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  • La mattina

    La colazione fu abbondante e rumorosa come il solito, forse un po’ più del solito.
    La consapevolezza del distacco era presente in tutti; anche i bambini, ai quali erano state date solo vaghe indicazioni su un “viaggio di ricerca”, per evitare che si domandassero troppo presto che fine avesse fatto Jona, sentivano la tensione nell’aria e facevano di tutto per attirare l’attenzione degli adulti. Jona, dal canto suo, faceva del suo meglio per rispondere a quelle sollecitazioni che gli facevano molto piacere, anche se rendevano ancor più pesante il distacco.
    Raccolse lo zaino, si fermò sulla soglia per abbracciare la sua famiglia in un ultimo sguardo, e uscì, seguito da Serna.

    Scesero nella stalla, dove il calesse era già pronto.
    Serna salì in cassetta e fece girare il cavallino nel cortile, mentre Jona apriva il portone.
    Tolse la spranga, tirò le pesanti ante che si aprirono lentamente cigolando sui cardini.

  • Consiglio

    “Amuleto, perché mi hai impedito di chiamare mia moglie?”, disse Jona appena entrato nello studio.
    “Chiedilo a Thano”, fu la serafica risposta.
    “Lo sto chiedendo a te, e sono sicuro che lo sai!”
    “Ha ragione”, intervenne Darda,
    Jona sapeva benissimo che aveva ragione, ma non era disposto a concedergliela. Cambiò bruscamente argomento: “Il viaggio si prospetta lungo. Come farò a vivere? Non sono più un Mago.”
    “Io ti aiuterò e anche i Sacerdoti di tutti gli Dei ti aiuteranno, in questa Caccia”, disse l’Amuleto.
    “Comunque io mi porterei un po’ di quelle palline d’oro che usano i Mercanti quando vanno in terre lontane”, suggerì Darda.

    “Papà, per favore! Sai benissimo che quelle “risorse” sono, per la stragrande maggioranza, tue e, comunque, qualunque cosa tu riesca a ficcare in quel dannatissimo zaino senza romperti la schiena sotto il suo peso non farà differenza per “questa famiglia”! Papà cerca di tornare! A qualunque costo!” Serna aveva cominciato a parlare in tono ragionevole, ma aveva terminato con voce alterata a un passo dalle lacrime. Jona la prese per le spalle e la guardò dritta negli occhi per un istante, poi, senza dire una parola, la abbracciò forte.
    Quando la stretta si allentò entrambi passarono la mano sul volto. All’unisono. Come si fossero messi d’accordo, e, in un certo senso, era proprio così.
    “Vai a prendere le pepite. Non troppe: pesano. Mettine poche per ogni sacchetto: meglio non far vedere che ho troppo denaro.”
    Raccolse il suo bastone da passeggio, solido e lungo quasi due metri, poteva servire benissimo anche da arma. Sulla parte superiore c’era un castone di legno, dove lui poteva inserire l’Amuleto, ma il nuovo amuleto era ben più piccolo del vecchio. Prese a trafficare con cinghie e legacci per incastrarlo in un posto chiaramente non adatto.
    “Posso usare quello sgabello?” disse all’improvviso l’amuleto.
    Prima che Jona, stupito, potesse dire qualcosa l’amuleto cominciò a brillare e sottili volute di fumo bianco cominciarono a salire dal sedile dello sgabello, che era una spessa tavola di lucido legno di ulivo. Jona rimase fermo a guardare, con l’Amuleto che vibrava lievemente nella sua mano. Sulla tavola comparvero dei solchi come se la stessero incidendo con un bulino.
    Pochi minuti dopo lo sgabello aveva un largo buco al centro e Jona teneva in mano una corona che adattava il castone del bastone alle dimensioni dell’amuleto. Quali altre sorprese aveva in serbo? Il vecchio amuleto non aveva mai mostrato di poter fare, da solo, lavori di tale precisione.
    Poco dopo tornò Serna con cinque piccole borse di pelle ben gonfie e con lo zaino di ruvida stoffa marrone, già mezzo pieno.
    Jona aggiunse poche cose, poi provò a indossarlo; era ragionevolmente leggero, ma sapeva che avrebbe dovuto ancora mettere cibo e acqua, anche se quella non era, per il momento, un problema: le tasche di neve sui monti Penn si stavano ancora sciogliendo al tepore della primavera e c’erano torrentelli d’acqua pulita in abbondanza.
    Finiti gli ultimi preparativi, i tre si ritirarono nelle rispettive stanze.

    Jona trovò Dania che lo aspettava per salutarlo come una donna saluta il suo uomo quando vuole che lui ritorni.

