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  • Draghi

    La valle si era allargata e, a quanto diceva la mappa, erano vicini al lago da cui nasceva il fiume che avevano così faticosamente risalito.

    “Attenzione, arrivano”, disse Mentore con lo sguardo puntato verso l’alto.
    Jona, che non sapeva bene che cosa aspettarsi, vide diversi puntini roteare alti nel cielo, poi si accorse che tre di quei puntini si erano staccati dagli altri e stavano venendo rapidamente verso di loro.
    Che i “figli di Zeo” potessero volare sembrava assolutamente consono.

    Non fece a tempo a chiedere l’Occhio di Falco che i puntini erano su di loro, rivelandosi per quel che erano: draghi.

    Passarono a pochi centimetri sulle loro teste in formazione serrata mentre i due lama, terrorizzati, cercavano di scappare e Jona aveva il suo daffare per calmarli.

    Erano delle splendide bestie, due verde smeraldo ed una di un azzurro profondo. Sembravano uno strano incrocio fra un serpente e una lucertola con due grandi ali piumate da falcone.

    Si posarono davanti a loro e Mentore si portò in avanti a proteggere Jona e i due animali da soma.

    Il drago azzurro allungò il collo verso di loro e sibilò, con una voce gutturale, ma riconoscibilissima: “Che venite a fare nelle nostre terre? Non vogliamo seccatori, da queste parti!”
    Il punto esclamativo finale venne reso ancora più evidente da un breve sbuffo di fiamma che uscì dalle fauci del mostro e venne a lambire Mentore, che non parve notare minimamente la cosa.

    Inarcò il collo all’indietro e aprì le fauci per scagliare una fiamma che aveva l’aria di essere ben più potente di quella precedente, ma Mentore alzò un braccio e scagliò qualcosa esattamente nella gola cosicché da quella uscì solo un breve lampo seguito da un accesso di tosse del povero drago costretto ad ingoiare la sua saliva incendiaria.
    Mentore emanava un’aura rossa, pulsante e si stava muovendo con una velocità incredibile ed era saltato sulla groppa dell’altro drago verde che stava spiegando le ali impastoiandole con una rete nera.
    Una attimo dopo era di nuovo, fermo come una statua, davanti al drago azzurro: “Forse è meglio calmarsi, prima che qualcuno si faccia male.”

    I tre draghi lo guardarono con occhi malevoli, ma poi l’azzurro si fece di nuovo portavoce degli altri: “Prendete le vostre bestie e andatevene.”

    “Va bene”, rispose Mentore. Con lentezza deliberata, andò a liberare le ali che aveva impastoiato e si girò verso Jona dicendo con un tono che non ammetteva repliche: “Andiamo!”

    Tornarono lentamente sui loro passi, senza girarsi indietro, anche se, senza dubbio, Mentore stava controllando ciò che avveniva alle loro spalle.

    Quando furono fuori portata delle pur fini orecchie dei tre draghi Mentore disse sottovoce: “Hai fatto bene a non cercare di discutere.”
    “Ho visto anch’io che gli altri si erano avvicinati; ne ho contati almeno una trentina.”
    “Trentasette, per la precisione; con questi tre facevano una bella cifra tonda di quaranta. Decisamente troppi.”

    “Non mi pare il caso di insistere ora. Cerchiamoci un posto per la notte.”
    “Fammi vedere la mappa di questa zona e cerca di segnare anche dove si trovano i draghi.”
    Davanti a Jona apparve una piccola mappa che includeva parecchi puntini colorati ed anche tre piccoli draghi in miniatura che erano ancora sul terreno alle loro spalle. Uno stava sputando fiamme, un altro stava usando il lungo collo per lisciare le penne delle grandi ali ed il terzo guardava con un’espressione vagamente disgustata gli altri due. Poco dopo si levarono in volo e ripresero a librarsi con gli altri. Probabilmente li tenevano d’occhio.

    Percorsero quasi dieci chilometri verso sud-ovest prima che i draghi si decidessero a ritornare verso le loro montagne.
    Quando furono certi di non essere più osservati si infilarono in una stretta valle boscosa che andava quasi esattamente ad ovest mettendo così un’alta catena di montagne fra loro e la valle dei draghi.

    Si accamparono in una valletta verde alla confluenza di due torrentelli.
    All’inizio Jona era dubbioso, ma Dana confermò che i draghi erano creature diurne e che odiavano volare di notte. Accendere un fuoco non sarebbe stato un problema. Meglio. La temperatura, fra quei monti, era decisamente fresca.

