni della bussola che continuava a puntare ostinata in quella direzione.
    A nord c’erano le montagne, così vicine da sembrare un’immensa onda che volesse infrangersi sulla spiaggia dal lato sbagliato.
    Appena uscita dal paese la strada prese ad arrampicarsi sui primi contrafforti coltivati a terrazze. Jona si guardava intorno per imprimersi nella memoria quel panorama familiare che stava per lasciare per chissà quanto tempo. Forse per sempre.

    Un brivido gli corse lungo la schiena. Conosceva Ligu come le sue tasche, aveva viaggiato spesso e volentieri, ma non aveva quasi mai lasciato i suoi confini. Solo una volta era arrivato a sud, oltre il fiume che segnava il confine e dove le montagne si allontanavano dal mare, lasciando in mezzo chilometri di una strana terra piatta che chiamavano pianura. Chissà se avrebbe rivisto un simile spettacolo?

    La strada li condusse a Lava, dove c’erano le cave di ardesia usata per i tetti. Era oramai tarda mattinata e la carrareccia finiva lì.
    Verso nord proseguiva un sentiero usato dai pastori, largo e comodo, ma inadatto per il calesse.
    Serna tirò le redini proprio nello spiazzo, alla fine di Lava dove cominciava il sentiero, vicino al lungo fontanile. Non c’era nessuno lì intorno.
    Jona condusse il cavallo ad abbeverarsi senza staccarlo dal calesse. La sosta sarebbe stata breve.
    Stava pensando intensamente, voleva dire qualcosa alla figlia prima di andarsene, ma non riusciva a trovar nulla che non fosse o banale o terribilmente retorico.
    Serna interruppe i suoi pensieri:
    Jona si voltò e aprì le braccia. Serna volò ad abbracciarlo. “Grazie.”
    Fecero uno spuntino leggero, mentre una parte di Jona, rasserenato, notava come Serna avesse imparato bene le tecniche per rompere la tensione che lui stesso le aveva insegnato. Il fardello del Mago-Mediatore era pesante e lui lo sapeva, ma quelle spalle erano solide. Non doveva preoccuparsi troppo per lei.