  • I preparativi

    Dopo cena, con i bambini avviati ai loro letti, Jona prese la parola per quello che, a tutti gli effetti, era un addio.

    “Devo partire. Come sapete Thano me l’ha imposto e non posso né rifiutare né farlo attendere troppo.” Mise il suo nuovo Amuleto sul tavolo. “Questo è tutto quello che so”, disse mostrando la Bussola disegnata sulla superficie dell’Amuleto, che continuava a puntare a nord, e lo mosse per far vedere come indicasse ostinatamente sempre la stessa direzione.

    “I tuoi abiti da viaggio sono già nello zaino, Jona, assieme alle cose che portavi in montagna quando tu e Modio andavate nelle vostre “cacce””, disse Dania senza guardarlo negli occhi.

    “Adesso devo preparare le ultime cose”, tagliò corto, “ci vediamo domattina a colazione.”

  • Il tempio di Isto

    I tre si prepararono in fretta e poi salirono a bordo del calesse del Mago che, afferrate le redini, le fece schioccare sonoramente mettendo in movimento il cavallino muscoloso.
    Percorsero con la maggior velocità possibile le strade cittadine ingombre del traffico mattutino, rasentarono il porto e poi proseguirono sulla stradina di terra e ciottoli che andava a occidente, verso il golfo di Tigu.

    Il tempio di Isto sorgeva presso la cima del promontorio che chiudeva il golfo a occidente, appena dietro il tempio di Posse, Dio del Mare, che ne occupava la sommità.
    Il posto era splendido. Si dominava l’intero golfo di Tigu a oriente e si vedeva buona parte del territorio di Geva dall’altra.
    I due templi erano due magioni imponenti ma essenziali e funzionali, organizzate attorno ad un ampio cortile. Nel tempio di Isto, sul porticato interno davano le stanze degli studenti. Il tempio, infatti, fungeva anche da scuola superiore e Jona ricordava bene gli anni passati lì. Anche Darda e Serna avevano passato cinque anni fra quelle mura; Serna ne era uscita solo l’anno prima e aveva ancora ben presente la severità degli insegnanti, mentre gli altri due ricordavano soprattutto la loro giovinezza.
    Un discepolo li accolse nel cortile interno e li fece accomodare direttamente nell’appartamento privato di Marlo.

    Il sacerdote era di mezza età, ancora in buona salute, ma con l’aspetto tipico di chi ha passato più tempo sui libri che all’aria aperta. Si alzò dal suo scrittoio e venne a salutarli. Se la presenza di Darda lo sorprese, non lo diede a vedere.
    Esauriti i convenevoli di rito, fu proprio lei a introdurre l’argomento della loro visita:
    Marlo la guardò come se avesse detto un’eresia
    “Le ‘leggende’ di Isto sono sempre vere! A volte noi non le capiamo, ma sono sempre letteralmente vere. Gli Dei non mentono mai!”
    Darda non si lasciò intimorire:
    “Proprio così!” la interruppe Marlo,
    “Venite, sediamoci a tavola e raccontatemi cosa è successo. Mi raccomando: cercate di essere precisi alla lettera; è importante.”
    Mentre si avvicinavano alla tavola spartanamente apparecchiata, Jona pensò che quanto Marlo aveva detto, in fondo, lo aveva sempre saputo, ma non lo aveva mai sentito dire con altrettanta forza e precisione.
    Durante il pranzo il Mago raccontò gli avvenimenti della sera precedente, occasionalmente interrotto dalle due donne per precisare parole e fatti.
    “Non credo ci siano dubbi: Thano vuole veramente tu faccia un viaggio di ricerca, ma, in realtà, non ha detto nulla riguardo alle tue effettive possibilità di riuscita; “Se riuscirai a raggiungerli” suona molto simile a: “Se il mare si trasferirà in montagna”” disse Marlo con una faccia che non contribuì certo a sollevare il morale di Jona.
    “Comunque sono d’accordo con Darda: la leggenda comincia in modo veramente simile”, proseguì il sacerdote.
    Si appoggiò allo schienale della sua sedia, chiuse gli occhi e, mentre il suo amuleto pulsava lievemente della sua luce viola, cominciò a raccontare:

    Il Sacerdote aveva un fedele discepolo e a lui affidò il suo vecchio Amuleto.
    Il Sacerdote chiese al suo nuovo Amuleto rosso cosa dovesse fare per compiacere Thano e l’Amuleto gli indicò la strada.
    Il Sacerdote partì seguendo le indicazioni dell’Amuleto verso il sole nascente.
    Valicò montagne.
    Attraversò fiumi.
    Percorse pianure senza fine.
    Il fedele discepolo continuò ad avere notizie del suo maestro perché, per quanto lontani fossero, i due Amuleti continuavano a comunicare.
    Il Sacerdote attraversò una gran pianura di piccoli villaggi agricoli sparsi e si stupì nel vedere che non c’erano gendarmi e non sembrava essercene bisogno.
    Il Sacerdote attraversò boschi, dove gli uomini vivevano su grandi alberi in piccoli gruppi separati.
    Il Sacerdote attraversò montagne, dove comunità vivevano di pastorizia.
    Il Sacerdote attraversò un grande paese, dove gli uomini si riproducevano come conigli senza rispetto per Opia e avevano coperto la terra con le loro case e i loro campi.
    Il Sacerdote arrivò al mare e vide pescatori inseguire pesci grandi come case.
    Il Sacerdote attraversò il mare e giunse in una terra dominata dai guerrieri che si combattevano senza posa.
    Il Sacerdote si imbarcò per le grandi isole, dove incontrò i Sapienti degli Antichi.
    Il Sacerdote arrivò al Grande Mare che nessuno aveva il coraggio di affrontare.
    Il Sacerdote s’imbarcò da solo e arrivò alla Torre degli Dei.
    Il Sacerdote entrò nella torre e quindi non si seppe più nulla di lui.
    “Ma non dice niente!” esclamò Serna, rimediando istantaneamente ben tre occhiatacce contemporanee.
    Poi Darda sorrise: “Probabilmente è quello che pensavo anch’io da ragazza; per questo ricordavo così poco.”
    “Effettivamente questa storia è molto diversa dalle altre leggende che, di solito, hanno una chiara morale”, cominciò Marlo, poi il suo Amuleto produsse un lieve ronzio e lui s’interruppe.
    “Isto mi dice che questo è tutto quello che posso dirvi”, concluse.

    Continuarono a chiacchierare per alcuni minuti di altri argomenti, e di Serna che sarebbe stata, d’ora in poi e a tutti gli effetti, la nuova Maga di Tigu. La ragazza parve preoccupata da quella responsabilità calatale sulle spalle all’improvviso e, soprattutto, ben prima di quanto s’aspettasse, ma la normale incoscienza giovanile le impedì di sentirsi troppo oppressa. Il sole era ancora molto alto e caldo quando risalirono sul calesse e Jona cominciò a guidarlo lungo la tortuosa discesa che riportava verso casa.

    Serna aveva continuato a riflettere. Il fatto di non aver capito subito qualcosa le bruciava e voleva dimostrare di essere all’altezza delle nuove responsabilità.
    “”Il Sacerdote chiese al suo nuovo Amuleto rosso cosa dovesse fare per compiacere Thano e l’Amuleto gli indicò la strada.” Sembra un’indicazione precisa”, disse improvvisamente.
    “Vero.”
    “Amuleto, dove devo andare?”
    Quello non rispose, non emise neppure la solita luce rossa, ma, sulla sua superficie, comparve il disegno di un’elaborata freccia, simile a quelle delle bussole che indicavano il nord ai naviganti. Sembrava un disegno ma puntava sempre all’incirca verso nord, comunque lo si muovesse.
    “Beh, quest’Amuleto è di poche parole, ma sembra avere le idee chiare. Che altro, Serna?”
    Serna prese in mano il suo Amuleto e disse: “Amuleto, puoi comunicare con quello di mio padre?”
    L’Amuleto mostrò il suo Avatar e rispose: “Sì, devo?”
    “No. Ora non è necessario. Potrai rimanere in contatto quando mio padre sarà partito? Potrai dirmi dove si trova?”
    “Sì, agli Dei piacendo.”
    Serna rimase interdetta. L’Amuleto, ovviamente, era emanazione degli Dei, quindi la precisazione era del tutto inutile, o stava cercando di dirle qualcosa?
    Jona annuì facendole segno di tacere. Serna cambiò argomento:

    “Tutti vedremo Thano di persona.”
    “Intendevo: prima della morte!”
    “So cosa intendevi, ma le due cose potrebbero anche coincidere.”
    Serna guardò il padre preoccupata: possibile che lo aspettasse un così lungo viaggio solo per arrivare a morire? Ci sono modi più facili
    “Non credo che quello sia il problema”, intervenne Darda, in parte per deviare i pensieri di padre e figlia che avevano preso una china pericolosa e in parte per vera convinzione, “Da quello che racconta la Leggenda, il Sacerdote riuscì veramente ad arrivare in cielo, quindi la promessa di Thano ha un valore.”
    “Uhm. Forse. Isto dice solo che “entrò nella torre”, non quello che accadde dopo” chiosò Jona.
    Serna rifletteva intensamente; sapeva bene che Thano e Isto, essendo uno il Dio dell’Inganno e l’altro il Dio della Verità, non andavano molto d’accordo. Isto non avrebbe mai aiutato Thano
    “Semplicemente: non abbiamo dati. Inutile arrovellarsi. Non credo che si possano trovare le risposte qui, anche se tutti gli Dei volessero aiutarci, e non pare che questo sia il caso.” Guardò la Bussola. “Almeno so in che direzione devo andare. Cominciamo a pensare ai preparativi.”
    “Il viaggio sarà lungo e in territori molto diversi.”, disse Serna ancora meditabonda, “Temo dovrai viaggiare leggero.”
    “Almeno siamo in primavera. Il mantello basterà a proteggermi.”