    Jona si addormentò profondamente insoddisfatto: l’approccio con i Figli di Zeo era stato deludente così come inconcludenti erano anche le risposte che avevano trovato per domanda di Dana.

  • Verso le sorgenti

    La settimana seguente fu molto meno faticosa. Aiutato dai due animali — due lama, venne a sapere — continuò a risalire il fiume mentre Mentore dava una mano e provvedeva a controllare che non corressero pericoli.

    La strada era, in generale, più agevole di quella che aveva percorso il giorno prima, anche se in parecchi punti fu costretto a bagnarsi fino al midollo nelle acque gelide.

    Mentre camminava, appoggiandosi da una parte al suo bastone e dall’altra ad uno dei due lama, Jona continuava a discutere con Mentore che camminava al suo fianco.

    Lentamente stavano ricostruendo la storia degli antichi a partire da quello che sembrava essere il punto di massima espansione: l’inizio del terzo millennio.

    Apparentemente gli antichi erano semplicemente diventati troppi perché il pianeta potesse soddisfare i loro bisogni e assorbire i loro rifiuti.
    Mano a mano che seguivano le tracce sui documenti che avevano a loro disposizione, Isto sbloccava intere sezioni della memoria di Mentore che, invariabilmente, confermavano le loro supposizioni e fornivano ulteriori spunti di ricerca.
    Qualche volta imboccavano strade sbagliate, ma se ne accorgevano presto proprio perché le memorie rimanevano ostinatamente chiuse. Dovevano allora cercare un’altra spiegazione ai fatti che conoscevano e cercare di fare previsioni su quel che sarebbe avvenuto poi.

    Prima di arrivare alle sorgenti del fiume avevano un’idea abbastanza chiara di quello che era successo agli antichi, dal momento in cui si erano avute le prime avvisaglie di problemi di sovraffollamento e inquinamento, seguite da risorse naturali in via di esaurimento, la Terra trasformata rapidamente in una immensa città pulsante di vita con una popolazione umana superiore ai 12 miliardi di persone, quasi una media di 80 abitanti al chilometro quadrato su tutte le terre emerse, comprese montagne, deserti e le immense distese ghiacciate dell’Antartide. Numeri da capogiro, specie tenendo conto che v’erano zone con una densità superiore a 1000 abitanti per chilometro quadrato; ognuno aveva una trentina di metri quadri a disposizione!
    “Quanti siamo oggi?” Chiese ad un certo punto Jona.
    “Se comprendiamo anche Elfi, Nani, Orchi eccetera quasi duecento milioni”, fu la risposta.

    Jona si chiuse in un silenzio pensoso cercando di digerire quei numeri che gli facevano girare la testa; già duecento milioni gli sembrava una quantità enorme.

    Non si stupì troppo quando scoprì che avevano cominciato a succedere disastri e a scoppiare guerre sempre più sanguinose che, però, non riuscirono nemmeno a rallentare la crescita. Quello che lo lasciò, invece, sconvolto fu lo scoprire il potenziale distruttivo al quale erano arrivati e come una buona fetta di questo potenziale, ad un certo punto fosse esplosa provocando danni in tutto il mondo.

    A quel punto erano successe due cose più o meno nello stesso periodo: le colonie sulla Luna e sugli altri satelliti erano diventate indipendenti e la violenza era scoppiata ovunque paralizzando quel poco di civiltà che ancora era sopravvissuta.
    Jona si ritrovò a pensare alla conigliera della vecchia Berta che, rimasta sola, aveva smesso di macellare regolarmente i suoi animali. Ad un certo punto, pur nutriti, erano impazziti ed avevano cominciato ad ammazzarsi l’un l’altro semplicemente perché erano troppi in uno spazio troppo ristretto. Chissà che cosa dovevano aver pensato quegli antichi stipati come conigli.

    L’ultima data che Isto permise loro di vedere fu un triste resoconto ed una disperata lettera di addio lasciata da uno sparuto gruppo di persone che alla mezzanotte del 31 dicembre dell’anno 2200 avevano fatto saltare in aria la casa che li ospitava, l’unica in grado di comunicare ancora con le colonie nello spazio.
    Gli antichi erano spariti dalla Terra.

    Dopo aver sentito le voci registrate di quei poveretti, Jona si chiuse in un cupo mutismo che Mentore non cercò nemmeno di intaccare.