  • Consiglio di Guerra

    La mattina seguente, dopo colazione, furono tre le persone che salirono nello studio del Mago per un’altra giornata di lavoro.

    Darda cominciò a narrare la leggenda del Sacerdote di Palla, ma presto dovette interrompersi. Aveva sentito la storia tanto tempo prima e non era certamente una delle sue preferite. Le uniche cose che ricordava chiaramente erano l’inizio:

    “Comunicazione. Sacerdote di Isto”, disse con voce piana non appena la luce rossa apparve.
    “Quale “Sacerdote di Isto”?” chiese l’Amuleto con una voce maschile completamente diversa da quella del suo predecessore Il mago sobbalzò sorpreso e — mentre rispondeva automaticamente: “Marlo” — registrò mentalmente il fatto che questo nuovo Amuleto era completamente differente e ne avrebbe dovuto scoprirne le potenzialità. Aveva impiegato una vita a conoscere il non-più-suo Amuleto e a diventarne amico. Tutto da rifare. Comunque alcune implicazioni erano interessanti: l’altro non aveva mai dato cenno di poter comunicare con Portatori che il Mago non conoscesse personalmente

    Nel frattempo era apparso un volto circondato da un’aura viola che sembrava molto preoccupato:
    “Jona, sei tu?”
    “Sì, sono io. Temo dovrai abituarti a questa nuova aura rossa.”
    “Thano.”
    “Già, Thano. Possiamo venire a trovarti?”
    “Certo, quando?”
    “Ora, credo”, disse Jona lanciando un’occhiata interrogativa a Serna e Darda. Le due annuirono all’unisono.
    “Ci metterete almeno un paio d’ore ad arrivare qua. Vi aspetto per il pranzo.”

  • Decisioni

    Come marionette cui siano stati recisi i fili, gli altri membri della famiglia crollarono al suolo, svegli ma doloranti.
    I tre che non avevano subito la paralisi si affrettarono ad aiutarli a rialzarsi.

    Dania, dopo una singola occhiata al marito, vedendo lo strano Amuleto rosso che reggeva, chiuse la bocca che aveva aperto per fare domande, si tirò faticosamente in piedi e cominciò le invocazioni per alleviare i dolori provocati dalla contrazione della paralisi mentre Jona cercava di aiutarla.
    Gli altri scatenarono una babele di domande alla quale l’Amuleto di Thano reagì con pulsazioni minacciose.
    “Basta!”, ruggì il Mago preoccupato.
    “Abbiamo avuto una Visita”, proseguì con tono assolutamente piatto, come se stesse chiedendo l’ora, “e, se siete stati bloccati, è evidente che Qualcuno vuole mantenere il riserbo. Non credo sia prudente contrariarLo”, a queste parole l’Amuleto rosso cessò di manifestare la propria irritazione e passò a una tonalità più lieve. Jona incassò l’indiretta approvazione del Dio.

    Il vociare cessò immediatamente e una calma apparente ritornò nella grande cucina. Si affaccendavano solo Dania, impegnata a lenire i dolori e Darda, che preparava una tisana per tutti.
    Padre e figlia si guardarono impotenti con i loro amuleti in mano che, in quel momento, non si fidavano ancora a usare.

    Quando la tazza fumante venne a posarsi davanti a lui prosegui, guardandola come se cercasse di trovare ispirazione nelle leggere volute di vapore: “Non so quanto posso dirvi”, l’Amuleto lanciò un singolo lampo — che non sfuggì al Mago — “poco, suppongo.”

    “Mi è stata affidata una Missione e presto dovrò partire.”
    “Ancora non mi è chiaro quanto tempo ho per prepararmi e quanto starò via, ma temo che la risposta sia “poco” alla prima domanda e “tanto” alla seconda.” “

    La tazza della tisana era oramai vuota e il silenzio si trascinava.

    La riunione familiare si sciolse lentamente senza che nessuno aggiungesse nulla. Le uniche parole furono i rituali formalismi della buona educazione: saluti e auguri pronunciati più con la bocca che con il cuore. Tutti erano immersi nei loro pensieri.
    Jona si avviò assieme a sua moglie su per le scale che conducevano alla loro camera.
    I pensieri erano cupi: aveva condiviso una vita con Dania, non le aveva nascosto mai nulla
    Erano nel corridoio al piano superiore, oramai soli, quando Dania gli prese la mano e lo costrinse a voltarsi verso di lei:
    “Non stai dimenticando qualcosa?”, disse facendogli dondolare il suo Amuleto davanti agli occhi.
    Vedendo la sua espressione confusa, lei scoppiò in una risata autenticamente divertita: “Sono anni che non riesco più a prenderti di sprovvista!”, esclamò, poi, fattasi seria, “Povero caro, deve essere stato un brutto colpo per farti dimenticare che anche tua moglie è una sacerdotessa e conosce bene la durezza della volontà degli Dei e di quella di Thano in particolare.”
    Jona abbracciò la moglie senza parlare e sentì la tensione che si scioglieva in lui.

  • Il Dopocena

    Quando i ragazzi, dopo aver rassettato, si ritirarono e rimasero solo gli adulti, Jona prese il suo Amuleto e lo pose in bella vista sul tavolo.
    Tutti si fecero attenti, ma non chiesero nulla.

    “Ho bisogno del vostro aiuto”, disse semplicemente.

    Allungò la mano per toccare l’Amuleto che si accese di una luce chiaramente arancione. Le cose stavano precipitando rapidamente.
    Le reazioni preoccupate attorno al tavolo costrinsero Jona ad accelerare i tempi.
    “No. Non credo che quello sia il problema, ma, sinceramente, non ho la minima idea di che cosa sia questo”, aggiunse girando l’Amuleto in modo da far vedere la parte inferiore.
    Tutti sapevano che il colore rosso indicava la presenza di Thano, il Dio della Morte ed erano quindi comprensibilmente preoccupati della tonalità che aveva assunto l’Aura dell’Amuleto.
    Nessuno era preparato a quello che mostrava la faccia inferiore: il sottile cerchio rosso era ora nettissimo e ora la parte interna del cerchio splendeva di luce rosso sangue.
    “Ho provato a chiedere direttamente all’Amuleto, ma si è rifiutato di rispondere. Abbiamo allora cercato riferimenti in tutti i testi che ci sono nello studio. Nulla.”

    Continuarono a parlare per un po’, ma si continuava a girare in tondo, senza trovare idee che non fossero già state esplorate in precedenza, poi la vecchia Darda, che era rimasta a sentire senza dire nulla, prese la parola e, come sempre accadeva, si fece un immediato silenzio:
    “Forse faresti meglio ad andare al tempio di Isto.”
    “Mi pare di ricordare”, proseguì dopo una lieve pausa,
    “E questo che c’entra con me?” Sbottò Jona.

    Brava!”Disse una voce possente, mentre un’aura rossa si formava sopra l’Amuleto del Mago e, lentamente, prendeva le sembianze di Thano.
    Il Mago si affrettò a inginocchiarsi e a chinare il capo, ma poi si rialzò, guardò dritto negli occhi il Dio e disse: “Che cosa vuoi da me, Thano?”
    Il Dio rise.
    Era un riso sincero, non il ghigno beffardo che ci si aspettava da Lui.
    Il Mago aspettava. Attorno a lui la scena era strana: Darda e Serna erano inginocchiate con la fronte sul pavimento, ma tutti gli altri erano rimasti bloccati nella posizione che avevano quando Darda aveva cominciato a parlare.

    Alzatevi.
    Darda e Serna si affrettarono a obbedire.