  • Inseguendo la via marrone

    Jona seguiva senza troppo sforzo la via marrone di Dana meditando sulle parole della Dea.

    “Immagino che non serva a molto chiederti direttamente: “Perché sono scomparsi gli antichi?”, vero?”
    Mentore, dall’alto della sua postazione in cima al bastone, fece un risolino: “Non hai nemmeno idea quanto! Per essere sicuri che non ti potessi aiutare, nemmeno per sbaglio, mi hanno cancellato completamente tutti i ricordi che avevo a partire dall’anno 2050 della datazione degli antichi.”

    Jona fece quattro passi prima di replicare; “Immagino che i ricordi ti ritornino non appena avremo trovato i riferimenti giusti.”
    “Isto mi conferma che è così.”

    Altri quattro passi: “Beh, stavolta abbiamo almeno due vantaggi, rispetto alla volta precedente.”
    “Quando Thano mi ha direttamente tolto dall’Amuleto? Quali sarebbero?”
    “Prima di tutto ora sei qui e hai senz’altro voglia di recuperare i tuoi ricordi.”
    “Vero. In questa condizione possiamo collaborare senza che io debba stare attento a quello che ti dico. E l’altro?”
    Altri quattro passi: “Che ci sono parecchie cose che abbiamo studiato e che, se ben mi ricordo, sono successe dopo il 2050. Possiamo cominciare da quelle.”
    “Mi pare una buona idea. Comincia.”
    “Beh, la prima cosa che mi viene in mente, e che dovrebbe riguardarti direttamente, è che poco dopo il 2050, nel 2056 credo, hanno cominciato a salvare le anime, che poi avrebbero impiegato per dar vita agli “assistenti”.”
    “Bene”, disse Mentore e Jona poteva ben immaginarselo a strofinarsi le mani soddisfatto, “Isto mi ha sbloccato tutta la memoria del progetto “Anima Eterna”. Altro?”

    Jona rimase a lungo in silenzio a rimuginare: “Quindi tu sei effettivamente nato prima del 2050, vero?”
    “Perché dici questo?” Mentore sembrava assai sorpreso.
    “Perché, se ti hanno tolto la memoria di quella parte di storia, senza, apparentemente, modificare il tuo modo di pensare, allora tu, in quel momento, dovevi avere già sviluppato i tuoi processi mentali. So bene che effetti tremendi può avere cercare di estirpare dei ricordi troppo radicati.”
    “Questo è vero per gli esseri umani in carne ed ossa, per noi le cose stanno un po’ differentemente.”
    “Spiega.”
    “Isto mi ha restituito tutte le memorie relative, quindi penso di potertene palare liberamente. Negli esseri viventi la memoria e il ragionamento si basano essenzialmente sugli stessi meccanismi. Ricordare una cosa significa modificare la propria rete neuronale, che è la stessa che veicola il pensiero. Per noi anime la cosa è diversa. La rete neuronale è fissa ed immutabile.”
    “Non potete imparare?” Jona era esterrefatto.
    “Sì e no. Abbiamo dei meccanismi di memoria diversi, separati da quelli del ragionamento. Possiamo immagazzinare altre informazioni, ma il nostro modo di usarle è fisso ed invariabile: messi nella stessa identica situazione agiremmo sempre nello stesso identico modo.” Esitò un attimo e poi proseguì:
    “E le cose sono rimaste così? Anche ora che non siete più “automi da combattimento”?”
    Jona poteva vederlo scuotere la testa sconsolato:

    Jona continuò a camminare in silenzio per parecchio tempo, prima di riprendere l’elenco delle cose che ricordava di aver visto.
    A volte si sbloccavano memorie di Mentore, a volte no.

    La strada si fece sempre più malagevole mentre le rive del fiume si alzavano sempre più e lui si trovava a percorrere una gola profonda, tra grossi massi e, spesso con le gambe nell’acqua gelata che cercava di riportarlo verso valle.
    La conversazione cominciò a languire.

    Era oramai pomeriggio inoltrato e la fine della pista marrone lo tallonava dappresso quando la gola si allargò e il Mago si poté permettere il lusso di camminare su un terreno quasi piano, anche se ingombro di arbusti.
    Aveva ripreso a mormorare sottovoce la nenia di Sindehajad.