    Guardate!
    L’Amuleto, sul tavolo, era completamente inerte e non emanava alcuna luce. L’immagine del Dio, che ne era uscita, sembrava ora essere completamente indipendente. Una luce rosso sangue cominciò a brillare sotto di esso, come se venisse dal tavolo e non dall’Amuleto, che continuava a rimanere un simulacro senza vita.
    Prendilo, Mago.
    Jona allungò la mano senza esitazioni e prese l’Amuleto.
    Quello continuò a rimanere completamente inerte, come un grosso medaglione di legno opaco, senza reagire al suo tocco. L’attenzione di tutti era rivolta a ciò che era rimasto sul tavolo: un altro Amuleto, un po’ più piccolo, brillava della luce rossa di Thano con potenza spaventosa, tanto che gli occhi faticavano a metterlo a fuoco. Distinguere qualcosa della sua superficie era assolutamente impossibile.
    Il Mago girò il suo Amuleto e, come si era aspettato, la sua faccia inferiore presentava un avvallamento circolare, lì dove si era distaccato l’Amuleto di Thano, lungo la linea rossa che avevano notato in precedenza.
    L’incavatura si stava lentamente riempiendo e in pochi istanti tornò ad apparire di nuovo intatto, ma continuò ad ignorare il tocco del Mago.
    Non è più tuo, Mago, rassegnati”, disse Thano con un tono misto di canzonatura e di commiserazione.
    Senza una parola Jona passò l’Amuleto a Serna; quello reagì immediatamente illuminandosi di una vivace luce gialla.
    Il Mago prese quindi l’Amuleto di Thano. L’aura luminosa che lo circondava divenne per un istante ancora più luminosa accecando tutti i presenti, poi fluì intorno al Mago e quindi sparì in lui, lasciando l’Amuleto a brillare di una luce rossa meno minacciosa, ma sicuramente potente.
    Thano riprese a parlare: “Tutti sanno che io sono il Dio Cacciatore. Tutti sanno che io, alla fine, li raggiungerò e li ucciderò, perché questo è il mio Compito. Pochissimi sanno che, a volte, i ruoli s’invertono.” Fece una lunga pausa per permettere alle sue parole di penetrare nelle loro menti.
    Sì, Mago. Hai capito bene. TU devi dare la caccia a ME.

    Il tuo nuovo Amuleto ti aiuterà, abbine cura”, con queste parole, senza alcun preavviso, Thano scomparve.

  • La Cena

    Dopo essere rimasti rintanati nello studio per l’intera giornata, i due riemersero e si presentarono nella grande cucina, dove ferveva l’attività per la preparazione della cena.
    Erano presenti cinque generazioni, cosa non inconsueta nelle famiglie benestanti

    La decana, unica rappresentante della generazione precedente a quella del Mago, era la madre di Dania: una piccola donna, completamente bianca, più vecchia della nonna di Matusalemme, ma che rimaneva dritta come un fuso e aveva occhi di un azzurro pallido che sembravano vederti l’anima. In quel momento stava ispezionando la pulizia delle mani dei marmocchi che rappresentavano la penultima generazione. La seconda generazione era costituita da Jona, il Mago e da sua moglie Dania; i fratelli vivevano per conto loro oramai da parecchio tempo. Jona e Dania erano stati benedetti da Opia quattro volte, a intervalli pressoché regolari, quindi i loro figli avevano età molto differenti.
    Il primogenito, un uomo maturo di quarant’anni che era stato appena reso nonno dalla sua primogenita, Vala, ora stava costruendo la casa, dove presto contava di trasferirsi con moglie, figli e nipotino.
    La secondogenita non era presente, trasferita a casa del marito quando si era sposata; la vedevano di rado perché, come voleva la tradizione, aveva sposato un uomo di Lava, un borgo a parecchi chilometri di distanza.
    Il terzogenito era già sposato e con prole, ma sarebbe rimasto nella casa paterna giacché già da tempo lavorava con la madre Dania. Era lui a cercare le erbe e preparare tutte le medicine, sotto la supervisione di Asclep. Di solito il Dio gli parlava attraverso l’amuleto che, però, non ne voleva sapere di lasciarsi controllare da lui; per un certo periodo la cosa l’aveva infastidito, poi si era rassegnato al ruolo dello speziale e aveva accettato che non sarebbe stato lui il prossimo sacerdote di Asclep
    La più giovane era Serna, in età da marito, ma ancora non aveva trovato una persona che fosse abbastanza intelligente e forte da interessarla e, al contempo, disponibile a lasciarle la libertà d’azione indispensabile per una — futura — Maga.

    La preparazione della cena procedeva spedita.
    Ognuno sapeva quello che doveva fare. L’intera famiglia sembrava una macchina ben oliata che procedeva in modo apparentemente caotico, ma senza scosse o strappi.
    La cena stessa fu consumata allegramente chiacchierando degli avvenimenti della giornata, qualche pettegolezzo, scherzi e anche alcune occhiatacce verso il tavolo dei bambini. Jona e Serna non fecero alcun accenno alle ricerche che li avevano tenuti impegnati per tutta la giornata. Gli altri parvero non notare la cosa.

  • Il Cerchio della Morte

    Un leggero colpetto sull’uscio lo avvertì che Serna era arrivata: “Avanti”, disse con voce ferma.

    L’Apprendista scivolò rapidamente nello studio.
    Aveva vent’anni, portava i lunghi capelli corvini raccolti in una coda di cavallo che le arrivava fino alla vita, indossava la tunica marrone che costituiva il suo abito da lavoro; un semplice saio di morbida stoffa che non riusciva a nascondere completamente il fatto che si trattava di una ragazza giovane e carina.