    La pista si allontanò dal fiume seguendo un piccolo rigagnolo per poi lasciare anche quello ed inerpicarsi fra le rocce vive.
    La fine della pista lo raggiunse mentre si arrampicava a quattro mani e lo superò, sparendo dietro una cengia.
    Quando Jona riuscì a raggiungerla la pista era sparita.
    Al suo posto c’era un “assistente”, immobile e silenzioso. Sembrava una statua di metallo che teneva per la cavezza due strani animali pelosi alti quasi quanto lui.

    Un piccolo simbolo rosso sangue apparve sul petto dell’assistente che aprì gli occhi e si precipitò a sostenerlo.

  • Dittatori

    “Quello che non capisco è perché siano diventate rosse quando ho detto che ero stata mandata per sedurlo.”

    Duliana era ancora turbata e non sembrava lo fosse per lo scampato pericolo.
    “Che cosa ti disturba, Duliana?”
    La danzatrice scosse il capo facendo ondeggiare la massa dei suoi capelli neri:

    Serna sorrise annuendo: “No. Lo ho osservato anch’io. Non è quel mostro che appare da fuori.”
    “Mi sono fatta un’idea”, proseguì, senza dire che quell’idea veniva da molto lontano; ne aveva discusso a lungo con il padre e ancora non riusciva a capire bene da dove lui avesse preso certe informazioni. Le stava ancora nascondendo qualcosa, a quanto pareva.

    “E quale sarebbe, quest’idea?”
    Serna si accorse di essersi persa nei suoi pensieri e ci riscosse:
    “Come quell’orribile Zebadiah!”
    “Beh, Zebadiah, nel nostro caso, ha ragione. Non siamo qui per dare un aiuto al Califfo e al suo staff, dopotutto.”
    “Quello che non capisco è perché ti sei opposta così fermamente all’idea di toglierlo semplicemente di mezzo. Anche prima di conoscerlo, intendo dire.”
    “Avresti preferito Zebadiah al suo posto?”
    Duliana rabbrividì al pensiero: “No, certo, ma tu non potevi conoscere nemmeno lui!”
    Serna fece sentire la sua risata argentina: “No, non lo conoscevo di sicuro, ma attorno ai grandi dittatori ci sono sempre stuoli di Zebadiah che gli girano attorno come mosche attorno al miele. Talmente tanti che il miele non si vede più. Si vede solo un cumulo di insetti ronzanti.”
    Si fece seria: “No. Niente scorciatoie. Non faremmo che peggiorare le cose.”

    Rimase ancora qualche istante in silenzio mentre i servitori cominciavano ad accendere le lampade vicino alle porte che davano accesso al giardino per allontanare le ombre che si facevano sempre più estese.
    “Vieni, è meglio che rientriamo”, disse con il tono di chi ha appena preso una decisione,
    Esitò abbastanza a lungo, mentre si avvicinavano alla porta, da indurre Duliana a chiedere con urgenza: “E la seconda?”

  • Sospetti

    Duliana si stiracchiò pigramente sul grande letto a baldacchino, tanto alto che era necessaria una specie di scaletta per salirci sopra, e si rigirò a guardare il Califfo che era appena sceso e stava ricominciando a rivestirsi.
    Senza una parola scese anche lei e, completamente nuda com’era, cominciò ad aiutarlo a stringere gli innumerevoli lacci del suo vestito rosso sangue.

    Si aspettava di vederlo uscire senza guardarsi indietro, come aveva sempre fatto, ma, questa volta, vestito di tutto punto, si girò verso di lei e la squadrò con occhi che sembravano voler penetrale l’anima: “Non mi tradiresti, vero?”
    “Il mio Signore è geloso?” chiese Duliana abbassando gli occhi con un atteggiamento civettuolo che voleva indicare come si sentisse lusingata al pensiero.

    Il Califfo scoppiò in una breve risata: “No, sono guarito da quella malattia tanti anni fa, forse prima che tu nascessi, bambina.”

    Duliana che, nonostante avesse superato la trentina, manteneva la freschezza di una ventenne, si guardò bene dal contraddire l’ultima affermazione, facendo finta di non capire dove lui volesse andare a parare.

    La prese per le braccia stringendo abbastanza da farle sentire la sua forza, ma non tanto da farle davvero male, e la sollevò mettendola a sedere sul davanzale della finestra. Ora i loro occhi erano allo stesso livello e quelli del Califfo avevano ripreso ad essere indagatori.