    Il Mago s’interessò ai progressi nelle pratiche mattutine, sia fisiche — principalmente esercizi di respirazione ed equilibrio — che mentali — matematica e memorizzazione — come ogni giorno, poi, cambiando tono, chiese a bruciapelo: “Hai notato niente di diverso in me, ultimamente?”
    Serna rispose immediatamente: “È da venerdì scorso che ho notato un cambiamento di umore, un’inquietudine, forse un senso di minaccia, maestro.”, disse nel linguaggio formale che usavano sempre quando rivestivano il ruolo di Maestro e Apprendista, “Ho controllato tutto quello che mi è venuto in mente, ma non sono riuscita a trovare la causa della sua preoccupazione, quindi ho atteso che me ne parlasse lei”, concluse.

    Jona annuì: era stato proprio il venerdì passato che aveva notato per la prima volta il mutamento nell’aura dell’Amuleto, Serna aveva percepito subito il cambiamento di umore. Molto bene.
    Lo prese dal tavolo su cui riposava e lo porse a Serna dicendo: “Questo dovrebbe darti un indizio.”
    L’Apprendista aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse senza emettere alcun suono e allungò la mano per prenderlo.

    Spalancò gli occhi per la sorpresa quando la mano di Jona lasciò il disco, ma la voce non tradì emozioni mentre analizzava quanto aveva visto: “Nelle sue mani l’Aura dell’Amuleto era più forte, ma con una tinta che virava verso l’arancione, mentre adesso, nelle mie, è molto più fioca, un giallo cromo squillante”, disse continuando a fissare l’Amuleto ed evitando di guardare il padre che, dal canto suo, assentì con un vago sorriso. “Questo significa due cose”, proseguì Serna, “Primo: il legame con me non è ancora completo e l’Amuleto non è ancora disposto ad accettarmi come sua padrona, cosa normale.”
    “Secondo: L’Amuleto sta troncando il rapporto con l’attuale Mago — e questo non è normale se non in caso di malattia grave o comportamenti indegni.”
    Erano due occhi molto preoccupati quelli che si appuntarono sul Mago mentre Serna lottava per mantenere il distacco intellettuale necessario.

    Jona assentì sorridendo: “Penso si possa escludere la malattia grave: l’indagine chiesta a tua madre ha dato esito completamente negativo.”

    Serna, mentre il padre parlava, aveva cominciato a rigirarsi nervosamente l’Amuleto in mano e ora, sulla sua faccia inferiore, era visibile un sottile cerchio rosso. Una linea circolare che correva vicino al bordo e che brillava di una tenue luce color sangue.
    I due si chinarono a esaminare quella novità che poteva rivelarsi molto pericolosa.
    I colori avevano un loro significato e una loro potenza. Quel rosso sangue era la firma di Thano il Dio Cacciatore, il Dio della Morte.

    La linea sembrava essere una fessura: non si sentiva nulla al tatto, ma l’unghia, passandoci sopra, s’impuntava leggermente.
    “Mai visto nulla di simile”, disse il Mago rispondendo a una muta domanda.

    “Amuleto, che cosa ti succede?” L’Amuleto fece comparire l’Avatar, ma non rispose. Era lo stesso atteggiamento di tutti gli Dei con cui aveva parlato in quella settimana: tutti lo avevano rassicurato sul suo operato, ma quando chiedeva qualcosa di specifico su quanto accadeva facevano semplicemente finta di non aver sentito affatto.
    Il Mago sapeva bene che cosa significava: doveva trovare la risposta da solo; niente scorciatoie.

    Senza bisogno di parlare si diressero verso la grande libreria che copriva un’intera parete e cominciarono la loro ricerca d’indizi e precedenti.

  • Prologo IV

    Sedeva pensoso sulla sua poltrona preferita.
    Dall’ampia finestra entravano la luce del sole e il profumo del mare, ma tepore e salmastro rimanevano fuori della sua coscienza.

    Aveva davanti agli occhi il suo Amuleto, un largo disco che sembrava di legno. Ora era inattivo: un grosso medaglione dai bordi arrotondati. Non mostrava la sua potenza.
    Quell’Amuleto era stato la sua vita, fin da quel primo incontro con il vecchio Gerba
    Era stato la sua vita, l’aveva plasmata, resa ricca, piena.
    Ora parlava di morte, della sua morte.

    Sapeva bene, dopo tutti gli anni trascorsi, che a sceglierlo era stato l’Amuleto stesso, reagendo alla curiosità, alla voglia di conoscere e a chissà quale altra misteriosa combinazione di caratteristiche di quel ragazzino che si divertiva più alle meraviglie del Tempio di Isto che a giocare con i suoi coetanei.
    I suoi pensieri volarono al giorno in cui quello straordinario oggetto aveva fatto irruzione nella sua esistenza.

    Non sentì Gerba arrivare alle sue spalle mentre lui era concentrato sul grande libro che aveva di fronte: il “Libro dei Nodi”.
    Pur vivendo in un paese di mare, popolato prevalentemente da pescatori, che di cime, drizze, bracci, scotte e dei metodi per giuntarle, intugliarle, intrecciarle qualcosa ne sapevano, non aveva mai immaginato ci potessero essere tanti modi diversi per annodare fra loro due pezzi di corda.

    Senza preavviso il vecchio Gerba — allora gli era sembrato davvero vecchio, ma non era molto più anziano di quanto non lo fosse ora lui — ruppe il silenzio facendolo sussultare: “Sapresti rifare quell’intugliatura?”
    Gli stava porgendo un lungo pezzo di cordino.
    Il giovane Jona aveva fatto il nodo senza degnare di un’occhiata il libro e allo stesso modo aveva fatto senza errori gli altri che Gerba gli chiedeva.

    Avevano continuato a discutere a lungo di nodi, corde, intrecci e dei loro usi, poi Gerba aveva tirato fuori da una tasca appesa alla cintura l’Amuleto che splendeva di una luce gialla pulsante: “Sai che cos’è questo, Jona?”
    Jona aveva annuito senza parlare mentre Gerba lo posava sul libro con una strana carezza che lo aveva lasciato inerte e opaco.
    “Vogliamo vedere se ti riconosce?” Gli aveva chiesto.
    Jona aveva allungato la mano esitante poi, vedendo che il suo dito lasciava una scia gialla sulla superficie liscia, si era divertito a fare disegni che svanivano lentamente.

    Gerba lo aveva lasciato fare per un po’ poi, quasi parlando con se stesso: “Proprio come pensavo; è ora di fare una visita ai tuoi genitori”, aveva detto, “prendilo e vieni con me, ti riaccompagno a casa.”
    Quando erano arrivati a casa l’Amuleto nelle sue mani brillava di una lieve luce giallissima.
    La sera stessa Jona, oramai un emozionatissimo Apprendista, aveva salutato i suoi genitori e si era trasferito nella piccola torre sul mare, dove abitava il vecchio mago.

    Jona tornò al presente e allungò la mano verso l’Amuleto che reagì immediatamente splendendo di una calda luce dorata.
    Troppo calda.
    Troppo dorata.
    Al giallo della Magia si stava sovrapponendo il rosso della Morte.
    Per ora si trattava solo di una lieve sfumatura e nessun altro l’aveva ancora notata, ma Jona la vedeva crescere di giorno in giorno e ancora non era riuscito a capire la natura della minaccia che si stava avvicinando.

    Thano era in caccia e non bisognava lasciarsi cogliere impreparati.
    Thano, il Dio Cacciatore, infaticabile e perseverante.
    Thano, che, alla fine, raggiunge tutti.
    Thano, che non ama le cacce facili e ora lo stava avvertendo del suo imminente arrivo.

    Il Mago era ragionevolmente sicuro che l’attacco non sarebbe avvenuto tramite una malattia; aveva consultato sua moglie, anche lei una portatrice di Amuleto, proprio di quello di Asclep: il Dio della flora e della medicina.
    Il suo parere professionale sul suo stato di salute era stato più che positivo: per un uomo della sua età sembrava aver sopportato le ingiurie degli anni meglio di tanti altri.
    Se Dania aveva avuto dei sospetti alla sua richiesta se li era tenuti per sé, in attesa che lui si decidesse a parlarne.

    Lo sguardo del Mago corse al grande specchio che spandeva la luce della finestra per tutta la stanza e quello gli rimandò l’immagine di un viso serio, quasi accigliato, di una persona ancora forte, pur se oramai avviata verso il declino, della quale s’intuiva l’energia latente anche ora che era rilassata sull’ampia poltrona di pelle consumata dall’uso.
    Nonostante i sessanta anni suonati aveva ancora la maggior parte dei capelli neri a far da contrasto con la barbetta ben curata ormai quasi completamente candida; solo qua e là qualche pelo conservava ostinatamente il colore della gioventù.

    “Questa non è la faccia adatta a cominciare la giornata”, borbottò.
    Si riempì i polmoni e, mentre espirava lentamente, passò la mano davanti al viso.
    Quello che emerse aveva un’espressione sicuramente seria, ma non corrucciata, e con lampi di allegra energia nello sguardo.