    Duliana inghiottì, sbattendo gli occhioni neri, come se avesse difficoltà a capire che cosa volesse veramente dire il Califfo, poi parve capire e si portò una mano sulla bocca per nascondere un sorrisino, si tirò dritta dritta e, con l’aria di una bambinetta che recita una poesia per la gioia del parentado riunito, declamò:

    Il Califfo guardava le viole che ornavano il davanzale su cui aveva appoggiato Duliana, poi riportò i suoi occhi su quelli della danzatrice: “Conosci il Visir di ‘Rruth?”
    “Ho danzato per lui diverse volte.”
    “Ti ha mandato lui qui?”
    “Certo! Te l’ho detto, no?”

    Il Califfo scoppiò in un’altra risata, più sincera e liberatoria:
    Duliana era evidentemente incapace di capire che cosa stesse succedendo, tanto che lui si sentì in dovere di spiegare: “Vedi quelle viole? Sono fiori rari e preziosi: viole del pensiero.”
    Vedendo che lei ancora non capiva proseguì:

    Duliana si limitò ad annuire con due occhioni spaventati, poi si girò verso i fiori e sibilò: “Spioni!”
    Quindi si alzò con tutta la dignità offesa che riuscì a racimolare e si allontanò, andando a raccogliere i suoi vestiti.

  • Svolta

    Duliana, che era rientrata da poco nel piccolo appartamento che il Califfo aveva messo a loro disposizione, cominciò a sbuffare e, poco dopo disse a Serna con voce lamentosa: “Stasera fa più caldo del solito, andiamo a farci un giro in giardino?”
    La Maga, che stava facendo roteare cinque clave quasi senza guardarle, le ripose in bell’ordine sul tappeto che copriva quasi tutto il pavimento e rispose: “Proviamo, ma non mi pare che ci sia nemmeno un alito di vento.”

    Pochi minuti dopo passeggiavano in giardino, mentre le ombre della sera si allungavano attorno a loro.

    “Ora puoi parlare”, disse ad un certo punto Serna, “l’Amuleto mi dice che nessuno ci può sentire, ma continua a comportarti normalmente, visto che due Hashashin ci sorvegliano dalle finestre.”

    “Meglio così. Che è successo, di preciso?”

  • Dana

    La mattina dopo, alle prime luci dell’alba, ben prima che il sole sorgesse dalle basse colline che lo separavano dalle grandi pianure che aveva attraversato per arrivare fin lì, Jona cominciò le invocazioni per evocare la Dea.

    Che la tua stirpe sia forte e numerosa, Jona.
    “Esisto per proteggerla. Lavoro per educarla.”

    La Dea si presentava come una donna matura, di struttura massiccia, senza essere sovrappeso, con grandi mani forti che sembravano essere fatte per lavorare e un ampio sorriso che faceva sentire bene accetti. La madre ideale per tutte le creature della Terra.

    Perché mi invochi?

    Vorresti tornare a casa? Dimenticare tutto questo?” Chiese la Dea a bruciapelo interrompendolo.

    Jona, che non si aspettava questa reazione e, soprattutto, non si aspettava lo sguardo severo, quasi fosse un marmocchio colto con il dito nel vasetto della marmellata, esitò un attimo prima di rispondere: “No e No. Mi piacerebbe tornare a casa e rivedere i miei cari, ma sento che questo viaggio ha uno scopo importante, anche se ancora non mi è del tutto chiaro quale sia.”

    Non senti il bisogno di proteggere la tua stirpe e di educarla?” La voce della Dea era beffarda, come se lo stesse prendendo in giro
    “Ho lasciato la mia stirpe in buona salute ed in buone mani. Ho cercato di educarla ad essere forte ed indipendente e, debbo dire, sono molto soddisfatto dei risultati che, ne sono cosciente, sono dovuti solo in piccola parte ai miei sforzi.”
    Quindi, avendo fatto il tuo dovere, ti puoi prendere un periodo di vacanza.

    Jona rimase attonito, poi dovette fare uno sforzo per non scoppiare a ridere: considerare quell’ordalia come una vacanza era quanto di più improponibile si potesse pensare.
    Infine venne la realizzazione.

    Vedo che hai studiato molto bene gli antichi”, disse la Dea accennando un mezzo sorriso che era impossibile stabilire fosse d’incoraggiamento o derisione, “un anno sabbatico veniva concesso a quegli studiosi che, dopo aver dimostrato di esserne degni, presentavano un progetto di studio che doveva essere ben congegnato e mostrare prospettive concrete. Quale sarebbe il tuo “progetto”?

    Jona pesò accuratamente le parole:

    Quindi?

    Torniamo a noi: perché mi hai invocata?” Chiese poi la Dea con tono decisamente più leggero e come se la discussione precedente fosse stata solo un lieve inciso.

    Come sicuramente sai il mio progetto, la mia missione, mi porta fra le montagne alla ricerca dei figli di Zeo. Volevo chiedere se fosse possibile avere qualcuno di quegli “assistenti”, gli Elfi Meccanici, per aiutarmi a superare le montagne, come hanno fatto gli Elfi nell’Hinnerwald.
    No”, il tono della Dea era calmo, ma ultimativo. Nessuno spazio per mediazioni. Il volto rimaneva sorridente e la Dea non accennava a svanire.

    “Posso conoscerne le ragioni?” Chiese il Mago con il tono più dimesso che riuscì a trovare nella sua delusione.
    Ti darò una risposta che non risponde e ti regalerò una domanda che lo fa”, cominciò la Dea mentre il suo sorriso si velava di malizia ammiccante, “La risposta è: “gli assistenti, così come la maggior parte degli apparati meccanici, sono ad uso esclusivo degli Dei e dei loro Prescelti”
    La domanda, invece è: “Perché sono scomparsi gli antichi?”

    Jona accantonò immediatamente la domanda, troppo complessa nella sua apparente semplicità per essere discussa ora, e si concentrò sulla risposta, che sembrava fornire appigli interessanti: “I “Prescelti” sono le anime preservate, vero? Quelli che sono stati prescelti dagli Dei per sopravvivere alla morte del corpo?”
    Esatto.
    “Allora un corpo meccanico per Mentore forse si potrebbe avere?”
    Mentore?
    “Chiamo così l’anima che sta rinchiusa nel mio Amuleto, in mancanza di un nome migliore.”
    Sì, questo si può fare, ma ricorda: gli assistenti non devono essere visti.
    “Immagino che Mentore sia perfettamente in grado di sapere quando dovrà rinunciare al suo corpo meccanico.”
    E sa anche qual è la pena per chi se ne dimentica.” Il tono era minaccioso e Jona si allarmò non poco, ma subito dopo si addolcì mentre la Dea proseguiva: “Ma, in questo caso particolare, non ci sono problemi: i Figli di Zeo ed i loro amichetti sono già abituati agli assistenti.
    “Chi sarebbero “i loro amichetti”?”
    Quando li incontrerai lo saprai”, tagliò corto Dana e Jona si affrettò a cambiare argomento.

    “C’è qualche modo, che io possa usare, per arrivare fra i monti più rapidamente?”

    Detto questo la Dea sparì senza preavviso lasciando solo un’esile sentiero marrone che si inerpicava lungo il fiume.
    Dopo pochi istanti il sentiero ai piedi del Mago cominciò a svanire e lui si affrettò ad allacciarsi lo zaino alle spalle e a inseguirlo. Lo raggiunse rapidamente e vide che quello spariva ad un ritmo regolare che corrispondeva ad un passo relativamente lento.

  • Risalendo l’Arkansas

    I giorni passavano pigri e i quattro indiani procedevano ora più lentamente pagaiando contro corrente per risalire il fiume che gli antichi chiamavano Arkansas.

    Non si erano visti uomini-alligatore, almeno per il momento, ma qualche alligatore vero lo avevano incontrato, nei pressi della confluenza fra il Mississipi e l’Arkansas. Il Mago era sempre stato all’erta, ma nessuno si era avvicinato.

    La sua occupazione principale, oltre a scandagliare il fiume limaccioso per scoprire eventuali pericoli, era stata aiutare Serna e i suoi compagni di avventura a preparare, nel poco tempo che avevano avuto a disposizione, uno spettacolo che li facesse sembrare una troupe navigata, almeno agli occhi non particolarmente allenati dei fenarabi di Gadadh.

    Aveva allenato Serna fin da quando era bambina a giochi ed evoluzioni che richiedevano destrezza di mano e agilità. Come gli aveva insegnato il vecchio Gerba (sorrise fra sé al pensiero che lui, ora, era più anziano del Gerba che aveva conosciuto, ma il suo maestro rimaneva sempre il “vecchio” Gerba) la professione del mago, oltre che in un corretto rapporto con l’Amuleto, si fondava anche su una quantità di abilità personali che assomigliavano molto a quelle di un prestidigitatore con una forte empatia per il suo pubblico.

    La biblioteca che ora l’Amuleto gli aveva messo a disposizione era una vera miniera di trucchi, giochi e altre meraviglie, tutte meticolosamente descritte, anche con l’aiuto di filmati che lasciavano veramente poco all’immaginazione.
    Molti erano incomprensibili o utilizzavano cose che Jona non aveva mai visto nel suo mondo, ma altri erano perfettamente utilizzabili, soprattutto da gente, come Serna e i due giannizzeri, abituati ad usare le proprie mani con precisione chirurgica.
    Anche Duliana si era rivelata in possesso di una manualità eccezionale che faceva da complemento alle sue già note doti di danzatrice.

    Jona si era divertito non poco a selezionare, provare ed insegnare una miriade di trucchi ed esercizi ai quattro.

    Ora, su richiesta della figlia, stava cercando fiabe da narrare la sera.
    Come tutte le fiabe dovevano avere una morale, ma non doveva essere troppo evidente.
    Mentore si stava divertendo quasi quanto lui.

    Le grandi montagne, intanto, si facevano sempre più vicine, mano a mano che procedevano verso occidente.
    Il fiume, che prima disegnava meandri nelle pianure, pigro e grasso, ora scorreva fra ripe boscose, più asciutto e nervoso.
    Il viaggio in canoa volgeva al termine proprio quando la primavera aveva finalmente ceduto il passo all’estate piena.
    La piccola imbarcazione oramai, nonostante gli sforzi, percorreva più o meno la stessa distanza che lui avrebbe potuto percorrere a piedi.
    Era ora di rimettersi in cammino.
    Erano trascorsi quattro mesi da quando avevano lasciato l’accampamento Navajo e l’Amuleto l’informava che avevano già percorso quasi quattromila chilometri. Mille chilometri al mese. Più di trenta chilometri al giorno di media. Tutto a forza di braccia. Sarebbe stato duro rimettere in funzione le gambe. Sarebbe stato ancora più duro rimanere nuovamente solo dopo tanto tempo passato con i suoi compagni.

    Sulle sponde di un grande lago frastagliato, lì dove si restringeva per ritornare ad essere fiume, si accamparono a quello che sarebbe stato il capolinea di quella avventura.
    Rimasero una settimana, con i Navajo che cacciavano e preparavano provviste secche e Jona che faceva lunghe corse fra i boschi per rimettere in funzione le gambe rimaste per troppo tempo ferme nell’angusto spazio della canoa.

    Scelse con cura quel che doveva portarsi nello zaino e lasciò molti dei suoi averi nella canoa, assieme ad un pezzo del suo cuore, poi, in una bella mattina d’estate si caricò il suo zaino sulle spalle, rimise l’Amuleto di vedetta in cima al suo bastone e marciò deciso verso le montagne mentre la canoa riprendeva il suo viaggio a ritroso.

    Il fiume era ancora molto largo e poco profondo, ma le sponde, prima larghe e sabbiose, ora si facevano più scoscese e boscose.

    Dopo tre giorni di cammino arrivò ai piedi delle grandi montagne.
    Il fiume scendeva ora impetuoso, dopo essersi tagliato a forza la via attraverso la roccia viva.
    La sera, accanto al fuoco, stava esaminando la mappa che Mentore gli mostrava: “Dici che dobbiamo arrivare fin quaggiù”, disse dubbioso, “mi pare che ci sia molta strada, e non mi pare nemmeno agevole!”
    “I figli di Zeo sono lì. Non credo che scenderanno dai loro monti per venirti incontro.”
    “Non pretendevo tanto, ma, a occhio, rischio di spendere tutto quel che rimane dell’estate per arrivare lì. Questi monti sono alti e il clima dev’essere rigido.”

    Jona si accarezzò la barba: “Non mi pare che gli Dei siano veramente intenzionati a mettere alla prova la mia resistenza fisica. Piuttosto il mio grado di adattabilità e di comprensione dei problemi.”
    “Vero, a quanto posso capire.”

    “Un cavallo? Non credo che sarebbe una buona idea, magari un asino che ti portasse la roba, ma non andresti più in fretta.”
    “Veramente non stavo pensando ad un quadrupede, ma a due bipedi.”
    Mentore emise una buona imitazione di uno sbuffo di impazienza: “Che intendi dire? Devo confessare che non ti seguo. L’aria di montagna ti ha dato alla testa?”
    Jona sorrise: “No, anzi, mi sembra di essere tornato a casa, anche se queste montagne sembrano ben più alte e massicce dei miei Penn.”

    “Dana? come mai?”
    “So per certo che ha parecchi assistenti da qualche parte, non troppo lontani da qui. Magari può prestarcene un paio.”

  • Il Califfo

    Puntualmente, l’indomani mattina, mentre stavano preparandosi a ripartire, si presentò il solito funzionario sussiegoso che li informò che il Califfo, nella sua infinita benevolenza, aveva deciso di ammetterli alla sua presenza durante il pranzo, dopo le udienze della mattina.
    Dal suo tono di voce sembrava proprio non capisse il perché di quel capriccio!

    Il pranzo si rivelò abbastanza noioso, con la piccola troupe di saltimbanchi, relegata ad un’estremità del lungo tavolo a mezzaluna, nel punto più distante possibile dal Califfo.
    Il funzionario faceva del suo meglio per tenere occupato il sovrano e fargli dimenticare la presenza degli artisti.

    Erano oramai al termine quando Duliana, approfittando di un ampio vassoio di confetti colorati, ne prese una manciata e li lanciò verso il Geco che, quasi senza guardare, li prese al volo e li reindirizzò verso Serna.
    In pochi istanti una catena di dolcetti dai colori sgargianti passava rapidamente dalle mani all’aria e viceversa.

    “INSOMMA!” gridò il funzionario e i quattro si immobilizzarono mentre attorno a loro una piccola cascata di confetti rimbalzava sul pavimento.

    Duliana sembrava incapace di sollevare gli occhi dal pavimento: “Chiedo scusa”, farfugliò,

    Il funzionario, gonfio come un gallinaccio e rosso come un tacchino, sembrava sul punto di esplodere, ma il Califfo si mise a ridere: “Questi pasti sono troppo seri. Lasciali fare, Zebadiah. Parleremo dei ribelli più tardi.”

    Il funzionario si inchinò e si ritirò alle spalle del Califfo, non senza aver prima lanciato un’occhiata che non prometteva nulla di buono.

  • Spettacolo nei giardini

    Il sole era appena calato all’orizzonte quando i balconi si aprirono e i cortigiani cominciarono a sciamare fuori. Per ultimo apparve il Califfo: un uomo piuttosto piccolo, non più giovane, ma non ancora anziano, paludato in vesti dalle larghe spalle imbottite che erano evidentemente fatti per farlo apparire più imponente.

    Dalla quinta uscirono i quattro giocolieri reggendo ciascuno quattro clave. Il Geco accese una lampada al centro del palcoscenico e lo spettacolo ebbe inizio.

    Le clave cominciarono a passare rapidamente di mano in mano formando un cerchio che, mano a mano che la luminosità del cielo diminuiva diventava sempre meno visibile. Duliana manovrò per trovarsi esattamente fra la lampada ed il Califfo che poté constatare come i suoi abiti neri fossero quasi trasparenti, in controluce. Dopo pochi istanti il ritmo variò e le clave presero a passare direttamente sopra la lampada incendiandosi all’istante; l’ultima passò più bassa delle altre e spense la lampada centrale.
    Ora tutta l’illuminazione veniva dalle clave, trasformate in torce, che ardevano di una fiamma azzurrina.

    Lo spettacolo proseguì intercalando esercizi di abilità e forza con canti e balli, con Sindehajad e suo cugino che dimostrarono una notevole abilità con i loro complicati strumenti a corde.

    Dopo un breve intervallo ritornarono in pista ed ebbero la sorpresa di vedere che il Califfo aveva lasciato il balcone per riapparire, pochi istanti dopo su uno dei piccoli balconi che ornavano il muro di quinta. Le luci erano completamente sbagliate per quella prospettiva e, mentre le riposizionavano, Duliana ne approfittò per offrirgli una splendida visione in controluce del suo abito trasparente.

    Il Geco si esibì in un esercizio di abilità su una piccola trave sospesa ad un paio di metri da terra e Serna in una danza che sicuramente nessuno aveva visto in quelle terre così lontane dalla sua Ligu.

    Alla fine dello spettacolo, quando, al termine di una danza indiavolata ritmata dal roteare di una lunga lancia che costringeva i ballerini a salti e rotolamenti per evitarla, spense tutte le lampade con un solo colpo della lancia rotante, il Califfo si unì all’applauso dei suoi cortigiani.